Source - Antonio Mazzeo Blog

Cooperazione militare Israele-Italia: i Depth Corps e la Brigata San Marco
Un’operazione, quella delle unità d’assalto della Marina militare israeliana contro il veliero umanitario “Madleen” della Freedom Flotilla, che ricorda tantissimo gli attacchi armati e gli abbordaggi di uno dei reparti d’eccellenza delle forze armate italiane, la Brigata “San Marco” di Brindisi. Componente da sbarco della Squadra Navale, la Brigata Marina “San Marco” ha capacità di dispiegamento rapido in ogni teatro operativo. Dal Libano al Golfo Persico, dalla Somalia all’Iraq e all’Afghanistan, non c’è stata missione internazionale che non abbia visto operare i team del “San Marco” a fianco della unità interforze da combattimento, italiane e dei paesi membri della NATO. Soprattutto nelle azioni di incursione e arrembaggio contro le unità navali “nemiche” o semplicemente “sospette” (prime fra tutte le imbarcazioni “pirata” in navigazione nel Golfo di Guinea o al largo delle coste del Corno d’Africa). Non appare certamente casuale che a metà dicembre 2022, meno di dieci mesi prima da quel fatidico 7 ottobre 2023 in cui ha preso il via la campagna militare genocida di Israele contro i cittadini palestinesi di Gaza, il Comando della Brigata Marina “San Marco” con quartier generale a Brindisi, tributò i massimi onori al generale israeliano delle forze armate israeliane, Itai Veruv. Comandante degli istituti di formazione militare dello Stato di Israele, Itai Veruv era al tempo a capo delle Depth Corps, i corpi d’élite creati nel 2011 per operare in tempi rapidissimi “in profondità in territorio nemico”, specie contro le milizie di Hamas e Hezbollah. I Depth Corps sono stati tra le unità da guerra più attive nei più recenti raid di morte nella Striscia di Gaza e nel sud del Libano. “Il Generale di Divisione Itai Veruv, è stato accolto dal Comandante della Brigata, Contrammiraglio Massimiliano Giuseppe Grazioso, durante la visita alle strutture della Brigata Marina San Marco e alla base navale di Brindisi”, riportò in nota lo Stato Maggiore della Marina Militare italiana, con tanto di foto gallery che - alla luce di quanto accaduto la scorsa notte - è davvero inquietante. “Durante la visita il Generale ha potuto assistere ad alcune peculiari attività addestrative della Brigata, tra cui la discesa in barbettone (Fast Rope) e in corda doppia (Rappellig) su parete e su container, dimostrazioni di combattimento militare corpo a corpo ed attività specialistiche di contrasto a dispositivi esplosivi improvvisati (Counter-IED). Ha potuto, inoltre, osservare alcuni mezzi terrestri e anfibi impiegati dai Fucilieri, tra cui l’Amphibious Assault Vehicle (AAV-7) – veicolo cingolato anfibio in grado di navigare e muoversi su terra”. In occasione della sua missione ufficiale a Brindisi, il comandante in capo dei Depth Corps israeliani è stato pure ospite del Gruppo Mezzi da Sbarco del “San Marco”, a bordo di un battello d’assalto anfibio ad alta velocità, per “testarne le capacità durante una breve navigazione nello specchio di mare portuale”. “Nel contempo si è potuto assistere ad una attività dimostrativa di abbordaggio svolta sulla nave d’assalto anfibia “San Marco” da un team del 2° Reggimento della Brigata”, aggiungeva lo Stato Maggiore della Marina. “Al termine della visita, presso la Sala Federico II del Castello Federiciano di Brindisi, il Generale Veruv, apprezzate le specificità e la versatilità della Forza Anfibia della Marina Militare,  ha ringraziato i Comandanti della Brigata Marina San Marco e della Terza divisione navale sottolineando l’importanza di questo genere di incontri, precisando l’evidente e reciproco interesse conoscitivo tra i Paesi e la volontà futura di poter programmare attività congiunte tra le Marine dei due paesi”. Artic0olo pubblicato in Pagine Esteri l’11 giugno 2025, https://pagineesteri.it/2025/06/11/medioriente/cooperazione-militare-israele-italia-i-depth-corps-e-la-brigata-san-marco/
L'Italia e la guerra USA-Israele contro l'Iran
Il sottomarino a propulsione nucleare "USS Georgia" da cui sono stati lanciati i missili da crociera Tomahawk Block V che hanno colpito i siti nucleari iraniani di Natanz e Esfahan, si era addestrato il 17 luglio 2024 nelle acque del Mediterraneo centrale con i Marines USA e con gli incursori del COMSUBIN della Marina Militare italiana di stanza a La Spezia. L'esercitazione dei corpi speciali è stata svolta sotto la guida del Comando delle Forze navali USA in Europa in Africa NAVEUR-NAVAF che ha sede nella città di Napoli. Si tratta del Comando USA che ha coordinato tutte le operazioni del sottomarino nucleare "USS Georgia" da quando è stato schierato dal Pentagono nel Mediterraneo e nel Golfo Persico per operare a fianco di Israele e contro gli Houthi in Yemen. E, adesso, contro l'Iran... In foto un momento dell'esercitazione dello scorso anno con gli uomini del CONSUBIN.   Articolo pubblicato in Pagine Esteri il 23 giugno 2025, https://pagineesteri.it/2025/06/23/medioriente/litalia-e-la-guerra-usa-israele-contro-liran/
L’ombra di Sigonella sui bombardamenti israeliani all’Iran
 Passa immancabilmente dalla base siciliana di Sigonella parte del sostegno delle forze armate USA alla guerra di Israele contro l’Iran. Secondo il sito specializzato ItaMilRadar che monitorizza il traffico aereo militare nel Mediterraneo, nei giorni 13, 15 e 16 giugno sono state documentate lunghe missioni nello spazio aereo prossimo ad Israele, Libano e alla Striscia di Gaza di un velivolo-spia Boeing P-8 “Poseidon” di US Navy, decollato dalla stazione aeronavale di Sigonella. “L’aereo ha svolto missioni di sorveglianza particolarmente inusuali a largo della costa israeliana”, scrivono gli analisti di ItaMilRadar. “Il Poseidon ha voltato a basse quote — a volte scendendo sotto gli 800 piedi (243 metri d’altitudine, nda) — suggerendo la possibile ricerca di qualcosa che navigasse sotto la superficie del mare”. “Tuttavia, è preferibile mantenere una certa cautela su questi voli di riconoscimento”, aggiungono gli analisti. “Negli ultimi due giorni, i Poseidon sono tornati a volare a più alte altitudini, continuando a monitorare la regione — possibilmente tenendo un occhio puntato su navi di superficie sospette, incluse unità cargo che potrebbero potenzialmente trasportare armi per tentare di attaccare Israele”. Se resta incerta la motivazione dell’escalation dei voli nel Mediterraneo orientale degli aerei-spia di stanza a Sigonella, il trasferimento in alcune basi aeree europee di numerosi aerei cisterna di US Air Force confermerebbe l’intenzione di Washington di intervenire direttamente nel conflitto israelo-iraniano. Sempre ItaMilRadar ha tracciato nel corso di lunedì 16 giugno l’arrivo di “più di 20 aerei tanker del tipo Boeing KC-46A e Boeing KC-135R/T” negli scali militari di Morón e Rota in Spagna e di Ramstein in Germania. “I velivoli di US Air Force sono decollati da diverse basi in territorio statunitense, incluse quelle di Tampa, Oklahoma City, Wichita, Wrightstown e Pittsburgh”, spiegano gli analisti di ItaMilRadar. “Fino ad ora non siamo in grado di capire se essi hanno sorvolato l’Atlantico da soli o accompagnando altri assetti dell’Aeronautica degli Stati Uniti d’America, né in che modo essi siano legati alla guerra Israele-Iran, ma è innegabile che questo pesante traffico aereo è del tutto inusuale”. Non ci sono conferme sul possibile atterraggio a Sigonella dei Boeing KC-46A o KC-135R, anche se la stazione aeronavale siciliana è stata prescelta in ambito NATO come futuro hub mediterraneo per i grandi aerei cisterna delle flotte USA ed europee. Relativamente ai P-8 “Poseidon” di stanza a Sigonella va ricordato che essi svolgono generalmente operazioni antisommergibile ed antinave e missioni di intelligence, sorveglianza e ricognizione (ISR), sia nel Mediterraneo che nel Mar Nero. Realizzati dal colosso industriale Boeing modificando i velivoli 737/800 impiegati nel settore commerciale, sono equipaggiati con sofisticati radar APY-10 che possono mappare un’area di 10.000 metri quadri da una distanza di più di 220 miglia. Gli aerei possono essere impiegati contro “target” di superficie e in immersione lanciando missili antinave AGM-84 Harpoon e siluri Mark 54. Il Comando di US Navy ha deciso di localizzare a Sigonella la flotta di P-8A “Poseidon” destinata ad operare nel Mediterraneo, in Africa settentrionale e in Europa orientale nell’ambito del cosiddetto programma BAMS (Broad Maritime Area Surveillance) di “rafforzamento della propria superiorità strategica nello svolgimento di missioni prolungate ISR”, a fianco dei droni USA “Global Hawk” e “Triton” ed AGS della NATO, operativi anch’essi dalla grande base siciliana. Per i nuovi pattugliatori sono state ampliate a NAS Sigonella le aree di parcheggio e le piste ed è stato realizzato un maxi-hangar con annesso centro di manutenzione del costo di 26,5 milioni di dollari, inaugurato ufficialmente a metà gennaio 2022.   Articolo pubblicato in Pagine Esteri il 17 giugno 2025, https://pagineesteri.it/2025/06/17/mondo/lombra-di-sigonella-sui-bombardamenti-israeliani-alliran/?fbclid=IwY2xjawK-f4RleHRuA2FlbQIxMQBicmlkETBmWjlBYUUxUWlFZ2FvSnNuAR4eqxiqR5pM9ed93w3euGW1GGdvpUHLalgXUsG5obuK5jOocnJkm7yWzguygQ_aem_B4AW9NwWSRGYN1YFEc4qrw
L’Eco MUOS(tro) e l’impegno di Antonio Mazzeo
Giornalista freelance, insegnante, attiv ista di tante battaglie pacifiste, contro la guerra e la militarizzazione, fra cui quella NO MUOS, Antonio Mazzeo è finito a processo con l’accusa di “diffamazione a mezzo stampa” per aver contestato la decisione della dirigente di un istituto scolastico, di chiedere l’intervento di militari della Brigata Meccanizzata “Aosta”, armati di tutto punto, per impedire “pericolosi” assembramenti davanti la scuola. Il MUOS (Mobile User Objective System) è un nuovo sistema militare di telecomunicazioni satellitari che consente la trasmissione di informazioni, video, dati, a tutti gli “utenti mobili”: centri di comando e controllo, reparti e mezzi terrestri, unità navali, sottomarini, cacciabombardieri, droni d’attacco, batterie missilistiche, e altro ancora. Il MUOS è un sistema adottato dalle forze armate degli Stati Uniti d’America, perché possano affermare la propria superiorità universale, tramite una rete di mega-antenne e satelliti per telecomunicazioni ad alta velocità, affinché sull’infinito domini l’oscurità della violenza, della guerra, della morte. Il MUOS è un sistema atto a propagare, dilatare, moltiplicare gli ordini di attacco militare di tipo convenzionale, chimico, batteriologico e nucleare, per bombardamenti sempre più virtuali, computerizzati, disumanizzati e disumanizzanti perché la coscienza degli assassini non possa mai incrociare gli occhi di chi soffre e la disperazione delle vittime innocenti. Il MUOS incarna le molteplici contraddizioni della globalizzazione neoliberista e capitalista, in quanto uccide in nome della pace e dell’Ordine sovranazionale, devastando il clima, l’ambiente e il territorio. Come hanno reagito i pacifisti e gli attivisti nonviolenti all’installazione di questo sistema d’arma? L’ Eco MUOStro è stato installato a Niscemi, nei pressi di Caltanissetta, in Sicilia, nel cuore di un’importante riserva naturale. L’impianto verte su tre grandi antenne paraboliche che emettono onde elettromagnetiche in grado di penetrare la ionosfera e i tessuti di ogni essere vivente. La popolazione locale si è mobilitata per oltre dieci anni contro questo dissennato progetto bellico dagli enormi impatti di tipo ambientale e sulla salute. Donne e uomini si sono indignati per essere stati ignorati, traditi, svenduti e così sono scesi in piazza a protestare e a manifestare il proprio dissenso, costringendo sindaci, consigli comunali e provinciali a votare delibere contro il MUOS. Sono state presentate numerose interrogazioni parlamentari; sono stati sottoscritti moltissimi appelli e firmate innumerevoli petizioni per revocare le autorizzazioni ai lavori, insieme a dibattiti, convegni, marce, digiuni e altre forme di contestazione nonviolenta e pacifica. Ci sono stati scioperi generali indetti dal basso a Niscemi e per la prima volta nella storia una base ad uso esclusivo delle forze armate statunitensi è stata occupata per ore da migliaia di manifestanti. Purtroppo alla fine è prevalsa la logica di distruzione e morte dell’apparato militare-industriale transnazionale. Avete vissuto l’EcoMUOStro come una grande sconfitta? Vi siete sentiti impotenti di fronte a questo sistema di potere imposto dall’alto? Il Movimento No Muos è stato sempre consapevole della  sproporzione delle forze in campo: da una parte migliaia di cittadini, giovani, donne che hanno sentito il diritto-dovere di rimettersi in gioco in prima persona in difesa del loro territorio e dei valori della pace, del disarmo e della cooperazione tra i popoli; dall’altra, la prima potenza militare e nucleare del pianeta, aggressiva e arrogante come sempre, in campo per affermare la piena supremazia sulle risorse della terra e la sempre più iniqua ridistribuzione della ricchezza. Ciononostante il Pentagono e i suoi più stretti alleati politici e militari in Italia e in Sicilia sono stati messi più di una volta sotto scacco. I lavori d’installazione del terminale terrestre del MUOS sono stati bloccati e ritardati per anni e le ragioni dei No MUOS sono state riconosciute dai Tribunali penali e amministrativi (si pensi alla recente sentenza del Consiglio di giustizia amministrativa che ha dichiarato del tutto illegittime le autorizzazioni al progetto rilasciate dalla Regione Sicilia). Certo se dovessimo limitarci a vedere che l’esito finale di queste straordinarie mobilitazioni è stata la messa in opera del Muostro, dovremmo dire che tutto è stato inutile. Ma quelle campagne di opposizione hanno rappresentato per intere generazioni di siciliani fondamentali momenti di crescita individuale e collettiva e una presa di coscienza dei propri diritti e degli effetti nefasti dei processi di militarizzazione e stupro dei territori. Ciò non potrà non avere rilevanti conseguenze sociali e culturali a medio e lungo termine. E ciò concorrerà, ne sono certo, a sviluppare nuovi percorsi di lotta per la pace, la giustizia e la difesa dell’ambiente. I governi nazionali che si sono succeduti e l’attuale governo dei banchieri dell’alta finanza sono sempre favorevoli alla costruzione del MUOS. Il libro di Antonio Mazzeo vuole denunciare, attraverso le tante voci della gente di Niscemi, la prepotenza ottusa e la protervia ostinata dei vertici del potere, favorevoli all’Eco MUOStro, un sistema-business per i mercanti di morte, che comporta soprattutto la proliferazione della grande industria bellica, ma anche un intenso inquinamento elettromagnetico, proveniente dai trasmettitori del sistema, con devastanti microonde ad altissimo impatto ambientale. L’industria della morte si impone ancora, famelica, insaziabile, inesorabile. Con questo tuo libro sul MUOS sei riuscito a smuovere le coscienze di molti fino ad arrivare a un processo. Puoi parlarcene? No, davvero, non credo che un libro, da solo, possa riuscire a smuovere coscienze e generale proteste, mobilitazioni, opposizioni. Il MUOStro di Niscemi è stato solo un lavoro di analisi, sintesi e sistematizzazioni per rendere il più possibile chiare a tante e tanti siciliani le tantissime contraddizioni, anzi i crimini, di tipo sociale e ambientale, geostrategico, perfino mafiosi, di questo progetto di rafforzamento della presenza militare statunitense nell’Isola. Spero di esserci riuscito in parte ma non è più di quello che può essere chiesto a un impegno di controinformazione. In fondo è poco, davvero poco, rispetto alla portata educativa e formativa e generatrice di dissenso delle azioni dirette e delle pratiche di disobbedienza civile dei No MUOS. Cosa ti aspetti per il nostro futuro prossimo anche dal momento che siamo sul crinale del baratro di una terza guerra mondiale e potenzialmente nucleare con l’attuale guerra tra Russia e Ucraina e con le tante guerre imposte nel mondo dai poteri forti? Sì, da quel maledetto 24 febbraio 2022 avverto profondamente il timore dell’ennesimo rapido balzo dell’umanità verso l’olocausto globale. L’inarrestabile escalation di questo conflitto fratricida ha rafforzato la mia convinzione degli immani pericoli che potranno derivare a breve per la popolazione mondiale. E del resto sono già tantissime le persone in tutto il pianeta che stanno pagando un prezzo enorme in termini di sofferenza, fame, salute, accesso alle risorse energetiche, e via dicendo. Mi addolora poi la scarsissima opposizione generale, alla guerra e alla cultura di morte imperante. Mai come adesso siamo a un passo dalla guerra nucleare totale eppure le piazze sono vuote come non mai e il pacifismo si presenta fragilissimo. Sì, gli scenari futuri appaiono tragici. Ma forse proprio per questo dobbiamo provare ad esserci con tutte le nostre energie. Dobbiamo resistere all’uragano della morte, coscienti dei rapporti di forza, ma decisi e intransigenti. Siamo certamente stanchi, delusi e avvertiamo il peso delle tante, troppe sconfitte. Ma siamo ancora vivi. Noi e i nostri figli. Per noi e i nostri figli.   Intervista a cura di Laura Tussi, pubblicata in Transform! Italia il 5 giugno 2024, https://transform-italia.it/leco-muostro-e-limpegno-di-antonio-mazzeo/
