Più riviste specializzate avevano ipotizzato nei mesi scorsi che le nuove
corvette militari della Marina israeliana della classe Reshef in via di
realizzazione in Israele saranno armate con i cannoni OTO Melara Super Rapido da
76mm prodotte dal Gruppo Leonardo negli stabilimenti di La Spezia.
Adesso c'è la conferma dello Stato Maggiore della Marina da guerra di Tel Aviv:
dalla slide pubblicata con il design della corvetta di nuova generazione si
evince come a prua dell'imbarcazione sarà montata una torretta con il cannone
Super Rapido italiano, già in dotazione delle corvette della classe Sa'ar 6
impiegate per bombardare e distruggere il porto di Gaza dopo il 7 ottobre 2023.
La costruzione della prima corvetta della classe Reshef ha preso il via a metà
febbraio 2025 preso i cantieri navali Israel Shipyards di Haifa.
Il programma del ministero della Difesa israeliano prevede l'acquisizione di
cinque unità, con un costo complessivo di 780 milioni di dollari. Le corvette –
il primo esemplare dovrebbe essere consegnato nel 2029 – avranno un dislocamento
da 1.000 tonnellate, una lunghezza di 77 metri e una larghezza di poco inferiore
agli 11 metri.
Oltre all'OTO Melara Super Rapido da 76 mm (in grado di sparare fino a 120 colpi
al minuto), le corvette della classe Reshef saranno armate da un sistema SAM
Rafael C-DOME (versione navale del più famoso IRON DOME) con 4 lanciatori
verticali, e da una batteria di 8 missili supersonici antinave GABRIEL V.
Inoltre saranno montati a bordo anche 2 puntatori Rafael TYPHOON da 25/30 mm.
Il sogno della Grande Israele si conferma un'ottima occasione di affari per il
complesso militare industriale internazionale.
Source - Antonio Mazzeo Blog
Il sito specializzato ItaMilRadar ha tracciato lunedì 26 ottobre 2025 il volo di
un grande aereo cargo KC-767A in dotazione al 14° Stormo dell'Aeronautica
Militare di Pratica di Mare (Roma) che dalla base aerea NATO di Decimomannu in
Sardegna ha raggiunto lo scalo polacco di Rzeszów, il maggiore hub della NATO
per i rifornimenti di armi, munizioni e mezzi di guerra alle forze armate
ucraine in guerra contro la Russia.
"Anche se non sono state rilasciate informazioni ufficiali, lo schema di volo e
la destinazione suggeriscono che la missione è legata al trasferimento di
equipaggiamento militare o di sistemi d'arma, dato che operazioni simili che
coinvolgono il velivolo KC-767A sono state osservate in passato", riportano gli
analisti di ItaMilRadar.
L'aereo da trasporto dell'Aeronautica Militare italiana ha lasciato Pratica di
Mare alle ore 12.32 di lunedì per poi raggiungere la base di Decimomannu.
Meno di un'ora dopo il KC-767A è decollato alla volta dello scalo-hub di Rzeszów
dove è giunto alle 17.14.
Il velivolo ha poi lasciato la Polonia per rientrare in Italia ed atterrare
nell'aeroporto militare di Pisa San Giusto (ore 20.13 locali).
L'Italia e le sue infrastrutture militari si confermano tra i maggiori supporter
di Kiev a livello internazionale.
Le forze armate israeliane continuano a bombardare la Striscia di Gaza
nonostante l'accordo di cessate il fuoco promosso da Donald Trump ma in Italia
c'è già chi pensa a fare affari miliardari con la "ricostruzione" di Gaza City.
L'edizione italiana di Fortune (nota rivista economica USA) ha pubblicato un
articolo dal significativo titolo "La ricostruzione a Gaza e le sfide per le
imprese tricolore" in cui elenca le principali società che punterebbero a
mettere le mani sull'affaire, stimato internazionalmente tra i 50 e i 70
miliardi di dollari.
"Le aziende europee avranno una corsia privilegiata nelle gare per la
ricostruzione, e in questo quadro aziende italiane come Webuild, Ansaldo
Energia, Saipem e Maire, potrebbero partecipare alle attività di ricostruzione",
scrive Fortune Italia. "Prysmian potrebbe essere coinvolta nella fornitura dei
cavi dell’alta tensione per ripristinare la rete elettrica e di quelli per
l’elettrificazione degli edifici. Ci sono poi aziende come Buzzi Unicem e
Cementir che potrebbero essere coinvolte in ogni caso, essendo tra i maggiori
produttori al mondo di cemento e calcestruzzo (e quindi in grado di collaborare
con chiunque sarà il committente dei lavori)".
In pole position dunque le aziende leader del settore costruzioni ed
engineering, prima fra tutte la Webuild asso pigliatutto delle Grandi Opere in
Italia, prima fra tutti il Ponte sullo Stretto di Messina, irrealizzabile, ma
per cui è previsto comunque un investimento non inferiore ai 15 miliardi di
euro.
"Si parla di aziende italiane di dimensione globale, abituate a destreggiarsi in
mezzo continente, tra appalti e tecnologie all’avanguardia", commenta ancora
Fortune Italia. "È interessante notare due fattori che potrebbero favorire le
aziende italiane: la prossimità geografica, che consente di abbattere i costi di
trasporto rispetto ad altri competitor e la prossimità politica, perché
indubbiamente il ruolo equilibrato del governo Meloni, favorevole alla pace ma
contrario a frettolosi riconoscimenti di nuovi stati e non equidistante tra
Israele e un gruppo terroristico come Hamas, ci rende più credibili agli occhi
di americani e israeliani".
In conclusione del suo articolo, Fortune Italia afferma con soddisfazione che
l’Italia, questa volta, "ha le carte giuste per contare".
Sì, "contare" senza doversi vergognare di contare le innumerevoli vittime
innocenti della sanguinaria campagna genocida di Israele, ampiamente sostenuta
dal trio del tricolore Meloni-Tajani-Crosetto.
Il rilascio degli ultimi ostaggi israeliani sopravvissuti dopo due anni di
prigionia, l’insperata liberazione di quasi duemila palestinesi trattenuti da
tempi immemorabili nelle prigioni-lager di Israele e, soprattutto, la riapertura
dei corridoi umanitari per l’afflusso di generi alimentari alla Striscia di
Gaza. Sono questi i primi effetti visibili del “piano di pace” di Donald Trump
o, meglio, dell’effimera “pax americana” imposta unilateralmente agli storici
alleati di Washington nell’area mediorientale.
Sulla seconda fase di quello che nelle intenzioni del “pacificatore” armato
dovrebbe condurre alla soluzione del “conflitto” israelo-palestinese (mai
conflitto si è caratterizzato per l’assoluta asimmetria delle forze degli attori
in campo) è invece notte fonda: nessuno ne ha capito ancora contenuti, modalità,
tempi e pratiche e dopo i tributi mainstream riservati a mister Trump e finanche
le proteste per il Nobel mancato, inizia a serpeggiare un tanto di sfiducia tra
gli analisti e le cancellerie di mezzo mondo.
