“Il Ponte sullo Stretto di rilevanza strategica per la NATO”. Lo ha scritti nero
su bianco il Governo Meloni-Crosetto-Salvini nella recente delibera “IROPI” per
giustificare la necessità di dare il via ai lavori di realizzazione della Grande
Opera. Il Ponte, secondo il governo, sarebbe indispensabile per la mobilità di
uomini e mezzi da guerra dall’Italia centro-settentrionale alla Sicilia. Ne
abbiamo parlato via Xspace con Mr. Grok E. Musk Jr., figlio cyber del
plurimiliardario Elon Musk (nominato dal presidente Ronald Trump a capo del
Dipartimento dell’Efficienza Governativa degli Stati Uniti d’America).
Autorevole chatbot di Intelligenza Artificiale di fama mondiale, Mr. Grok è un
convinto sostenitore del Ponte, ma lo ritiene un facile bersaglio “attrattivo” e
“vulnerabile” in caso di conflitto armato o di attacco terroristico. Ed esprime
più di una perplessità sulla veridicità delle affermazioni strategico-difensive
del governo italiano: l’interesse delle forze armate NATO e USA alla
realizzazione del Ponte sullo Stretto sarebbe ancora tutta da provare e ad oggi
non è stato prodotto un solo rapporto sulla sua sostenibilità militare. La Mega
Opera sarebbe poi assai poco difendibile e andrebbero comunque impiegate enormi
risorse finanziarie per l’acquisto di sistemi bellici e la realizzazione di
infrastrutture militari ad hoc nell’area dello Stretto. Un Ponte super armato
che rischia di essere la prima vittima “eccellente” di un conflitto
internazionale.
Quali documenti, report o studi sono stati redatti per provare un interesse
specifico sul Ponte da parte della NATO o delle forze armate USA ospitate in
Italia?
Esistono riferimenti e documenti, principalmente emersi da inchieste
giornalistiche e cablogrammi diplomatici, che suggeriscono un interesse da parte
della NATO e dei militari USA per la realizzazione del Ponte sullo Stretto di
Messina. Tuttavia non ci sono documenti ufficiali della NATO o del Dipartimento
della Difesa degli Stati Uniti d’America che dichiarino esplicitamente il
sostegno o valutazioni dettagliate sul Ponte. Le informazioni disponibili
vengono da fonti indirette, come articoli, cablo di WikiLeaks e analisi di
esperti, che evidenziano un interesse strategico per l’infrastruttura.
Eppure il governo Meloni ha ribadito la rilevanza strategica della mega-opera
nell’ambito della mobilità militare Nord-Sud…
Sì, il governo ha fatto esplicito riferimento al “trasferimento delle forze
armate NATO”, suggerendo un interesse dell’Alleanza per l’opera come
infrastruttura utile al trasporto di truppe e mezzi verso le basi siciliane.
Tuttavia, queste affermazioni non sono corroborate da documenti ufficiali NATO
pubblici e potrebbero riflettere posizioni politiche interne piuttosto che un
mandato diretto della NATO.
Lei però accennava ad alcuni cablogrammi diplomatici.
I cablo diplomatici rivelati da WikiLeaks, pubblicati nel contesto di
un’inchiesta di Report (Rai3) nel 2024, evidenziano un interesse statunitense
per il Ponte fin dagli anni ’70. Un documento del 1974, firmato dall’allora
Segretario di Stato Henry Kissinger, mostra che la società americana Blair
Birdsall (Steinman, Boyton, Gronquist & London) era interessata a contratti per
studi di fattibilità e progettazione. Altri cablo, datati 2008-2009, indicano
che la diplomazia USA vedeva il Ponte come un’opportunità per migliorare la
logistica militare, in particolare per collegare le basi di Sigonella e Napoli.
Due dispacci del console USA a Napoli, J. Patrick Trhun (2008-2009), pubblicati
anch’essi da WikiLeaks, esprimono timori USA sul coinvolgimento mafioso nel
Ponte, definendolo un potenziale “ponte ad un crimine più organizzato”.
Tuttavia, i documenti non negano l’interesse strategico per l’opera, ma
sottolineano la necessità di appalti blindati per evitare infiltrazioni
criminali. Questo suggerisce che gli USA vedevano il Ponte come un progetto
rilevante, ma con rischi significativi.
C’è poi la vittoria nel 2006 della gara per il ruolo di Project Management
Consultant da parte della società americana Parsons Corporation, nota per la sua
esperienza in progetti militari, inclusi lavori per basi USA. La sua conferma
nel 2024 come consulente per il progetto attuale rafforza l’idea di un
coinvolgimento statunitense, anche se non necessariamente militare. Il
Dipartimento di Stato non ha chiarito il ruolo del Foreign Commercial Service
nel supportare Parsons, lasciando spazio a speculazioni su interessi strategici
USA.
Nulla invece risulterebbe essere stato prodotto in ambito NATO…
Confermo l’assenza di documenti o valutazioni pubbliche della NATO relativamente
al Ponte sullo Stretto. La NATO, nei suoi comunicati (es. summit di Washington
nel 2024), si concentra su difesa missilistica, deterrenza nucleare e supporto
all’Ucraina, senza menzionare infrastrutture specifiche come il Ponte. Eventuali
valutazioni su quest’opera sarebbero probabilmente classificate e non
accessibili al pubblico.
La NATO ha espresso interesse generale per la mobilità militare in Europa, come
evidenziato in documenti sul TEN-T (Trans-European Transport Network) e in
discussioni post-Ucraina. Il Ponte, come parte del Corridoio Mediterraneo,
rientra in questa visione, ma non ci sono prove di un’analisi dedicata
dell’Alleanza.
La NATO sta allora collaborando con l’Unione Europea nella redazione del piano
per la rete trasportistica trans-europea?
Non esistono documenti pubblici ufficiali della NATO che facciano riferimento
diretto ed esplicito ai corridoi TEN-T in modo dettagliato e specifico, poiché
la NATO non ha un ruolo diretto nella gestione o pianificazione di queste
infrastrutture, che sono di competenza dell’Unione Europea. Tuttavia, la NATO ha
mostrato interesse per la mobilità militare e l’uso duale (civile e militare)
delle infrastrutture di trasporto europee, incluse quelle dei corridoi TEN-T,
soprattutto in relazione alla sicurezza e alla logistica militare. Questo
interesse è stato espresso specialmente dopo il conflitto Russia-Ucraina e
l’adesione di nuovi membri come Finlandia e Svezia.
La dichiarazione congiunta NATO-UE del 2016 e successive (es. 2023) evidenziano
la collaborazione su mobilità militare, con l’UE che finanzia progetti TEN-T
anche per scopi militari tramite il Connecting Europe Facility (CCF), che
include specificatamente 1,961 miliardi di euro nel periodo 2021-2027.
Quale potrebbe essere in questo contesto la “rilevanza strategica” del Ponte
sullo Stretto?
Lo Stretto di Messina è un punto nevralgico nel Mediterraneo, vicino a rotte
marittime strategiche. Il Ponte collegherebbe la Sicilia al continente,
integrandosi nei corridoi TEN-T europei per il trasporto di merci e persone. In
un contesto militare esso garantirebbe il rapido movimento di truppe,
rifornimenti e mezzi tra il Sud Italia e il resto d’Europa, specialmente verso
basi NATO come Sigonella (Catania) e Napoli. Il Ponte, pur non sostituendo il
trasporto navale, aumenterebbe il controllo logistico dell’Italia e della NATO
nell’area, rendendolo un obiettivo per chi volesse indebolire l’influenza
occidentale.
Mi sembra di capire che essendo ritenuto geo-strategicamente “rilevante”, il
Ponte sarebbe un ottimo target in caso di guerra.
Come opera iconica e simbolo di coesione nazionale, il Ponte sarebbe un
bersaglio di alto profilo e media-alta priorità. La sua distruzione
interromperebbe questa continuità, isolando la Sicilia e complicando la
logistica militare. Ciò potrebbe avere un impatto psicologico e politico
significativo, minando il morale civile e la credibilità dello Stato. In un
contesto terroristico o di guerra ibrida, il Ponte sarebbe un bersaglio
attraente per il suo valore simbolico, ma meno critico rispetto a infrastrutture
energetiche o di comando.
Ma sarebbe difendibile il Ponte da un attacco militare o un attentato
terroristico?
La difendibilità del Ponte sullo Stretto di Messina da un attacco militare o un
attentato terroristico è una questione complessa che dipende da molteplici
fattori, tra cui il design dell’infrastruttura, le misure di sicurezza adottate,
il contesto geopolitico e le risorse disponibili per la protezione.
Può fornirci elementi specifici di ordine tecnico per un’eventuale difendibilità
del Ponte?
Relativamente alle caratteristiche e alle vulnerabilità intrinseche dobbiamo
pensare al design e alle strutture del manufatto. Il progetto prevede un ponte
sospeso a campata unica di 3.300 metri, con torri alte 400 metri e un impalcato
largo 60 metri. La sua posizione sullo Stretto di Messina, un’area strategica ma
esposta, lo rende un potenziale bersaglio di alto profilo. La lunghezza e
l’altezza del Ponte, insieme alla sua visibilità, aumentano la vulnerabilità a
minacce come attacchi aerei, missilistici o sabotaggi.
Relativamente ai materiali impiegati e alla loro resistenza, sappiamo che i
moderni ponti sospesi sono progettati per resistere a carichi estremi (venti,
terremoti), ma non necessariamente a esplosioni mirate o attacchi con armi
avanzate. Un attentato con esplosivi ad alto potenziale o un missile potrebbe
danneggiare cavi, torri o piloni, compromettendo la stabilità.
I piloni e le aree di ancoraggio, sia a terra che in mare, potrebbero essere
punti critici per attacchi terrestri o marittimi. La vicinanza alle coste
facilita l’accesso a potenziali sabotatori, ma complica anche la sorveglianza.
Quali potrebbero essere le minacce più plausibili?