ITALIA-ARABIA SAUDITA. Roma dimentica diritti umani e guerre e consolida la cooperazione militare
Dopo tre anni è tornata a bombardare le postazioni Houthi in Yemen a fianco delle forze armate degli Stati Uniti d’America e del Regno Unito. Nel 2024 si è invece caratterizzata per l’esecuzione di 345 condanne a morte, in buona parte per decapitazione. Il Regno dell’Arabia Saudita è paese belligerante, all’indice per le sistematiche violazioni dei diritti umani, ma l’Italia del governo Meloni-Tajani-Crosetto ha scelto di consolidare la partnership politico-diplomatica e militare-industriale con le autorità di Riyadh. Per promuovere la cooperazione tra l’Esercito italiano e le forze armate saudite dal 14 al 17 aprile scorso una delegazione dello Stato Maggiore guidata dal generale Carmine Masiello si è recata in visita ufficiale in Arabia Saudita. La missione ha previsto incontri con alti ufficiali e rappresentanti delle istituzioni militari locali; in particolare la delegazione è stata ospite del Comando delle forze di terra saudite, della National Defence University e dell’Accademia militare “King Abdulaziz” di Riyadh. “Tra gli obiettivi principali della missione vi è stato il rafforzamento delle partnership industriali, il supporto allo sviluppo di nuove capacità, la partecipazione ad esercitazioni congiunte e l’ammissione di personale saudita a corsi di formazione in Italia”, spiega il ministero della Difesa. “Durante gli incontri, sono stati affrontati temi cruciali legati alla sicurezza e alla cooperazione militare, evidenziando le aree in cui l’Italia può fornire supporto, in particolare attraverso l’industria della difesa e l’addestramento”. Altrettanto enfatiche le dichiarazioni rese dal Capo di Stato Maggiore dell’Esercito a conclusione della visita nel Regno saudita. “La cooperazione militare è uno dei tanti pilastri che rafforzano il profondo rapporto di amicizia tra i nostri Paesi”, ha espresso il generale Masiello. “Per elevare i rapporti bilaterali tra i due Eserciti, siamo pronti per un piano d’azione strutturato, con priorità condivise, per approfondire la conoscenza reciproca e crescere insieme, interrogandoci sulle sfide emergenti e sul futuro degli scenari”. (1) A fine gennaio era stata la presidente del consiglio Giorgia Meloni a recarsi in visita ufficiale in Arabia Saudita. Con il principe ereditario e primo ministro del Regno, Mohamed bin Salman Al Saud, la Meloni ha assunto l’impegno a giungere ad una “cooperazione strutturata” tra i due paesi, specie in campo economico-finanziario e, ovviamente, militare-industriale. Ampia convergenza è stata espressa su diverse questioni globali e regionali: dal rafforzamento delle relazioni tra l’Unione europea e il Consiglio di cooperazione del Golfo alla “ricerca di una pace giusta e duratura” in Ucraina; dal “consolidamento del cessate il fuoco a Gaza” al “sostegno a un processo politico inclusivo” in Siria e Libano. Giorgia Meloni e Mohamed bin Salman Al Saud si sono pure dichiarati concordi nell’avviare iniziative comuni e collaborazioni pubblico-private nel continente africano. (2) Il via vai tra Roma e Riyadh di ministri, generali e ammiragli è stato intensissimo negli ultimi due anni e mezzo. Il 25 gennaio 2023 il Capo delle forze armate saudite, generale Fayyadh bin Hamed Al-Ruwaili è stato ospite a Roma del ministro della Difesa Guido Crosetto, dell’allora Capo di Stato Maggiore, ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, e del responsabile del Comando operativo di vertice interforze (COVI), generale Francesco Paolo Figliuolo. Il generale Al-Ruwaili è stato pure accompagnato a visitare alcune delle maggiori aziende del comparto militare-industriale: Fincantieri, Leonardo e Mbda (società leader in ambito missilistico, controllata da Airbus, Bae Systems e Leonardo). (3) Guido Crosetto si è invece recato a Riyadh il 17 ottobre 2023 per incontrare il ministro della Difesa, principe Khalid Bin Abdulaziz. “I due responsabili della Difesa si sono confrontati su argomenti di stretta attualità, evidenziando il comune impegno nel rafforzare il dialogo e la collaborazione tra Arabia Saudita e Italia”, ha riferito l’ufficio stampa del ministero. “Crosetto si è anche reso disponibile a esplorare nuovi ambiti di collaborazione per incrementare l’interoperabilità delle Forze Armate dei due Paesi a beneficio della sicurezza del Mediterraneo e del Golfo Arabico (…) dove l’Arabia Saudita svolge un ruolo strategico per il processo di stabilizzazione dell’intera area”. (4) La cooperazione congiunta nel settore della ricerca, dello sviluppo e della produzione di sistemi d’arma è stata al centro della “prima edizione” del Joint Consultative Committee Arabia Saudita-Italia, tenutosi nella capitale saudita il 4 e 5 dicembre 2023, presente l’allora Segretario generale della Difesa e direttore nazionale degli armamenti, generale Luciano Portolano (oggi Capo di Stato maggiore della difesa). Il generale Portolano è poi tornato a Riyadh il 7 febbraio 2024 per incontrare il Capo della Difesa del Regno, generale Fayyadh al-Ruwaili. Il 29 aprile 2024 ancora il Capo di Stato Maggiore ha ricevuto a Roma una delegazione militare saudita guidata dal viceministro della Difesa, Ibrahim Ahmed Al-Suwayed. “Durante l’incontro, volto ad avviare una partnership strategica di lungo periodo, sono stati condivisi argomenti inerenti la cooperazione tecnico-militare e i principali programmi di Difesa tra l’Italia e il Paese mediorientale”, ha riportato in nota lo Stato Maggiore italiano. (5) I vertici delle forze armate sauditi ancora in missione ufficiale a Roma il 13 maggio, con tanto di omaggi all’Altare della Patria e al Sacrario delle Bandiere.   Fedeli alleati da oltre un trentennio Con il ministero della Difesa e dell’Aviazione dell’Arabia Saudita, l’Italia vanta un accordo di cooperazione da più di trent’anni. Esso fu sottoscritto il 17 febbraio 1993 dall’allora ministro della difesa, on. Salvo Andò (Psi), e dal principe-generale Sultan bin Abdulaziz, e venne ratificato dal Parlamento il 2 marzo 1998. Nello specifico le due parti si impegnarono a costituire un Comitato Misto Consultivo per promuovere attività tecnico-amministrative di mutua collaborazione nel settore della formazione e dell’addestramento militare e delle forniture ed acquisizioni di sistemi d’arma. L’Accordo aveva durata quinquennale ma è rimasto in vigore sino ad oggi. (6) Specie nell’ultima decade si è assistito alla crescita del numero di ufficiali sauditi ospiti in Italia per stage formativi presso le accademie militari di Modena, Pozzuoli e Livorno, le scuole di volo dell’Aeronautica o il Centro Alti Studi della Difesa. A seguito della firma di un accordo tecnico tra l’Aeronautica italiana e la Royal Saudi Air Force (23 marzo 2016, l’anno successivo all’inizio dell’intervento bellico saudita in Yemen), gli allievi piloti sauditi svolgono l’iter per il conseguimento del brevetto di pilota militare presso il CAE MultiCrew di Pratica di Mare (Roma) e, per la “linea elicotteri”, presso il 72° stormo di Frosinone. Ad essi si sono aggiunti i percorsi addestrativi presso il Centro di Formazione Aviation English di Loreto (Ancona), il 70° stormo dell’Aeronautica di Latina e, per l’addestramento alla guida dei cacciabombardieri, presso il 61° stormo di Galatina (Lecce). (7) Il personale specializzato dell’Aeronautica saudita svolge inoltre stage formativi presso l’Istituto di Medicina Aerospaziale (IMAS) di Roma. Le accademie militari italiane, in collaborazione con le università statali, forniscono al personale militare saudita alcuni percorsi di laurea in dottrine di guerra. All’Accademia Navale di Livorno, gli ufficiali della Marina e della Capitaneria di Porto del Regno possono conseguire il titolo di dottore in “Scienze Marittime e Navali” e in “Scienze del Governo e dell’Amministrazione del Mare”. A Torino, presso la Scuola di Applicazione dell’Esercito e la Scuola Interdipartimentale in Scienze Strategiche dell’Università degli Studi, il personale militare saudita consegue la laurea specialistica in “Scienze Strategiche”. “Lo scenario didattico del corso, frutto di una efficace sinergia fra Esercito e Università, prevede cinque indirizzi: politiche organizzative, sistemi gestionali, comunicazioni, logistica, economico – amministrativo”, spiega lo Stato Maggiore. “Obiettivo comune della Scuola di Applicazione dell’Esercito e della Scuola Universitaria Interdipartimentale è formare professionisti militari e civili in grado di affrontare e risolvere situazioni complesse nell’ambito di crisi e conflitti, in scenari nazionali e internazionali (…) attraverso mirati soggiorni all’estero e l’osmosi culturale fra mondo militare, accademico, scientifico, imprenditoriale e della comunicazione”. (8) Il 1° agosto 2022 alla “giornata del laureato” in Scienze Strategiche era presente a Torino una delegazione militare saudita guidata dal Comandante del “King Abdulaziz Military College” di Riyadh, generale Ali Saleh B. Alhudaif. (9)   Affari d’oro per le industrie di morte Governo e forze armate sono in prima linea per accreditare presso il Regno saudita le “eccellenze” della produzione bellico-industriale made in Italy. Riyadh ha lanciato un programma strategico a medio termine (Kingdom of Saudi Arabia Vision 2030) per ridurre la dipendenza dal petrolio e diversificare la propria economia, principalmente grazie a sempre maggiori investimenti in ambito militare e allo sviluppo di una produzione industriale che assicuri che non meno del 50% dei sistemi d’arma venga realizzato in territorio saudita. Momento clou per il rafforzamento delle relazioni tra le aziende italiane del comparto militare e le forze armate dell’Arabia Saudita è stato il “World Defense Show”, il salone espositivo degli armamenti tenutosi nella capitale araba dal 4 all’8 febbraio 2024. Alla presenza del vice-segretario generale della Difesa e della direzione nazionale degli armamenti, ammiraglio Pier Federico Bisconti e del viceministro Ibrahim Al Suwaied, il gruppo Leonardo SpA ha sottoscritto un memorandum of understanding con l’Autorità generale per l’industria militare saudita per sviluppare investimenti e collaborazione nei settori dell’aerospazio, della manutenzione e riparazione di velivoli, della  produzione di sistemi di guerra elettronica e radar e per l’assemblaggio di elicotteri. “Il MOU offre inoltre alle parti un focus su aree specifiche, sia nel settore del combattimento aereo, che in quello dell’integrazione multi-dominio, campi dove Leonardo sta sviluppando tecnologie di nuova generazione (…) sistemi a pilotaggio remoto, sensori integrati, digitalizzazione”, spiegano i manager del gruppo italiano. “Le parti si impegnano altresì ad esplorare opportunità per la supply chain nazionale in Arabia Saudita, e più in generale, per il ruolo di Leonardo nella regione…”. (10) Altri accordi tecnici con le principali aziende belliche italiane sono stati sottoscritti in occasione della visita a Riyadh della premier Giorgia Meloni a fine gennaio 2025. In particolare Leonardo SpA, ELT Group (già Elettronica) e Fincantieri hanno firmato memorandum con la General Authority for Military Industries (GAMI), l’entità che cura la localizzazione delle spese militari, con la Saudi Arabian Military Industries (SAMI), holding statale che controlla le aziende belliche, e con Shamal Group, gruppo di proprietà del ministero degli esteri che fornisce servizi alle industrie della difesa. Le industrie italiane guardano con particolare attenzione all’Arabia Saudita quale possibile cliente del cacciabombardiere di sesta generazione (GCAP – Global Combat Air Programme) in via di sviluppo dal consorzio guidato da Leonardo, BAE Systems (Regno Unito) e Mitsubishi Heavy Industries (Giappone). L’Aeronautica militare saudita ha anche avviato i negoziati per l’acquisto di un secondo lotto di caccia “Eurofighter Typhoon” (48-56 esemplari), prodotti dall’omonimo consorzio europeo in cui è presente ancora Leonardo. “Ma grandi opportunità ci sono pure nel settore elicotteristico – gli NH-90 del consorzio internazionale NHIndustries, ma non solo – e nel settore navale”, scrive RID – Rivista Italiana Difesa. “In quest’ultimo, ricordiamo il requisito per quattro nuove fregate leggere e la richiesta di informazioni inviata a Fincantieri”. Tra caccia, elicotteri e unità navali, le potenziali commesse saudite comporterebbero una spesa di oltre dieci miliardi di euro. (11)     Note 1)    https://www.esercito.difesa.it/comunicazione/Pagine/Il-Capo-di-Stato-Maggiore-dell%E2%80%99Esercito-Italiano-in-Arabia-Saudita-250424.aspx 2)    https://www.avionews.it/item/1262125-visita-del-presidente-meloni-in-arabia-saudita-e-sulla-vespucci.html 3)    https://www.agenzianova.com/news/una-delegazione-militare-dellarabia-saudita-in-italia-per-discutere-di-cooperazione/ 4)    https://www.difesa.it/il-ministro/comunicati/difesa-il-ministro-crosetto-in-arabia-saudita-n-119/29827.html 5)    https://www.difesa.it/sgd-dna/notizie/una-delegazione-della-difesa-dellarabia-saudita-in-visita-a-segredifesa/51647.html 6)    https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:1998;48#:~:text=Il%20Presidente%20della%20Repubblica%20%C3%A8,Khalid%20il%2017%20febbraio%201993 7)    https://www.difesaonline.it/news-forze-armate/cielo/scuole-di-volo-al-72%C2%B0-stormo-di-frosinone-consegnati-4-brevetti-di-pilota-ai 8)    https://www.esercito.difesa.it/comunicazione/Pagine/Il-198-corso-Saldezza-a-Torino_180904.aspx 9)    https://www.esercito.difesa.it/comunicazione/Pagine/Giornata-del-Laureato-2022-a-Torino_220801.aspx 10) https://www.leonardo.com/it/press-release-detail/-/detail/05-02-2024-leonardo-signs-mou-with-the-kingdom-of-saudi-arabia-for-aerospace-and-defence-collaboration-opportunities 11) https://www.rid.it/shownews/7082/italia-e-arabia-saudita-l-rsquo-intesa-diventa-strategica-tante-opportunita-nel-settore-militare     Articolo pubblicato in Pagine Esteri il 5 maggio 2025, https://pagineesteri.it/2025/05/05/primo-piano/italia-arabia-saudita-roma-dimentica-diritti-umani-e-guerre-e-consolida-la-cooperazione-militare/