In verità non c’è pace all’orizzonte in Palestina, anche perché per “fare la
pace” sono indispensabili processi dal basso, democraticamente discussi e
condivisi all’interno e tra le parti. Invece proprio questi ultimi sono stati
del tutto assenti dopo che gli USA si sono assunti l’impegno e l’onere di
premere un colpo d’acceleratore sulla “soluzione finale” della questione
palestinese, chiedendo al fragile governo Netanyahu di congelare sine die il
piano – quello vero – di “soluzione finale” manu militare, cioè di pulizia
etnica e “liberazione” dalla presenza di ogni essere vivente in buona parte
della Striscia di Gaza.
Un piano per la Palestina senza i palestinesi, le loro forme, pratiche di azione
e resistenza ed i propri legittimi rappresentanti politici organizzati che, per
questo, non ha alcuna credibilità né sostenibilità a medio e lungo termine. E
che il nazi-sionismo, sempre più forte in Israele e tra i governi alleati in
occidente non farà altro che sabotare in ogni modo per affermare il “diritto
esclusivo all’esistenza” della Grande Israele, dal Mediterraneo al fiume, non
certo il Giordano come si vorrebbe lasciar pensare, dato il devastante e
crescente impegno bellico di Tel Aviv in Libano, Siria, Yemen ed Iran.
L’esplicita fragilità e contraddittorietà della pax trumpiana impone alle
moltitudini mobilitatesi in questi mesi in ogni angolo del pianeta a mantenere
inalterati l’attenzione e l’impegno a fianco del popolo palestinese, contro le
politiche genocide di Israele e partner. E dobbiamo farlo innanzitutto nel
nostro Paese, uno dei più coinvolti nella legittimazione e nel sostegno dei
crimini di guerra e contro l’umanità perpetrati da Netanyahu & C..
Il governo Meloni-Tajani-Crosetto-Nordio ha giocato e gioca un ruolo
determinante nei processi di riarmo e belligeranza di Israele: fornisce armi
distruttive ed intelligence alle operazioni di morte a Gaza e assicura la totale
impunità ai suoi peggiori protagonisti (meno di quindici giorni fa l’Italia è
stato l’unico paese europeo che ha consentito al Boeing in cui viaggiava il
leader di governo israeliano inseguito da un mandato di cattura internazionale
di transitare “senza incidenti” nello spazio aereo nazionale). E non c’è pace
senza giustizia e senza che la giustizia stessa sia garantita ed esercitata.
C’è che chi ritiene che Washington abbia “imposto” la falsa pax anche per
incrinare e indebolire il fronte internazionale di lotta al genocidio del popolo
palestinese, soprattutto all’interno di quei regimi – in Africa e Medio oriente
– dove la marea umana che invoca la Free Palestine potrebbe mettere in crisi lo
status quo che consente lo strapotere finanziario-economico e militare di
transnazionali yankee e petrosovrani.
Anche per questo dobbiamo continuare a riprenderci e vivere collettivamente
strade e piazze, licei e università, gli ingressi e i cancelli di quelle banche,
aziende o infrastrutture militari che hanno le mani sporche di sangue del popolo
palestinese perché hanno continuato a fare affari. fatturati e dividendi
sostenendo Tel Aviv e la furia genocida a Gaza. E dobbiamo farlo anche a partire
dall’appuntamento di martedì 14 ottobre, giornata in cui c’è chi vorrebbe
giocare ad Udine la partita della vergogna, l’incontro di calcio Italia-Israele
per le eliminatorie dei Mondiali 2026. Giocare sarebbe un colpo di spugna per
cancellare lo sterminio di centinaia e centinaia di giovani calciatori
palestinesi sotto il fuoco di bombardieri israeliani e legittimerebbe lo sport
come oppio dei popoli e oblio delle coscienze e della memoria storica
collettiva.
Blocchiamo tutto, boicottiamo tutto deve continuare ad essere l’impegno di tutti
fino a quando le forze armate israeliane non abbandonino Gaza, Gerusalemme Est e
West Bank, sia riconosciuto il pieno diritto all’autodeterminazione del popolo
palestinese e siano processati e condannati per crimini contro l’umanità tutti
coloro che direttamente e indirettamente hanno contribuito al primo genocidio
del Terzo millennio.
Articolo pubblicato in Alternativa il 13 ottobre 2025,
https://infoalternative.it/editoriali/dopo-il-cessate-il-fuoco-continuare-la-mobilitazione-per-il-riconoscimento-dei-diritti-del-popolo-palestinese/?fbclid=IwY2xjawNcDUVleHRuA2FlbQIxMABicmlkETBmWjlBYUUxUWlFZ2FvSnNuAR6iQM2ZX0JA37Ci6XapBN2_e45bvwqDOsQyCtpeQZdoknZyNLeL9LiiXeking_aem_CNzLtt_wTaXLUxeCNF_p2Q
Sul premier israeliano Benjamin Netanyahu pende dal 21 novembre 2024 un mandato
di cattura della Corte penale internazionale per crimini contro l’umanità e
crimine di guerra, commessi dopo l’8 ottobre 2023 contro la popolazione
palestinese di Gaza. L’Italia poteva arrestarlo lo scorso 30 settembre ma ha
autorizzato, invece – unico paese europeo - che l’aereo in cui viaggiava di
ritorno in Israele dagli Stati Uniti d’America sorvolasse lo spazio aereo
nazionale.
Il sito specializzato ItaMilRadar ha tracciato nel pomeriggio di quella giornata
la rotta nel Mediterraneo dell’aereo del Boeing 767-338 dell’Aeronautica
Militare israeliana (numero di registro 4X-ISR) in cui viaggiava Netanyahu. Dopo
il decollo da New York, il Boeing ha superato lo Stretto di Gibilterra per poi
effettuare una lunga diagonale sopra il bacino marittimo per non dover passare
sui cieli di Spagna e Francia.
Il velivolo si è diretto verso nord-est volando prima a largo delle Baleari e
poi in direzione dello spazio aereo italiano. Il Boeing con il primo ministro
israeliano ha così sorvolato la Sardegna centrale e successivamente il sud della
Calabria per dirigersi infine verso l’Egeo e da lì all’aeroporto di Tel Aviv.
“L’aereo ha mantenuto la rotta a sud dell’isola di Creta, sorvolando le acque
internazionali, anche se all’interno della zona sotto il controllo radar di
Atene, ma comunque fuori dello spazio territoriale della Grecia”, riportano gli
analisti di ItaMilRadar.
“Grazie alla pianificazione del volo lontano dai paesi che hanno assunto una
posizione rigida sul dossier internazionale per il caso Netanyahu, è stata
minimizzata l’esposizione del velivolo alle giurisdizioni ritenute più
sensibili”, aggiunge ItaMilRadar. “Le autorità israeliane hanno preferito una
rotta molto più lunga: Atlantico, Gibilterra, Mediterraneo meridionale, Egeo,
Israele”.
Non prima però di attraversare impunemente l’Italia, paese sempre più coinvolto
e compromesso con il genocidio israeliano dei palestinesi.