In uno scenario di conflitto armato, il Ponte potrebbe essere un obiettivo
strategico per interrompere i collegamenti tra Sicilia e continente, cruciali
per la logistica civile e militare. Un attacco con missili balistici, droni
avanzati o aerei da combattimento sarebbe difficile da contrastare senza un
robusto sistema di difesa aerea (ad es. batterie Patriot o SAMP/T). La
protezione richiederebbe una combinazione di radar, intercettori e forze navali
per controllare lo Stretto.
Un attacco terroristico potrebbe coinvolgere esplosivi collocati su piloni,
droni armati, imbarcazioni kamikaze o cyberattacchi ai sistemi di controllo del
traffico. La storia di attentati a infrastrutture (es, il ponte di Kerch in
Crimea nel 2022-2023) mostra che anche strutture sorvegliate possono essere
vulnerabili a tattiche asimmetriche.
Lei ricorda che proprio il ponte di Kerch è stato ripetutamente colpito durante
il sanguinoso conflitto russo-ucraino. Ma quanto è importante militarmente
distruggere infrastrutture simili in una guerra moderna?
In un conflitto convenzionale su larga scala (es. la NATO contro un avversario
statale come Russia o Cina), i ponti di rilevanza strategica sono obiettivi
primari per interrompere le linee di rifornimento. La dottrina militare moderna,
supportata da attacchi di precisione con missili, droni o forze speciali,
considera la distruzione di infrastrutture critiche come un modo per paralizzare
la mobilità nemica.
La stessa NATO colpì ponti sul Danubio durante la Guerra in ex Jugoslavia nel
1999 per isolare le forze serbe, mostrando l’importanza di queste infrastrutture
nella logistica militare. La coalizione anti-ISIS ha distrutto ponti in Siria e
in Iraq per limitare la mobilità dei jihadisti, ma spesso con effetti limitati a
causa di soluzioni alternative (es. ponti galleggianti).
In scenari di conflitti non convenzionali o terrorismo, la distruzione di un
ponte simile potrebbe essere mirata per causare caos economico, instabilità
politica o panico. Gruppi terroristi o attori non statali potrebbero vedere il
Ponte come un bersaglio simbolico, anche se meno prioritario rispetto a
obiettivi come centrali energetiche o nodi di comando.
Le strategie moderne includono inoltre attacchi non fisici, come cyberattacchi
per sabotare i sistemi di gestione del Ponte, rendendolo inutilizzabile senza
distruzione fisica. Questo approccio è spesso preferito per il minor costo e il
maggiore anonimato.
Quali fattori potrebbero convincere un possibile “nemico” a sferrare un attacco
contro il Ponte sullo Stretto?
La distruzione del Ponte sarebbe più rilevante in un conflitto regionale che
coinvolga il Mediterraneo (es, tensioni con potenze ostili nel Nord Africa o
Medio Oriente) o in uno scenario NATO contro un avversario globale. In un
conflitto limitato, la priorità potrebbe andare a obiettivi come porti,
aeroporti o basi militari.
Va detto che la Sicilia è già collegata al continente via traghetti e trasporto
aereo. La distruzione del Ponte non isolerebbe completamente l’isola, ma
rallenterebbe significativamente i movimenti, soprattutto di mezzi pesanti. La
presenza di alternative riduce leggermente l’urgenza di colpire il Ponte
rispetto a infrastrutture uniche.
Va poi calcolato il costo-beneficio per l’attaccante. Distruggere un ponte
sospeso richiede risorse significative (missili di precisione, operazioni
speciali) e comporta rischi di ritorsione. Un attore razionale valuterebbe se
l’impatto strategico giustifichi l’investimento, rispetto a bersagli come reti
energetiche o sistemi C4ISR (comando, controllo, comunicazioni, intelligence).
Che tipo di misure e dispositivi di difesa del Ponte sullo Stretto potremmo
allora ipotizzare?
Il progetto potrebbe includere innanzitutto sistemi di sicurezza passiva:
materiali rinforzati, sensori per rilevare anomalie strutturali, o barriere
fisiche per limitare l’accesso ai piloni. Tuttavia, questi aumentano i costi e
non garantiscono protezione totale.
C’è poi il campo dell’intelligence. La difesa efficace dipenderebbe da un
sistema di videosorveglianza, droni di pattugliamento, sensori marittimi e
terrestri, oltra a una forte cooperazione tra forze dell’ordine, servizi segreti
e militari. L’Italia dispone di unità specializzate (es. NOCS e GIS) per
contrastare minacce terroristiche.
C’è poi la cosiddetta difesa attiva. Per un attacco militare, sarebbe necessario
un sistema di difesa aerea e navale coordinato, con basi come Sigonella (a 100
km) che ospitano asset NATO. La Marina Militare potrebbe pattugliare lo Stretto
con fregate e sottomarini, ma la risposta a un attacco improvviso resterebbe
complessa.
Infine la cybersecurity. I sistemi di gestione del Ponte (traffico,
illuminazione, manutenzione) devono essere protetti da attacchi informatici, che
potrebbero creare caos o facilitare un attentato fisico.
Esperienze internazionali (es. il Golden Gate Bridge) mostrano che le
infrastrutture simbolo sono protette con misure visibili (pattuglie, telecamere)
e segrete (intelligence), ma restano intrinsecamente difficili da difendere
contro attacchi determinati.
Detto così sembra dunque fattibile una “difesa” del Ponte…
Non esattamente, in verità. Con un’adeguata sorveglianza, intelligence
preventiva e misure di sicurezza, un attentato terroristico potrebbe essere
prevenuto o limitato. Tuttavia, attacchi asimmetrici (es. droni low-cost o
infiltrazioni) sono difficili da neutralizzare completamente, soprattutto in
un’area aperta come lo Stretto.
La difesa da un attacco militare su larga scala dipenderebbe invece dal
contesto. In un conflitto NATO-Russia o simile, l’Italia potrebbe contare su
asset alleati, ma il Ponte resterebbe un bersaglio prioritario. In uno scenario
isolato, le forze italiane potrebbero proteggere l’area, ma un attacco a
sorpresa con armi di precisione sarebbe da contrastare in tempo reale.
Implementare un sistema di difesa completo (surveillance, difesa aerea,
pattugliamenti) avrebbe costi elevati, probabilmente nell’ordine di decine di
milioni di euro annui, senza contare le spese per eventuali danni o
ricostruzioni.
In conclusione posso affermare che il Ponte sullo Stretto è teoricamente
difendibile da attacchi terroristici con un robusto sistema di intelligence,
sorveglianza e risposta rapida, anche se resta vulnerabile a tattiche
asimmetriche. Contro un attacco militare, la protezione sarebbe più complessa e
dipenderebbe da sistemi di difesa avanzati e dal supporto NATO, ma un attacco
mirato con armi moderne potrebbe comunque causare danni significativi. La chiave
per la sicurezza sarebbe un mix di prevenzione, protezione passiva e risposta
attiva. Tuttavia nessuna infrastruttura di questa portata può essere resa
completamente invulnerabile. Per dettagli sul piano di sicurezza attuale
bisognerebbe consultare la Società Stretto di Messina o il Ministero della
Difesa, ma tali informazioni potrebbero essere riservate.
Ma non è necessario presentare uno studio di valutazione sulla sostenibilità
militare del Ponte da parte del Ministero della Difesa?
Non esiste un obbligo normativo esplicito che imponga al Ministero della Difesa
di condurre uno studio di sostenibilità militare specifica del Ponte sullo
Stretto di Messina. Tuttavia, la questione della valenza militare
dell’infrastruttura è stata sollevata in passato, soprattutto in relazione alla
sua protezione da potenziali minacce, come attacchi terroristici o conflitti
armati, e al suo possibile utilizzo per esigenze militari.
Può darci dei riferimenti in merito di quanto fatto in passato?
Negli anni ’80 il Ministero della Difesa presentò un rapporto segreto denominato
“Coefficiente D” alla Società Stretto di Messina, in cui si analizzavano gli
interventi necessari per garantire l’utilizzo militare del Ponte e la sua
protezione in caso di crisi internazionale o conflitto armato. Questo rapporto
evidenziava la complessità della difesa dell’infrastruttura, suggerendo la
necessità di un imponente sistema di sicurezza militare, che includeva missili
terra-aria, cacciabombardieri, unità navali e reparti di pronto intervento. Già
allora il Ponte era dunque considerato vulnerabile a minacce militari
Nel 2008 si è discusso dell’interesse militare, in particolare da parte delle
forze armate statunitensi presenti in Italia, per il Ponte, che avrebbe
facilitato i collegamenti tra le basi di Sigonella e Napoli. Tuttavia, tali
considerazioni non hanno mai portato a un obbligo formale di studio di
sostenibilità militare.
La protezione del Ponte da minacce, inclusi atti terroristici o mafiosi, è stata
oggetto di dibattito. Negli anni 2000, si parlava di un possibile dispiegamento
di forze armate e servizi segreti per presidiare i cantieri e l’opera finita, ma
senza dettagli su piani concreti o un riferimento a uno studio militare
obbligatorio.
Parliamo di tanto, tanto tempo fa. Ma oggi cosa si fa?
Il progetto attuale del Ponte sullo Stretto, rilanciato dal governo Meloni, si
concentra principalmente su aspetti ambientali, sismici, economici e
infrastrutturali. La Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) del Ministero
dell’Ambiente, approvata a novembre 2024 con 60 prescrizioni, non menziona
esplicitamente la necessità di uno studio di sostenibilità militare.
Le normative vigenti, come il Decreto Legislativo 36/2023 sul Codice degli
Appalti, e le procedure di approvazione del progetto (ad esempio, tramite il
CIPESS) non includono un requisito obbligatorio per uno studio militare.
L’attenzione è posta su valutazioni tecniche, ambientali e socio-economiche,
come l’analisi costi-benefici e la sostenibilità idrica dei cantieri.
Tuttavia, data l’importanza strategica dell’opera, che rientra nei corridoi
TEN-T europei per migliorare coesione, efficienza e sostenibilità dei trasporti,
è plausibile che il Ministero della Difesa possa essere coinvolto in fasi
successive, ad esempio per pianificare la sicurezza dell’infrastruttura una
volta operativa. Questo potrebbe includere valutazioni su sistemi di difesa o
protezione, ma non necessariamente uno studio di sostenibilità militare formale.