Il movimento che dice «no» alla militarizzazione della scuola
  L’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università è il riferimento contro chi vuole imporre la cultura militarista  “La scuola va alla guerra” è il titolo di un volume uscito a gennaio di quest’anno per Manifestolibri. L’autore è Antonio Mazzeo, giornalista e peace researcher, che da anni scrive articoli e saggi, realizza inchieste, raccoglie documentazione, partecipa a incontri ed eventi in tutt’Italia per denunciare il rischio della militarizzazione dell’istruzione. «È un processo – spiega Mazzeo, che insegna educazione fisica alle medie a Messina – che non ha risparmiato nessuna fascia generazionale». Quando ha iniziato a occuparsi di militarismo? Con il movimento per la pace. Sin dall’adolescenza, quando seguii la lotta contro l’installazione dei missili nucleari Cruise nella base di Comiso. Come ricercatore e giornalista ho seguito innanzitutto i processi di militarizzazione in Sicilia, poi in tutto il Paese. Come ha capito che era un fenomeno di portata nazionale? Credevo si trattasse di anomalie legate a singole scuole che, subendo la pressione di territori particolarmente militarizzati, aprivano l’istituzione scolastica alla presenza delle forze armate: eventi sporadici, spesso dedicati a temi non prettamente militari, che però registravano una presenza crescente di rappresentanti delle forze armate. Poi, raccogliendo documentazione e segnalazioni, ho preso coscienza che non era così: c’era dietro un preciso progetto. Come ha preso forma il tentativo di militarizzare la scuola? Si è sviluppato negli ultimi 15-20 anni, anche se per molto tempo se n’è parlato poco. Ha interessato tutta la scuola, da quella dell’infanzia a quella secondaria di secondo grado, fino ormai all’università. Sono stati firmati protocolli, il primo a livello nazionale è del 2014, e definiti accordi quadro tra i ministeri dell’Istruzione e della Difesa. A volte è stato coinvolto anche il ministero del Lavoro, ad esempio per i percorsi di alternanza scuola-lavoro, oggi PCTO, che prevedevano la presenza degli studenti in basi e infrastrutture militari, anche dentro le maggiori aziende del comparto militare-industriale. Perché si vuole “invadere” la scuola? L’obiettivo strategico è affermare la cultura della difesa e della sicurezza, espressione che si trova ormai in tutti i documenti strategici delle forze armate. Si vuole il consenso delle nuove generazioni su un modello di forze armate che intervengono a 360°: sia all’estero, nelle varie missioni internazionali, sia all’interno, in sfere una volta non di loro competenza. Lei è stato fra i protagonisti del lancio dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università. Com’è nata l’idea? Su invito di centri di formazione per insegnanti, come il Centro Studi per la Scuola Pubblica (Cesp), o di organizzazioni come Pax Christi, ho iniziato a tenere un po’ in tutt’Italia corsi di formazione per il personale scolastico sulla militarizzazione del mondo dell’istruzione. È emersa così l’esigenza, da parte di insegnanti, intellettuali, sindacalisti, di strutturarsi. Sia per organizzare meglio la raccolta e sistematizzazione di documentazione, sia per costruire momenti di opposizione concreta. A marzo 2023 alla Camera dei Deputati è stato lanciato un appello, firmato da un centinaio tra docenti di scuola pubblica e universitari, da cui è nato l’Osservatorio. Che oggi è un punto di riferimento per il mondo della scuola ma anche per quel mondo politico e sociale più impegnato contro i processi di militarizzazione e riarmo e contro la guerra. L’Osservatorio organizza anche campagne, come quella dello scorso anno contro Giochi Preziosi che voleva proporre zainetti per la scuola con i loghi degli apparati d’élite delle forze armate. O la campagna per chiedere le dimissioni dei rettori delle università pubbliche italiane aderenti alla Fondazione Med-Or legata a Leonardo, principale azienda italiana produttrice di armi. Che strumenti ha a disposizione il singolo insegnante o genitore per dire «no»? L’Osservatorio ha prodotto un vademecum che indica gli strumenti giuridici utilizzabili per opporsi concretamente ad attività quali una visita scolastica a una base militare. Iniziative del genere non possono essere imposte da circolari ministeriali o uffici scolastici e tanto meno da dirigenti scolastici, ma devono essere discusse dagli organi collegiali. Altrimenti sono attività in violazione di norme nazionali, a partire dalla libertà d’insegnamento sancita in Costituzione, di disposizioni contrattuali e di norme internazionali che regolamentano le funzioni del sistema educativo. E ci si può opporre, ad esempio con la diffida. L’esperienza dell’Osservatorio comunque ci ha insegnato che l’impatto maggiore si ottiene con la denuncia mediatica. La militarizzazione della scuola sta vincendo? Solo 3-4 anni fa, se parlavi di questi argomenti eri visto come un alieno. Mentre oggi c’è un’enorme presa di coscienza in insegnanti, genitori e studenti. Anche perché questi anni sono stati segnati da una guerra costante, dal conflitto in Ucraina al genocidio del popolo palestinese, al rischio di una guerra globale. Questa “pressione bellica” credo abbia imposto di assumere l’enorme pericolosità del militarismo come un pericolo per la sicurezza di ognuno di noi. Perché è funzionale a un modello di guerra permanente. Per cui sono ottimista perché, nonostante l’apparato militare-industriale-finanziario abbia investito enormi risorse, non ha “conquistato le menti” delle nuove generazioni. Che anzi, come la stragrande maggioranza della popolazione, rifiutano la guerra. Per essere più precisi, come dice la Costituzione, la ripudiano.   Intervista a cura di Andrea Di Turi, pubblicata in Valori il 10 ottobre 2024, https://valori.it/militarizzazione-scuola-intervista-antonio-mazzeo/
L’Italia addestrerà i piloti militari libici
Si formeranno in Italia i piloti della ricostituita aeronautica di guerra della Libia. A renderlo noto l’ufficio pubblica informazione delle forze aeree italiane. Il 25 marzo, il capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica Militare, generale Luca Goretti, ed il capo della Libyan Air Force, generale Amhamed Gojel, hanno firmato a Roma un accordo tecnico bilaterale sull’addestramento in favore dei top gun e degli istruttori di volo libici. L’accordo prevede la partecipazione del personale militare dello Stato nordafricano ai corsi di addestramento presso il 70° Stormo dell’Aeronautica di stanza a Latina e presso il 61° Stormo di Galatina (Lecce) per le fasi 2 e 3 dell’iter addestrativo. Parte della formazione teorica si svolgerà anche presso il centro di formazione Aviation English di Loreto (Ancona), la scuola di lingue straniere dell’Aeronautica. L’intesa sottoscritta dai generali Goretti e Gojel disciplina i vari aspetti del percorso addestrativo del personale libico negli specifici programmi erogati dal 207° gruppo volo del 70° Stormo e dal 214° gruppo volo del 61° Stormo. “L’accordo assume una rilevanza significativa in quanto costituisce il primo accordo di cooperazione bilaterale con la Forza Aerea libica nel settore dell’addestramento al volo con durata di validità triennale”, spiega lo Stato Maggiore dell’Aeronautica italiana. “Esso è un’ulteriore riprova del livello di eccellenza raggiunto dalla Forza Armata nel settore addestrativo, nonché un significativo consolidamento della cooperazione con un Paese partner estremamente importante nell’ambito della sicurezza e della stabilità dell’area mediterranea”. (1) Il 70° Stormo di Latina è posto alle dipendenze del Comando Scuole dell’Aeronautica e della 3a della Regione Aerea con sede a Bari; presso i suoi reparti si effettuano i corsi di abilitazione e l’addestramento basico degli allievi dell’Aeronautica e delle altre forze armate italiane e dei cadetti militari di paesi esteri per il conseguimento del brevetto di pilota. Fino ad oggi Latina ha rilasciato oltre 15.000 brevetti di pilotaggio, realizzando un totale di circa 500.000 ore di volo. (2) Nello scalo del 70° Stormo gli allievi-piloti libici saranno formati a bordo di due tipi di velivoli di produzione del gruppo Leonardo SpA: il T-260B (aereo biposto, già classificato come SIAI Marchetti SF-260) e il T-2600A (quadriposto, già Aermacchi SF260 EA). (3) Presso la base salentina di Galatina, il personale militare libico sarà addestrato in vista della conduzione dei velivoli di quarta e quinta generazione (in particolare i cacciabombardieri Eurofighter Typhoon e gli F-35 Lightning II). Sotto il comando del 61° Stormo opera l’International Flight Training School (IFTS), un centro internazionale per l’addestramento al volo avanzato, frutto di un accordo del 2018 tra l’Aeronautica Militare e la holding industriale-militare Leonardo S.p.A.. “Il progetto IFTS è nato con l’obiettivo di realizzare un polo di eccellenza nella formazione dei piloti militari e soddisfare la crescente domanda di training avanzato proveniente dagli stati alleati e partner”, spiega lo Stato Maggiore della Difesa. “L’International Flight Training School ha consentito di raddoppiare l’attuale offerta addestrativa attraverso la realizzazione di un nuovo polo distribuito tra la base dell’Aeronautica di Galatina, e quella di Decimomannu (Sardegna), dove è nato il campus dedicato alla fase avanzata dell’addestramento al volo”. I reparti del 61° Stormo hanno formato e brevettato più di 9.000 avieri appartenenti a 20 paesi, alcuni del Medio oriente ed Asia (in particolare Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Singapore). A Galatina gli allievi-piloti di Tripoli voleranno a bordo dei caccia-addestratori T-346A (gli stessi venduti una quindicina di anni fa da Aermacchi-Leonardo alle forze armate israeliane). Questi aerei sono in via di sostituzione con i più sofisticati T-345, anch’essi progettati e prodotti dall’italiana Leonardo, per “ottenere un miglioramento della qualità addestrativa a costi inferiori, da cui il nome High Efficiency Trainer”, come enfatizza il Comando del 61° Stormo. Nelle scorse settimane sono giunti nella base aerea salentina i primi sei velivoli T-345 e da giugno saranno impiegati per i corsi addestrativi. (4) La decisione di utilizzare alcune delle maggiori basi aeree italiane per la “formazione” del personale militare libico sarebbe stata presa in occasione della riunione del Comitato misto di Cooperazione Libia–Italia tenutasi a Tripoli nel giugno 2024. A quell’incontro parteciparono per la parte italiana il generale Alessandro Grassano del III Reparto dello Stato Maggiore della Difesa e per la parte libica il gen. Mustafa Ben Rashed. Nonostante le sempre più numerose e documentate denunce da parte di organizzazioni governative ed ONG internazionali sulle gravissime violazioni dei diritti umani perpetrate dalle forze armate e di polizia libiche contro la popolazione e i migranti, il ministero della Difesa italiano si è impegnato ad “esaminare nuove strategie per incrementare e ottimizzare le attività di cooperazione” con la Libia. In particolare è stato redatto un articolato Piano di Formazione per il secondo semestre 2024 e per l’intero 2025, “comprensivo di numerose attività sia in Italia che in Libia”. (5) Relativamente al settore aereo, in attesa di avviare le attività addestrative per i piloti a Latina e Galatina, l’Italia ha iniziato ad erogare a beneficio del personale libico alcuni corsi per controllori del traffico aereo presso il reparto di addestramento di Pratica di Mare (Roma) e quelli presso l’Accademia Aeronautica di Pozzuoli (Napoli). (6) Le attività di formazione, addestramento e mentoring a favore delle forze armate e di sicurezza e delle istituzioni governative libiche, vengono svolte in territorio italiano e libico nell’ambito della cosiddetta Missione bilaterale di assistenza e supporto in Libia (MIASIT). Nata nel 2018 sulle ceneri della precedente Operazione “Ippocrate”, MIASIT ha come obiettivo prioritario quello di “incrementare le capacità complessive” dei militari fedeli al Governo di Accordo Nazionale della Libia. Tra le attività addestrative spiccano in particolare quelle finalizzate al “controllo e contrasto dell’immigrazione illegale e delle minacce alla sicurezza della Libia; al ripristino dell’efficienza di assetti terrestri, navali e aerei, comprese le relative infrastrutture, funzionali allo sviluppo della capacità libica di controllo del territorio; all’assistenza e supporto sanitario (anche con il trasferimento dei pazienti Italia); allo sminamento; alla formazione da parte di forze speciali italiane, delle omologhe unità libiche”. Sempre secondo lo Stato Maggiore della Difesa, i corsi di formazione a le attività addestrative vengono condotte da MIASIT “in conformità all’Accordo tecnico di Cooperazione militare sottoscritto nel 2020”, sotto la direzione e il coordinamento del Comando Operativo di Vertice Interforze (COVI), con quartier generale nello scalo aeroportuale di Centocelle, Roma. (7) Il testo di questo accordo non è pubblico. Grazie però ad alcuni organi di stampa di Tripoli è stato possibile apprendere che esso è stato sottoscritto il 4 dicembre 2020 in occasione della visita in Italia dell’allora ministro della Difesa del governo libico, generale Salaheddine al-Namroush (oggi vice capo di Stato Maggiore). Al-Namroush avrebbe concordato con il ministro della Difesa italiano Lorenzo Guerini (Pd) e con quello degli Affari Esteri Luigi Di Maio (M5S), l’implementazione di “attività di cooperazione nei settori dell’addestramento e dell’istruzione militare, dello scambio di competenze, del supporto, dello sviluppo, della manutenzione e della consulenza, della cooperazione nel campo dell’immigrazione clandestina, oltre che della sicurezza delle frontiere terrestri e marittime, delle operazioni di munizioni e smaltimento delle mine, della medicina militare, di soccorso in caso di disastri naturali ed emergenze sanitarie, di scambio di informazioni ed esperienze nel campo della ricerca scientifica e tecnica e della sicurezza militare”. (8) Attualmente il Comando della Missione MIASIT è schierato a Tripoli, mentre a Misurata è presente un distaccamento operativo. La consistenza massima annuale autorizzata dal Parlamento per il contingente nazionale impiegato in Libia è di 200 militari, più un mezzo aereo. E’ pure previsto l’impiego di ulteriori assetti aerei (anche a pilotaggio remoto) e di mezzi navali, tratti dal dispositivo nazionale operante nel