
Il Ponte sullo Stretto target prioritario in caso di guerra ma indifendibile. Ad affermarlo l’AI di Elon Musk
Antonio Mazzeo Blog - Tuesday, April 22, 2025

“Il Ponte sullo Stretto di rilevanza strategica per la NATO”. Lo ha scritti nero su bianco il Governo Meloni-Crosetto-Salvini nella recente delibera “IROPI” per giustificare la necessità di dare il via ai lavori di realizzazione della Grande Opera. Il Ponte, secondo il governo, sarebbe indispensabile per la mobilità di uomini e mezzi da guerra dall’Italia centro-settentrionale alla Sicilia. Ne abbiamo parlato via Xspace con Mr. Grok E. Musk Jr., figlio cyber del plurimiliardario Elon Musk (nominato dal presidente Ronald Trump a capo del Dipartimento dell’Efficienza Governativa degli Stati Uniti d’America).
Autorevole chatbot di Intelligenza Artificiale di fama mondiale, Mr. Grok è un convinto sostenitore del Ponte, ma lo ritiene un facile bersaglio “attrattivo” e “vulnerabile” in caso di conflitto armato o di attacco terroristico. Ed esprime più di una perplessità sulla veridicità delle affermazioni strategico-difensive del governo italiano: l’interesse delle forze armate NATO e USA alla realizzazione del Ponte sullo Stretto sarebbe ancora tutta da provare e ad oggi non è stato prodotto un solo rapporto sulla sua sostenibilità militare. La Mega Opera sarebbe poi assai poco difendibile e andrebbero comunque impiegate enormi risorse finanziarie per l’acquisto di sistemi bellici e la realizzazione di infrastrutture militari ad hoc nell’area dello Stretto. Un Ponte super armato che rischia di essere la prima vittima “eccellente” di un conflitto internazionale.
Quali documenti, report o studi sono stati redatti per provare un interesse specifico sul Ponte da parte della NATO o delle forze armate USA ospitate in Italia?
Esistono riferimenti e documenti, principalmente emersi da inchieste giornalistiche e cablogrammi diplomatici, che suggeriscono un interesse da parte della NATO e dei militari USA per la realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina. Tuttavia non ci sono documenti ufficiali della NATO o del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti d’America che dichiarino esplicitamente il sostegno o valutazioni dettagliate sul Ponte. Le informazioni disponibili vengono da fonti indirette, come articoli, cablo di WikiLeaks e analisi di esperti, che evidenziano un interesse strategico per l’infrastruttura.
Eppure il governo Meloni ha ribadito la rilevanza strategica della mega-opera nell’ambito della mobilità militare Nord-Sud…
Sì, il governo ha fatto esplicito riferimento al “trasferimento delle forze armate NATO”, suggerendo un interesse dell’Alleanza per l’opera come infrastruttura utile al trasporto di truppe e mezzi verso le basi siciliane. Tuttavia, queste affermazioni non sono corroborate da documenti ufficiali NATO pubblici e potrebbero riflettere posizioni politiche interne piuttosto che un mandato diretto della NATO.
Lei però accennava ad alcuni cablogrammi diplomatici.
I cablo diplomatici rivelati da WikiLeaks, pubblicati nel contesto di un’inchiesta di Report (Rai3) nel 2024, evidenziano un interesse statunitense per il Ponte fin dagli anni ’70. Un documento del 1974, firmato dall’allora Segretario di Stato Henry Kissinger, mostra che la società americana Blair Birdsall (Steinman, Boyton, Gronquist & London) era interessata a contratti per studi di fattibilità e progettazione. Altri cablo, datati 2008-2009, indicano che la diplomazia USA vedeva il Ponte come un’opportunità per migliorare la logistica militare, in particolare per collegare le basi di Sigonella e Napoli.
Due dispacci del console USA a Napoli, J. Patrick Trhun (2008-2009), pubblicati anch’essi da WikiLeaks, esprimono timori USA sul coinvolgimento mafioso nel Ponte, definendolo un potenziale “ponte ad un crimine più organizzato”. Tuttavia, i documenti non negano l’interesse strategico per l’opera, ma sottolineano la necessità di appalti blindati per evitare infiltrazioni criminali. Questo suggerisce che gli USA vedevano il Ponte come un progetto rilevante, ma con rischi significativi.