Nella notte tra il 7 e l’8 ottobre, le forze armate di occupazione israeliane
hanno attaccato e sequestrato la Flotilla— 8 barche a vela e la nave Conscience
— in piene acque internazionali, a 120 miglia nautiche (220 km) da Gaza,
commettendo un ennesimo atto di pirateria, in violazione palese del diritto
marittimo internazionale e delle Convenzioni delle Nazioni Unite sul diritto del
mare (UNCLOS).
A bordo si trovavano equipaggi interamente disarmati, composti da medici,
infermieri, giornalisti, parlamentari e attivisti internazionali. Tutte e tutti
sono stati rapiti e sequestrati con la forza, mentre le 18 tonnellate di aiuti
umanitari destinate a Gaza — medicinali, apparecchiature respiratorie, forniture
alimentari e nutrizionali — sono state confiscate illegalmente.
La Conscience, l’ammiraglia, è stata assaltata dopo essere stata raggiunta da un
elicottero che ha portato a bordo una squadra di incursori.
In gergo tecnico-militare si è trattato di una "discesa con barbettone (Fast
Rape)". L'immagine ritrae i militari della Brigata San Marco, reparto d’élite
della Marina Militare italiana, di stanza bella base navale di Brindisi.
Coincidenza vuole che a questa operazione la San Marco si è addestrata in
o0ccasione della visita a Brindisi del Comandante degli istituti di formazione e
delle Depth Forces israeliane, generale di Divisione Itai Veruv, nel dicembre
2022.
"Durante la visita alla Brigata San Marco il Generale ha potuto assistere ad
alcune peculiari attività addestrative della Brigata, tra cui la discesa in
barbettone (Fast Rope) e in corda doppia (Rappellig) su parete e su container,
dimostrazioni di combattimento militare corpo a corpo (CMCC) ed attività
specialistiche di contrasto a dispositivi esplosivi improvvisati (Counter-IED)",
riportava l'Ufficio Stampa della Marina Militare italiana. "Ha potuto, inoltre,
osservare alcuni mezzi terrestri e anfibi impiegati dai Fucilieri, tra cui
l’Amphibious Assault Vehicle (AAV-7) – veicolo cingolato anfibio in grado di
navigare e muoversi su terra".
"Nel primo pomeriggio prosegue la nota - la visita è proseguita presso il Gruppo
Mezzi da Sbarco, dove la delegazione è stata imbarcata su alcun Battelli
d’Assalto Anfibi (BAA) - mezzi di superficie ad alta velocità - per poi testarne
le capacità durante una breve navigazione nello specchio di mare portuale. Nel
contempo si è potuto assistere ad una attività dimostrativa di abbordaggio
svolta sulla nave d’assalto anfibia “San Marco” da un team del 2° Reggimento
della Brigata."
L'Italia ha le mani sudicie di sangue del popolo palestinese. Ricordiamolo in
ogni manifestazione di piazza. E ricordiamo che il genocidio a Gaza si commette
anche con armi italiane e grazie alle attività addestrative che le forze armate
italiane hanno assicurato in questi anni ai reparti di morte israeliani.
La militarizzazione dello spazio passa ancora una volta dagli accordi di
collaborazione tra le aziende italiane e quelle israeliane. Martedì 26 agosto
dalla Space Force Base di Vanderberg è stato lanciato a bordo di un missile
SpaceX Falcon 9 il satellite NAOS (National Advanced Optical System) destinato
all’osservazione terrestre della direzione Difesa del governo del Lussemburgo.
Il satellite NAOS è stato progettato e realizzato da OHB Italia S.p.A., società
che opera nel settore aerospaziale con sede centrale a Milano e filiali a Roma e
Benevento. Le telecamere multispettrali “Jupiter” ad alta risoluzione in
dotazione al NAOS sono state prodotte però da Elbit Systems Ltd., gruppo leader
del complesso militare-industriale di Israele (quartier generale ad Haifa).
“Le Jupiter sono tra le telecamere spaziali più avanzate al mondo e
costituiscono un avanzamento significativo nelle capacità di osservazione della
Terra”, ha riportato l’ufficio stampa di Elbit Systems dopo il lancio del
satellite italiano. “Oggi prende il via la missione a supporto di un ampio
raggio di applicazioni, incluse le operazioni militari, il monitoraggio
ambientale e la ricerca scientifica, con un’efficiente copertura di grandi aree
geografiche”.
Oltre alle telecamere multispettrali, il gruppo israeliano ha anche sviluppato
gli algoritmi per il segmento terrestre del NAOS, oltre a potenziarne le
capacità di analisi delle immagini raccolte dal satellite. “Il successo del
lancio di Jupiter riflette la stretta collaborazione tra OHB Italia ed Elbit
Systems, combinando l’ingegneria satellitare all’avanguardia con la tecnologia
di imaging di alto livello per fornire uno dei velivoli spaziali con le migliori
performance nel campo dei sistemi ottici attualmente operativi”, aggiungono i
manager della società israeliana che ha già conseguito nel corso del primo
semestre 2025 commesse per svariati miliardi di dollari nel mercato
internazionale. (1)
Fondata nel 1981 (al tempo CGS - Carlo Gavazzi Space), OHB Italia S.p.A. è una
società parte del Gruppo spaziale OHB SE, con sede a Brema, Germania, uno delle
tre maggiori realtà spaziali in Europa con 3.000 dipendenti e un fatturato
totale di 1.183 milioni di euro nel 2023. Con prevalente attività nella
progettazione e realizzazione di tecnologie spaziali, sorveglianza ed
osservazione terrestre, sistemi satellitari e telematici, la controllata
italiana conta su uno staff di 265 dipendenti e lo scorso anno ha avuto un giro
di affari di 408 milioni di euro con ricavi per 142 milioni.
“Con oltre 60 satelliti, payload e strumenti lanciati o attualmente in orbita,
OHB Italia S.p.A. è attualmente prime contractor per importanti missioni
dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) e dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA), che
sono i suoi principali clienti insieme a Istituti di Ricerca, Università e tutti
i principali attori industriali del mercato spaziale, con particolare attenzione
al settore dell’export”, riporta il sito internet aziendale. Amministratore
delegato è l’ingegnere aeronautico Roberto Aceti, già manager di Aermacchi
(società realizzatrice di caccia militari di Leonardo S.p.A., ex Finmeccanica);
direttori responsabili di OHB Italia, Giovanni Prandini e Paolo Lorenzi.
La partnership dell’azienda spaziale italiana con il complesso
militare-industriale dello Stato di Israele non è legata solo allo sviluppo del
satellite NAOS. OHB Italia è stata responsabile del contratto di lancio del
satellite OPTSAT-3000 e di tutte le attività di ingegneria associate, l’1 agosto
2017, dallo spazioporto di Kourou, in Guyana francese. Il programma OPTSAT-3000
per l’osservazione della Terra è stato promosso dal ministero della Difesa
italiano e ha compreso la realizzazione di un satellite ad alta risoluzione
ottica e di un segmento terrestre per il controllo orbitale, la pianificazione
delle missioni e il processamento delle immagini.