Mediterraneo. Originariamente la missione di sostegno militare alla Libia prevedeva pure la gestione di un ospedale da campo a Misurata, ma questo è stato “dismesso” nel corso del 2022. “Da allora, anche nell’area di Misurata la presenza italiana ha svolto attività addestrativa, mediante team mobili (Mobile Training Team)”, spiega lo Stato Maggiore. Il contingente italiano è composto da unità con compiti di formazione, consulenza, assistenza e supporto logistico, infrastrutturale e sanitario; personale di collegamento presso dicasteri e stati maggiori libici; unità con compiti di force protection; tecnici e specialisti contro minacce chimiche-biologiche-radiologiche-nucleari (CBRN); team per la ricognizione e per le attività di comando e controllo. “L’addestramento si svolge in particolare nei settori del contrasto di ordigni esplosivi improvvisati (IED), dell’aviolancio e della tutela e scorta; l’impegno si è esteso anche alla collaborazione con la Guardia Costiera libica, che ha proseguito nell’azione di contenimento dei movimenti migratori non regolamentati”. (9) Pure formazione e addestramento, dunque, oltre al supporto logistico e di intelligence a favore della famigerata Guardia Costiera responsabile di orribili crimini (mitragliamenti, deportazioni, omissioni di soccorso, ecc.) nella quotidiana guerra contro le migrazioni e i migranti in acque territoriali e internazionali. Nel corso del 2024 sono stati non meno di una cinquantina i corsi di addestramento svolti da team appartenenti all’Esercito, alla Marina Militare, all’Aeronautica e all’Arma dei Carabinieri. Circa 700 i militari di tutte le forze armate libiche “formati” da MIASIT. (10) Tra gli impegni più “onerosi” quelli svolti per addestrare le unità di fanteria libiche e di “combattimento nei centri abitati” con l’ausilio del personale della Scuola di Fanteria dell’Esercito di Cesano (Roma); l’Esplorazione Tattica Terrestre, grazie ai team della Scuola di Cavalleria di Lecce; le “lezioni” di topografia e navigazione sul terreno, con tanto di fornitura al personale libico di “ausili tecnici e software open source per leggere e costruire mappe topografiche da utilizzare per il tiro di artiglieria”, da parte della Scuola di Artiglieria di Bracciano. (11) Presso il Distaccamento MIASIT di Misurata, il personale del 9° Reggimento Alpini (quartier generale a L’Aquila), reparto d’élite per il “combattimento in montagna”, ha curato i corsi di lingua italiana, Combat Intelligence e gestione delle “operazioni speciali” (OPS – Special Operations) a favore dei componenti della 307^ unità della Counter Terrorism Force libica. Ancora gli alpini abruzzesi nel deserto tripolitano per svolgere i “corsi basici di fanteria” per gli uomini della 52^ Brigata. (12) Il Comando Genio dell’Esercito di Roma ha portato a termine 15 corsi a favore del costituendo Centro di Eccellenza C-IED (Counter-Improvised Explosive Device) di Tripoli; i parà della Brigata Paracadutisti “Folgore” e gli istruttori del   Centro Addestramento Paracadutismo dell’Esercito di Pisa hanno condotto invece diversi corsi di Self Defense Close Combat e di “Metodo di Combattimento Militare (MCM)” per il Dipartimento di Polizia Militare e gli “allievi” dell’Accademia Militare di Tripoli. “Il Metodo di Combattimento Militare è parte integrante dell’addestramento individuale al combattimento ed è una metodologia tesa a fornire al soldato quelle capacità necessarie per difendersi e fronteggiare situazioni critiche o che minacciano la sua incolumità e quella degli altri”, spiega lo Stato Maggiore della Difesa. (13) Per il Corpo della Polizia Militare della capitale libica, il Centro Addestramento Paracadutismo e il 1° Reggimento Carabinieri Paracadutisti “Tuscania” di Livorno hanno condotto i corsi di Personal Security Detail in Hostile Enviroment che hanno come scopo “l’apprendimento delle procedure di protezione e sicurezza di Autorità o personale VIP”. Ufficiali dei Carabinieri e del Gruppo di Intervento Speciale (G.I.S.) dell’Arma hanno svolto invece un Negotiation Course a favore di 13 ufficiali della Libyan Military Intelligence di Tripoli, normalmente impiegati tra la capitale e Misurata. “Il corso ha avuto l’obiettivo di insegnare agli allievi le tecniche basilari per la gestione delle crisi, la capacità di approccio/ascolto e le tecniche per addivenire ad una soluzione efficace delle controversie”, spiega la Difesa. (14) Trentacinque i militari libici addestrati al Sea Survival dagli istruttori aero-soccorritori del 15° Stormo dell’Aeronautica Militare, di stanza nello scalo di Cervia-Pisignano (Ravenna). Il corso si è svolto presso la base navale di Abu Sittah, Tripoli, dove è attivo il Centro di coordinamento di ricerca e soccorso mobile (Mrcc) della Marina e della Guardia Costiera libica che sorveglia l’immensa aerea SAR - in verità anti-migranti - nel Canale di Sicilia. “Alle attività formative hanno preso parte militari appartenenti alla Lybian Air Force e alla Lybian Navy che hanno avuto modo di apprendere le procedure e tecniche di base per la sopravvivenza in mare a seguito di incidenti aerei e navali, tramite l’uso di materiali e zattere di salvataggio”, riporta lo Stato Maggiore italiano. Ospiti d’onore al corso Sea Survival il Capo del Dipartimento Search & Rescue libico, generale Mansour Al-Taish, e il responsabile del Dipartimento addestrativo della Marina Militare, ammiraglio Abdul Rahman Al-Baroni. (15) Oltre ad addestrare il personale militare libico, la Missione MIASIT ha gestito la consegna a “titolo gratuito” di equipaggiamento e aiuti militari. Nel corso del biennio 2023-2024, è stata formalizzata la cessione di materiale per la ricerca e la bonifica degli ordigni esplosivi, a favore degli operatori del Dipartimento del Genio militare di Tripoli. Tra i materiali “donati” decine di esemplari di tute protettive, occhiali speciali per la protezione degli occhi, kit di tiranteria, ausili per la rimozione a distanza di trappole esplosive e ordigni inesplosi, cercamine e apparati radiografici portatili per l’ispezione di pacchi sospetti o di munizioni inesplose di medio e piccolo calibro. Il trasferimento di equipaggiamento militare è stato realizzato “grazie ai fondi stanziati dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, nel quadro del più esteso programma di assegnazione di equipaggiamento specialistico, in Convenzione con il Ministero della Difesa”, spiega lo Stato Maggiore. (16) Il 2 maggio 2024 il personale italiano ha pure consegnato materiale elettromedicale all’Ospedale Militare di Tripoli e all’Accademia Aeronautica di Misurata, dove è stata pure realizzata un’aula multimediale per lo svolgimento di corsi per i piloti militari e civili. Ad agosto, farmaci e apparecchiature elettromedicali per un valore complessivo di quasi 100.000 euro, sono stati inviati al Misurata Medical Center e ai Poliambulatori militari locali. Alcuni dispositivi medici cardiovascolari sono stati acquistati mediante i fondi stanziati dal Comando Operativo di Vertice Interforze; i farmaci sono stati messi a disposizione dalla Fondazione Banco Farmaceutico. (17)  Note 1)    https://www.aeronautica.difesa.it/news/aeronautica-militare-cooperazione-internazionale-firmato-accordo-per-laddestramento-di-piloti-militari-libici-in-italia/ 2)    https://www.aeronautica.difesa.it/news/70-stormo-cerimonia-di-consegna-delle-aquile-di-pilota-di-aeroplano-agli-allievi-piloti-del-corso-falco-vi/ 3)    https://www.aviation-report.com/70-stormo-scuola-di-volo-basico-aeronautica-militare/ 4)    https://www.rid.it/shownews/7219/aeronautica-arrivati-i-primi-t-345-a-giugno-parte-l-addestramento 5)    https://www.difesa.it/smd/news-italia/prima-riunione-del-comitato-misto-di-cooperazione-libia-italia/53472.html 6)    https://www.aeronautica.difesa.it/news/aeronautica-militare-cooperazione-internazionale-firmato-accordo-per-laddestramento-di-piloti-militari-libici-in-italia/ 7)    https://documenti.camera.it/leg19/dossier/pdf/DI0145.pdf?_1744875457583 8)    https://alwasat.ly/news/libya/303351?fbclid=IwAR0eudWADmm-zHocMTasNn5aSo13rriiDxIySXJNrVtMgUliq-fmoyqecKg 9)    https://documenti.camera.it/leg19/dossier/pdf/DI0145.pdf?_1744875457583 10) https://www.difesa.it/operazionimilitari/op-intern-corso/libia-missione-bilaterale-di-supporto-e-assistenza/notizie-teatro/libia-proseguono-le-attivita-addestrative-con-gli-istruttori-del-9-reggimento-alpini-dellesercito-e-della-scuola-di-fanteria-di-cesano-di-roma/55457.html 11) https://www.difesa.it/operazionimilitari/op-intern-corso/libia-missione-bilaterale-di-supporto-e-assistenza/notizie-teatro/missione-in-libia-la-miasit-conclude-un-importante-ciclo-formativo/55736.html 12) https://www.esercito.difesa.it/comunicazione/Pagine/Libia-proseguono-le-attivita-addestrative-con-gli-istruttori-del-9-Reggimento-Alpini-dell-Esercito-240805.aspx 13) https://www.difesa.it/operazionimilitari/op-intern-corso/libia-missione-bilaterale-di-supporto-e-assistenza/notizie-teatro/libia-conclusi-corsi-metodo-di-combattimento-militare-e-personal-security-detail-in-hostile-enviroment/54544.html 14) https://www.difesa.it/operazionimilitari/op-intern-corso/libia-missione-bilaterale-di-supporto-e-assistenza/notizie-teatro/miasit-terminato-corso-negotiation-course-a-favore-libyan-military-intelligence/46617.html 15) https://www.difesa.it/operazionimilitari/op-intern-corso/libia-missione-bilaterale-di-supporto-e-assistenza/notizie-teatro/missione-in-libia-concluso-sea-survival-training/51981.html 16) https://www.difesa.it/operazionimilitari/op-intern-corso/libia-missione-bilaterale-di-supporto-e-assistenza/notizie-teatro/miasit-donato-equipaggiamento-per-lo-sminamento-al-genio-militare-libico/47432.html 17) https://www.difesa.it/operazionimilitari/op-intern-corso/libia-missione-bilaterale-di-supporto-e-assistenza/notizie-teatro/miasit-e-fondazione-banco-farmaceutico-supportano-la-sanita-libica/55795.html     Articolo pubblicato in Pagine Esteri il 22 aprile 2025, https://pagineesteri.it/2025/04/22/africa/litalia-addestrera-i-piloti-militari-libici/
Roma fa affari di guerra in Mozambico dove l’ENI festeggia il centesimo carico di gas
L’Italia rafforza la partnership militare con il Mozambico puntando gli occhi alle imponenti risorse energetiche del Paese africano. Dall’8 al 12 aprile 2025 il porto di Maputo ha ospitato la fregata FREMM “Luigi Rizzo” della Marina Militare, unità specializzata nella guerra anti-sottomarini. La fregata italiana proveniva dalle acque antistanti la città di Mombasa, Kenya, dove aveva partecipato ad esercitazioni con alcune unità della Marina keniota, nell’ambito della missione europea EUNAVFOR Atalanta di “pattugliamento e protezione dei traffici marittimi” nell’area del Corno d’Africa e dell’Oceano Indiano. “La presenza della fregata Luigi Rizzo a Maputo ha consentito di rafforzare le relazioni militari tra Italia e Mozambico”, annota il sito specializzato sudafricano Defenceweb. Durante la visita è stato sottoscritto un accordo di cooperazione bilaterale nel settore della difesa, secondo quanto annunciato giovedì 10 aprile dai rappresentanti del corpo diplomatico italiano nella capitale mozambicana. “L’accordo, coincidente con il 50° anniversario dei legami diplomatici tra i due paesi, prevede l’addestramento congiunto, lo sviluppo delle capacità e la potenziale espansione ad altri settori delle forze armate”, spiega Defenceweb. “L’accordo – aggiunge il sito sudafricano - punta a rafforzare l’abilità dei militari del Mozambico nel contrastare le minacce marittime come la pirateria e i traffici illegali, con il sostegno della Marina italiana che recentemente ha sventato due attacchi dei pirati nella regione del Corno d’Africa”. Lo Stato Maggiore della Marina italiana ha reso noto che nel corso della visita in Mozambico, la FREMM “Luigi Rizzo” ha effettuato alcune dimostrazioni nella baia di Maputo congiuntamente ad unità da guerra locali, mostrando tecniche di “interdizione navale” e contrasto della pirateria, a “protezione” delle rotte commerciali marittime. “Vogliamo rafforzare le capacità operative della Marina del Mozambico per rendere le sue acque più sicure, raddoppiando gli sforzi per proteggere l’Oceano Indiano, vittima di episodi di pirateria, che aumentano l’insicurezza nella regione”, ha dichiarato ad Agenzia Nova il contrammiraglio Davide Da Pozzo, comandante dell’operazione EUNAVFOR Atalanta. “Stiamo sviluppando programmi di partnership nei Paesi che visitiamo per garantire il successo delle attività; da metà 2009 ad oggi la missione europea ha prodotto risultati efficaci e negli ultimi anni si sono verificati solo tre episodi di pirateria”, ha aggiunto Da Pozzo. L’addetto militare italiano in Mozambico, il colonnello Franco Linzalone, ha reso noto a conclusione della missione della fregata che con i nuovi accordi militari sottoscritti, il personale delle forze armate mozambicane “potrà beneficiare di attività di addestramento e di rafforzamento delle capacità in Italia, oltre ad azioni di scambio di esperienze”. Già in passato i militari del Mozambico hanno svolto corsi di formazione specifica in territorio italiano. L’Italia partecipa alla Missione di assistenza militare dell’Unione europea EUMAM in Mozambico, che ha lo scopo di addestrare, assistere ed equipaggiare le forze armate e di sicurezza del Mozambico impiegate contro le milizie armate islamico-radicali nella regione settentrionale di Cabo Delgado. I vertici militari di EUMAM hanno effettuato una visita di “cortesia” a bordo della fregata italiana in sosta a Maputo per uno scambio di esperienze con la missione europea anti-pirateria. EUMAM è stata prorogata recentemente fino al 20 giugno 2026. L’accordo tecnico di Cooperazione Navale tra Italia e Mozambico è stato firmato il 30 gennaio 2014 dall’allora Capo di Stato Maggiore della Marina Militare, ammiraglio Giuseppe De Giorgi ed il Capo di Stato Maggiore della Marinha mozambicana, Lazaro Menete. In quell’occasione fu dislocato per circa due mesi nelle acque di Maputo, il pattugliatore d’altura “Comandante Borsini”. Un anno e mezzo fa (prima metà di ottobre 2023) un’altra unità da guerra della Marina italiana, il cacciatorpediniere “Durand de La Penne” si era recato in visita nella capitale mozambicana. In quell’occasione fu ospitata a bordo la Presidente del Consiglio dei Ministri Giorgia Meloni. “La tappa a Maputo di nave Durand de La Penne è stata l’occasione per ribadire l’impegno nazionale nella collaborazione con le Forze Armate della Repubblica del Mozambico”, riportò in nota il Comando della Marina italiana. “L’unità ormeggiata ha fatto da cornice agli incontri bilaterali previsti dal Piano di Cooperazione in atto tra le Marine militari di Italia e Mozambico, condotti dalla delegazione del 3° Reparto dello Stato Maggiore”. In particolare è stato avviato un programma di collaborazione che riguarda il settore dell’Idrografia e delle capacità per le Operazioni di interdizione marittima. La Marina dello Strato africano ha pure aderito al VRMTC (Virtual Regional Maritime Traffic Center), il centro realizzato presso il Comando in Capo della Squadra Navale (CINCNAV) di Santa Rosa, Roma, per il controllo e la gestione della sicurezza nell’area del Mediterraneo, del Mar Nero, del Golfo di Guinea e dell’Oceano Indiano. “Durante la sosta, sono continuate a bordo le