Ma non è il caso allora che le forze politiche e le associazioni No Ponte
richiedano specificazioni di ordine militare in fase di approvazione del
progetto definitivo del Ponte?
Le associazioni ambientaliste e alcuni critici, come il Partito Democratico,
hanno sollevato dubbi sulla completezza delle valutazioni del progetto, ma
nessuno ha menzionato esplicitamente la necessità di uno studio militare. Il
focus delle critiche rimane sugli impatti ambientali, sismici ed economici.
Alcuni osservatori ritengono che un’analisi militare potrebbe essere rilevante
in un’area come lo Stretto di Messina, strategicamente importante per il
Mediterraneo, ma ciò dipenderebbe da decisioni politiche e dalle priorità di
sicurezza nazionale, non da un obbligo normativo.
Allo stato attuale, pertanto, non è necessario né obbligatorio uno studio di
sostenibilità militare del Ponte sullo Stretto di Messina da parte del Ministero
della Difesa, sulla base delle normative e delle procedure in corso. Tuttavia,
considerazioni militari potrebbero emergere in futuro, soprattutto in relazione
alla sicurezza dell’opera, ma sarebbero probabilmente gestite come parte di un
più ampio piano di protezione delle infrastrutture strategiche, senza richiedere
uno studio dedicato. Per conferme definitive, si potrebbe consultare la
documentazione ufficiale sul sito del Ministero dell’Ambiente o della Società
Stretto di Messina.
Source - Antonio Mazzeo Blog
Lo scorso 2 aprile le Commissioni Affari esteri e Difesa della Camera dei
deputati hanno espresso parere favorevole alla proposta del governo di cedere a
“titolo gratuito” materiale di armamento alle forze armate e di polizia della
Repubblica federale di Somalia.
Lo schema di decreto interministeriale era stato trasmesso in Parlamento il 24
febbraio. “Scopo del provvedimento è quello di rafforzare la collaborazione e la
cooperazione tra l’Arma dei carabinieri e le Forze di polizia somale, nel quadro
delle attività di collaborazione e di sostegno alle istituzioni locali”, vi si
legge.
Al decreto è stata allegata una relazione del Reparto “Logistica e
Infrastrutture” dello Stato Maggiore della Difesa (datata 25 giugno 2024) che
fornisce alcune informazioni sulle sempre più consolidate relazioni
politico-militari tra Italia e Somalia.
“Il Governo della Repubblica Italiana e il Governo Federale della Repubblica di
Somalia hanno sottoscritto a Roma il 17 settembre 2013 un Accordo di
Cooperazione Generale in materia di Difesa”, spiegano i vertici militari. “Tale
Accordo è entrato in vigore il 25 luglio 2016, a durata illimitata ed è
finalizzato ad incrementare la collaborazione tra le Forze armate, consolidando
le rispettive capacità difensive e migliorando la comprensione reciproca sulle
questioni della sicurezza”.
Nello specifico l’Accordo di Cooperazione prevede lo scambio di materiali
militari “quale contributo ad accrescere l’interoperabilità fra i rispettivi
dispositivi di polizia”.
In tale ambito il governo italiano si è fatto carico di cedere “gratuitamente”
alle forze armate di Mogadiscio sei blindati tattici VM-90P, già in dotazione
all’Arma dei Carabinieri.
“Il VM-90 è un veicolo multiruolo 4x4 con elevata mobilità sulla viabilità
ordinaria e su terreni accidentati, su fondo anche cedevole e con scarsa
aderenza, largamente impiegato soprattutto per attività tattico–logistiche”,
spiega lo Stato Maggiore.
I veicoli da guerra sono stati prodotti dagli stabilimenti di Iveco Defence
Vehicles S.p.A. (sede principale a Bolzano); possono trasportare personale fino
a un massimo di sei persone e sono omologati per viaggiare per via aerea,
terrestre e marittima.
“La protezione fornita dai VM-90 è normalmente classificata su livelli che vanno
dal B1, con un livello base legato al rischio di criminalità metropolitana, fino
ad arrivare al B7, il massimo della blindatura contro le minacce di azioni
terroristiche”, aggiunge lo Stato Maggiore.
Ma sono davvero uno strumento bellico efficiente i sei blindati Iveco ceduti
alle forze armate somale? A leggere gli ulteriori passaggi della relazione dei
vertici militari italiani sembrerebbe proprio di no.
“I veicoli VM-90P sono obsoleti per cause tecniche in quanto, essendo entrati
nel ciclo logistico nel periodo 1996-2004, appartengono ad un segmento di parco
vetusto che oggi presenta elevati oneri manutentivi e limitate possibilità di
impiego nei moderni scenari di crisi sia dentro sia, soprattutto, fuori dal
territorio nazionale”, annota lo Stato Maggiore.
La “vetustà” dei blindati aveva indotto le forze armate italiane a perseguire un
dispendiosissimo programma di acquisizione di una nuova generazione di veicoli
tattici leggeri multiruolo, i VTLM Lince, “più performanti e sicuri”.
“Con il passare del tempo – si spiega - i citati VM-90P sono transitati in
extra-organico rispetto all’esigenza dell’Arma e, difatti, sono stati già
dichiarati fuori servizio dall’ispettorato logistico dell’Arma dei Carabinieri”.
Nel 2020 il governo italiano aveva ceduto alle autorità di Mogadiscio due
blindati della stessa tipologia. Nello stesso anno erano stati consegnati pure
200 scudi quadrati marca Mirafan, 200 caschi con maschera marca Protos e 50
scudi tondi, “non più rispondenti alle esigenze di impiego operativo dei
Carabinieri”.
“La cessione dei blindati VM-90P si inserisce nel quadro del crescente impegno
della Difesa italiana a supporto del processo di capacity building della
Somalia”, spiega il Governo nello schema di decreto sottoposto alle due Camere
il 24 febbraio 2025. “E’ in corso di revisione il Somali National Security
Architecture (SNSA), programma di riordino del settore sicurezza che prevede
l’integrazione delle milizie regionali nelle Forze di Sicurezza federali e che è
orientata, da un punto di vista politico-militare, all’adozione di azioni mirate
principalmente alla salvaguardia dell’unità, della sovranità e della sicurezza
nazionale, con focus sul contrasto dei gruppi insorgenti armati”.
Obiettivo chiave del programma è quello di incrementare l’organico delle forze
d’élite somale di almeno 30.000 unità, “escluse le Forze Speciali addestrate da
USA e Turchia”.
La Relazione predisposta dallo Stato Maggiore ed allegata allo schema di decreto
delinea un quadro della situazione in Somalia caratterizzato “da elevata
volatilità a partire dalla fine del 1991, quando fu rovesciato il Presidente
Siad Barre”.
“La Somalia rientra, infatti, tra i c.d. failed State, ovvero tra gli Stati in
cui nessuna entità governativa è capace di esercitare il monopolio dell’uso
legittimo della forza sull’intero territorio”, spiegano i vertici militari.
“L’instabilità della Somalia è a sua volta la principale causa endogena di
instabilità regionale del Corno d’Africa, a causa prevalentemente del
terrorismo, dell’attivismo di organizzazioni criminali a carattere
transnazionale e del fenomeno della pirateria, che, sebbene notevolmente
ridimensionato negli ultimi anni, costituisce comunque fattore di minaccia
sempre presente”.
“La crisi nel Corno d’Africa risulta quindi legata a doppio filo alla stabilità
futura della Somalia – dove da gennaio 2025 la nuova missione a guida
dell’Unione Africana AUSSOM è destinata a sostituire ATMIS – a seguito
dell’entrata dell’Egitto nella partita del Corno, con il rischio di ulteriori
preoccupanti tensioni, qualora Mogadiscio dovesse richiedere formalmente la
sostituzione del contingente etiopico, attualmente quello numericamente
prevalente nella missione, con quello egiziano”.
In tale scenario lo Stato Maggiore della Difesa chiede un maggiore
coinvolgimento italiano e delle istituzioni europee in Corno d’Africa,
soprattutto nell’addestramento delle forze armate della Repubblica Federale
della Somalia.
“Oltre alla missione europea EUTM Somalia, operano in territorio somalo anche
altri Paesi che conducono attività addestrative/formative in favore delle forze
armate locali (tra questi, in particolare, USA, Regno Unito e Turchia”,
ricordano i vertici militari. “In tale contesto, l’Italia è uno dei Paesi più
attivi, oltre che con la partecipazione alle missioni dell’UE (EUTM Somalia,
EUCAP Somalia ed EUNAVFOR Atalanta), anche attraverso la Missione Bilaterale di
Addestramento delle Forze di Polizia somale e gibutiane (MIADIT), con sede a
Gibuti, volta a favorire la stabilità e la sicurezza della Somalia e dell’intera
regione”.
Al rafforzamento della presenza militare italiana in Corno d’Africa non potrà
che seguire la crescita delle esportazioni di armi e munizioni al governo di
Mogadiscio. “In tale contesto, le Autorità somale hanno già rappresentato
ufficiosamente le loro aspettative nei confronti dell’Italia per un maggior
contributo in termini di mezzi (sia terrestri che marittimi), sistemi d’arma ed
equipaggiamenti militari”, conclude lo Stato Maggiore italiano.
Un impegno ad accrescere gli “aiuti militari” alla Somalia era stato assicurato
dal ministro della difesa Guido Crosetto in occasione della visita in Italia del
Presidente della Repubblica Hassan Sheikh Mohamud e del ministro Mohamed Nur
Abulkadir (10 febbraio 2023).
“La Somalia ha il confine marino più lungo dell’Africa, ma è anche la porta
dell’Africa: abbiamo ragionato quindi sulla possibilità di aumentare gli aiuti
nel settore marittimo per il contrasto alla pirateria trainando anche l’Europa e
la NATO in quest’area di interesse strategico”, dichiarò Crosetto.