La principale azienda contraente del sistema OPTSAT-3000 è stata Telespazio
(controllata da Leonardo per il 67% e dalla francese Thales per il 33%), mentre
il satellite e i sistemi di controllo terrestre sono stati realizzati dalle
Israel Aerospace Industries (IAI), il maggiore gruppo aerospaziale militare e
missilistico israeliano, nell’ambito di un accordo di cooperazione
internazionale tra Italia e Israele. (2)
Oggi il sistema satellitare è posto sotto il controllo di tre centri operativi
dell’Aeronautica Militare: il Centro Interforze di Telerilevamento Satellitare
(CITS) di Pratica di Mare (Roma), il Centro Interforze di Gestione e Controllo
SICRAL (CIGC SICRAL) di Vigna di Valle (Roma) e il Centro Spaziale del Fucino
(L’Aquila) di Telespazio.
Nell’ottobre 2021 la start-up israeliana Helios con sede a Tzur Yigal, creata
nel 2018 con fondi dell’Agenzia Spaziale e del ministero dell’Energia di
Israele, ha reso noto di aver firmato un accordo con la società madre OHB SE per
promuovere la ricerca sulla produzione di ossigeno “in condizioni di non
gravità” a bordo della stazione lunare europea LSAS (Lunar Surface Access
Service). La nuova stazione è stata realizzata a partire dal design della
navicella lunare “Beresheet”, co-sviluppata dall’organizzazione privata
israeliana SpaceIL di Tel Aviv e dalle Israel Aerospace Industries (IAI). Nel
2019 “Beresheet” era stata inviata sulla luna, ma si era schiantata al suolo a
seguito di un incidente alle apparecchiature di bordo.
Stando all’accordo, il gruppo tedesco-italiano OHB gestirà e coordinerà il
progetto LSAS, selezionando le apparecchiature e la loro integrazione a bordo
della navicella lunare, mentre l’israeliana Helios fornirà le tecnologie di volo
e quelle relative alla produzione dell’ossigeno necessario all’alimentazione
energetica dal suolo lunare. IAI ed OHB si sono pure impegnate a sviluppare il
sistema LSAS a fini commerciali internazionali. (3)
Note
1)
https://www.elbitsystems.com/news/elbit-systems-jupiter-space-camera-successfully-launched-aboard-naos-satellite-collaboration
2) https://www.ohb-italia.it/successful-launch-of-optsat-3000-satellite/
3)
https://www.timesofisrael.com/israels-helios-to-deliver-space-tech-to-moon-aboard-european-lunar-lander/
Articolo pubblicato in Pagine Esteri il 29 agosto 2025,
https://pagineesteri.it/2025/08/29/mondo/partnership-nello-spazio-tra-litalia-e-lindustria-militare-israeliana/
Mercoledì 20 agosto un grande drone MQ-4C “Triton” della Marina degli Stati
Uniti d'America, dopo il decollo dalla base siciliana di Sigonella ha effettuato
una lunga missione d'intelligence, sorveglianza e riconoscimento nello spazio
aereo del Mediterraneo orientale.
Il "Triton" (reg. 169804, c/s BLACKCAT6) ha sorvolato per diverse ore le coste
di Israele e Libano per poi spostarsi verso l'isola di Cipro e l'Egitto.
L'MQ-4C "Triton" è la variante navale del drone "Global Hawk" (anch'esso
operativo da Sigonella con l'US Air Force), specificatamente progettato per
missioni di sorveglianza marittima di lunga durata. "Con oltre 24 ore di
autonomia e una quota operativa di volo di oltre 54.000 piedi, il Triton può
monitorare vaste aree del Mediterraneo e del Medio Oriente", riportano gli
analisti di ItaMilradar, sito specializzato che documenta le attività aeree
militari in Europa meridionale. "Il drone fornisce dati di intelligence critici
a supporto delle operazioni navali USA e dei paesi alleati".
La missione del drone di Sigonella ha coinciso con l'avvio dell'operazione
militare israeliana nella Striscia di Gaza finalizzata alla "soluzione finale"
contro i palestinesi, con l'occupazione e deportazione da Gaza City di oltre un
milione di residenti.
Gli USA "sorvegliano", gli israeliani massacrano...
Articolo pubblicato in Stampalibera.it il 23 agosto 2025,
https://www.stampalibera.it/2025/08/23/gaza-italia-e-sigonella-complici-del-genocidio-israeliano/
La notte di sabato 26 luglio, in acque internazionali e a meno di 40 miglia
nautiche dalla Striscia di Gaza, ad assaltare l’imbarcazione Handala e
sequestrare i 21 attivisti internazionali della Freedom Flotilla sono stati gli
incursori di “Shayetet 13” (13^ Flottiglia), il corpo d’élite della Marina
militare israeliana impiegato di norma in missioni di “antiterrorismo”.
“La Shayetet 13 è un’unità che opera con una varietà di attività, tra cui
infliggere danni strategici alle infrastrutture marittime nemiche, la raccolta
di informazioni di alta qualità sulle attività nemiche, antiterrorismo e
liberazione di ostaggi in ambiente navale”, riporta la rivista specializzata
Ares Difesa.
Il reparto ha quartier generale in un antico castello templare nella piccola
città costiera di Atlit, a pochi km a sud di Haifa. E proprio dal porto di Haifa
sono salpati nel pomeriggio del 26 luglio i due pattugliatori della Marina
militare israeliana con a bordo gli incursori che hanno poi assaltato l’Handala.
Il personale militare in forza alla 13^ Flottiglia presta servizio per un minimo
di 4 anni e mezzo, cioè 18 mesi in più di quanto previsto per la ferma
obbligatoria dei cittadini israeliani che hanno compiuto la maggiore età. Sempre
secondo Ares Difesa, le armi in dotazioni al reparto comprendono le pistole Sig
Sauer P226/P228 e Glock 17/19, i mitragliatori Uzi 9mm Sub-machine gun e Negev,
i fucili d’assalto M4 Commando e CTAR-21, le lanciagranate M203 e i fucili di
precisione SR-25 e M24. Gli incursori che si sono impossessati dell’unità della
Freedom Flotilla erano tutti armati di fucili mitragliatori, pistole e pugnali
da combattimento.
Fin dalla sua costituzione nel 1948, Shayetet 13 ha partecipato a tutti i
conflitti della storia dello Stato sionista e alle operazioni più sanguinose
contro la popolazione palestinese: dalla Nakba alla Crisi di Suez del 1956 e a
quella del Libano due anni dopo; dalla guerra dei Sei Giorni del 1967 alla
Guerra dello Yom Kippur del 1973 e alle incursioni in Libano nei primi anni ’80
contro le milizie Hezbollah. Nel 1980 gli incursori della forza d’élite si
infiltrarono nella città libanese di Tripoli per dirigere un attacco
missilistico navale contro i centri di comando del DFLP (Democratic Front for
the Liberation of Palestine) e del PFLPGC (Popular Front for the Liberation of
Palestine General Command).
A partire dai primi anni 2000 Shayetet 13 è stato impiegato in tutte le
incursioni anfibie e terrestri israeliane nella Striscia di Gaza e in West Bank.