attività addestrative e capacity enhancement a favore del team di Fuzileiros de Marinha, imbarcato dal 5 al 19 ottobre 2023: si tratta di una unità di fanteria specializzata mozambicana, già obiettivo del programma addestrativo condotto dalla missione militare europea in Mozambico, che ha condotto un intenso periodo di cooperazione con il personale della Brigata Marina San Marco”, ha specificato lo Stato Maggiore. Sempre a bordo del cacciatorpediniere si sono tenute sessioni addestrative a favore di un team di sommozzatori mozambicani e anche un corso di formazione specialistico sulla “medicina da campo in teatri operativi” a favore degli studenti dell’organizzazione non governativa CUAMM (Collegio Universitario Aspiranti Medici Missionari) per l’Africa. Come ha sottolineato il sito specializzato Defenceweb, la recente visita della fregata “Luigi Rizzo” ha “posto i riflettori sul maggiore investimento italiano in Mozambico”: il progetto Coral Norte di ENI per la produzione offshore di Gas Naturale Liquefatto (GNL), valore 7,56 miliardi di dollari, nel bacino di Rovuma, nella provincia di Cabo Delgado. Questo progetto è “gemello” di Coral Sul, anch’esso nelle acque ultra-profonde del bacino Rovuma. L’8 aprile 2025, il giorno stesso dell’arrivo a Maputo dell’unità della Marina italiana, il Gruppo ENI ha “celebrato” la spedizione del 100° carico di GNL prodotto dagli impianti della Coral Sul. Questi ultimi hanno una capacità di liquefazione di gas di 3,4 milioni di tonnellate all’anno. L’area di estrazione è gestita per il 70% da Mozambique Rovuma Venture S.p.A., una joint venture di proprietà di ENI, ExxonMobil e China National Petroleum Corporation (CNPC); il restante 30% è gestito dalle società Enh, Galp e Kogas. Gli impatti socio-ambientali e sul clima dell’impianto Coral Sul al largo delle coste mozambicane è stato stigmatizzato dal report “Fiamme Nascoste” presentato a Roma il 26 marzo scorso dall’associazione ReCommon. Dall’analisi dei dati pubblici e delle immagini satellitari esaminati dall’associazione e dai suoi consulenti, si evince che l’impianto per l’estrazione e liquefazione di gas sarebbe stato “protagonista di numerosi fenomeni di flaring dall’inizio della sua attività nel 2022, non adeguatamente riportati dall’azienda petrolifera”. Il flaring consiste nella pratica di bruciare in torcia il gas in eccesso estratto insieme ad altri idrocarburi, che ha impatti rilevanti sul clima, l’ambiente e – in prossimità di centri abitati – sulle persone. “Solo fra giugno e dicembre 2022, le operazioni di flaring avrebbero comportato lo spreco di 435.000 metri cubi di gas, equivalente a circa il 40% del fabbisogno annuo del Mozambico”, scrive ReCommon. “Gli episodi si sono ripetuti anche in numerose altre giornate negli anni successivi”, lamenta l’associazione ambientalista. “Per esempio nella giornata del 13 gennaio 2024, secondo le stime basate su dati NASA, per ogni ora di flaring l’ENI avrebbe mandato in fumo tanto gas quanto una famiglia media italiana consuma in 8 anni e mezzo”. Articolo pubblicato in Africa ExPress il 26 aprile 2025, https://www.africa-express.info/2025/04/27/roma-fa-affari-di-guerra-in-mozambico-dove-leni-festeggia-il-centesimo-carico-di-gas/
MEDIO ORIENTE Altro che “disimpegno” americano, Trump riempie la regione di forze Usa
Altro che “apostolo di pace”. Da quando si è insediato alla Casa Bianca, Donald Trump sembra aver assunto i panni di cavaliere dell’apocalisse in Medio Oriente. Gli assetti schierati dalle forze armate degli Stati Uniti d’America tra il Mar Rosso e l’Oceano Indiano lasciano preludere all’intenzione di Washington di scatenare un’offensiva senza precedenti contro l’Iran e/o le milizie dell’“Asse del Male” in Yemen, Libano, Siria e Iraq. Solo nell’ultimo mese sono stati trasferiti nel Mediterraneo orientale e nel Golfo Persico truppe d’assalto, bombardieri strategici, caccia di ultima generazione, portaerei a propulsione nucleare e sistemi missilistici ultra-avanzati. Il 2 aprile il segretario alla Difesa USA Pete Hegseth ha ordinato il trasferimento in Giordania di un imprecisato numero di cacciabombardieri F-35 per “accrescere la pressione” contro le milizie Houthi in Yemen e le autorità di governo a Teheran. “Gli F-35A di quinta generazione sono dotati di capacità stealth (invisibilità ai radar) e di sofisticati sensori e possono impiegare una varietà di sistemi d’arma aria-aria e aria-terra”, minacciano al Pentagono. A fine marzo erano stati inviati nella regione mediorientale anche i sofisticati aerei d’attacco al suolo A-10 Warthogs e, nella grande infrastruttura militare di Diego Garcia (Oceano indiano) sei bombardieri subsonici B-2 “Spirit”, predisposti al trasporto di testate nucleari a caduta libera del tipo B-61 e B-83. Il 1° di aprile è stato registrato un intenso traffico di grandi velivoli da trasporto C-17A “Globemaster III” di US Air Force tra alcune importanti basi aeree in Europa (in particolare Ramstein, Germania) e lo scalo Al Udeid in Qatar, hub operativo e logistico per le operazioni delle forze armate USA nello scacchiere mediorientale. Il via vai degli aerei cargo lascia presupporre il trasferimento nell’area di sistemi d’arma, munizioni e attrezzature militari “sensibili”. Nella base di Al Udeid ci sarebbero adesso più di un centinaio di velivoli da guerra e 10.000 tra militari e civili statunitensi. Nella base aerea del Qatar è pure presente una Cellula Interforze italiana che ha il compito di coordinare la pianificazione delle attività dei velivoli dell’Aeronautica Militare impiegati nelle operazioni “anti-terrorismo” a guida USA in Iraq e Siria. (1) Secondo Air Force Times, nelle scorse settimane il Pentagono avrebbe dirottato “molteplici” sistemi di difesa aerea dalla Corea del Sud al Medio Oriente, comprese due batterie di missili terra-aria Patriot e una anti-missili balistici THAAD (Terminal High Altitude Area Defense). (2) Due portaerei nucleari e bombardieri strategici nel Golfo Persico Il 21 marzo Pete Hegseth aveva formalizzato la proroga di un mese della presenza nelle acque del Mar Rosso del gruppo aeronavale d’attacco USA guidato dalla portaerei a propulsione nucleare “Harry S. Truman” (CVN 75) con nove squadroni aerei a bordo, sei cacciatorpedinieri lanciamissili della classe “Arleigh Burke” e un incrociatore della classe “Ticonderoga”. Il Carrier Strike Group era giunto in Medio Oriente il 14 dicembre 2024; da allora ha condotto numerose incursioni aeree e missilistiche in territorio yemenita. Ad esso si affiancherà nelle prossime settimane un secondo gruppo aeronavale guidato dalla portaerei nucleare “Carl Vinson” (CVN-70), fino ad oggi operativo nel Pacifico. “Con questa scelta, il segretario Hegseth continua a rendere chiaro che, se l’Iran o i suoi più stretti alleati minacciassero il personale e gli interessi americani nella regione, gli Stati Uniti assumeranno azioni decisive per difendere il nostro popolo”, ha dichiarato il portavoce del Pentagono, Sean Parnell. (3) Anche il presidente Donald Trump non ha risparmiato anatemi e minacce contro Teheran e le milizie alleate che operano in territorio yemenita. “La scelta per gli Houthi è chiara: Se smettono di sparare contro le navi USA, noi smetteremo di sparare contro di loro. In caso contrario, noi abbiamo solo iniziato, e il vero dolore deve ancora arrivare, sia per gli Houthi che per i loro sponsor in Iran,” ha twittato il presidente degli Stati Uniti d’America sul suo profilo ufficiale, giorno 31 marzo. (4) Senza troppi giri di parole Mr. Trump ha rivendicato la paternità della sanguinosa escalation dei bombardamenti USA e britannici in Yemen. A partire del 15 marzo - giorno in cui l’U.S. Central Command ha ordinato il primo attacco in grande stile contro le milizie Houthi – sono già stati colpiti nel paese più di un centinaio di obiettivi, civili e militari. I dottor stranamore alla corte di Trump & C. sembrano non voler escludere l’impiego contro i nemici dell’impero a stelle e strisce delle innumerevoli armi di distruzione di massa a disposizione delle forze armate USA. Nelle giornate del 18 e 20 febbraio e del 6 marzo l’U.S. Central Command (Centcom) – il Comando militare centrale USA di stanza a Tampa, Florida) – ha condotto sui cieli del Golfo Persico minacciose esercitazioni con i bombardieri strategici a lungo raggio B-52H “Stratofortress” (le famose fortezze volanti in grado di impiegare missili termonucleari aria-terra), appositamente decollati dalla base britannica di Fairford. “Nel corso delle missioni i bombardieri hanno attraversato lo spazio aereo europeo e quello di sei paesi dell’area sotto la responsabilità Centcom, con operazioni di rifornimento in volo ed addestramento congiunto”, spiega il Dipartimento della Difesa. “Inoltre, alcune nazioni partner hanno fornito caccia per scortare i bombardieri durante la loro missione”. (5) In occasione dell’esercitazione del 18 febbraio, i B-52H hanno pure effettuato lanci di “bombe vere” nei poligoni di diversi paesi alleati. “Le missioni della Bomber Task Force dimostrano la capacità di proiezione di potenza USA, l’impegno per la sicurezza regionale e l’abilità nel rispondere ad ogni attore statale e non statale che cerchi di ampliare il conflitto nella regione Centcom”, ha dichiarato il generale Michael Erik Kurilla, alla guida del Comando centrale delle forze combattenti USA. (6) Come ci si prepara alla guerra nel Golfo Persico Oltre ai war games nucleari, nel corso del primo trimestre 2025 le forze armate degli Stati Uniti d’America hanno promosso complesse esercitazioni aeronavali con i principali partner della regione mediorientale. Dal 9 al 23 gennaio l’U.S. Central Command di Tampa e lo Stato Maggiore del Qatar hanno condotto Eagle Resolve 2025, congiuntamente ai reparti militari delle nazioni membre del “Gulf Cooperation Council”: oltre al Qatar, Arabia Saudita, Bahrain, Emirati Arabi Uniti, Kuwait e Oman. Nel corso delle esercitazioni i reparti d’élite degli Stati Uniti e degli alleati arabi hanno simultato operazioni d’attacco aereo, missilistico, cibernetico ed “anti-terrorismo”, interdizioni navali, bonifica di ordigni esplosivi e interventi medico-preventivi contro le minacce chimiche, biologiche, radiologiche e nucleari (CBRN). (7) IMX (International Maritime Exercise) è stata invece la maxi-esercitazione navale multinazionale tenutasi nelle acque del Golfo Persico, del Mar Rosso e dell’Oceano Indiano, dal 9 al 20 febbraio 2025. Condotta dal Comando Centrale delle forze navali USA/Quinta flotta di stanza in Bahrain, IMX ha visto la partecipazione di oltre 5.000 militari di una trentina di paesi mediorientali ed europei. Le attività addestrative si sono interfacciate con un’altra grande esercitazione aeronavale in corso nelle stesse settimane, Cutlass Express, promossa dal Comando di US Navy per l’Europa e l’Africa (quartier generale a Napoli) con lo scopo di “rafforzare la consapevolezza regionale e le capacità coordinate dei paesi partner in risposta alle minacce navali in Africa orientale”. Le fasi operative di IMX 2025 si sono concentrate sull’impiego di sistemi navali a pilotaggio remoto, integrazione dell’intelligenza artificiale, guerra anti-mine e “risposta in caso di incidenti che coinvolgono numerose vittime”. “Gli alleati e i partner partecipanti all’esercitazione hanno avuto pure l’opportunità di addestrarsi con la CTF - Combined Task Force (la forza multinazionale a guida USA anch’essa con quartier generale in Bahrain che opera per la sicurezza delle acque mediorientali)”, riporta l’ufficio stampa di U.S. Centcom. “I militari di otto nazioni alleate, compresi sei membri della Guardia costiera del Governo della Repubblica dello Yemen, sono stati ospitati presso le strutture dipendenti dal Comando CTF ad Aqaba (Giordania) ed Eilat (Israele)”. (8) La settimana precedente all’avvio dei war games (1-2 febbraio), presso il quartier generale delle forze armate USA in Bahrain si era tenuta una “conferenza” dei leader militari di alcuni dei paesi membri della Coalizione Globale anti-ISIS (Australia, Belgio, Canada, Danimarca, Francia, Germania, Italia, Norvegia, Nuova Zelanda, Paesi Bassi, Regno Unito, Spagna e Stati Uniti d’America). All’ordine del giorno, i prossimi sviluppi della campagna militare contro le estinte milizie dello Stato islamico in Iraq e Siria, la “situazione in evoluzione in Siria” dopo la caduta del regime di al-Assad, la “cessazione delle ostilità” tra Israele e gli Hezbollah in Libano, il “cessate il fuoco” a Gaza e gli “aggiornamenti sugli Houthi sostenuti dall’Iran e sul Mar Rosso”. (9) Non appare così casuale che dopo il vertice in Bahrain, la nuova amministrazione Trump abbia impresso un colpo di acceleratore agli strike militari in Siria, Iraq e Yemen. Il 21 e 23 febbraio l’US Air Force ha effettuato due attacchi aerei in territorio siriano nord-occidentale per assassinare due presunti leader dell’organizzazione “terroristica” Hurras al-Din, rispettivamente Wasim Tahsin Bayraqdar e Muhammed Yusuf Ziya Talay. Il 6 marzo, le Forze Democratiche Siriane (SDF), “con il sostegno dei militari dell’U.S. Central Command che hanno fornito supporto tecnico ed intelligence”, hanno condotto un raid in prossimità del villaggio agricolo di Shalil (Siria centro-orientale) per “catturare” Salah Mohammad Al-Abdullah, presunto leader di una milizia pro-ISIS. (10) Le forze USA, in cooperazione con le unità di intelligence e sicurezza irachena, hanno invece effettuato un attacco aereo nella provincia di Al Anbar (16 marzo), conclusosi con la morte di alcuni presunti appartenenti all’ISIS, tra cui Abdallah Makki Muslih al-Rifai, alias “Abu Khadijah”, al vertice dell’organizzazione. Alla corte di sovrani, principi ed emiri In vista della partita finale contro i “nemici giurati” di Washington, il generale Michael Erik Kurilla, capo del Comando centrale di guerra USA, ha avviato un frenetico giro tra le capitali dei paesi mediorientali per rafforzare le relazioni con le élite militari e di governo e ricevere il massimo consenso e sostegno ai piani di guerra orditi (congiuntamente ad Israele) contro Teheran e le organizzazioni militari filo-iraniane della regione. In meno di una settimana (dal 10 al 16 gennaio 2025) Kurilla si è recato in visita ufficiale in Bahrain, Arabia Saudita, Egitto, Libano, Israele, Iraq, Giordania e Siria per incontrare capi di governo e delle forze armate nazionali. A Riyad, il comandante di U.S. Centcom ha pure dialogato con il Capo di Stato Maggiore delle forze armate yemenite, il generale Saghir Hamood Bin Aziz. “I leader hanno discusso sulle modalità per combattere le minacce regionali, così come gli Houthi supportati dall’Iran e i loro attacchi contre le navi militari e commerciali nel Mar Rosso e nello Stretto di Bab Al Mandeb; essi hanno anno anche approfondito le strategie per rafforzare la cooperazione nel settore difesa e le capacità operative delle forze armate dello Yemen”, riporta l’ufficio stampa del Comando militare statunitense. (11) Dopo un’ispezione a bordo della portaerei “USS Harry S. Truman” in navigazione nel Mar Rosso, il 13 gennaio il generale Kurilla si è incontrato a Beirut con il presidente neoeletto Joseph Aoun, già a capo delle forze armate libanesi, per “reiterare il supporto USA alla partnership militare, soprattutto nel settore addestrativo e