Prima di lasciare Roma, il presidente Mohamud e il ministro Abulkadir
parteciparono al convegno dal titolo “Italia, Somalia. Una relazione speciale”,
presenti pure i ministri Antonio Tajani e Matteo Piantedosi. Ad organizzarlo la
Fondazione Leonardo Med-Or, istituita dall’azienda leader del comparto
militare-industriale, Leonardo SpA, e presieduta dall’ex ministro dell’Interno
Marco Minniti (Pd).
Articolo pubblicato in Africa ExPress il 17 aprile 2025,
https://www.africa-express.info/2025/04/17/cooperazione-sbilenca-italia-somalia-cessione-di-blindati-tattici-in-disuso/
"La disponibilità di un’infrastruttura strategica come quella del Ponte sullo
Stretto, una volta posta nella sua piena funzionalità, potrebbe contribuire ad
elevare notevolmente i livelli di efficienza ed efficacia dei processi
organizzativi e funzionali di safety e security". Ad affermarlo il Consiglio dei
ministri guidato dal duo Meloni-Salvini, nella recentissima delibera "IROPI"
sulle “motivazioni imperative di rilevante interesse pubblico” che
giustificherebbero la Mega Opera.
"L’Unione Europea ha sviluppato il Military Mobility Action Plan per rafforzare
la capacità di spostamento rapido delle truppe all’interno del continente",
aggiunge il governo. "Il Ponte sullo Stretto si inserirebbe perfettamente in
questa strategia, fornendo un’infrastruttura chiave per il trasferimento delle
forze NATO dal Nord Europa verso il Mediterraneo".
Inutile dire che si tratta dell'ennesima bufala governativa per accreditare di
fronte all'opinione pubblica e tra qualche disattento Commissario europeo la
"sostenibilità" militare del Mostro sullo Stretto.
Ad oggi però non esiste nessuno straccio di documento NATO e/o UE che ritenga il
Ponte utile per la mobilità di uomini, mezzi ed armamenti. Di contro tra gli
oltre 500 progetti finanziati dalla Commissione europea nell'ambito del Military
Mobility Action Plan (per rendere compatibile - dual use - la rete
trasportistica esistente al transito militare) solo tre hanno riguardato
l'Italia: un piccolo ponte sull’autostrada A7 che collega Milano con Genova
(Serravalle); una breve tratta dell'asse ferroviario che dalla valle Scrivia
arriva al porto di Genova; un altro breve nodo ferroviario di collegamento al
porto di La Spezia.
La NATO e il Comando delle forze armate USA in Europa pensano invece di
potenziare il trasporto militare sul cosiddetto "fianco sud" per via aerea e
marittima: è per questo che sono stati avviati i dispendiosissimi progetti di
potenziamento delle grandi basi navali di Taranto, Brindisi e Augusta (Siracusa)
e dello scalo aeroportuale di Sigonella, dove sono in corso i lavori di
estensione delle piste per consentire l'atterraggio e il decollo dei grandi
aerei cargo e dei velivoli tanker per il rifornimento in volo.
Vogliamo inoltre ricordare che da oltre 15 anni chiediamo inutilmente che la
Stretto di Messina SpA e il governo forniscano tutti i documenti in possesso sui
rilievi (dovuti per legge) sulla reale sostenibilità e "difendibilità" del Ponte
in caso di conflitto o attentati terroristici, a firma delle forze armate e
dello Stato Maggiore della Difesa.
A noi risulta - e non siamo mai stati smentiti in nessuna sede - che tali
rilievi sarebbero tutt'altro che positivi e benevoli.
Il Ponte non è dunque militarmente strategico. Di contro l'avvio dei lavori di
costruzione accelererà i dirompenti processi di militarizzazione in atto in
Sicilia e nel sud Italia, contribuendo all'affermazione dello Stato di guerra e
alla cancellazione delle libertà individuali e dei diritti di espressione e
opposizione.
Studenti under 12 a lezione di carriere militari in Italia, Stati Uniti
d’America e partner NATO. Dove? In un Istituto comprensivo di Palagonia, piccolo
comune della provincia metropolitana di Catania.
La mattina di mercoledì 12 marzo, nell’aula magna dell’IC “Gaetano Ponte” si è
tenuto l’incontro dal titolo “USA e Italia: Carriere militari a confronto”, a
cui hanno partecipato gli alunni delle prime due classi della scuola secondaria
di primo grado. “L’evento promosso dall’Ufficio Comunicazione e Stampa della
Base USA NAS Sigonella -– si legge nella circolare della dirigente Grazia Poma -
si inquadra nell’ambito del programma di socializzazione, buon vicinato e
volontariato Community Relations che lega la comunità militare americana alle
comunità siciliane presso le quali sono state effettuate negli anni, da parte
dei militari americani, diverse iniziative di volontariato civico e linguistico
culturale presso le scuole comunali dell’isola”.
Focus dell’incontro, quello di “mettere a confronto le varie carriere militari e
scoprire differenze e punti in comune tra le diverse culture”.
Hanno preso parte in qualità di formatori-relatori alcuni rappresentanti delle
forze armate USA di stanza nella grande aerostazione militare di Sigonella e
graduati della Polizia di Stato, dell’Aeronautica militare italiana, della
Marina, del Comando dei Carabinieri, dell’Esercito e della Guardia di Finanza.
“L’evento si propone non solo di dare voce al personale in uniforme, ma anche di
sottolineare l’importanza del loro contributo in un settore tradizionalmente
dominato dagli uomini”, scrive ancora la dirigente scolastica. “I protagonisti
condivideranno la loro esperienza, che va ben oltre il ruolo di militari:
raccontando sfide, sacrifici e vittorie, esploreranno anche il lato umano di una
carriera che implica resilienza, determinazione e un forte senso del dovere”.
Un report sullo svolgimento dell’evento è stato pubblicato sul sito internet
ufficiale della scuola di Palagonia. Si riallacciano i rapporti tra l’istituto
comprensivo “G. Ponte” ed i militari della NAS di Sigonella, il titolo. “I
militari USA sono stati ospiti, insieme alle forze armate italiane, dell’evento
svoltosi nell’aula magna. Sono intervenuti i rappresentanti della NAS Sigonella
appartenenti a diverse forze armate: la U.S. Navy, la U.S. Air Force e la U.S.
Army. I militari U.S. Army che la U.S. Air Force presenti alla conferenza, fanno
parte del contingente NATO”.
“A questo scambio culturale hanno preso parte tutti gli alunni delle classi
prime ed alcuni alunni delle classi seconde della scuola secondaria di primo
grado”, si legge ancora. “Essendo la nostra una scuola ad indirizzo musicale, si
è scelto di aprire l’evento con l’esecuzione al pianoforte del brano Nuvole
Bianche a cura di un’allieva di classe terza. A seguire sono stati intonati gli
inni nazionali, italiano e statunitense che, seguiti dall’allegro sventolio
delle bandierine, hanno segnato ufficialmente l’inizio della conferenza”.
“I militari americani ed italiani hanno raccontato la loro esperienza
professionale che riguarda i campi dell’aviazione, della polizia militare e del
settore amministrativo. C’è stata una bella interazione tra le due parti,
mettendo a confronto le tradizioni e i diversi tipi di arruolamento. Per quanto
riguarda il sistema americano, si è parlato delle varie motivazioni che li
spinge ad arruolarsi: motivi professionali, la possibilità di viaggiare e
scoprire il mondo e, non ultimi, i vantaggi offerti dalle forze armate americane
per finanziare l’istruzione e garantire l’assistenza medica. I militari italiani
hanno invece illustrato le specifiche del loro lavoro, spesso sconosciute agli
adolescenti, permettendo così di comprendere pienamente il valore di indossare
una divisa e aprendo loro l’immaginario di un possibile sbocco lavorativo a
servizio della comunità e del Paese”.
Moderatore della lezione pluri-arma binazionale, il dottore Alberto Lunetta,
responsabile dell’Ufficio relazioni esterne del Comando US Navy di stanza a
Sigonella. Presenti in sala, accanto ai piccoli alunni, i responsabili delle
associazioni locali “AVAP” ed “Insieme a Marianna”, del Rotary International
Distretto 2110 Sicilia–Malta e il dirigente dell’Istituto Comprensivo Statale
“Giovanni Blandini” di Palagonia, Antonino Fabio Marco Laudani.
Grande la soddisfazione espressa dalla preside del “Gaetano Ponte” a conclusione
dell’incontro. “Siamo pronti ad ospitare nuovamente giornate di questo tipo per
arricchire ed allargare gli orizzonti degli allievi della scuola”, ha dichiarato
la prof.ssa Grazia Poma. La militarizzazione a stelle e strisce delle aule
dell’Isola sembra purtroppo proseguire inarrestabile…
Articolo pubblicato in Stampalibera.it l’8 aprile 2025,
https://www.stampalibera.it/2025/04/08/le-carriere-nelle-forze-armate-usa-e-nato-per-i-dodicenni-delle-scuole-siciliane/
Sulle forze armate navali libiche si è scritto di tutto e di più, specie in tema
di violazioni del diritto internazionale e dei diritti umani. Fanno la sporca
guerra alle migrazioni nel Mediterraneo: assaltano le imbarcazioni dei migranti
per poi deportarli in orribili prigioni-lager e mitragliano le navi delle
organizzazioni umanitarie che soccorrono i barchini a rischio naufragio.
Ciononostante le unità libiche e i suoi equipaggi sono ospiti graditi e riveriti
degli alti comandi della Marina Militare italiana.
Lo staff generale delle forze navali di Tripoli ha annunciato l’invio in Italia
della nave da sbarco “Ibn Al-Haritha”. Essa sarà sottoposta a lavori di
manutenzione in un cantiere navale “nell’ambito dell’accordo di cooperazione tra
le marine militari libica e italiana”.
L’unità da guerra ha lasciato il porto di Tripoli giovedì 13 marzo per approdare
la mattina del giorno successivo nella grande base navale di Augusta (Siracusa).
“L’operazione di attracco di poppa è stato eseguito con successo, a riprova
dell’alta efficienza, della distinta perizia e della professionalità del
personale delle forze libiche nello svolgimento delle manovre navali”, riporta
con malcelata enfasi la testata giornalistica di Tripoli, Almenassa. “Gli
ufficiali della Marina militare italiana che hanno ricevuto l’unità nella base
navale di Augusta hanno lodato il risultato”.
