Ieri, 7 ottobre, in particolare in due città italiane, Torino e Bologna, si sono
tenuti appuntamenti per continuare la mobilitazione in solidarietà alla
Palestina. Entrambe le piazze sono state vietate dalle rispettive questure in
quanto considerate “inopportune”. Mentre l’equipaggio della Global Sumud
Flottilla viene man mano liberato a seguito dell’incarcerazione da parte di
Israele una nuova flotta di imbarcazioni cariche di medicinali e aiuti umanitari
partita dai porti italiani di Catania e Otranto ha raggiunto la zona di rischio
e nella notte è stata attaccata dall’esercito israeliano con conseguente
sequestro degli equipaggi.
A Bologna la gestione dell’ordine pubblico ha immediatamente segnato
l’iniziativa, inizialmente le persone ritrovatesi al concentramento sono state
divise e accerchiate dalle forze dell’ordine e sono anche state caricate con
manganellate e getti di idrante prima di riuscire a partire dalla piazza in
corteo. Il corteo è stato poi rincorso dalle forze dell’ordine durante il
percorso che però ha visto una partecipazione importante e la determinazione di
attraversare le strade della città.
video da hubautbologna
A Torino si è vista una partecipazione nuovamente oceanica, eterogenea e
trasversale. A partire dalle 19.30 ora in cui era stato lanciato l’appuntamento
in piazza Castello si è snodato poi un corteo verso i quartieri nord della
città, durante il percorso altre persone, abitanti dei quartieri, giovani e
giovanissimi si sono uniti al corteo arrivando a toccare numeri come 10 mila
persone.
foto da Blocchiamo tutto – Torino
Nella notte infine si è verificato l’abbordaggio della Freedom Flottilla,
riprendendo le informazioni dal comunicato diramato dalla Freedom Flottila
Italia leggiamo che
“Nella notte tra il 7 e l’8 ottobre, l’esercito di occupazione israeliano ha
attaccato e sequestrato la Flotilla in piene acque internazionali, a 120 miglia
nautiche (220 km) da Gaza, commettendo un ennesimo atto di pirateria, in
violazione palese del diritto marittimo internazionale e delle Convenzioni delle
Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS).
La Freedom Flotilla Coalition (FFC) e Thousand Madleens to Gaza (TMTG)
confermano che le imbarcazioni dirette a Gaza — 8 barche a vela e la nave
Conscience — sono state intercettate, abbordate con la forza e attaccate
illegalmente alle 04:34 di oggi, mentre navigavano in una zona dove Israele non
ha alcuna giurisdizione né diritto di intervento.
A bordo si trovavano equipaggi interamente disarmati, composti da medici,
infermieri, giornalisti, parlamentari e attivisti internazionali. Tutte e tutti
sono stati rapiti e sequestrati con la forza, mentre le 18 tonnellate di aiuti
umanitari destinate a Gaza — medicinali, apparecchiature respiratorie, forniture
alimentari e nutrizionali — sono state confiscate illegalmente.
Questi aiuti erano diretti principalmente agli ospedali di Gaza; dopo due anni
di assedio e bombardamenti, la popolazione vive in condizioni di carestia e
collasso sanitario, e i medici ci hanno chiesto aiuto, dato che non hanno più
medicinali e sono esausti.”
Si parla di 150 persone arrestate provenienti da 30 paesi diversi, tra cui 10
italiani. Il Governo italiano questa volta sta scegliendo il silenzio, dopo aver
visto che le esternazioni della premier e del ministro Tajani non avevano fatto
altro che implementare la partecipazione alle piazze per il blocco della Global
Sumud Flottilla. Organizzazioni per i diritti internazionali come Amnesty e
Human Right Watch hanno dichiarato l’intenzione di intraprendere un’inchiesta
indipendente per violazione della Convenzione delle Nazioni Unite dei diritti
del mare.
L’appello di tutte le organizzazioni che stanno portando avanti la campagna in
solidarietà alla Flottilla chiama alla mobilitazione immediata, oggi 8 ottobre.
Di seguito una lista non esaustiva degli appuntamenti di questa sera.