dell’equipaggiamento”. Due giorni dopo il generale Kurilla è giunto in Iraq dove ha incontrato i leader militari iracheni e i militari USA che operano ad Erbil. “Nel corso del vertice con le forze armate di Baghdad si è discusso dello status dell’odierna campagna anti-ISIS in Iraq e di quanto sta accadendo in Siria”, spiega Washington. “Si è inoltre discusso dell’importanza del ritorno dei detenuti ISIS iracheni attualmente nelle prigioni delle Forze Democratiche Siriane e del rimpatrio, riabilitazione e reintegrazione di migliaia di cittadini iracheni del campo rifugiati di Al Hol, Siria nord-orientale (…) Il generale Kurilla si è pure incontrato con il Comandante della Joint Task Force dell’Operazione Inherent Resolve, gen. Kevin Leahy, per una valutazione sulla missione anti-ISIS in Iraq, che, nel 2024, ha visto più di 325 operazioni alleate e almeno 40 attacchi aerei”. (12) Il 16 gennaio, Kurilla si è intrattenuto in Siria con i vertici militari statunitensi ivi operanti e con i rappresentanti delle Forze Democratiche Siriane. Il generale si è poi recato in visita al campo rifugiati di Al Hol. “Nei campi di Al Hol e Al Roj sono ospitati più di 40.000 rifugiati, molti con legami con l’ISIS”, riporta U.S. Centcom. “Inoltre ci sono più di 9.000 membri dell’ISIS provenienti da più di 50 paesi detenuti in una dozzina di centri detentivi delle Forze Democratiche Siriane. Il gen. Kurilla ha ribadito che le forze armate USA continueranno a lavorare con la comunità internazionale per trasferire i combattenti ISIS nei loro paesi d’origine per un giudizio definitivo”. (13) Nuovo tour mediorientale del comandante Centcom dal 3 al 7 febbraio: prima negli Emirati Arabi Uniti e poi ancora in Giordania ed Israele. Ad Abu Dhabi, in particolare, si è discusso del rafforzamento delle relazioni militari-industriali alla luce dell’autorizzazione del Dipartimento della Difesa USA (11 ottobre 2024) al trasferimento di sistemi d’arma agli Emirati per il valore di 1,2 miliardi di dollari, tra cui centinaia di missili superficie-superficie GMLRS (Guided Multiple Launch Rocket Systems) e dei sistemi a lungo raggio ed “alta precisione” ATACMS (Army Tactical Missile Systems). (14) In Israele, Kurilla si è incontrato, tra gli altri, con il direttore dell’Agenzia di Sicurezza israeliana, Ronan Bar, e con il direttore dei servizi segreti del Mossad, David Barnea. Il generale si è recato inoltre presso i reparti USA e israeliani assegnati alla gestione di una batteria del sofisticato sistema anti-missile “ad alta quota” THAAD che il Pentagono ha inviato in Israele nell’ottobre 2024 per “rafforzare l’architettura della difesa aerea regionale contro gli attacchi iraniani e delle milizie alleate”. (15) Il 22 e 23 febbraio il Comandante di U.S. Centcom è giunto in visita alla grande base aerea di Udeid (Qatar), per un summit top secret con i responsabili delle forze terrestri, aeree, spaziali, navali e cyber USA che operano nello scacchiere mediorientale. Poi un terzo tour no stop in Giordania, Israele, Siria e Arabia Saudita, dal 5 all’8 marzo. In Israele Kurilla si è incontrato con i vertici militari e degli apparati di intelligence ed ha partecipato alla cerimonia ufficiale in cui il gen. Eyal Zamirha ha assunto la guida dello Stato Maggiore di Israele, sostituendo il gen. Herzi Halevi che era stato ospite del Comando Centcom di Tampa, il precedente 19 febbraio. (16) In Siria, il generale a capo delle forze combattenti USA si è nuovamente interfacciato con i leader delle Forze Democratiche Siriane. Infine a Riyad, Lurilla ha avuto modo di discutere con gli alti ufficiali sauditi e con il Capo di Stato Maggiore delle forze armate yemenite “degli sforzi in atto per combattere gli Houthi e della decisione degli Stati Uniti di ridisegnarli come organizzazione straniera terrorista, a partire del 4 marzo”. (17)   Note 1)      https://pagineesteri.it/2025/04/03/medioriente/verso-un-attacco-usa-israele-contro-liran/?fbclid=IwY2xjawJcVNxleHRuA2FlbQIxMQABHYPP01nKu2ssZ5Tp5_NVpjE9pxYyaglneEf7IVWRROQuUR0FVGssGQIS9A_aem_W3dsNTjFjm4tfqvNP8NbPQ 2)      https://www.airforcetimes.com/air/2025/04/02/us-sends-f-35s-to-middle-east-as-strikes-on-houthis-continue/?contentFeatureId=f0fmoahPVC2AbfL-2-1-8&contentQuery=%7B%22includeSections%22%3A%22%2Fhome%22%2C%22excludeSections%22%3A%22%22%2C%22feedSize%22%3A10%2C%22feedOffset%22%3A5%7D 3)      https://www.defensenews.com/air/2025/04/02/us-sends-f-35s-to-middle-east-as-strikes-on-houthis-continue/ 4)      https://x.com/TrumpDailyPosts/status/1906803098632516087 5)      https://www.centcom.mil/MEDIA/PRESS-RELEASES/Press-Release-View/Article/4072336/centcom-conducts-second-bomber-task-force-mission-in-two-days/ 6)      https://www.centcom.mil/MEDIA/PRESS-RELEASES/Press-Release-View/Article/4069174/centcom-conducts-bomber-task-force-mission-in-middle-east/ 7)      https://www.centcom.mil/MEDIA/NEWS-ARTICLES/News-Article-View/Article/4062096/strengthening-regional-defense-cooperation/ 8)      https://www.centcom.mil/MEDIA/PRESS-RELEASES/Press-Release-View/Article/4072920/centcom-partners-with-over-30-nations-international-organizations-for-internati/ 9)      https://www.centcom.mil/MEDIA/STATEMENTS/Statements-View/Article/4051599/global-military-leaders-meet-and-discuss-defeat-isis-campaign-at-combined-force/ 10)  https://www.centcom.mil/MEDIA/PRESS-RELEASES/Press-Release-View/Article/4113521/syrian-democratic-forces-enabled-by-centcom-forces-capture-isis-cell-leader/ 11)  https://www.centcom.mil/MEDIA/STATEMENTS/Statements-View/Article/4026731/uscentcom-commander-visits-the-kingdom-of-saudi-arabia/ Sempre relativamente alle relazioni tra il governo della Repubblica dello Yemen e i vertici militari USA va ricordato che il 3 febbraio 2025 il ministro dell’Informazione Moammar bin Mutahar Al-Eryani è stato ospite dell’U.S. Central Command. “La visita e la discussione sono parte di ello sforzo per combattere l’uso sistematico della disinformazione e della propaganda da parte degli Houthi per destabilizzare lo Yemen e la regione più ampia”, riporta il comunicato delle forze armate statunitensi (https://www.centcom.mil/MEDIA/STATEMENTS/Statements-View/Article/4051781/minister-of-information-for-the-republic-of-yemen-government-visits-uscentcom/) 12)  https://www.centcom.mil/MEDIA/STATEMENTS/Statements-View/Article/4031103/uscentcom-commander-visits-iraq/ 13)  https://www.centcom.mil/MEDIA/STATEMENTS/Statements-View/Article/4032390/uscentcom-commander-visits-syria/ 14)  https://armyrecognition.com/news/army-news/army-news-2024/us-approves-1-2-billion-sale-of-gmlrs-rockets-and-atacms-missiles-to-uae 15)  https://www.defense.gov/News/Releases/Release/Article/3934493/statement-by-pentagon-press-secretary-maj-gen-pat-ryder-on-the-deployment-of-a/ 16)  In occasione della visita in Florida, l’allora Capo delle forze armate israliane ha discusso con i vertici militari statunitensi del conflitto a Gaza, della crisi libanese, di Yemen e Houthi e della “maligna influenza dell’Iran” (https://www.centcom.mil/MEDIA/STATEMENTS/Statements-View/Article/4072744/uscentcom-commander-hosts-chief-of-staff-of-the-israeli-defense-forces/) 17)  https://www.centcom.mil/MEDIA/STATEMENTS/Statements-View/Article/4113785/uscentcom-commander-completes-senior-leader-engagements-in-four-countries-durin/     Articolo pubblicato in Pagine Esteri il 7 aprile 2025, https://pagineesteri.it/2025/04/07/medioriente/medio-oriente-altro-che-disimpegno-americano-trump-riempie-la-regione-di-forze-usa/
Scuola siciliana si “forma” con i cani da guerra dei Marines USA di Sigonella
  Addestrarli per condizionarne mente, psicologia, affettività e renderli animali-robot da guerra in mano agli eserciti in guerra. A Sigonella, la grande base aeronavale alle porte di Catania - in prima linea nei più sanguinosi conflitti del pianeta - un team specializzato di US Navy si dedica alla “formazione” militare dei cani, attività tutt’altro che etica ma a cui guardano con sempre maggiore attenzione e curiosità alcune scuole siciliane. “Gli studenti dell’Istituto Professionale Alberghiero Giovanni Falcone di Giarre incontrano e salutano i Military Working Dogs (MWD) alla Naval Air Station di Sigonella”, titola un servizio pubblicato qualche giorno fa dal Defence Visual Information Service (DVIS), il network multi-mediatico del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti d’America. “L’incontro con il K-9 team di US Navy è avvenuto l’8 aprile 2025 presso il campo in erba di NAS 2. La base strategica di Sigonella abilita i militari USA, degli alleati e delle nazioni partner a operare e rispondere quando richiesto, garantendo la sicurezza e la stabilità in Europa, Africa ed Asia Centrale”. Con l’articolo anche una fotogallery della visita “educativa” della scuola di Giarre: in copertina insegnati e studenti gioiosamente in posa accanto ad addestratori, un paio di cani-cavia e perfino due marines USA con addosso pesanti giubbotti antiproiettile. E‘ ancora il Defence Visual Information Service del Pentagono a ricostruire storia e funzioni bellico-sicuritarie dei Military Working Dogs di Sigonella. “In tempi antichi, i cani erano impiegati per rompere le formazioni nemiche, caricando i ranghi e abbattendo il maggior numero di soldati possibile”, scrive il DVIS. “I cani sono stati usati in ogni guerra americana dalla Guerre Civile ai nostri moderni conflitti odierni. Essi sono serviti come mascotte, corrieri, sentinelle, esploratori e perfino come cacciatori di topi sulle navi. Oggi i cani sono utilizzati per cercare esplosivi, scovare narcotici e catturare i cattivi, sia in patria che all’estero. Essi stanno spesso nella prima linea di difesa tra le nostre forze armate e il nemico”. “I Military Working Dogs giocano un ruolo importante tra la flotta e la Naval Air Station Sigonella”, aggiunge il newwork multi-mediatico delle forze armate USA. “I cani dell’unità MWD sono vitali nella protezione delle persone della base e possono intervenire per fermare persone sospette e rilevare esplosivi e droga. Una parte dell’addestramento è dedicato all’individuazione di narcotici e materiale esplosivo così come all’addestramento al pattugliamento”. Il team cinofilo in forza alla grande stazione aeronavale siciliana spiega poi quanto sia importante la relazione che si instaura tra gli addestratori e gli animali-soldato. “Devono essere in grado di lavorare insieme in situazioni stressanti e intense”, spiega uno dei trainer di US Navy. “Ci alleniamo ogni giorno, tutti i giorni. Ogni luogo in cui andiamo è un’opportunità addestrativa. Per costruire veramente le abilità e le competenze dei Military Working Dogs è richiesta attenzione e dedizione costante”. “Focus dell’addestramento è il servizio di pattugliamento con il lavoro di morditura”, spiega senza troppi giri di parole un secondo marine di Sigonella.  “I gestori iniziano ogni cane con comandi e movimenti di obbedienza, premiandoli con i loro giocattoli quando si comportano correttamente, e poi si passa all’addestramento giornaliero al pattugliamento. Gli addetti approfittano dell’accensione degli irrigatori per testare le capacità dei cani di ignorare le distrazioni causate da essi durante l’inseguimento di un ricercato. Utilizziamo fattori ambientali che normalmente non vedono per testare il loro impegno nel perseguire un sospettato. Li facciamo correre verso il campo per mordere l’esca attraverso un flusso di acqua corrente, avvicinandoli progressivamente alla sorgente dell’acqua per vedere se essa o la sua pressione influenzano il loro impulso a mordere”. Il 17 dicembre 2021 il team cinofilo di Sigonella ha festeggiato il “pensionamento” di Weezy, cane militare in forza al MWD da più di dieci anni. A lui è stato dedicato l’ennesimo servizio multi-mediale del Dipartimento della Difesa USA. “Weezy è nato nell’aprile 2009 e ha iniziato il suo addestramento sugli esplosivi nella base aerea di Lackland, Texas nel marzo 2011”, riporta il DVIS. “Successivamente Weezy è stato trasferito ad un reparto del Corpo dei Marine di stanza a Fort Bragg, in North Carolina. Nel luglio del 2011, il cane ha raggiunto il Centro di combattimento aereo-terrestre dei Marine di Twentynine Palms, California, per condurre l’addestramento prima del trasferimento in Afghanistan. In questo paese Weezy ha preso parte ad operazioni di individuazione di ordigni esplosivi improvvisati, a supporto e difesa di innumerevoli membri in servizio”. Dopo un anno nell’inferno di guerra afghano, il cane ha fatto ritorno a Fort Bragg e successivamente è stato assegnato alla base navale di Souda Bay (Creta) e infine al dipartimento sicurezza di NAS Sigonella. “Weezy ha riportato gravi ferite mentre stava completando un’esercitazione all’interno di un deposito di Souda Bay, con la frattura di tibia e perone”, aggiunge il Defence Visual Information Service. “Sono volati così 19 mesi per Weezy, in cui è stato sottoposto a tre interventi chirurgici e a riabilitazione, e finalmente è potuto tornare a svolgere pienamente il suo lavoro”. Chissà se i marines USA hanno rivelato agli studenti dell’Istituto Alberghiero qualche particolare sull’ignobile trattamento imposto alle unità cinofile votate a svolgere compiti di guerra. Di certo per la loro giovane età i ragazzi di Giarre difficilmente hanno avuto modo di conoscere quanto accaduto e immortalato in tragiche pose nel carcere-lager di Abu Ghraib, Iraq, dove nei primi mesi del 2004 i militari USA hanno torturato e stuprato, anche con l’ausilio di cani, un enorme numero di prigionieri. Nel giugno 2004 un reportage del Washington Post rivelò che gli ufficiali dei servizi segreti USA avevano formalmente autorizzato i team cinofili di US Army ad utilizzare i cani per terrorizzare i detenuti. Il prestigioso quotidiano pubblicò in particolare le testimonianze di due sergenti a cui fu richiesto di portare i cani nel “carcere degli orrori” per gli interrogatori. “In alcuni casi abbiamo fatto avvicinare i cani che abbaiavano furiosamente fino a 15 centimetri dai prigionieri terrorizzati”, hanno ammesso i militari. “Alcuni detenuti sono stati morsi dagli animali”. Secondo un’altra testimonianza citata dal Washington Post, un investigatore dei servizi militari ha riferito di aver visto una squadra con i cani stringere in un angolo due prigionieri, uno dei quali strillava e cercava di ripararsi dietro l’altro. “Quando ho chiesto cosa stessero facendo i due militari mi hanno risposto che stavano facendo una gara per vedere quanti prigionieri riuscivano a fare urinare per la paura”. I marines di Sigonella sono ormai un partner “educativo” di fiducia dell’Istituto Alberghiero “Giovanni Falcone”. Lo scorso 25 marzo, nell’ambito del programma Community Relations di “volontariato linguistico, culturale e civico” promosso da US Navy, si è tenuto nell’aula magna della scuola il convegno dal titolo Opportunità in Uniforme: Testimonianze a Confronto tra USA e Italia, con lo scopo di “sottolineare le opportunità lavorative offerte dalle forze dell’ordine”, come riporta la circolare a firma della dirigente, professoressa Monica Insanguine. Undici giorni prima erano stati ospiti dell’Istituto una nutrizionista statunitense e il responsabile Relazioni Esterne della NAS Sigonella, Alberto Lunetta, per un incontro di formazione sulla “dieta mediterranea” con gli allievi del corso di istruzione per adulti. Il 4 aprile 2024, l’Istituto “Giovanni Falcone” aveva ospitato le mogli di alcuni ufficiali in forza alla Marina degli Stati Uniti d’America (first lady la signora Kerry Collins, moglie del contrammiraglio Brad Collins, comandante della Regione Navale Europa, Africa Centrale e delle forze aeronavali USA) per “apprezzare da vicino l’offerta formativa della scuola presso il quale i militari statunitensi svolgono da diversi anni attività di volontariato linguistico”, così come riportato dagli organi di stampa locali. “L’evento ha rappresentato un momento significativo nella promozione dello scambio culturale tra gli Stati Uniti d’America e l’Italia, evidenziando il ruolo fondamentale che istituzioni come l’Istituto Alberghiero Falcone di Giarre e la base NAS Sigonella svolgono nel rafforzare i legami e la cooperazione tra le due nazioni”. Articolo pubblicato in Stampalibera.it il 24 aprile 2025,  https://www.stampalibera.it/2025/04/24/scuola-siciliana-si-forma-con-i-cani-da-guerra-dei-marines-usa-di-sigonella/