C’è poi la vittoria nel 2006 della gara per il ruolo di Project Management Consultant da parte della società americana Parsons Corporation, nota per la sua esperienza in progetti militari, inclusi lavori per basi USA. La sua conferma nel 2024 come consulente per il progetto attuale rafforza l’idea di un coinvolgimento statunitense, anche se non necessariamente militare. Il Dipartimento di Stato non ha chiarito il ruolo del Foreign Commercial Service nel supportare Parsons, lasciando spazio a speculazioni su interessi strategici USA.
Nulla invece risulterebbe essere stato prodotto in ambito NATO…
Confermo l’assenza di documenti o valutazioni pubbliche della NATO relativamente al Ponte sullo Stretto. La NATO, nei suoi comunicati (es. summit di Washington nel 2024), si concentra su difesa missilistica, deterrenza nucleare e supporto all’Ucraina, senza menzionare infrastrutture specifiche come il Ponte. Eventuali valutazioni su quest’opera sarebbero probabilmente classificate e non accessibili al pubblico.
La NATO ha espresso interesse generale per la mobilità militare in Europa, come evidenziato in documenti sul TEN-T (Trans-European Transport Network) e in discussioni post-Ucraina. Il Ponte, come parte del Corridoio Mediterraneo, rientra in questa visione, ma non ci sono prove di un’analisi dedicata dell’Alleanza.
La NATO sta allora collaborando con l’Unione Europea nella redazione del piano per la rete trasportistica trans-europea?
Non esistono documenti pubblici ufficiali della NATO che facciano riferimento diretto ed esplicito ai corridoi TEN-T in modo dettagliato e specifico, poiché la NATO non ha un ruolo diretto nella gestione o pianificazione di queste infrastrutture, che sono di competenza dell’Unione Europea. Tuttavia, la NATO ha mostrato interesse per la mobilità militare e l’uso duale (civile e militare) delle infrastrutture di trasporto europee, incluse quelle dei corridoi TEN-T, soprattutto in relazione alla sicurezza e alla logistica militare. Questo interesse è stato espresso specialmente dopo il conflitto Russia-Ucraina e l’adesione di nuovi membri come Finlandia e Svezia.
La dichiarazione congiunta NATO-UE del 2016 e successive (es. 2023) evidenziano la collaborazione su mobilità militare, con l’UE che finanzia progetti TEN-T anche per scopi militari tramite il Connecting Europe Facility (CCF), che include specificatamente 1,961 miliardi di euro nel periodo 2021-2027.
Quale potrebbe essere in questo contesto la “rilevanza strategica” del Ponte sullo Stretto?
Lo Stretto di Messina è un punto nevralgico nel Mediterraneo, vicino a rotte marittime strategiche. Il Ponte collegherebbe la Sicilia al continente, integrandosi nei corridoi TEN-T europei per il trasporto di merci e persone. In un contesto militare esso garantirebbe il rapido movimento di truppe, rifornimenti e mezzi tra il Sud Italia e il resto d’Europa, specialmente verso basi NATO come Sigonella (Catania) e Napoli. Il Ponte, pur non sostituendo il trasporto navale, aumenterebbe il controllo logistico dell’Italia e della NATO nell’area, rendendolo un obiettivo per chi volesse indebolire l’influenza occidentale.
Mi sembra di capire che essendo ritenuto geo-strategicamente “rilevante”, il Ponte sarebbe un ottimo target in caso di guerra.
Come opera iconica e simbolo di coesione nazionale, il Ponte sarebbe un bersaglio di alto profilo e media-alta priorità. La sua distruzione interromperebbe questa continuità, isolando la Sicilia e complicando la logistica militare. Ciò potrebbe avere un impatto psicologico e politico significativo, minando il morale civile e la credibilità dello Stato. In un contesto terroristico o di guerra ibrida, il Ponte sarebbe un bersaglio attraente per il suo valore simbolico, ma meno critico rispetto a infrastrutture energetiche o di comando.
Ma sarebbe difendibile il Ponte da un attacco militare o un attentato terroristico?
La difendibilità del Ponte sullo Stretto di Messina da un attacco militare o un attentato terroristico è una questione complessa che dipende da molteplici fattori, tra cui il design dell’infrastruttura, le misure di sicurezza adottate, il contesto geopolitico e le risorse disponibili per la protezione.