In particolare gli incursori sono stati tra i protagonisti della sanguinosa
“battaglia di Jenin” (1-11 aprile 2022), quando fu sferrato un attacco contro il
sovraffollato campo di rifugiati della città palestinese che causò la morte di
più di una cinquantina di persone e la distruzione di 340 edifici.
Innumerevoli i blitz a Gaza degli incursori di Shayetet 13 durante l’odierna
campagna genocida nella Striscia di Gaza. La prima missione risale alla notte
dell’8 ottobre 2023 quando venne catturato Muhammad Abu Ghali, tra gli uomini di
vertice di Hamas. L’1 novembre 2024 il reparto d’élite, a bordo di motoscafi,
fece incursione nella costa di Batroun, a sud di Tripoli, per catturare il
dirigente di Hezbollah Imad Amhaz. Agli incursori israeliani è attribuito pure
l’abbordaggio, il 9 giugno scorso, dell’imbarcazione “Madleen” della Freedom
Flotilla a un centinaio di miglia da Gaza e il sequestro dei 12 attivisti a
bordo.
Shayetet 13 vanta una vecchia e consolidata partnership con le forze armate
italiane. Come ricordano gli storici militari, alla sua costituzione, formazione
e addestramento alle “tattiche di combattimento e sabotaggio” hanno concorso tra
il 1944 e il 1948 due ufficiali della Decima Flottiglia Mas della Marina
Militare. L’allora servizio segreto del SIS si incaricò della consegna allo
Stato sionista dei primi mezzi subacquei.
In tempi più recenti si sono svolte alcune esercitazioni congiunte tra i
militari di Shayetet 13 e quelli in forza ai reparti d’assalto della Marina
italiana. A metà dicembre 2022, il Comando della Brigata Marina “San Marco” di
Brindisi ha ospitato i vertici delle forze navali d’assalto di Israele, tra cui
il generale Itai Veruv. “Durante la visita il Generale ha potuto assistere ad
alcune peculiari attività addestrative della Brigata, tra cui la discesa in
barbettone (Fast Rope) e in corda doppia (Rappellig) su parete e su container,
dimostrazioni di combattimento militare corpo a corpo ed attività specialistiche
di contrasto a dispositivi esplosivi improvvisati”, riporta lo Stato Maggiore
della Marina. “Ha potuto, inoltre, osservare alcuni mezzi terrestri e anfibi
impiegati dai Fucilieri, tra cui l’Amphibious Assault Vehicle (AAV-7) – veicolo
cingolato anfibio in grado di navigare e muoversi su terra”.
In occasione della sua missione ufficiale a Brindisi, il comandante in capo dei
Depth Corps israeliani è stato pure ospite del Gruppo Mezzi da Sbarco del “San
Marco”, a bordo di un battello d’assalto anfibio ad alta velocità, per “testarne
le capacità durante una breve navigazione nello specchio di mare portuale”. “Nel
contempo si è potuto assistere ad una attività dimostrativa di abbordaggio
svolta sulla nave d’assalto anfibia “San Marco” da un team del 2° Reggimento
della Brigata”, aggiunge lo Stato Maggiore. “Al termine della visita, il
Generale Veruv, apprezzate le specificità e la versatilità della Forza Anfibia
della Marina Militare, ha precisato l’evidente e reciproco interesse conoscitivo
tra i Paesi e la volontà futura di poter programmare attività congiunte tra le
Marine dei due paesi”.
Articolo pubblicato in Pagine Esteri il 5 agosto 2025,
https://pagineesteri.it/2025/08/05/in-evidenza/assalto-alla-freedom-flottilla-chi-sono-gli-incursori-israeliani/
Il processo di militarizzazione delle scuole italiane è oggi un fenomeno
onnicomprensivo che investe istituti di ogni ordine e grado, riducendo la
libertà di docenti e studenti e trasformando le radici di un sistema che
dovrebbe invece promuovere il futuro. Antonio Mazzeo, insegnante e tra i
fondatori dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle
università, spiega i passi fatti, il ruolo dei media e l’importanza della
denuncia pubblica
Secondo Antonio Mazzeo, insegnante, giornalista e tra i fondatori
dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università,
“lo spettro delle attività conferma che il processo di militarizzazione delle
scuole italiane è oggi un fenomeno onnicomprensivo”.
Interessa infatti non solo gli istituti di ogni ordine e grado, dalle scuole per
l’infanzia alle università, ma anche di tutta l’Italia e non si limita dunque a
quelli prossimi a infrastrutture militari oppure a industrie belliche.
Se in alcuni casi sono le forze armate che entrano nelle scuole, in altri sono
le caserme a ospitare delegazioni di studenti organizzando attività di gioco,
motorie o sportive che spesso simulano l’addestramento militare. “Poi ci sono
vere e proprie attività di cooptazione”, afferma Mazzeo, facendo riferimento
all’alternanza scuola lavoro, oggi chiamata Percorsi per le competenze
trasversali e per l’orientamento (Pcto), sia all’interno delle industrie
belliche sia delle basi militari. “Anche in quelle della Nato, abbiamo
denunciato ad esempio quanto accade nella base di Sigonella (SR) o di Solbiate
Olona (VA), in cui gli studenti effettuano un grande numero di attività dalla
manutenzione di mezzi militari come elicotteri o apparati navali, operando a
fianco dei militari, alla fornitura di servizi, come nelle mense degli
ufficiali”. Una serie di iniziative viene inoltre promossa direttamente
attraverso convenzioni o accordi tra il ministero dell’Istruzione e quello della
Difesa, come ad esempio l’organizzazione di concorsi, premi, presentazioni di
calendari dell’esercito, mostre che riguardano vicende della Seconda guerra
mondiale in cui vengono invitati gli studenti o questi partecipano
nell’allestimento.
“Purtroppo è diventata una prassi quella dell’invito in caserma delle scuole per
attività come l’alza bandiera -prosegue-. In più aggiungerei che si moltiplicano
le volte in cui i rappresentanti delle forze armate sono presenti all’interno
delle classi sostituendosi di fatto alla figura dei docenti nello svolgimento di
attività prettamente didattiche ad esempio in relazione alle cosiddette materie
Stem (le discipline scientifico-tecnologiche), dove tra l’altro sta assumendo un
ruolo centrale la Fondazione Leonardo che propone pacchetti educativi sia per
gli studenti sia per la formazione dei docenti”.
Mazzeo, quali sono gli obiettivi di queste attività?