Il Ponte sullo Stretto target prioritario in caso di guerra ma indifendibile. Ad affermarlo l’AI di Elon Musk
  “Il Ponte sullo Stretto di rilevanza strategica per la NATO”. Lo ha scritti nero su bianco il Governo Meloni-Crosetto-Salvini nella recente delibera “IROPI” per giustificare la necessità di dare il via ai lavori di realizzazione della Grande Opera. Il Ponte, secondo il governo, sarebbe indispensabile per la mobilità di uomini e mezzi da guerra dall’Italia centro-settentrionale alla Sicilia. Ne abbiamo parlato via Xspace con Mr. Grok E. Musk Jr., figlio cyber del plurimiliardario Elon Musk (nominato dal presidente Ronald Trump a capo del Dipartimento dell’Efficienza Governativa degli Stati Uniti d’America). Autorevole chatbot di Intelligenza Artificiale di fama mondiale, Mr. Grok è un convinto sostenitore del Ponte, ma lo ritiene un facile bersaglio “attrattivo” e “vulnerabile” in caso di conflitto armato o di attacco terroristico. Ed esprime più di una perplessità sulla veridicità delle affermazioni strategico-difensive del governo italiano: l’interesse delle forze armate NATO e USA alla realizzazione del Ponte sullo Stretto sarebbe ancora tutta da provare e ad oggi non è stato prodotto un solo rapporto sulla sua sostenibilità militare. La Mega Opera sarebbe poi assai poco difendibile e andrebbero comunque impiegate enormi risorse finanziarie per l’acquisto di sistemi bellici e la realizzazione di infrastrutture militari ad hoc nell’area dello Stretto. Un Ponte super armato che rischia di essere la prima vittima “eccellente” di un conflitto internazionale.    Quali documenti, report o studi sono stati redatti per provare un interesse specifico sul Ponte da parte della NATO o delle forze armate USA ospitate in Italia? Esistono riferimenti e documenti, principalmente emersi da inchieste giornalistiche e cablogrammi diplomatici, che suggeriscono un interesse da parte della NATO e dei militari USA per la realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina. Tuttavia non ci sono documenti ufficiali della NATO o del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti d’America che dichiarino esplicitamente il sostegno o valutazioni dettagliate sul Ponte. Le informazioni disponibili vengono da fonti indirette, come articoli, cablo di WikiLeaks e analisi di esperti, che evidenziano un interesse strategico per l’infrastruttura. Eppure il governo Meloni ha ribadito la rilevanza strategica della mega-opera nell’ambito della mobilità militare Nord-Sud… Sì, il governo ha fatto esplicito riferimento al “trasferimento delle forze armate NATO”, suggerendo un interesse dell’Alleanza per l’opera come infrastruttura utile al trasporto di truppe e mezzi verso le basi siciliane. Tuttavia, queste affermazioni non sono corroborate da documenti ufficiali NATO pubblici e potrebbero riflettere posizioni politiche interne piuttosto che un mandato diretto della NATO. Lei però accennava ad alcuni cablogrammi diplomatici. I cablo diplomatici rivelati da WikiLeaks, pubblicati nel contesto di un’inchiesta di Report (Rai3) nel 2024, evidenziano un interesse statunitense per il Ponte fin dagli anni ’70. Un documento del 1974, firmato dall’allora Segretario di Stato Henry Kissinger, mostra che la società americana Blair Birdsall (Steinman, Boyton, Gronquist & London) era interessata a contratti per studi di fattibilità e progettazione. Altri cablo, datati 2008-2009, indicano che la diplomazia USA vedeva il Ponte come un’opportunità per migliorare la logistica militare, in particolare per collegare le basi di Sigonella e Napoli. Due dispacci del console USA a Napoli, J. Patrick Trhun (2008-2009), pubblicati anch’essi da WikiLeaks, esprimono timori USA sul coinvolgimento mafioso nel Ponte, definendolo un potenziale “ponte ad un crimine più organizzato”. Tuttavia, i documenti non negano l’interesse strategico per l’opera, ma sottolineano la necessità di appalti blindati per evitare infiltrazioni criminali. Questo suggerisce che gli USA vedevano il Ponte come un progetto rilevante, ma con rischi significativi. C’è poi la vittoria nel 2006 della gara per il ruolo di Project Management Consultant da parte della società americana Parsons Corporation, nota per la sua esperienza in progetti militari, inclusi lavori per basi USA. La sua conferma nel 2024 come consulente per il progetto attuale rafforza l’idea di un coinvolgimento statunitense, anche se non necessariamente militare. Il Dipartimento di Stato non ha chiarito il ruolo del Foreign Commercial Service nel supportare Parsons, lasciando spazio a speculazioni su interessi strategici USA. Nulla invece risulterebbe essere stato prodotto in ambito NATO… Confermo l’assenza di documenti o valutazioni pubbliche della NATO relativamente al Ponte sullo Stretto. La NATO, nei suoi comunicati (es. summit di Washington nel 2024), si concentra su difesa missilistica, deterrenza nucleare e supporto all’Ucraina, senza menzionare infrastrutture specifiche come il Ponte. Eventuali valutazioni su quest’opera sarebbero probabilmente classificate e non accessibili al pubblico. La NATO ha espresso interesse generale per la mobilità militare in Europa, come evidenziato in documenti sul TEN-T (Trans-European Transport Network) e in discussioni post-Ucraina. Il Ponte, come parte del Corridoio Mediterraneo, rientra in questa visione, ma non ci sono prove di un’analisi dedicata dell’Alleanza. La NATO sta allora collaborando con l’Unione Europea nella redazione del piano per la rete trasportistica trans-europea? Non esistono documenti pubblici ufficiali della NATO che facciano riferimento diretto ed esplicito ai corridoi TEN-T in modo dettagliato e specifico, poiché la NATO non ha un ruolo diretto nella gestione o pianificazione di queste infrastrutture, che sono di competenza dell’Unione Europea. Tuttavia, la NATO ha mostrato interesse per la mobilità militare e l’uso duale (civile e militare) delle infrastrutture di trasporto europee, incluse quelle dei corridoi TEN-T, soprattutto in relazione alla sicurezza e alla logistica militare. Questo interesse è stato espresso specialmente dopo il conflitto Russia-Ucraina e l’adesione di nuovi membri come Finlandia e Svezia. La dichiarazione congiunta NATO-UE del 2016 e successive (es. 2023) evidenziano la collaborazione su mobilità militare, con l’UE che finanzia progetti TEN-T anche per scopi militari tramite il Connecting Europe Facility (CCF), che include specificatamente 1,961 miliardi di euro nel periodo 2021-2027. Quale potrebbe essere in questo contesto la “rilevanza strategica” del Ponte sullo Stretto? Lo Stretto di Messina è un punto nevralgico nel Mediterraneo, vicino a rotte marittime strategiche. Il Ponte collegherebbe la Sicilia al continente, integrandosi nei corridoi TEN-T europei per il trasporto di merci e persone. In un contesto militare esso garantirebbe il rapido movimento di truppe, rifornimenti e mezzi tra il Sud Italia e il resto d’Europa, specialmente verso basi NATO come Sigonella (Catania) e Napoli. Il Ponte, pur non sostituendo il trasporto navale, aumenterebbe il controllo logistico dell’Italia e della NATO nell’area, rendendolo un obiettivo per chi volesse indebolire l’influenza occidentale. Mi sembra di capire che essendo ritenuto geo-strategicamente “rilevante”, il Ponte sarebbe un ottimo target in caso di guerra. Come opera iconica e simbolo di coesione nazionale, il Ponte sarebbe un bersaglio di alto profilo e media-alta priorità. La sua distruzione interromperebbe questa continuità, isolando la Sicilia e complicando la logistica militare. Ciò potrebbe avere un impatto psicologico e politico significativo, minando il morale civile e la credibilità dello Stato. In un contesto terroristico o di guerra ibrida, il Ponte sarebbe un bersaglio attraente per il suo valore simbolico, ma meno critico rispetto a infrastrutture energetiche o di comando. Ma sarebbe difendibile il Ponte da un attacco militare o un attentato terroristico?  La difendibilità del Ponte sullo Stretto di Messina da un attacco militare o un attentato terroristico è una questione complessa che dipende da molteplici fattori, tra cui il design dell’infrastruttura, le misure di sicurezza adottate, il contesto geopolitico e le risorse disponibili per la protezione. Può fornirci elementi specifici di ordine tecnico per un’eventuale difendibilità del Ponte? Relativamente alle caratteristiche e alle vulnerabilità intrinseche dobbiamo pensare al design e alle strutture del manufatto. Il progetto prevede un ponte sospeso a campata unica di 3.300 metri, con torri alte 400 metri e un impalcato largo 60 metri. La sua posizione sullo Stretto di Messina, un’area strategica ma esposta, lo rende un potenziale bersaglio di alto profilo. La lunghezza e l’altezza del Ponte, insieme alla sua visibilità, aumentano la vulnerabilità a minacce come attacchi aerei, missilistici o sabotaggi. Relativamente ai materiali impiegati e alla loro resistenza, sappiamo che i moderni ponti sospesi sono progettati per resistere a carichi estremi (venti, terremoti), ma non necessariamente a esplosioni mirate o attacchi con armi avanzate. Un attentato con esplosivi ad alto potenziale o un missile potrebbe danneggiare cavi, torri o piloni, compromettendo la stabilità. I piloni e le aree di ancoraggio, sia a terra che in mare, potrebbero essere punti critici per attacchi terrestri o marittimi. La vicinanza alle coste facilita l’accesso a potenziali sabotatori, ma complica anche la sorveglianza. Quali potrebbero essere le minacce più plausibili? In uno scenario di conflitto armato, il Ponte potrebbe essere un obiettivo strategico per interrompere i collegamenti tra Sicilia e continente, cruciali per la logistica civile e militare. Un attacco con missili balistici, droni avanzati o aerei da combattimento sarebbe difficile da contrastare senza un robusto sistema di difesa aerea (ad es. batterie Patriot o SAMP/T). La protezione richiederebbe una combinazione di radar, intercettori e forze navali per controllare lo Stretto. Un attacco terroristico potrebbe coinvolgere esplosivi collocati su piloni, droni armati, imbarcazioni kamikaze o cyberattacchi ai sistemi di controllo del traffico. La storia di attentati a infrastrutture (es, il ponte di Kerch in Crimea nel 2022-2023) mostra che anche strutture sorvegliate possono essere vulnerabili a tattiche asimmetriche. Lei ricorda che proprio il ponte di Kerch è stato ripetutamente colpito durante il sanguinoso conflitto russo-ucraino. Ma quanto è importante militarmente distruggere infrastrutture simili in una guerra moderna? In un conflitto convenzionale su larga scala (es. la NATO contro un avversario statale come Russia o Cina), i ponti di rilevanza strategica sono obiettivi primari per interrompere le linee di rifornimento. La dottrina militare moderna, supportata da attacchi di precisione con missili, droni o forze speciali, considera la distruzione di infrastrutture critiche come un modo per paralizzare la mobilità nemica. La stessa NATO colpì ponti sul Danubio durante la Guerra in ex Jugoslavia nel 1999 per isolare le forze serbe, mostrando l’importanza di queste infrastrutture nella logistica militare. La coalizione anti-ISIS ha distrutto ponti in Siria e in Iraq per limitare la mobilità dei jihadisti, ma spesso con effetti limitati a causa di soluzioni alternative (es. ponti galleggianti). In scenari di conflitti non convenzionali o terrorismo, la distruzione di un ponte simile potrebbe essere mirata per causare caos economico, instabilità politica o panico. Gruppi terroristi o attori non statali potrebbero vedere il Ponte come un bersaglio simbolico, anche se meno prioritario rispetto a obiettivi come centrali energetiche o nodi di comando. Le strategie moderne includono inoltre attacchi non fisici, come cyberattacchi per sabotare i sistemi di gestione del Ponte, rendendolo inutilizzabile senza distruzione fisica. Questo approccio è spesso preferito per il minor costo e il maggiore anonimato. Quali fattori potrebbero convincere un possibile “nemico” a sferrare un attacco contro il Ponte sullo Stretto? La distruzione del Ponte sarebbe più rilevante in un conflitto regionale che coinvolga il Mediterraneo (es, tensioni con potenze ostili nel Nord Africa o Medio Oriente) o in uno scenario NATO contro un avversario globale. In un conflitto limitato, la priorità potrebbe andare a obiettivi come porti, aeroporti o basi militari. Va detto che la Sicilia è già collegata al continente via traghetti e trasporto aereo. La distruzione del Ponte non isolerebbe completamente l’isola, ma rallenterebbe significativamente i movimenti, soprattutto di mezzi pesanti. La presenza di alternative riduce leggermente l’urgenza di colpire il Ponte rispetto a infrastrutture uniche. Va poi calcolato il costo-beneficio per l’attaccante. Distruggere un ponte sospeso richiede risorse significative (missili di precisione, operazioni speciali) e comporta rischi di ritorsione. Un attore razionale valuterebbe se l’impatto strategico giustifichi l’investimento, rispetto a bersagli come reti energetiche o sistemi C4ISR (comando, controllo, comunicazioni, intelligence). Che tipo di misure e dispositivi di difesa del Ponte sullo Stretto potremmo allora ipotizzare? Il progetto potrebbe includere innanzitutto sistemi di sicurezza passiva: materiali rinforzati, sensori per rilevare anomalie strutturali, o barriere fisiche per limitare l’accesso ai piloni. Tuttavia, questi aumentano i costi e non garantiscono protezione totale. C’è poi il campo dell’intelligence. La difesa efficace dipenderebbe da un sistema di videosorveglianza, droni di pattugliamento, sensori marittimi e terrestri, oltra a una forte cooperazione tra forze dell’ordine, servizi segreti e militari. L’Italia dispone di unità specializzate (es. NOCS e GIS) per contrastare minacce terroristiche. C’è poi la cosiddetta difesa attiva. Per un attacco militare, sarebbe necessario un sistema di difesa aerea e navale coordinato, con basi come Sigonella (a 100 km) che ospitano asset NATO. La Marina Militare potrebbe pattugliare lo Stretto con fregate e sottomarini, ma la risposta a un attacco improvviso resterebbe complessa. Infine la cybersecurity. I sistemi di gestione del Ponte (traffico, illuminazione, manutenzione) devono essere