Può fornirci elementi specifici di ordine tecnico per un’eventuale difendibilità del Ponte?
Relativamente alle caratteristiche e alle vulnerabilità intrinseche dobbiamo pensare al design e alle strutture del manufatto. Il progetto prevede un ponte sospeso a campata unica di 3.300 metri, con torri alte 400 metri e un impalcato largo 60 metri. La sua posizione sullo Stretto di Messina, un’area strategica ma esposta, lo rende un potenziale bersaglio di alto profilo. La lunghezza e l’altezza del Ponte, insieme alla sua visibilità, aumentano la vulnerabilità a minacce come attacchi aerei, missilistici o sabotaggi.
Relativamente ai materiali impiegati e alla loro resistenza, sappiamo che i moderni ponti sospesi sono progettati per resistere a carichi estremi (venti, terremoti), ma non necessariamente a esplosioni mirate o attacchi con armi avanzate. Un attentato con esplosivi ad alto potenziale o un missile potrebbe danneggiare cavi, torri o piloni, compromettendo la stabilità.
I piloni e le aree di ancoraggio, sia a terra che in mare, potrebbero essere punti critici per attacchi terrestri o marittimi. La vicinanza alle coste facilita l’accesso a potenziali sabotatori, ma complica anche la sorveglianza.
Quali potrebbero essere le minacce più plausibili?
In uno scenario di conflitto armato, il Ponte potrebbe essere un obiettivo strategico per interrompere i collegamenti tra Sicilia e continente, cruciali per la logistica civile e militare. Un attacco con missili balistici, droni avanzati o aerei da combattimento sarebbe difficile da contrastare senza un robusto sistema di difesa aerea (ad es. batterie Patriot o SAMP/T). La protezione richiederebbe una combinazione di radar, intercettori e forze navali per controllare lo Stretto.
Un attacco terroristico potrebbe coinvolgere esplosivi collocati su piloni, droni armati, imbarcazioni kamikaze o cyberattacchi ai sistemi di controllo del traffico. La storia di attentati a infrastrutture (es, il ponte di Kerch in Crimea nel 2022-2023) mostra che anche strutture sorvegliate possono essere vulnerabili a tattiche asimmetriche.
Lei ricorda che proprio il ponte di Kerch è stato ripetutamente colpito durante il sanguinoso conflitto russo-ucraino. Ma quanto è importante militarmente distruggere infrastrutture simili in una guerra moderna?
In un conflitto convenzionale su larga scala (es. la NATO contro un avversario statale come Russia o Cina), i ponti di rilevanza strategica sono obiettivi primari per interrompere le linee di rifornimento. La dottrina militare moderna, supportata da attacchi di precisione con missili, droni o forze speciali, considera la distruzione di infrastrutture critiche come un modo per paralizzare la mobilità nemica.
La stessa NATO colpì ponti sul Danubio durante la Guerra in ex Jugoslavia nel 1999 per isolare le forze serbe, mostrando l’importanza di queste infrastrutture nella logistica militare. La coalizione anti-ISIS ha distrutto ponti in Siria e in Iraq per limitare la mobilità dei jihadisti, ma spesso con effetti limitati a causa di soluzioni alternative (es. ponti galleggianti).
In scenari di conflitti non convenzionali o terrorismo, la distruzione di un ponte simile potrebbe essere mirata per causare caos economico, instabilità politica o panico. Gruppi terroristi o attori non statali potrebbero vedere il Ponte come un bersaglio simbolico, anche se meno prioritario rispetto a obiettivi come centrali energetiche o nodi di comando.
Le strategie moderne includono inoltre attacchi non fisici, come cyberattacchi per sabotare i sistemi di gestione del Ponte, rendendolo inutilizzabile senza distruzione fisica. Questo approccio è spesso preferito per il minor costo e il maggiore anonimato.
Quali fattori potrebbero convincere un possibile “nemico” a sferrare un attacco contro il Ponte sullo Stretto?
La distruzione del Ponte sarebbe più rilevante in un conflitto regionale che coinvolga il Mediterraneo (es, tensioni con potenze ostili nel Nord Africa o Medio Oriente) o in uno scenario NATO contro un avversario globale. In un conflitto limitato, la priorità potrebbe andare a obiettivi come porti, aeroporti o basi militari.