Con un dislocamento di 1.150 tonnellate e una lunghezza di 81,3 metri, l’unità
da sbarco “Ibn Al-Haritha” venne acquistata in Polonia dal governo libico del
colonnello Gheddafi a metà anni ottanta. Realizzata nei cantieri navali di
Danzica, la “Ibn Al-Haritha” fu poi sottoposta a lavori di manutenzione e
rinnovamento dei motori in un cantiere navale croato nel 2009.
L’unità uscì indenne dalla campagna di bombardamenti NATO contro la Libia nel
2011; oggi viene impiegata dalla Marina libica come nave appoggio, da sbarco e
trasporto di uomini e mezzi militari. Unità della stessa classe sono impiegate
in Europa orientale anche per il “supporto di fuoco” alle truppe schierare sul
fronte terrestre, con l’impiego di cannoni e sistemi di lancio multiplo di
missili a corto raggio superficie-aria.
Non è la prima volta che navi da guerra libiche sono ormeggiate nella grande
base navale siciliana. In occasione dell’esercitazione multinazionale
“Searborder”, tenutasi nelle acque di Augusta dal 18 al 25 settembre 2023, era
presente pure un’imbarcazione della Libia libica a fianco di altre sette unità e
3 assetti appartenenti ad altri paesi nordafricani (Algeria, Marocco e Tunisia)
e a Francia, Spagna, Malta ed Italia (presente pure un team di fucilieri della
brigata marina San Marco di Brindisi). I war games aeronavali furono organizzati
nell’ambito delle attività di formazione e sorveglianza marittima previste
dall’accordo di collaborazione “5+5” siglato a Parigi il 21 dicembre 2004, dai
ministri della Difesa dei Paesi delle due sponde del Mediterraneo Occidentale:
Francia, Italia, Malta, Portogallo, Spagna, Algeria, Libia, Mauritania, Marocco
e Tunisia.
“L’esercitazione Searborder ad Augusta ha incluso un aspetto teorico con letture
e workshop sulla conduzione delle attività di navigazione, mentre l’aspetto
pratico ha visto lo svolgimento di operazioni di ricerca e salvataggio,
interventi contro navi sospette, manovre marittime, combattimento contro un
gruppo terroristico, protezione di una nave, mostra di formazioni navali a
visitatori VIP ed esercitazioni addestrative notturne per ufficiali
dell’intelligence”, ha spiegato a conclusione delle manovre ad Augusta il Capo
di Stato Maggiore della marina militare libica.
Articolo pubblicato in Stampalibera.it l’8 aprile 2025,
https://www.stampalibera.it/2025/04/08/si-ripara-ad-augusta-sicilia-grande-unita-da-guerra-della-marina-libica/?fbclid=IwY2xjawJowBNleHRuA2FlbQIxMQABHkY5NEA-zpjo6wXu3kzoVk8a5dQMNeGSV1Op8W2TNjUgr1dZU8bSlkTfgUdC_aem_zyvDYBK1ph0lRARShOm48g
La cooperazione del governo italiano con il continente africano? Solo regali di
armamenti obsoleti ai regimi golpisti.
Le Commissioni Difesa ed Esteri dalla Camera dei deputati hanno espresso parere
favorevole (a maggioranza) allo schema di decreto trasmesso il 25 febbraio
scorso dal governo Meloni-Crosetto-Tajani, concernente la cessione “a titolo
gratuito” di materiale d’armamento a favore delle forze armate del Niger.
Nello specifico si tratta di 220 paracadute modelli T10-C e T10-R MIRPS che
saranno impiegati per i “lanci massivi” delle truppe d’élite nigerine. Valore
delle attrezzature militari 500.000 euro.
“I materiali oggetto della cessione sono obsoleti in quanto l’Esercito ha già
avviato un programma che ne prevede la sostituzione con il sistema paracadute
EPC (Ensemble de Parachutage du Combattant) che entrerà a pieno servizio nei
prossimi mesi”, spiegano le autorità italiane.
L’articolo 311 del Codice dell’ordinamento militare, entrato in vigore nel 2010,
consente al Ministero della Difesa la consegna di “materiali non d’armamento,
dichiarati fuori servizio o fuori uso, a Paesi in via di sviluppo e Paesi
partecipanti al Partenariato per la Pace, nell’ambito dei vigenti accordi di
cooperazione”. Stavolta il “dono” è però diretto a un paese partner governato da
oltre 20 mesi da una giunta militare (il Consiglio Nazionale di Salvaguardia
della Patria) che ha deposto con un golpe il presidente legittimamente eletto,
Mohamed Bazoum.
Fa davvero i salti mortali lo Stato Maggiore per giustificare la cessione di
materiali d’armamenti alle forze armate di uno Stato africano ormai inviso alle
cancellerie occidentali, Francia e Stati Uniti d’America in testa.
“Il Niger è tra gli ultimi paesi al mondo secondo l’indice di sviluppo umano
dell’ONU, con inconsistenti servizi sociali erogati dallo Stato e il minimo dei
fondi allocati allo sviluppo”, si legge nella Relazione predisposta dai vertici
militari italiani, allegata allo schema di decreto.
“Più dell’80% della popolazione vive nelle zone rurali del Sud del Paese e quasi
il 40% del PIL dipende dal settore primario (agricoltura e pastorizia). L’età
media è tra le più basse al mondo (15,2 anni) mentre il 40% circa dei bambini
vive in condizioni di malnutrizione e poco più del 50% della popolazione ha
accesso all’acqua potabile”.
Dopo il preambolo ipocritamente umanitario, lo Stato Maggiore spiega le ragioni
di tipo strategico-militare per cui l’Italia è chiamata a sostenere la giunta
golpista: “L’estremo nord del Niger – che confina con Algeria, Libia e Ciad – è
una zona desertica, di difficile controllo statuale. Si tratta di un’area di
grande importanza per la sicurezza nazionale e internazionale, poiché
rappresenta rilevante snodo logistico per lo scambio di armi e per i traffici
illeciti, utilizzato dalle organizzazioni terroristiche operanti nel Sahel,
prima fra tutte AQIM (Al-Qaida nel Maghreb Islamico)”.
Pur consapevole delle violazioni del diritto internazionale perpetuate dai nuovi
padroni di Niamey, con un contorto valzer machiavellico la Difesa italiana
spiega perché sia necessario restare nel martoriato paese africano.
“L’onda lunga del golpe del 26 luglio 2023 ha avuto ripercussioni che vanno ben
oltre i confini del Niger ed ha aperto una situazione di crisi lunga e
complessa, ancora lungi dall’essere risolta”, aggiunge lo Stato Maggiore. “La
giunta militare ha sospeso la Costituzione entrata in vigore nel 2010 e,
successivamente, ha deciso l’uscita del Niger dalla CEDEAO (Comunità economica
degli Stati dell’Africa occidentale), ritenuta troppo influenzata della
Francia”. Sempre in dissenso con Parigi, la giunta golpista ha pure ordinato la
chiusura delle missioni militari EU (EUMPM ed EUCAP).
“Interagendo con dinamiche regionali e globali, il golpe di Niamey ha
contribuito ad accelerare il processo di frammentazione e polarizzazione degli
stati dell’Africa occidentale, inaugurato dai precedenti golpe militari in Mali
(agosto 2020 e maggio 2021) e Burkina Faso (gennaio e settembre 2022)”,
lamentano i vertici militari italiani.
“Mali, Burkina Faso e Niger hanno avviato una convergenza politica e militare,
denominata Alleanza degli stati del Sahel (Aes), annunciando parallelamente
l’intenzione di abbandonare la storica organizzazione regionale Ecowas, di cui
sono stati membri fin dalla fondazione nel 1975”.
A ciò è seguito il “precipitoso ritiro” delle truppe francesi dal Niger e, il 18
marzo 2024, “l’invito senza preavviso” della giunta di Niamey alle truppe degli
Stati Uniti d’America di abbandonare il paese.
“Nel frattempo, dal 10 aprile 2024 sono arrivate a Niamey le prime truppe
russe”, allerta lo Stato Maggiore. “Nonostante la modesta entità del
contingente, per ora dislocato presso l’aeroporto della capitale e con limitata
proiezione sul territorio, non è da escludere che possa trattarsi
dell’avanguardia di un nuovo partneriato strategico con Mosca mutuato
sull’esempio del Mali”.
“Mentre il quadro regionale di alleanze resta fluido, gli analisti segnalano il
progressivo inasprimento delle relazioni bilaterali fra gli stati del Sahel
centrale afferenti a Aes da una parte, e i loro vicini della fascia costiera
affacciata sull’oceano Atlantico, dall’altra. In particolare, l’esacerbarsi
delle tensioni fra Niger e Benin, fra Burkina Faso e Costa d’Avorio, fra Mali e
Mauritania, lascia presagire il rischio di un’ulteriore destabilizzazione di una
regione già segnata dall’avanzata dei gruppi terroristi d’ispirazione jihadista,
dal radicamento della criminalità transnazionale organizzata, e dall’impatto del
riscaldamento globale”.
Lotta al terrorismo, alle migrazioni, ai traffici di droga, ai cambiamenti
climatici, eccetera, eccetera, ed ecco allora le “ragion di Stato” per cui
l’Italia, unico Paese occidentale “ancora presente e gradito” in Niger debba
continuare a fare da “interlocutore privilegiato” del governo militare.
“La cessione di materiale d’armamento ha lo scopo di rafforzare la
collaborazione e la cooperazione tra le Forze Armate italiane e le Forze Armate
nigerine”, spiegano militari e governo. “L’attività si inquadra nell’ambito
dell’attività di sostegno alle istituzioni nigerine e avviene nell’ottica di
accrescere l’interoperabilità tra i rispettivi dispositivi, premessa
indispensabile per operare congiuntamente e sinergicamente nelle varie
situazioni di crisi”.
Italia e Niger hanno sottoscritto il 26 settembre 2017 un Accordo di
Cooperazione Generale in materia di Difesa, entrato in vigore il 30 agosto 2019.