AM Gli obiettivi che vengono perseguiti sono molteplici. C’è bisogno di
legittimazione, di ottenere consenso e di utilizzare queste attività per
trasmettere valori come l’autorità, il rispetto e l’obbedienza su cui poi si
strutturano le forze armate. Tra l’altro questo traspare anche da molti
documenti e convenzioni firmati dal ministero dell’Istruzione e da quello della
Difesa dove si parla espressamente dell’affermazione della cultura della difesa
e della sicurezza. Si cerca dunque di far aderire i cittadini a un sistema in
cui viene privilegiato il modello delle forze armate in funzione dei processi di
riarmo e di militarizzazione che sono in atto e che purtroppo promuovono una
concezione bellica di guerra costante, globale e permanente. Si vuole ottenere
compartecipazione e condivisione riguardo alle strategie militari, le missioni,
le operazioni ma anche assicurarsi approvazione tra le nuove generazioni,
soprattutto in vista della trasformazione delle forze armate che hanno sempre
più bisogno di coscritti. L’invasione russa dell’Ucraina ha rappresentato
sicuramente un cambiamento nelle valutazioni, perciò oggi alcuni Paesi
ripropongono il problema della leva obbligatoria o di formule ibride in cui ai
professionisti si affiancano i riservisti per ampliare il numero dei militari.
Credo che il modello bellico, quello che si è affermato attraverso la
militarizzazione dei territori, dell’economia, del sapere, non potesse non
investire il luogo per eccellenza della formazione e della trasmissione di
contenuti e di valori che sono elementi chiave nella strutturazione bellico
militarista di una società.
Com’è la situazione oggi in termini di consapevolezza e che ruolo hanno i media
nazionali e locali?
AM Se penso a due anni fa la situazione è oggettivamente cambiata, si è diffusa
una maggiore consapevolezza. Lo stato di guerra attuale, e le preoccupazioni che
desta, sono servite anche a una maggiore attenzione ai processi in atto e a come
la guerra poi viene narrata nella società, nella scuola, nell’informazione.
Questo ha come conseguenza la moltiplicazione di iniziative, di prese di
posizione anche da parte delle famiglie e di una minoranza del corpo insegnante.
Il fatto che all’Osservatorio ormai arrivino quotidianamente decine di
segnalazioni non significa che sono aumentati i fatti, ma che c’è più
attenzione. Ci sono diversi consigli di istituto o collegi di docenti che hanno
approvato mozioni di opposizione, di rifiuto alle attività militari nelle scuole
o di solidarietà con il popolo palestinese. Ho notato anche una maggiore
attenzione sia a livello di testate nazionali sia locali che, proprio perché
vivono grazie alle relazioni con i lettori di un posto, pubblicano con sempre
maggiore diffusione le lettere di protesta di insegnanti o studenti. Se guardo
indietro, a quando abbiamo cominciato con alcuni docenti a monitorare quello che
stava accadendo, esprimendo preoccupazione per un processo che è iniziato una
decina di anni fa e che soprattutto dopo il 2020 è diventato dilagante in tutto
il Paese, credo che si siano fatti enormi salti in avanti, non soltanto nella
consapevolezza ma anche nell’analisi. Vorrei ricordare infatti che questo non è
un fenomeno estemporaneo e non è neppure legato a una forza politica. È
purtroppo strutturale e riguarda tutta la società italiana che ha fatto una
scelta verso la logica della guerra.
Come si concretizza nella scuola questo processo che lei definisce strutturale?
AM L’obbedienza non è soltanto quella che viene veicolata dal fatto che le forze
armate entrano a scuola proponendo attività didattiche o pedagogiche ma diventa
anche un elemento di riorganizzazione strutturale del sistema scolastico. Sempre
di più si tenta di minare il principio della libertà di insegnamento che è
sacrosanto e sancito nella Costituzione della Repubblica italiana, attraverso
l’uso di forme di controllo. La militarizzazione dell’istituzione scolastica
prevede tutta una serie di interventi in cui il corpo insegnante e gli studenti
subiscono pressioni e si riducono enormemente gli spazi di opposizione e di
agibilità per valorizzare pensieri altri. La scuola perde piano piano la sua
complessità, la sua funzione di luogo di sviluppo della criticità e vengono
imposti modelli dall’alto. Si è inoltre affermato un sistema autoritario. Non a
caso, abbiamo assistito in questi ultimi due anni a punizioni esemplari di
studenti che hanno occupato le scuole in solidarietà con il popolo palestinese.
Può essere anche letto in questo senso il voto in condotta che diventa
preponderante anche in sede di maturità. Sorvegliare e punire sono due verbi che
oggi, anche attraverso forme di controllo del registro elettronico, hanno di
fatto militarizzato anche l’organizzazione stessa del sistema scolastico. La
scuola in questo senso sta abbandonando la sua funzione che dovrebbe essere
proprio il luogo di analisi di questi elementi e non di accettazione, mentre il
registro elettronico è stato accettato ormai da tutti gli istituti senza, tra
l’altro, essere mai stato regolamentato. Vi immettiamo milioni di dati e
monitoriamo tutta la vita scolastica dello studente dai due fino ai 18 anni, ma
non sappiamo assolutamente chi sia il titolare di questi e che cosa ne possa
fare. Ma soprattutto è la modalità con cui viene esercitato il controllo sugli
studenti che li porta a perdere la possibilità di essere autonomi: i genitori
sanno tutto quello che succede in tempo reale. Questo delegittima la scuola come
luogo di risoluzione non violenta dei conflitti.
In questo scenario invece che cosa possono fare gli insegnanti e gli educatori
per introdurre strumenti di pace?
AM Innanzitutto partirei da una questione fondamentale, la scuola ha
storicamente una funzione: promuovere il futuro. Dunque nessun progetto
funzionale alla cultura di guerra dovrebbe entrarci, perché la guerra è morte,
non crea futuro, lo distrugge, è dunque in antitesi con quello che è il luogo
della proiezione e della promozione della vita. Gli insegnanti dovrebbero
ricordarsi del loro ruolo di sviluppo della società e che non possono quindi
diventare strumenti che mettono in discussione la vita stessa, anche perché in
questo momento la guerra sarebbe una guerra totale, globale, nucleare e
porterebbe alla fine dell’umanità. Poi non dimentichiamo che ci sono già
elementi giuridici, sia del diritto internazionale sia interno e costituzionale,
che sanciscono il ruolo della scuola e stigmatizzano qualsiasi tipo di relazione
tra l’educazione e la guerra. Ad esempio, il protocollo aggiuntivo
della Convenzione sui diritti dei minori delegittima qualsiasi rapporto tra i
bambini e le forze armate, perché quell’attività che ci sembra così neutra, come
far giocare i bambini di tre anni con i militari con il fucile è in realtà una
forma di violenza strutturale e psicologica perché parliamo di individui che non
hanno nessun “anticorpo” e che invece vengono avvicinati alla guerra, presentata
loro come normalizzata ed edulcorata. Poi ci sono anche le norme del diritto
scolastico che, come ci capita di verificare, vengono spesso violate. Qualsiasi
attività educativa effettuata a scuola o all’esterno deve essere infatti
discussa e deliberata dagli organi collegiali. Purtroppo succede tutto il
contrario. Ormai il 90% delle attività in presenza di forze armate o di invio in
industrie belliche non viene mai discussa e deliberata. Il ministro
dell’Istruzione manda la circolare al provveditore e questo lo manda ai presidi
e loro decidono autonomamente. I docenti devono intervenire e ribadire che se le
attività non sono state adottate collegialmente non possono essere effettuate. È
inoltre ancora prevista dalla legge l’opzione di minoranza. E dunque anche se in
sede di collegio viene presentata una proposta di questo genere e passa a
maggioranza, l’insegnante può far mettere a verbale che si è opposto. Credo che
vadano promossi questi strumenti che sono del tutto legittimi, legali e
diventano “granelli di sabbia” in questo ingranaggio di guerra. Anche la
denuncia pubblica è un elemento fondamentale. Permette di raccogliere consenso,
di estendere l’attenzione all’esterno della scuola, ma ha anche effetti diretti
all’interno, crea dibattito, spaccatura, conflitto e generalmente poi alla fine
l’abbandono formale di questo tipo di attività per evitare il ritorno negativo
di immagine.