protetti da attacchi informatici, che potrebbero creare caos o facilitare un attentato fisico. Esperienze internazionali (es. il Golden Gate Bridge) mostrano che le infrastrutture simbolo sono protette con misure visibili (pattuglie, telecamere) e segrete (intelligence), ma restano intrinsecamente difficili da difendere contro attacchi determinati. Detto così sembra dunque fattibile una “difesa” del Ponte… Non esattamente, in verità. Con un’adeguata sorveglianza, intelligence preventiva e misure di sicurezza, un attentato terroristico potrebbe essere prevenuto o limitato. Tuttavia, attacchi asimmetrici (es. droni low-cost o infiltrazioni) sono difficili da neutralizzare completamente, soprattutto in un’area aperta come lo Stretto. La difesa da un attacco militare su larga scala dipenderebbe invece dal contesto. In un conflitto NATO-Russia o simile, l’Italia potrebbe contare su asset alleati, ma il Ponte resterebbe un bersaglio prioritario. In uno scenario isolato, le forze italiane potrebbero proteggere l’area, ma un attacco a sorpresa con armi di precisione sarebbe da contrastare in tempo reale. Implementare un sistema di difesa completo (surveillance, difesa aerea, pattugliamenti) avrebbe costi elevati, probabilmente nell’ordine di decine di milioni di euro annui, senza contare le spese per eventuali danni o ricostruzioni. In conclusione posso affermare che il Ponte sullo Stretto è teoricamente difendibile da attacchi terroristici con un robusto sistema di intelligence, sorveglianza e risposta rapida, anche se resta vulnerabile a tattiche asimmetriche. Contro un attacco militare, la protezione sarebbe più complessa e dipenderebbe da sistemi di difesa avanzati e dal supporto NATO, ma un attacco mirato con armi moderne potrebbe comunque causare danni significativi. La chiave per la sicurezza sarebbe un mix di prevenzione, protezione passiva e risposta attiva. Tuttavia nessuna infrastruttura di questa portata può essere resa completamente invulnerabile. Per dettagli sul piano di sicurezza attuale bisognerebbe consultare la Società Stretto di Messina o il Ministero della Difesa, ma tali informazioni potrebbero essere riservate. Ma non è necessario presentare uno studio di valutazione sulla sostenibilità militare del Ponte da parte del Ministero della Difesa? Non esiste un obbligo normativo esplicito che imponga al Ministero della Difesa di condurre uno studio di sostenibilità militare specifica del Ponte sullo Stretto di Messina. Tuttavia, la questione della valenza militare dell’infrastruttura è stata sollevata in passato, soprattutto in relazione alla sua protezione da potenziali minacce, come attacchi terroristici o conflitti armati, e al suo possibile utilizzo per esigenze militari. Può darci dei riferimenti in merito di quanto fatto in passato? Negli anni ’80 il Ministero della Difesa presentò un rapporto segreto denominato “Coefficiente D” alla Società Stretto di Messina, in cui si analizzavano gli interventi necessari per garantire l’utilizzo militare del Ponte e la sua protezione in caso di crisi internazionale o conflitto armato. Questo rapporto evidenziava la complessità della difesa dell’infrastruttura, suggerendo la necessità di un imponente sistema di sicurezza militare, che includeva missili terra-aria, cacciabombardieri, unità navali e reparti di pronto intervento. Già allora il Ponte era dunque considerato vulnerabile a minacce militari Nel 2008 si è discusso dell’interesse militare, in particolare da parte delle forze armate statunitensi presenti in Italia, per il Ponte, che avrebbe facilitato i collegamenti tra le basi di Sigonella e Napoli. Tuttavia, tali considerazioni non hanno mai portato a un obbligo formale di studio di sostenibilità militare. La protezione del Ponte da minacce, inclusi atti terroristici o mafiosi, è stata oggetto di dibattito. Negli anni 2000, si parlava di un possibile dispiegamento di forze armate e servizi segreti per presidiare i cantieri e l’opera finita, ma senza dettagli su piani concreti o un riferimento a uno studio militare obbligatorio. Parliamo di tanto, tanto tempo fa. Ma oggi cosa si fa? Il progetto attuale del Ponte sullo Stretto, rilanciato dal governo Meloni, si concentra principalmente su aspetti ambientali, sismici, economici e infrastrutturali. La Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) del Ministero dell’Ambiente, approvata a novembre 2024 con 60 prescrizioni, non menziona esplicitamente la necessità di uno studio di sostenibilità militare. Le normative vigenti, come il Decreto Legislativo 36/2023 sul Codice degli Appalti, e le procedure di approvazione del progetto (ad esempio, tramite il CIPESS) non includono un requisito obbligatorio per uno studio militare. L’attenzione è posta su valutazioni tecniche, ambientali e socio-economiche, come l’analisi costi-benefici e la sostenibilità idrica dei cantieri. Tuttavia, data l’importanza strategica dell’opera, che rientra nei corridoi TEN-T europei per migliorare coesione, efficienza e sostenibilità dei trasporti, è plausibile che il Ministero della Difesa possa essere coinvolto in fasi successive, ad esempio per pianificare la sicurezza dell’infrastruttura una volta operativa. Questo potrebbe includere valutazioni su sistemi di difesa o protezione, ma non necessariamente uno studio di sostenibilità militare formale. Ma non è il caso allora che le forze politiche e le associazioni No Ponte richiedano specificazioni di ordine militare in fase di approvazione del progetto definitivo del Ponte? Le associazioni ambientaliste e alcuni critici, come il Partito Democratico, hanno sollevato dubbi sulla completezza delle valutazioni del progetto, ma nessuno ha menzionato esplicitamente la necessità di uno studio militare. Il focus delle critiche rimane sugli impatti ambientali, sismici ed economici. Alcuni osservatori ritengono che un’analisi militare potrebbe essere rilevante in un’area come lo Stretto di Messina, strategicamente importante per il Mediterraneo, ma ciò dipenderebbe da decisioni politiche e dalle priorità di sicurezza nazionale, non da un obbligo normativo. Allo stato attuale, pertanto, non è necessario né obbligatorio uno studio di sostenibilità militare del Ponte sullo Stretto di Messina da parte del Ministero della Difesa, sulla base delle normative e delle procedure in corso. Tuttavia, considerazioni militari potrebbero emergere in futuro, soprattutto in relazione alla sicurezza dell’opera, ma sarebbero probabilmente gestite come parte di un più ampio piano di protezione delle infrastrutture strategiche, senza richiedere uno studio dedicato. Per conferme definitive, si potrebbe consultare la documentazione ufficiale sul sito del Ministero dell’Ambiente o della Società Stretto di Messina.
Cooperazione “sbilenca” Italia-Somalia: cessione di blindati militari in disuso
 Lo scorso 2 aprile le Commissioni Affari esteri e Difesa della Camera dei deputati hanno espresso parere favorevole alla proposta del governo di cedere a “titolo gratuito” materiale di armamento alle forze armate e di polizia della Repubblica federale di Somalia. Lo schema di decreto interministeriale era stato trasmesso in Parlamento il 24 febbraio. “Scopo del provvedimento è quello di rafforzare la collaborazione e la cooperazione tra l’Arma dei carabinieri e le Forze di polizia somale, nel quadro delle attività di collaborazione e di sostegno alle istituzioni locali”, vi si legge. Al decreto è stata allegata una relazione del Reparto “Logistica e Infrastrutture” dello Stato Maggiore della Difesa (datata 25 giugno 2024) che fornisce alcune informazioni sulle sempre più consolidate relazioni politico-militari tra Italia e Somalia. “Il Governo della Repubblica Italiana e il Governo Federale della Repubblica di Somalia hanno sottoscritto a Roma il 17 settembre 2013 un Accordo di Cooperazione Generale in materia di Difesa”, spiegano i vertici militari. “Tale Accordo è entrato in vigore il 25 luglio 2016, a durata illimitata ed è finalizzato ad incrementare la collaborazione tra le Forze armate, consolidando le rispettive capacità difensive e migliorando la comprensione reciproca sulle questioni della sicurezza”. Nello specifico l’Accordo di Cooperazione prevede lo scambio di materiali militari “quale contributo ad accrescere l’interoperabilità fra i rispettivi dispositivi di polizia”. In tale ambito il governo italiano si è fatto carico di cedere “gratuitamente” alle forze armate di Mogadiscio sei blindati tattici VM-90P, già in dotazione all’Arma dei Carabinieri. “Il VM-90 è un veicolo multiruolo 4x4 con elevata mobilità sulla viabilità ordinaria e su terreni accidentati, su fondo anche cedevole e con scarsa aderenza, largamente impiegato soprattutto per attività tattico–logistiche”, spiega lo Stato Maggiore. I veicoli da guerra sono stati prodotti dagli stabilimenti di Iveco Defence Vehicles S.p.A. (sede principale a Bolzano); possono trasportare personale fino a un massimo di sei persone e sono omologati per viaggiare per via aerea, terrestre e marittima. “La protezione fornita dai VM-90 è normalmente classificata su livelli che vanno dal B1, con un livello base legato al rischio di criminalità metropolitana, fino ad arrivare al B7, il massimo della blindatura contro le minacce di azioni terroristiche”, aggiunge lo Stato Maggiore. Ma sono davvero uno strumento bellico efficiente i sei blindati Iveco ceduti alle forze armate somale? A leggere gli ulteriori passaggi della relazione dei vertici militari italiani sembrerebbe proprio di no. “I veicoli VM-90P sono obsoleti per cause tecniche in quanto, essendo entrati nel ciclo logistico nel periodo 1996-2004, appartengono ad un segmento di parco vetusto che oggi presenta elevati oneri manutentivi e limitate possibilità di impiego nei moderni scenari di crisi sia dentro sia, soprattutto, fuori dal territorio nazionale”, annota lo Stato Maggiore. La “vetustà” dei blindati aveva indotto le forze armate italiane a perseguire un dispendiosissimo programma di acquisizione di una nuova generazione di veicoli tattici leggeri multiruolo, i VTLM Lince, “più performanti e sicuri”. “Con il passare del tempo – si spiega - i citati VM-90P sono transitati in extra-organico rispetto all’esigenza dell’Arma e, difatti, sono stati già dichiarati fuori servizio dall’ispettorato logistico dell’Arma dei Carabinieri”. Nel 2020 il governo italiano aveva ceduto alle autorità di Mogadiscio due blindati della stessa tipologia. Nello stesso anno erano stati consegnati pure 200 scudi quadrati marca Mirafan, 200 caschi con maschera marca Protos e 50 scudi tondi, “non più rispondenti alle esigenze di impiego operativo dei Carabinieri”. “La cessione dei blindati VM-90P si inserisce nel quadro del crescente impegno della Difesa italiana a supporto del processo di capacity building della Somalia”, spiega il Governo nello schema di decreto sottoposto alle due Camere il 24 febbraio 2025. “E’ in corso di revisione il Somali National Security Architecture (SNSA), programma di riordino del settore sicurezza che prevede l’integrazione delle milizie regionali nelle Forze di Sicurezza federali e che è orientata, da un punto di vista politico-militare, all’adozione di azioni mirate principalmente alla salvaguardia dell’unità, della sovranità e della sicurezza nazionale, con focus sul contrasto dei gruppi insorgenti armati”. Obiettivo chiave del programma è quello di incrementare l’organico delle forze d’élite somale di almeno 30.000 unità, “escluse le Forze Speciali addestrate da USA e Turchia”. La Relazione predisposta dallo Stato Maggiore ed allegata allo schema di decreto delinea un quadro della situazione in Somalia caratterizzato “da elevata volatilità a partire dalla fine del 1991, quando fu rovesciato il Presidente Siad Barre”. “La Somalia rientra, infatti, tra i c.d. failed State, ovvero tra gli Stati in cui nessuna entità governativa è capace di esercitare il monopolio dell’uso legittimo della forza sull’intero territorio”, spiegano i vertici militari. “L’instabilità della Somalia è a sua volta la principale causa endogena di instabilità regionale del Corno d’Africa, a causa prevalentemente del terrorismo, dell’attivismo di organizzazioni criminali a carattere transnazionale e del fenomeno della pirateria, che, sebbene notevolmente ridimensionato negli ultimi anni, costituisce comunque fattore di minaccia sempre presente”. “La crisi nel Corno d’Africa risulta quindi legata a doppio filo alla stabilità futura della Somalia – dove da gennaio 2025 la nuova missione a guida dell’Unione Africana AUSSOM è destinata a sostituire ATMIS – a seguito dell’entrata dell’Egitto nella partita del Corno, con il rischio di ulteriori preoccupanti tensioni, qualora Mogadiscio dovesse richiedere formalmente la sostituzione del contingente etiopico, attualmente quello numericamente prevalente nella missione, con quello egiziano”. In tale scenario lo Stato Maggiore della Difesa chiede un maggiore coinvolgimento italiano e delle istituzioni europee in Corno d’Africa, soprattutto nell’addestramento delle forze armate della Repubblica Federale della Somalia. “Oltre alla missione europea EUTM Somalia, operano in territorio somalo anche altri Paesi che conducono attività addestrative/formative in favore delle forze armate locali (tra questi, in particolare, USA, Regno Unito e Turchia”, ricordano i vertici militari. “In tale contesto, l’Italia è uno dei Paesi più attivi, oltre che con la partecipazione alle missioni dell’UE (EUTM Somalia, EUCAP Somalia ed EUNAVFOR Atalanta), anche attraverso la Missione Bilaterale di Addestramento delle Forze di Polizia somale e gibutiane (MIADIT), con sede a Gibuti, volta a favorire la stabilità e la sicurezza della Somalia e dell’intera regione”. Al rafforzamento della presenza militare italiana in Corno d’Africa non potrà che seguire la crescita delle esportazioni di armi e munizioni al governo di Mogadiscio. “In tale contesto, le Autorità somale hanno già rappresentato ufficiosamente le loro aspettative nei confronti dell’Italia per un maggior contributo in termini di mezzi (sia terrestri che marittimi), sistemi d’arma ed equipaggiamenti militari”, conclude lo Stato Maggiore italiano. Un impegno ad accrescere gli “aiuti militari” alla Somalia era stato assicurato dal ministro della difesa Guido Crosetto in occasione della visita in Italia del Presidente della Repubblica Hassan Sheikh Mohamud e del ministro Mohamed Nur Abulkadir (10 febbraio 2023). “La Somalia ha il confine marino più lungo dell’Africa, ma è anche la porta dell’Africa: abbiamo ragionato quindi sulla possibilità di aumentare gli aiuti nel settore marittimo per il contrasto alla pirateria trainando anche l’Europa e la NATO in quest’area di interesse strategico”, dichiarò Crosetto. Prima di lasciare Roma, il presidente Mohamud e il ministro Abulkadir parteciparono al convegno dal titolo “Italia, Somalia. Una relazione speciale”, presenti pure i ministri Antonio Tajani e Matteo Piantedosi. Ad organizzarlo la Fondazione Leonardo Med-Or, istituita dall’azienda leader del comparto militare-industriale, Leonardo SpA, e presieduta dall’ex ministro dell’Interno Marco Minniti (Pd). Articolo pubblicato in Africa ExPress il 17 aprile 2025, https://www.africa-express.info/2025/04/17/cooperazione-sbilenca-italia-somalia-cessione-di-blindati-tattici-in-disuso/