Un anno prima, nel 2018, aveva preso il via la “Missione Bilaterale di Supporto
in Niger (MISIN)”, con area geografica di intervento allargata anche a
Mauritania, Nigeria e Benin, al fine di “incrementare le capacità volte al
contrasto del fenomeno dei traffici illegali e delle minacce alla sicurezza”.
La missione MISIN prevede l’impiego annuale in Niger fino a un massimo di
500 militari, 100 mezzi terrestri e 6 mezzi aerei italiani. I reparti
d’eccellenza dell’Esercito e dell’Arma dei Carabinieri svolgono principalmente
attività di formazione e addestramento delle unità nigerine. Ad oggi sono stati
realizzati oltre 400 corsi e formati più di 11.000 militari in vari ambiti. Dal
9 marzo 2021 è stata concessa all’Italia a titolo gratuito e fino al termine
della missione, una porzione di terreno all’interno dell’aeroporto di Niamey (lo
stesso dove opera il contingente russo), nonché ulteriori facilities.
Come enfatizza lo stesso Ministero della Difesa, la “massima espressione” della
cooperazione militare con il regime di Niamey è rappresentata dalla “più grande
campagna lanci mai condotta in Niger”: nei mesi di novembre e dicembre 2024,
sono stati addestrati 150 nuovi parà nigerini in 754 operazioni di lancio.
Quest’anno è previsto un ulteriore sviluppo delle attività di cooperazione
bellica. “Il 27 gennaio 2025 MISIN ha dato avvio al nuovo ciclo addestrativo in
favore delle forze armate nigerine”, spiega lo Stato Maggiore.
“L’Italia impegnerà, nell’arco del 2025, numerosi teams di addestramento
dell’Esercito per sviluppare corsi basici e avanzati, per il personale
all’aviolancio di unità e materiali, alla condotta di operazioni fluviali e al
Counter IED (contrasto di ordigni esplosivi improvvisati, nda). Inoltre, sono
stati avviati i primi corsi con l’impiego di teams dell’Arma dei Carabinieri per
la formazione nei settori delle tecniche di investigazione e di intervento
operativo”.
Il 20 febbraio è giunto in visita ufficiale in Niger il nuovo Capo di Stato
Maggiore della Difesa, il generale Luciano Portolano. “Le attività di MISIN sono
di fondamentale importanza in quanto l’addestramento, la consulenza,
l’assistenza, il supporto e mentoring a favore delle Forze di sicurezza e delle
istituzioni governative nigerine contribuiscono ad aumentare le capacità e
l’autonomia del Paese nella sorveglianza delle frontiere, nel controllo del
territorio e nel contrasto ai fenomeni illeciti”, ha spiegato Portolano.
Nel corso della sua visita a Niamey, il Capo di Stato Maggiore ha annunciato
l’avvio dei progetti per equipaggiare le unità locali addestrate con barchini
per il controllo dei movimenti lungo il fiume Niger ed elicotteri da trasporto
medio AB412 (produzione di Leonardo SpA) per il controllo del territorio.
Anche nel corso della precedente legislatura le Camere avevano espresso parere
favorevole alla cessione “a titolo gratuito” di materiali d’armamento al Niger.
Allora si trattò di 250 giubbetti antiproiettile per addestramento, 250 elmetti
in kevlar, 10 caschi balistici, 8 tute antiframmento, 2 kit corazzato per tuta
antiframmento e 10 contenitori per tuta antiframmento.
Tutto il materiale era già presente in Niger perché utilizzato per
l’addestramento del personale nigerino nell’ambito delle attività MISIN.
“I giubbetti antiproiettile e gli elmetti in kevlar risultano obsoleti a causa
dell’impossibilità e della non economicità ad effettuare degli interventi di
rispristino e di mantenimento delle caratteristiche prestazionali e di
protezione originarie indispensabili per poterli impiegare per fini operativi”,
riporta senza falsi pudori la relativa Relazione dello Stato Maggiore. “Le tute
antiframmentazione RAV 501 risultano obsolete a causa della vetustà del
materiale e della progressiva scadenza di validità della protezione balistica
dei vari lotti che non hanno superato le prove per l’estensione della vita”.
Ma il deserto del Niger è forse una discarica dove l’Italia può disperdere
rifiuti di guerra a costo zero?
Articolo pubblicato in Africa ExPress il 7 aprile 2025,
https://www.africa-express.info/2025/04/08/furbizia-italiana-armamenti-obsoleti-ai-regimi-golpisti-africani/
E’ epidemia obesità tra le forze armate degli Stati Uniti d’America ma sempre
più scuole siciliane si affidano ai Marines della base di Sigonella per
diffondere una “sana cultura alimentare” tra i propri studenti. E quando non
sono i militari USA a recarsi negli istituti scolastici di ogni ordine e grado,
sono gli alunni in gita a frequentare i fast food della grande infrastruttura di
guerra alle porte della città di Catania.
L’ultima lezione di “buona alimentazione” con i guerrieri a stelle e strisce si
è tenuta venerdì 14 marzo 2025 all’Istituto Professionale di Stato per i Servizi
di Enogastronomia e Ospitalità Alberghiera “Giovanni Falcone” di Giarre (CT).
“Nell’ambito del progetto PTOF Chat with U.S. che prevede la collaborazione con
il programma di volontariato linguistico, culturale e civico denominato
Community Relations della Base Marina Militare Americana di Sigonella, si
svolgerà un incontro linguistico-comunicativo con la dott.ssa Barbara Drobina”,
riporta la circolare a firma della dirigente dell’Istituto, la professoressa
Monica Insanguine. “L’incontro finalizzato all’interazione linguistica sulla
tematica Healthy Nutrition: the Mediterranean diet, the Food Pyramid and
Nutrients con attività appositamente programmate e sviluppate in preparazione
all’incontro e vedrà coinvolte tutte le classi del corso di istruzione per
adulti”. Ad accompagnare la dietologa nella scuola di Giarre il dottore Alberto
Lunetta, responsabile “relazioni esterne” della Naval Air Station di Sigonella.
Il 3 dicembre 2024 Barbara Drobina e Alberto Lunetta erano stati ospiti
dell’Istituto Comprensivo Statale “Madre Teresa di Calcutta” di Belpasso (CT)
per un incontro con gli alunni delle classi V delle elementari. “Nell’ambito
del programma di relazioni comunitarie della NAS Sigonella, noto come Community
Relations, si terrà un incontro con la con la nutrizionista della base
americana, dott.ssa Drobina, che offrirà una presentazione sulla sana
alimentazione cui seguiranno domande degli studenti preparate nei giorni
precedenti all’evento dagli alunni in classe”, scriveva in circolare la
dirigente della “Madre Teresa di Calcutta”, Antonella Rapisarda. A conclusione
dell’incontro con l’esperta di Sigonella, veniva pure organizzato un “momento
conviviale” con i genitori intervenuti, con tanto di informazioni sull’offerta
formativa per la scuola secondaria di primo grado per l’anno scolastico
2025/2026.
Nella circolare dell’Istituto catanese era presente un breve curriculum
professionale della dottoressa (già) in forza ai reparti dei Marines USA.
“Capitano di vascello medico in congedo, la dott.ssa Barbara Drobina si è
congedata dalla Marina Militare degli Stati Uniti nel 2019 dopo 22 anni di
servizio”, vi si legge. “Ha conseguito una laurea in Nutrizione Umana e un
master in Fisiologia dell’Esercizio, seguiti da una laurea in Medicina
Osteopatica. Si è specializzata in chirurgia generale e medicina d’emergenza e
ha ricoperto vari ruoli medici, tra cui Ufficiale Medico delle Forze Speciali
della Marina e Ufficiale Medico Subacqueo”. In verità l’esperienza
medico-militare della formatrice di tanti studenti siciliani è molto più
articolata: la Drobina ha operato nelle più importanti basi di guerra della
Marina negli Stati Uniti d’America (il Naval Medical Center Portsmouth,
Virginia; l’Ospedale navale di Camp Lejeune, North Caroline; la Naval Air
Station Jacksonville, Florida) e all’estero (oltre a Sigonella, la base aerea Al
Taqaddum nei pressi di Baghdad e in Afghanistan), dove la “nutrizionista” è
stata premiata con ben tre medaglie “d’onore” per i “servizi di guerra al
terrorismo”.
Alla capitana-medico (in congedo) di US Navy le scuole siciliane si rivolgono
per approfondire pure tematiche relative al disagio giovanile, l’alcolismo e le
tossicodipendenze. Il 22 aprile 2024, nell’ambito delle “attività linguistico
interculturale svolte dai volontari americani della NAS Sigonella”, la Dobrino
si è intrattenuta con gli studenti delle classi terze dell’Istituto di
Istruzione Superiore “Marconi – Mangano” di Catania sull’uso e abuso delle
sostanze alcoliche e stupefacenti, in compagnia dell’immancabile responsabile
delle relazioni esterne USA, Alberto Lunetta.
Quest’ultimo, nella duplice veste di funzionario di NAS Sigonella e presidente
del club service “Rotary Catania Ovest” ha firmato due anni fa un “patto
educativo di comunità” con l’Istituto Comprensivo “Cesare Battista” del popolare
quartiere San Cristoforo di Catania. Attività clou del programma Community
Relations di US Navy, l’incontro di “sensibilizzazione alla problematica della
sopravvivenza delle api” con i bambini delle elementari e, con quelli delle
medie, una lezione di Barbara Drobina su “sana alimentazione e corretti stili di
vita” con “metodologia CLIL che prevede l’insegnamento di contenuti in lingua
straniera”.
Appare del tutto “indigeribile” che sempre più scuole siciliane deleghino a NAS
Sigonella le attività di formazione ed educazione nutrizionale, specie alla luce
dei più recenti studi sui disturbi alimentari e le relative patologie che
colpiscono buona parte della popolazione statunitense, forze armate incluse.
Negli States l’obesità ha assunto dimensioni da vera e propria epidemia: il 42%
dei cittadini sono obesi e il 31% in sovrappeso.