Intervista a cura di Martina Ferlisi, pubblicata in Altraeconomia il 10 luglio
2025,
https://altreconomia.it/nessun-progetto-funzionale-alla-cultura-di-guerra-dovrebbe-entrare-a-scuola/
Gli "aiuti umanitari" paracadutati sulla popolazione di Gaza dall'Aeronautica
Militare italiana? Infinitesimali ma costosissimi.
Il Ministero degli Esteri italiano ha fatto sapere che i lanci di "aiuti
umanitari aviotrasportati" sulla Striscia di Gaza dai velivoli dell'Aeronautica
Militare in collaborazione con l'Esercito proseguiranno fino alla fine di questa
settimana. "Essi permetteranno di paracadutare oltre 100 tonnellate di aiuti",
spiega la Farnesina. Davvero una cifra irrisoria, nonostante il gran sperpero di
denaro pubblico per il trasferimento da Pisa in una base aerea della Giordania
di aerei e reparti militari (46^ brigata Aviotrasportata).
In verità, nonostante il grande sforzo mediatico e narrativo, l'apporto delle
forze armate internazionali (e degli aviolanci) per sfamare la popolazione
palestinese di Gaza a gravissimo rischio di morte per fame e sete è del tutto
ridicolo.
Secondo fonti dell'esercito israeliano (Tel Aviv purtroppo sta coordinando nei
fatti gli interventi), nella giornata di ieri 13 agosto sarebbe stato
autorizzato l'ingresso nella Striscia di Gaza "dai valichi di Kerem Shalom e
Zikim di 380 camion carichi di aiuti umanitari", mentre "altri 119 pallet di
aiuti, pari a circa 4-6 camion, sono stati lanciati ieri a Gaza da Giordania,
Emirati Arabi Uniti, Germania, Belgio, Italia e Francia".
Come dire che gli aviolanci hanno rappresentato meno dell'1,5% degli aiuti
giunti a Gaza, fermo restando che un'alta percentuale dei "doni" paracadutati
non finisce per varie ragioni in mano alla popolazione stremata.
Secondo quanto affermato dall'Onu per sfamare adeguatamente i circa due milioni
di abitanti della Striscia sarebbe necessario distribuire quotidianamente non
meno di 600 camion di aiuti.
“Faremo La NATO ancora più grande. Oggi, tutti noi alleati, abbiamo posto le
fondamenta per rendere la NATO più forte, più equa e più letale”. A conclusione
del vertice dell’Alleanza Atlantica tenutosi all’Aia il 24 e 25 giugno scorso,
il segretario generale Mark Rutte ha enfatizzato i risultati di quello che agli
occhi di tanti analisti (si veda in particolare Gianandrea Gaiani, direttore di
Analisi Difesa) è apparso però come un teatro-pollaio, con un “pavone padrone” -
Donald Trump - e tantissimi “polli adoranti”, i capi di Stato degli altri 31
paesi aderenti.
“Gli Stati Uniti appaiono oggi non più il grande alleato ma il vero padrone, che
oltre a spiare gli europei come un grande fratello pretende anche devozione,
cieca obbedienza e glorificazione delle proprie gesta e di quelle del suo
condottiero”, scrive Gaiani. “Al vertice dell’Aia la NATO è di fatto morta come
alleanza pur sopravvivendo come una sorta di impero feudale in cui il sovrano
cerca e ottiene sudditanza e adulazione dai vassalli sottomessi”.
Al summit, il presidente USA si è presentato come il cavaliere pacificatore
dell’Apocalisse dopo aver imposto la tregua armata tra Israele e Iran a suon di
superbombe. Ai “vassalli” europei ha ricordato che non c’è NATO senza lo
strapotere militar-nucleare di Washington e se gli alleati vogliono ancora le
forze armate a stelle strisce ai confini con Russia e Bielorussia, dovranno
usare l’Unione europea come un bancomat per finanziare la riconversione a fini
militari dell’economia e della produzione industriale, ma soprattutto dovranno
comprare armi e munizioni made in U.S.A. e sostenere la folle corsa al riarmo
spaziale e nucleare e le smisurate ambizioni di potenza di Washington
nell’Indo-Pacifico.
Pur di tenersi stretto l’adulato “pavone”, i partner NATO hanno accettato di
sottoporsi al più grande shock economico-finanziario e sociale della storia post
seconda guerra mondiale: destinare il 5% del PIL alle spese militari entro dieci
anni, puntando in particolare allo sviluppo e produzione di sempre più
sofisticate tecnologie belliche, sistemi aero-spaziali e satellitari, droni,
carri armati e munizioni, convenzionali e nucleari. Un’emorragia di denaro
pubblico a favore del capitale finanziario transnazionale che annichilerà il
welfare, l’istruzione e la sanità pubblica, i servizi sociali nel vecchio
continente. “Nella valutazione della Casa Bianca, l’obiettivo del 5% per la
Difesa ha un valore finanziario e commerciale: gli alleati europei comprino armi
statunitensi per riequilibrare la bilancia commerciale tra le due sponde
dell’Atlantico ed evitare i dazi americani che lo stesso Trump minaccia
quotidianamente a tutti gli alleati”, annota ancora Gianandrea Gaiani.
Per gli alleati più recalcitranti, Mark Rutte ha elaborato un escamotage
contabile che cambia di poco il futuro tragico dei paesi UE-NATO: al 5% del PIL
si arriverà sommando la quota del 3,5% da coprire con i bilanci dello Stato per
armi e truppe, con l’1,5% in “spese per la sicurezza nazionale”: cyber-security,
protezione delle infrastrutture critiche (centrali elettriche e reti di
telecomunicazione), difesa delle frontiere, mezzi e personale delle forze di
polizia militare, presidi medici contro attacchi
nucleari-chimici-batteriologici, riconversione a uso militare delle
infrastrutture della logistica e del sistema dei trasporti (ferrovie,
autostrade, ponti, porti e aeroporti), ricerca e promozione innovativa nel
settore dell’industria bellica, ecc..
“I nostri investimenti garantiranno la disponibilità di forze, capacità,
risorse, infrastrutture, prontezza operativa e resilienza necessarie, in linea
con i nostri tre compiti principali: deterrenza e difesa, prevenzione e gestione
delle crisi e sicurezza cooperativa”, si legge nella risoluzione finale
approvata al summit NATO. “Riaffermiamo il nostro impegno comune a espandere
rapidamente la cooperazione transatlantica nel settore della difesa e a
sfruttare le tecnologie emergenti e lo spirito di innovazione per promuovere la
nostra sicurezza collettiva. Ci impegneremo per eliminare le barriere
commerciali nel settore della difesa tra gli Alleati e faremo leva sulle nostre
partnership per promuovere la cooperazione”.