Va detto che la Sicilia è già collegata al continente via traghetti e trasporto aereo. La distruzione del Ponte non isolerebbe completamente l’isola, ma rallenterebbe significativamente i movimenti, soprattutto di mezzi pesanti. La presenza di alternative riduce leggermente l’urgenza di colpire il Ponte rispetto a infrastrutture uniche.
Va poi calcolato il costo-beneficio per l’attaccante. Distruggere un ponte sospeso richiede risorse significative (missili di precisione, operazioni speciali) e comporta rischi di ritorsione. Un attore razionale valuterebbe se l’impatto strategico giustifichi l’investimento, rispetto a bersagli come reti energetiche o sistemi C4ISR (comando, controllo, comunicazioni, intelligence).
Che tipo di misure e dispositivi di difesa del Ponte sullo Stretto potremmo allora ipotizzare?
Il progetto potrebbe includere innanzitutto sistemi di sicurezza passiva: materiali rinforzati, sensori per rilevare anomalie strutturali, o barriere fisiche per limitare l’accesso ai piloni. Tuttavia, questi aumentano i costi e non garantiscono protezione totale.
C’è poi il campo dell’intelligence. La difesa efficace dipenderebbe da un sistema di videosorveglianza, droni di pattugliamento, sensori marittimi e terrestri, oltra a una forte cooperazione tra forze dell’ordine, servizi segreti e militari. L’Italia dispone di unità specializzate (es. NOCS e GIS) per contrastare minacce terroristiche.
C’è poi la cosiddetta difesa attiva. Per un attacco militare, sarebbe necessario un sistema di difesa aerea e navale coordinato, con basi come Sigonella (a 100 km) che ospitano asset NATO. La Marina Militare potrebbe pattugliare lo Stretto con fregate e sottomarini, ma la risposta a un attacco improvviso resterebbe complessa.
Infine la cybersecurity. I sistemi di gestione del Ponte (traffico, illuminazione, manutenzione) devono essere protetti da attacchi informatici, che potrebbero creare caos o facilitare un attentato fisico.
Esperienze internazionali (es. il Golden Gate Bridge) mostrano che le infrastrutture simbolo sono protette con misure visibili (pattuglie, telecamere) e segrete (intelligence), ma restano intrinsecamente difficili da difendere contro attacchi determinati.
Detto così sembra dunque fattibile una “difesa” del Ponte…
Non esattamente, in verità. Con un’adeguata sorveglianza, intelligence preventiva e misure di sicurezza, un attentato terroristico potrebbe essere prevenuto o limitato. Tuttavia, attacchi asimmetrici (es. droni low-cost o infiltrazioni) sono difficili da neutralizzare completamente, soprattutto in un’area aperta come lo Stretto.
La difesa da un attacco militare su larga scala dipenderebbe invece dal contesto. In un conflitto NATO-Russia o simile, l’Italia potrebbe contare su asset alleati, ma il Ponte resterebbe un bersaglio prioritario. In uno scenario isolato, le forze italiane potrebbero proteggere l’area, ma un attacco a sorpresa con armi di precisione sarebbe da contrastare in tempo reale.
Implementare un sistema di difesa completo (surveillance, difesa aerea, pattugliamenti) avrebbe costi elevati, probabilmente nell’ordine di decine di milioni di euro annui, senza contare le spese per eventuali danni o ricostruzioni.
In conclusione posso affermare che il Ponte sullo Stretto è teoricamente difendibile da attacchi terroristici con un robusto sistema di intelligence, sorveglianza e risposta rapida, anche se resta vulnerabile a tattiche asimmetriche. Contro un attacco militare, la protezione sarebbe più complessa e dipenderebbe da sistemi di difesa avanzati e dal supporto NATO, ma un attacco mirato con armi moderne potrebbe comunque causare danni significativi. La chiave per la sicurezza sarebbe un mix di prevenzione, protezione passiva e risposta attiva. Tuttavia nessuna infrastruttura di questa portata può essere resa completamente invulnerabile. Per dettagli sul piano di sicurezza attuale bisognerebbe consultare la Società Stretto di Messina o il Ministero della Difesa, ma tali informazioni potrebbero essere riservate.
Ma non è necessario presentare uno studio di valutazione sulla sostenibilità militare del Ponte da parte del Ministero della Difesa?