Il fenomeno è sempre più evidente tra i giovani e, secondo il Pentagono, ben tre
cittadini su quattro in età per il servizio militare non soddisferebbero i
criteri fisici richiesti. Uno studio pubblicato nell’ottobre 2023 dall’American
Security Project (organizzazione non governativa con sede a Washington
specializzata in questioni di difesa nazionale) documenta come il 68% dei
militari statunitensi abbia un BMI (indice sulla massa corporea che tiene conto
di parametri come il peso e l’altezza) che li classifica come sovrappeso o
obesi, secondo i criteri dell’Istituto Nazionale di Sanità (National Institutes
of Health).
“Il rapido e prolungato ripetersi dell’obesità in tutti i servizi, gradi e
posizioni rappresenta oggi una seria minaccia, in particolare per le popolazioni
a rischio e per coloro che prestano servizio in ruoli critici di
combattimento”, sottolinea il rapporto dell’American Security Project.
“L’obesità è il principale motivo di squalifica per i candidati al servizio
militare ed una delle principali cause degli infortuni in servizio e delle
dimissioni mediche”. L’obesità tra le forze armate USA è più che raddoppiata in
dieci anni, passando dal 10.4% nel 2012 a 21.6% del 2022.
Sotto accusa per l’epidemia da sovrappeso c’è soprattutto l’abuso di cibo
spazzatura tra la popolazione, in particolare tra lew nuove generazioni. Le
buone pratiche alimentari e i rischi del modello Mc’s dovrebbero essere appresi
soprattutto a scuola. Invece capita, ancora una volta in Sicilia, che proprio le
scuole indirizzino gli alunni a nutrirsi male e per giunta all’interno delle
basi militari yankee.
Il 16 gennaio 2025 il 3° Istituto Comprensivo di Giarre ha pensato bene di
organizzare una “visita” a Sigonella per gli alunni delle classi V delle
elementari (plesso M. Pia di Savoia) e per quelli della media (Plesso G. La
Pira). “A seguito di ricevuta autorizzazione da parte del personale della Base
Aeronavale di Sigonella, le studentesse e gli studenti, accompagnati dai loro
docenti, partiranno per la base direttamente da S. Alfio”, riporta la circolare
a firma della dirigente, dott.ssa Rossana Maletta. “Durante la permanenza nella
base sarà effettuata una visita guidata degli spazi aperti ai visitatori e si
pranzerà con menù tipico americano (hot dog, hamburger e soft drink) presso uno
dei punti di ristoro della base”.
Alle famiglie l’onere di spesa per la gita “educativa” alla principale
infrastruttura operativa delle forze armate USA e NATO negli scacchieri bellici
in Europa orientale, Africa e Medio oriente: 10 euro per il trasporto in bus e 8
euro per il junk food a stelle a strisce. “Quest’ultima somma, preventivamente
raccolta al rientro dalle vacanze Natalizie unitamente ad un elenco nominativo,
andrà consegnata direttamente alla base al momento del pranzo”, aggiunge la
dirigenza del 3° Comprensivo di Giarre. “Gli studenti e le studentesse che
intendono partecipare dovranno scaricare, compilare e restituire
l’autorizzazione entro l’8 gennaio 2025. Come indicatoci dai responsabili della
base le scadenze sono perentorie e non differibili in quanto è necessario per
tempo effettuare controlli preventivi per l’ingresso alla base. Ci raccomandiamo
la puntualità nel rispetto della tempistica indicata…”.
Articolo pubblicato in Stampalibera.it il 31 marzo 2025,
https://www.stampalibera.it/2025/03/31/leducazione-alimentare-nelle-scuole-siciliane-con-i-marines-sovrappeso-di-sigonella/
Il cosiddetto “Piano Mattei” promosso dal governo Meloni per promuovere la
cooperazione italiana in Africa? Ad oggi solo, o quasi, si è trattato di
implementare attività di collaborazione militare-industriale con alcuni paesi
partner del continente.
L’ultimo atto del rafforzamento della presenza delle forze armate e delle
industrie belliche italiane in territorio africano risale al 13 marzo scorso. A
Nairobi, presso il quartier generale delle forze armate keniane, il Capo di
Stato Maggiore della difesa, generale Charles Kahariri, ha ospitato una
delegazione dell’Aeronautica Militare italiana guidata dal comandante in capo,
il generale Luca Goretti.
All’incontro erano presenti pure il direttore generale delle Industrie della
difesa del Kenya, generale Bernard Waliaula, e l’ambasciatore italiano a
Nairobi, Roberto Natali.
“Nel corso dell’incontro, le due delegazioni hanno espresso l’intenzione di
rafforzare le relazioni militari tra Kenya e Italia attraverso la cooperazione
nel settore dell’addestramento, dell’acquisizione di nuovi equipaggiamenti e
dello sviluppo di iniziative strategiche presso il Centro Spaziale Luigi Broglio
di Malindi”, riporta il sito specializzato Military Africa.
Il Capo di Stato Maggiore della difesa keniano ha inoltre invitato l’Aeronautica
italiana ad accrescere la collaborazione nel campo delle tecnologie spaziali,
della raccolta di immagini geo-satellitari, dell’intervento e gestione in caso
di disastri, della produzione di droni e dell’Intelligenza Artificiale legata
alle attività militari.
“Il generale Charles Kahariri Additionally ha pure enfatizzato la necessità di
finalizzare l’Accordo di Cooperazione della Difesa con il governo italiano per
rafforzare la partnership tecnologica e migliorare la capacità locale nella
manutenzione degli assetti militari”, conclude Military Africa.
Il Centro Spaziale “Luigi Broglio” attenzionato al vertice di Nairobi è una base
operativa dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) per le attività di lancio e di
controllo dei satelliti da terra. Il centro dell’ASI è dotato di sofisticate
apparecchiature per la ricezione dei dati satellitari e di tracciamento dei
vettori o altri oggetti spaziali.
Il Centro si estende su un’area di circa 3,5 ettari sulla costa dell’Oceano
Indiano a circa 32 km dalla città di Malindi ed è stato inaugurato nel 1966.
Inizialmente la sua gestione fu affidata all’Università di Roma “La Sapienza”
attraverso il Centro Ricerche Progetto San Marco.
Tra il 1967 e il 1988 lo Space Center è stato utilizzato per il lancio in orbita
di nove satelliti: quattro del programma italiano “San Marco”,
quattro statunitensi e uno del Regno Unito.
Attualmente il Centro ASI collabora con altre agenzie spaziali internazionali:
quelle di Kenya ed Egitto; la NASA (USA); l’ESA (Unione europea); il CNES
(Francia); CONAE (Argentina).
Tra gli accordi di collaborazione sottoscritti ne esiste pure uno con
l’operatore commerciale-militare SpaceX del plurimiliardario Elon Musk (oggi
alla guida del Dipartimento per l’Efficienza Governativa degli Stati Uniti
d’America con l’amministrazione Trump). In passato il Centro di Malindi ha
fornito un supporto chiave ai lanci delle navicelle spaziali “Shenzhou”,
nell’ambito del programma di realizzazione della stazione spaziale cinese.
Nel Centro sono presenti tre Stazioni di Terra con relativi sistemi d’antenna.
La prima, in Banda S, è adibita ai programmi dell’ASI. Quella in Banda S/X/L è
adibita al controllo dei veicoli di lancio Arianespace e Titan e al supporto
alle prime fasi di volo di satelliti commerciali LEOP.
La terza stazione in Banda X è adibita alla ricezione di dati di telerilevamento
dei satelliti ERS2 (European Remote-Sensing Satellite), SPOT (Satellite Pour
l’Observation de la Terre) e Landsat. Il Centro di Malindi è collegato con
l’Italia mediante satelliti Intelsat nell’ambito della rete ASI-net.
Le funzioni duali, civili-militari, del Centro Spaziale italiano in Kenya sono
ampiamente documentate: l’Aeronautica Militare ha collaborato alle sue attività
fin dalla sua realizzazione. Il 16 dicembre 2008 ASI ed Aeronautica hanno pure
firmato un accordo esecutivo di cooperazione nell’ambito delle attività di
conduzione e gestione del progetto satellitare “San Marco”.
Sotto il punto di vista operativo, a partire del 2009, il Comando delle forze
aeree nazionali ha inviato a Malindi personale qualificato (ingegneri ed esperti
informatici) per fornire all’ASI supporto e assistenza al funzionamento delle
stazioni e al controllo delle attività di tracciamento satellitare.
Interesse in ambito militare per il Centro ASI è stato espresso dalle stesse
forze armate del Kenya. In occasione della sua visita ufficiale nello stato
africano (13-16 marzo 2023), il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella,
in compagnia del Presidente ASI Giorgio Saccoccia ha incontrato allo Space
Center “Luigi Broglio” il ministro della Difesa keniano Aden Bare Duale e il
direttore dell’Agenzia Spaziale nazionale James Aruasa.
Sei mesi più tardi il ministro Duasa è stato ospite a Roma del ministro della
Difesa Luigi Crosetto, di quello delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso e
dei vertici dell’Agenzia Spaziale italiana. “Il già solido legame tra le agenzie
spaziali dei nostri due Paesi verrà ulteriormente rafforzato dopo l’accordo
intergovernativo entrato in vigore il 16 dicembre 2020 e che ha una durata di 15
anni con possibilità di rinnovo”, ha dichiarato Urso.
“La sicurezza del Sahel e del Corno d’Africa è strategica e le dinamiche
regionali si riflettono sul Mediterraneo e sull’Europa: Italia e Kenya devono
crescere insieme e cooperare nel settore della Difesa a beneficio della
stabilità”, ha invece dichiarato Crosetto a conclusione del vertice con il
ministro Aden Bare Duale.
Con il fine di rafforzare la cooperazione militare tra Unione europea e Kenya,
nel maggio 2024 la Marina Militare di Nairobi ha organizzato una grande
esercitazione navale nelle acque di Mombasa (Usalama Baharini 24) a cui ha
partecipato la fregata missilistica “Federico Martinengo” della Marina italiana.
