L’ipocrisia della sinistra liberale sul genocidio in Palestina

InfoAut: Informazione di parte - Thursday, June 5, 2025

Riceviamo e pubblichiamo da Intifada Studentesca Torino

Stiamo assistendo ad un inquietante teatrino messo in piedi da tutto il mondo intellettuale, dai media e dalla politica istituzionale: da un giorno all’altro, dopo due anni di esplicita complicità con il genocidio e di diffusione di propaganda sionista, anche i giornali più affezionati all’IDF titolano con condanne al massacro e i partiti guerrafondai indicono manifestazioni di carattere umanitario per “salvare Gaza”. Bisogna fare attenzione a dove è rivolta questa improvvisa indignazione: non al nemico che minaccia la Palestina, ovvero l’occupazione sionista, ma solo a uno dei suoi burattini, al governo e alla persona di Netanyahu. 

Non si tratta di solidarietà, nè di presa di coscienza, ma di bieco sciacallaggio al fine di salire sul carro dei vincitori ed evitare la caduta. Stiamo assistendo a un’operazione di salvaguardia dello status quo: condannare il governo “israeliano” attuale, salvando i propri interessi strategici in Palestina mettendo al riparo il sionismo che permette di portarli avanti. Condannare Netanyahu per salvare il sionismo.

Anche Unito, dal canto suo, si sta costruendo una facciata sulle spalle della Palestina: non ha mai rescisso gli accordi con le università sioniste e ospita eventi esplicitamente sionisti, ma ha pensato bene di aderire come molte università italiane al bando IUPALS, bando che avrebbe dovuto offrire borse di studio agli studenti palestinesi, ma che si è rivelato inapplicabile per gli studenti in Cisgiordania e inaccessibile per quelli di Gaza.

Ma qual è la ragione dietro questo cambio di passo? Fondamentalmente, un’insofferenza sempre maggiore da parte degli Stati Uniti di Trump verso Tel Aviv.

Infatti, le politiche del governo israeliano rischiano di compromettere l’egemonia statunitense in Medio Oriente il cui obiettivo è mantenere la stabilità e arginare il più possibile l’influenza di Teheran in Medio Oriente. Netanyahu è molto più oltranzista e sta spingendo per un conflitto diretto con gli iraniani, rischiando di spingere gli alleati mediorientali tra le braccia di Teheran.

Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti stanno puntando sono favorevoli a un accordo con l’Iran che eviti un conflitto regionale, ma le politiche israeliane in Medio Oriente rischiano di mandare all’aria i piani dei Paesi del Golfo.

Avere rapporti distesi con le monarchie del Golfo è fondamentale per gli Usa per lo sviluppo della Via del Cotone, essenziale alternativa commerciale alla Via della Seta cinese, che vede Arabia Saudita e Israele come hub strategici e connette Europa, Medio Oriente e India. Ma la sua realizzazione passa soprattutto attraverso la normalizzazione dei rapporti tra sauditi e israeliani tramite gli “Accordi di Abramo”, che però sono a un punto morto da dopo l’inizio della campagna di Gaza.

Anche i governi dei paesi arabi stanno avendo un gran da fare nel cercare di gestire le opinioni pubbliche interne, tutte apertamente schierate con la Palestina, e sono in forte imbarazzo per il fatto di star comunque mantenendo rapporti economici e commerciali con Tel Aviv. L’occupazione ogni giorno più violenta della Striscia di Gaza sta radicalizzando sempre di più il mondo arabo, che inizia a vedere nell’Iran e nei suoi alleati Houthi gli unici argini allo strapotere e all’impunità israeliana.

Inoltre Israele vorrebbe sfollare oltre 2 milioni di persone verso Egitto e Giordania, entrambi buoni alleati degli Stati Uniti, che si ritroverebbero a dover gestire un afflusso senza precedenti di profughi che non hanno né intenzione, né la capacità di accogliere.E’ anche per questo che le politiche del governo israeliano rischiano sempre più di raffreddare i rapporti tra gli Stati Uniti (che continuano comunque a inviare supporto militare ed economico a Tel Aviv).

Netanyahu è un alleato che non riescono più a controllare e quindi adesso il probabile obiettivo è quello di isolare il primo ministro israeliano, pur senza mettere in discussione la legittimità di Israele in quanto partner fondamentale di Washington.

Ed ecco qua che improvvisamente il massacro è diventato intollerabile, ed esporsi sulla Palestina è tutto a un tratto molto più facile: non è una casualità o un’improvvisa presa di coscienza, ma il segno di un chiaro riallineamento geopolitico.

Sfortunatamente per le istituzioni e i partiti, abbiamo preso molti appunti in questi due anni: sappiamo chi è mandante e complice del genocidio, chi ha stretto le mani all’aggressore e ha condannato chi resiste. Infatti, ciò che ha dato spazio e legittimità al sionismo e gli ha permesso di compiere quella che è solo l’ultima manifestazione di più di 77 anni di pulizia etnica sono gli interessi economici energetici, l’invio di armamenti, il supporto mediatico, gli accordi di cooperazione e scambio con università, istituzioni ed aziende sioniste. 

Le loro maschere non hanno scampo, perche chi verrà estirpato non è un Netanyahu, ma il sionismo. Israele non è infatti che una colonia illegittima, frutto storico di un progetto piu ampio di colonialismo di insediamento, che si caratterizza per la violenza e il saccheggio della terra palestinese; e come tutte le colonie è destinata a cadere sotto il peso della Resistenza dei popoli indigeni. 

Forti della consapevolezza e dell’esperienza che abbiamo costruito in questi due anni, non ci faremo ingannare e non lasceremo che venga neutralizzata la lotta al sionismo per fare spazio agli interessi economici, alla deportazione e alla spartizione della Palestina nel rantolo reazionario delle condanne umanitarie. Le masse popolari hanno ereditato dalla Resistenza palestinese la speranza e la volontà concreta di mobilitarsi per cambiare l’esistente, anche quando i rapporti di forza sono enormemente sbilanciati.