Dopo aver dato vita al programma DIANA – Defense Innovation Accelerator per
“accelerare l’innovazione dual use delle nuove tecnologie” (milioni di dollari
per centri di ricerca e sviluppo in tutti i paesi; in Italia a Torino, La Spezia
e Capua), la NATO ha varato un Rapid Adopion Action Plan per “rafforzare e
velocizzare” l’adozione e l’integrazione di nuovi prodotti tecnologici in campo
militare. “Gli Alleati si impegnano ad accelerare le procedure di adozione,
compresi i bandi di appalti accelerati, e ad allocare risorse adeguate a tal
fine”, si legge nella risoluzione finale del vertice 2025. “Gli Alleati
abbracceranno maggiori rischi di acquisizione nelle prime fasi di sviluppo e
miglioreranno la comunicazione dei segnali di richiesta in ambito NATO. Il Piano
di azione per la produzione in ambito militare risponde alla necessità di
produrre di più e in maniera più rapida”.
Tra le novità più rilevanti specie in termini di risorse ed “investimenti” va
segnalata l’approvazione all’Aia della prima Strategia commerciale spaziale al
fine di consentire ai paesi NATO di “integrare soluzioni commerciali più
flessibili e in linea con i tempi, sia in tempo di pace che di conflitto”,
offrendo maggiori “opportunità di affari” alle aziende che operano nel settore
aerospaziale e un sempre più stretto coordinamento con l’Alleanza.
La NATO business pro capitale privato, uscita dal vertice di giugno nei Paesi
Bassi, ha dato vita ad alcuni progetti multinazionali e plurimilionari. Belgio,
Canada, Danimarca, Germania, Grecia, Norvegia, Paesi Bassi, Polonia, Regno
Unito, Svezia, Turchia e Italia hanno commissionato l’acquisizione, lo
stoccaggio, il trasporto e la gestione di “scorte di materie prime essenziali
per la difesa” (in particolare litio, titanio e altri minerali delle terre
rare), particolarmente richieste dalle industrie della filiera di morte. Con
l’High Visibility Project – questo il nome del programma per le scorte dei
minerali strategici - la NATO punta a “ridurre la vulnerabilità della domanda,
nonché la dipendenza dai fornitori”.
Nuovo impulso è stato dato anche al programma di potenziamento della flotta
“multi-ruolo” dei velivoli cisterna NATO per il rifornimento in volo dei
cacciabombardieri (Multi Role Tanker Transport Fleet - MMF). La NATO Support and
Procurement Agency (NSPA) ha sottoscritto un contratto con il colosso tedesco
Airbus Defence and Space per la fornitura di altri due velivoli-tanker A330, che
si sommeranno ai dodici già operativi con la flotta alleata. Lanciato nel 2012,
il programma MMF gode dell’aiuto finanziario dell’Unione Europea. Uno dei suoi
principali hub operativi è in via di realizzazione nella stazione aeronavale di
Sigonella, la maggiore base USA e NATO esistente nel Mediterraneo centrale.
Nell’installazione siciliana sono in corso i lavori di ampliamento delle piste
di volo per consentire l’atterraggio dei grandi velivoli cisterna di US Air
Force e dei partner dell’Alleanza, dopo l’acquisizione di un centinaio di ettari
di terreni destinati ad uso agricolo.
Ulteriori gravi effetti in termini di militarizzazione dei territori saranno
generati da un altro grande progetto del Rapid Adoption Action Plan, il NATO
Innovation Ranges. Nello specifico, Estonia, Finlandia, Lettonia, Paesi Bassi,
Svezia ed Italia creeranno un ampio numero di “campi-poligoni” per la
sperimentazione ed integrazione di nuovi sistemi militari avanzati. “Si tratta
di un intervento chiave finalizzato a velocizzare l’adozione innovativa e il
lancio di nuove tecnologie e ad accrescere le capacità produttive grazie
all’inclusione di fornitori non tradizionali nella base industriale della
difesa”, spiegano i vertici NATO. “Questi poligoni consentiranno ai partner
alleati di testare, perfezionare e convalidare prodotti tecnologici in ambienti
operativamente realistici”.
Nonostante l’”apostolo della pace” Trump si sia presentato all’Aia con il
ramoscello d’ulivo relativamente alle future relazioni di Washington con il
presidente russo Putin, il documento finale del vertice NATO riafferma
l’assoluta ostilità alla Russia e il pieno sostegno militare e politico
all’Ucraina. “Uniti di fronte alle profonde minacce e sfide per la sicurezza, in
particolare alla minaccia a lungo termine rappresentata dalla Russia per la
sicurezza euro-atlantica e alla persistente minaccia del terrorismo (…) gli
Alleati ribadiscono il loro impegno sovrano e duraturo a fornire supporto
all’Ucraina, la cui sicurezza contribuisce alla nostra”, concordano i 32 leader
dei Paesi NATO.
Ancora più bellicose le parole del segretario generale Rutte. “La Russia è una
minaccia a breve e lungo termine per l’Alleanza e la nostra intelligence
suggerisce che potrebbe essere pronta ad attaccare la NATO entro i prossimi
tre-sette anni; la minaccia della Russia è evidente e noi dobbiamo essere in
grado di poterci difendere”, ha ammonito all’inaugurazione del vertice. I paesi
europei della NATO si faranno ancora più carico delle spese di guerra
dell’Ucraina. Nel corso del primo semestre 2025 sono stati inviati “aiuti
militari” al governo di Kiev per un valore di 35 miliardi di euro, ma Mark Rutte
ha ribadito l’intenzione di superare quota 50 entro la fine dell’anno.
Il governo italiano si è presentato più compatto che mai alla corte-pollaio di
mister Trump. Prima di spiccare il volo verso i Paesi Bassi, la premier Giorgia
Meloni ha espresso in Parlamento la totale adesione-devozione al programma
lagrime e sangue del 5% PIL annuo in spese di guerra. Ci ha provato
l’Osservatorio Milex sulle spese militari a quantificare l’ammontare delle
risorse finanziarie che saranno sottratte dal bilancio dello Stato per
alimentare il mercato dei sistemi d’arma. Solo l’obiettivo in cash del 3,5%
comporterà una spesa di non meno di 700 miliardi entro i prossimi dieci anni,
circa 220 miliardi in più rispetto a quello che si spenderebbe nello stesso
periodo con la previsione del 2% del PIL. Nel caso dell’intero obiettivo del
5%, nei prossimi 10 anni si rischierebbe di spendere 964 miliardi, cioè 445
miliardi in più rispetto al livello del 2%, con una media annuale di risorse
aggiuntive pari a 44 miliardi. Alle tante guerre “esterne” che vedono
cobelligerare il bel paese si sommerebbe così una vera e propria “guerra
interna” contro i ceti sociali più svantaggiati.
Articolo pubblicato in Umanità Nova, 10 luglio 2025.