“Le attività e le esercitazioni svolte hanno contribuito nell’azione di supporto
a favore delle autorità del Kenya per un efficace contrasto alla pirateria e a
tutte le attività illecite che vengono perpetrate in mare, come ad esempio il
traffico di armi e di sostanze stupefacenti”, riporta la nota dello Stato
Maggiore della Marina.
L’esercitazione ha previsto anche una dimostrazione pratica tra il team
specialistico della Brigata Marina “San Marco”, la Marina Militare e la Guardia
Costiera keniana. “L’evento ha mostrato la simulazione di un boarding su una
imbarcazione con a bordo dei sospetti pirati, che una volta arrestati, sono
stati consegnati prima alla Guardia Costiera e successivamente alle forze di
polizia locali”.
Articolo pubblicato in Africa ExPress il 31 marzo 2025,
https://www.africa-express.info/2025/03/31/al-mercato-delle-armi-italia-e-kenya-rafforzano-collaborazione-milionaria-in-ambito-militare/
Venti di guerra contro l'Iran. Dopo le minacce di Donald Trump e le
inequivocabili dichiarazioni del governo Netanyahu contro Teheran, il Pentagono
ha dislocato nell'area mediorientale alcuni bombardieri strategici a capacità
nucleare.
La scorsa settimana sono giunti nella grande infrastruttura militare di Diego
Garcia (Oceano indiano) sei bombardieri subsonici B-2 Spirit (con caratteristica
stealth, che consentono loro di sfuggire al controllo radar e predisposizione al
trasporto di testate nucleari B-61 e B-83).
Nella giornata di ieri, 1 aprile 2025, è stato registrato invece un intenso
traffico di grandi velivoli da trasporto C-17A Globemaster III di US Air Force
tra alcune importanti basi aeree in Europa (in particolare Ramstein, Germania) e
lo scalo Al Udeid in Qatar, hub operativo e logistico chiave per le operazioni
delle forze armate USA nello scacchiere mediorientale (presenza fino a 10.000
militari e un centinaio di velivoli).
E' presumibile che in Qatar siano stati trasferiti sistemi d'arma, munizioni e
apparecchiature in vista dell'escalation bellica contro l'Iran.
Presso la base di Al Udeid è pure presente una Cellula Nazionale Italiana
Interforze italiana che ha il compito di coordinare la pianificazione delle
attività degli assetti dell'Aeronautica Militare impiegati nelle operazioni
"anti-terrorismo" a guida USA in Iraq e Siria.
Ancora una scuola siciliana meta della sempre più invasiva campagna di
orientamento all’arruolamento nelle forze armate ma stavolta alcuni genitori
dicono Signornò!
E’ accaduto nella città di Capo d’Orlando (Messina) dopo che la dirigente del
Polo Liceale Statale “Lucio Piccolo” ha indirizzato una circolare alle famiglie,
ai docenti e agli studenti delle classi del biennio e del V anno di tutti gli
indirizzi con oggetto l’organizzazione di un incontro di orientamento scolastico
con gli ufficiali del 24° Reggimento “Peloritani” di Messina, reparto della
Brigata meccanizzata “Aosta” dell’Esercito italiano.
“Mercoledì 26 marzo 2025 il 24° Reggimento “Peloritani” incontrerà gli studenti
del Liceo, in presenza e da remoto”, riporta la circolare della dirigente, la
professoressa Maria Larissa Bollaci. “Gli alunni del biennio parteciperanno alla
conferenza con le Forze Armate, durante la quale verranno presentate le scuole
di alta formazione culturale e militare, la Nunziatella di Napoli e la Teulié di
Milano”. A seguire l’incontro con gli alunni delle classi V, “durante il quale
saranno fornite informazioni riguardanti la storia e le attività delle Forze
Armate, i possibili sbocchi occupazionali nonché tutte le indicazioni relative
al concorso per l’accesso all’Accademia Militare di Modena”.
Alla vigilia della visita del 24° “Peloritani” al liceo orlandino, alcuni
genitori degli alunni partecipanti hanno inviato una bellissima lettera alla
dirigente “nella speranza di stimolare, anche tra i docenti, una seria
riflessione sull’urgenza della pace e sulla necessità di lasciare la guerra
fuori dalla scuola”.
“Pensiamo che sia inopportuno che la scuola, che è il luogo in cui si formano le
coscienze, si coltivano i valori e si costruisce il futuro, venga trasformata in
terreno fertile per la diffusione di ideologie militariste e per l’orientamento
dei giovani alla guerra”, scrivono i genitori. “Nell’attuale scenario sociale e
politico stiamo assistendo alla normalizzazione dell’educazione alla guerra in
un clima sempre più preoccupante. Il generale Masiello ha recentemente affermato
che l’esercito è fatto per prepararsi alla guerra. Parole che risuonano come un
monito inquietante. Se questa è la prospettiva delle istituzioni militari, quale
messaggio viene trasmesso ai giovani attraverso progetti di orientamento
scolastico a cura delle forze armate?”.
“Ogni guerra è una sconfitta per l’umanità”, si legge ancora nella lettera
inviata alla dirigente del liceo “Piccolo”. “La guerra è morte, distruzione,
sofferenza indicibile e non può mai essere presentata come una soluzione ai
conflitti. La scuola ha il compito di insegnare ai giovani l’arte del confronto,
del dialogo e della comprensione reciproca. Dovrebbe essere un ambiente in cui
si promuove la cultura della pace, della diplomazia e del rispetto delle
differenze. Ogni tentativo di introdurre attività dal sapore militarista rischia
di minare questi obiettivi fondamentali”.
“Non si può permettere che scuole e studenti diventino un bacino di reclutamento
o un veicolo di consenso per attività militari. La Costituzione italiana
all’art. 11 afferma chiaramente che l’Italia ripudia la guerra come strumento di
offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle
controversie internazionali. Questa non è una frase vuota ma un principio
fondamentale che deve guidare ogni scelta educativa. Ogni studente ha diritto ad
un’educazione che lo formi come cittadino consapevole, critico e capace di
contribuire ad un mondo migliore. Non come futuro soldato di conflitti che
arricchiscono pochi e distruggono le vite di molti. La scuola è il cuore
pulsante della società e deve restare uno spazio di pace”.
Il liceo “Piccolo” di Capo d’Orlando aveva ospitato una conferenza degli
ufficiali del 24° Reggimento “Peloritani” di Messina pure il 22 febbraio 2024.
Anche in quell’occasione erano state presentate agli studenti le scuole militari
“Nunziatella” e “Teulié” ed erano state fornite “informazioni” sulla storia dei
reparti e sulle possibilità occupazionali nell’Esercito italiano.
Il passato del 24° Reggimento “Peloritani” di Messina è tutt’altro che glorioso.
Dopo la sua costituzione, nel 1935 fu inviato dal governo fascista di Benito
Mussolini in Africa Orientale per combattere sul fronte somalo a Neghelli e
Ogaden e sferrare poi l’attacco da sud contro l’Etiopia. Durante la Seconda
guerra mondiale, i reparti del 24° furono trasferiti sul fronte greco-albanese
per poi “presidiare” la sanguinosa occupazione nazifascista della Grecia. Dopo
l’8 settembre 1943 il Reggimento fu sciolto nel Peloponneso. Ricostituito
nell’Italia Repubblicana, il 24° è stato impegnato nelle controverse missioni
delle forze armate italiane in Libano e Kosovo e, negli ultimi due anni, in due
campagne militari in Ungheria. Queste ultime sono state effettuate nell’ambito
dell’Operazione Forward Land Forces promossa dalla NATO in funzione anti-russa:
i militari del Reggimento peloritano hanno operato - e operano attualmente - in
territorio ungherese in uno dei quattro nuovi Gruppi di Battaglia multinazionali
che l’Alleanza Atlantica ha costituito in Europa orientale dopo lo scoppio del
conflitto russo-ucraino, insieme alle forze armate di Croazia, Ungheria e Stati
Uniti d’America.
Le preoccupazioni espresse dai genitori degli studenti del Liceo “Piccolo”
appaiono più che legittime e giustificate anche alla luce delle dichiarazioni
espresse dal Capo di Stato Maggiore dell’Esercito italiano, il generale Carmine
Masiello, nelle stesse ore in cui gli ufficiali del 24° Reggimento promuovevano
la carriera militare tra i giovani di Capo d’Orlando.
Intervenendo alla conferenza “Uno sguardo verso l’alto. Nel campo di battaglia
del Futuro”, promossa dall’Esercito a Roma con lo scopo di “approfondire le
esigenze trasformative del settore militare-industriale, alla luce delle lezioni
apprese dai conflitti russo-ucraino e mediorientale”, il generale Masiello ha
lanciato un “accorato appello” sottolineando “l’urgente necessità di un
programma di riarmo consistente per colmare le lacune delle forze armate
italiane”.
Il Capo di Stato Maggiore ha lanciato un monito sulla gravità dell’odierna
situazione internazionale: “Non possono rischiare solo soldati, piloti e
marinai. Perché semmai si andasse in guerra, non solo le forze armate vanno in
guerra, ma l’Italia intera (…) Dobbiamo modernizzare le forze armate, dotandole
di tecnologie all’avanguardia per affrontare le sfide del futuro. In
quest’ottica invito l’industria e il mondo accademico a collaborare strettamente
con l’Esercito, promuovendo una rivoluzione culturale che favorisca
l’innovazione e l’efficienza”.
L’Italia va alla guerra, dunque, e servono urgentemente armi, mezzi e carne da
cannone. Scuole e università vanno convertite – rapidamente - in centri di
formazione e consenso della “cultura della guerra” tra le nuove generazioni…
Articolo pubblicato su Stampalibera.it il 27 marzo 2025,
https://www.stampalibera.it/2025/03/27/orientamento-alla-guerra-in-un-liceo-di-capo-dorlando-messina-ma-i-genitori-dicono-no/?fbclid=IwY2xjawJYcOZleHRuA2FlbQIxMQABHVzjIM_L2hkho0UWSXdi2ipRIb-vevVTjrWP14v94sFaY3gtdcf-PmaFmQ_aem_BBsvGUXIK6IIBap8JoqDVg