Non esiste un obbligo normativo esplicito che imponga al Ministero della Difesa di condurre uno studio di sostenibilità militare specifica del Ponte sullo Stretto di Messina. Tuttavia, la questione della valenza militare dell’infrastruttura è stata sollevata in passato, soprattutto in relazione alla sua protezione da potenziali minacce, come attacchi terroristici o conflitti armati, e al suo possibile utilizzo per esigenze militari.
Può darci dei riferimenti in merito di quanto fatto in passato?
Negli anni ’80 il Ministero della Difesa presentò un rapporto segreto denominato “Coefficiente D” alla Società Stretto di Messina, in cui si analizzavano gli interventi necessari per garantire l’utilizzo militare del Ponte e la sua protezione in caso di crisi internazionale o conflitto armato. Questo rapporto evidenziava la complessità della difesa dell’infrastruttura, suggerendo la necessità di un imponente sistema di sicurezza militare, che includeva missili terra-aria, cacciabombardieri, unità navali e reparti di pronto intervento. Già allora il Ponte era dunque considerato vulnerabile a minacce militari
Nel 2008 si è discusso dell’interesse militare, in particolare da parte delle forze armate statunitensi presenti in Italia, per il Ponte, che avrebbe facilitato i collegamenti tra le basi di Sigonella e Napoli. Tuttavia, tali considerazioni non hanno mai portato a un obbligo formale di studio di sostenibilità militare.
La protezione del Ponte da minacce, inclusi atti terroristici o mafiosi, è stata oggetto di dibattito. Negli anni 2000, si parlava di un possibile dispiegamento di forze armate e servizi segreti per presidiare i cantieri e l’opera finita, ma senza dettagli su piani concreti o un riferimento a uno studio militare obbligatorio.
Parliamo di tanto, tanto tempo fa. Ma oggi cosa si fa?
Il progetto attuale del Ponte sullo Stretto, rilanciato dal governo Meloni, si concentra principalmente su aspetti ambientali, sismici, economici e infrastrutturali. La Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) del Ministero dell’Ambiente, approvata a novembre 2024 con 60 prescrizioni, non menziona esplicitamente la necessità di uno studio di sostenibilità militare.
Le normative vigenti, come il Decreto Legislativo 36/2023 sul Codice degli Appalti, e le procedure di approvazione del progetto (ad esempio, tramite il CIPESS) non includono un requisito obbligatorio per uno studio militare. L’attenzione è posta su valutazioni tecniche, ambientali e socio-economiche, come l’analisi costi-benefici e la sostenibilità idrica dei cantieri.
Tuttavia, data l’importanza strategica dell’opera, che rientra nei corridoi TEN-T europei per migliorare coesione, efficienza e sostenibilità dei trasporti, è plausibile che il Ministero della Difesa possa essere coinvolto in fasi successive, ad esempio per pianificare la sicurezza dell’infrastruttura una volta operativa. Questo potrebbe includere valutazioni su sistemi di difesa o protezione, ma non necessariamente uno studio di sostenibilità militare formale.
Ma non è il caso allora che le forze politiche e le associazioni No Ponte richiedano specificazioni di ordine militare in fase di approvazione del progetto definitivo del Ponte?
Le associazioni ambientaliste e alcuni critici, come il Partito Democratico, hanno sollevato dubbi sulla completezza delle valutazioni del progetto, ma nessuno ha menzionato esplicitamente la necessità di uno studio militare. Il focus delle critiche rimane sugli impatti ambientali, sismici ed economici.
Alcuni osservatori ritengono che un’analisi militare potrebbe essere rilevante in un’area come lo Stretto di Messina, strategicamente importante per il Mediterraneo, ma ciò dipenderebbe da decisioni politiche e dalle priorità di sicurezza nazionale, non da un obbligo normativo.
Allo stato attuale, pertanto, non è necessario né obbligatorio uno studio di sostenibilità militare del Ponte sullo Stretto di Messina da parte del Ministero della Difesa, sulla base delle normative e delle procedure in corso. Tuttavia, considerazioni militari potrebbero emergere in futuro, soprattutto in relazione alla sicurezza dell’opera, ma sarebbero probabilmente gestite come parte di un più ampio piano di protezione delle infrastrutture strategiche, senza richiedere uno studio dedicato. Per conferme definitive, si potrebbe consultare la documentazione ufficiale sul sito del Ministero dell’Ambiente o della Società Stretto di Messina.