Venezia, Salerno, Novara, Milano, Catania, Roma, Pisa, Reggio Emilia, Bergamo,
Brescia, Torino, Bari, Bologna, Cagliari, Chieti, Cremona, Ferrara, Genova,
Gorizia, Lecce, Lecco, Modena, Napoli, Nuoro, Padova, Palermo, Parma, Pavia,
Ravenna, Saronno, Taranto, Terni, Varese, Vasto, Verbania etante altre.
Riprendiamo alcune significative interviste da Radiondadurto su quanto accaduto
alla Freedom Flottiglia questa notte:
Su Radio Onda d’Urto l’intervista di mercoledì 8 ottobre, in prima mattinata,
con Michele Borgia attivista del Media Group in contatto con la Coalizione
Internazionale della FFC
Riccardo Farnetti ufficio stampa della Thousand Madleens to Gaza
Matteo che fa parte della logistica della Thousand Madleens to Gaza ci parla di
questa organizzazione
Comunicato stampa della FFC:
“Nella notte tra il 7 e l’8 ottobre, l’esercito di occupazione israeliano ha
attaccato e sequestrato la Flotilla in piene acque internazionali, a 120 miglia
nautiche (220 km) da Gaza, commettendo un ennesimo atto di pirateria, in
violazione palese del diritto marittimo internazionale e delle Convenzioni delle
Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS).
La Freedom Flotilla Coalition (FFC) e Thousand Madleens to Gaza (TMTG)
confermano che le imbarcazioni dirette a Gaza — 8 barche a vela e la nave
Conscience — sono state intercettate, abbordate con la forza e attaccate
illegalmente alle 04:34 di oggi, mentre navigavano in una zona dove Israele non
ha alcuna giurisdizione né diritto di intervento.
A bordo si trovavano equipaggi interamente disarmati, composti da medici,
infermieri, giornalisti, parlamentari e attivisti internazionali. Tutte e tutti
sono stati rapiti e sequestrati con la forza, mentre le 18 tonnellate di aiuti
umanitari destinate a Gaza — medicinali, apparecchiature respiratorie, forniture
alimentari e nutrizionali — sono state confiscate illegalmente.
Questi aiuti erano diretti principalmente agli ospedali di Gaza; dopo due anni
di assedio e bombardamenti, la popolazione vive in condizioni di carestia e
collasso sanitario, e i medici ci hanno chiesto aiuto, dato che non hanno più
medicinali e sono esausti.
“Israele non ha alcuna autorità legale per detenere volontari internazionali a
bordo di navi civili umanitarie”, ha dichiarato David Heap, membro della
Canadian Boat to Gaza e del Comitato di Coordinamento della Freedom Flotilla
Coalition. “Questo sequestro viola apertamente il diritto internazionale e sfida
le ordinanze vincolanti della Corte Internazionale di Giustizia, che impongono
un accesso umanitario senza ostacoli a Gaza. I nostri volontari non sono
soggetti alla giurisdizione israeliana e non possono essere criminalizzati per
aver consegnato aiuti o denunciato un blocco illegale. La loro detenzione è
arbitraria, illegittima e deve terminare immediatamente.”
Questo nuovo crimine segue il sequestro illegale e la detenzione arbitraria
degli equipaggi delle navi della Global Sumud Flotilla, nonché delle precedenti
missioni Handala e Madleen, e l’attacco con droni israeliani contro la nave
Conscience lo scorso maggio nelle acque europee, che lasciò l’imbarcazione in
fiamme e fuori uso.
Si tratta di una strategia deliberata di violenza e intimidazione, volta a
impedire la solidarietà internazionale e a criminalizzare la cooperazione
umanitaria. Israele mostra ancora una volta di non temere alcuna conseguenza,
protetto dall’inerzia complice dei governi occidentali, che tacciono di fronte a
crimini evidenti, violazioni sistematiche del diritto internazionale e atti di
guerra contro civili disarmati.
Israele continua ad agire nell’impunità più assoluta, violando: le ordinanze
vincolanti della Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) che impongono il libero
accesso degli aiuti umanitari; le Convenzioni di Ginevra, che tutelano civili e
operatori umanitari; il diritto del mare, che garantisce la libertà di
navigazione in acque internazionali; e ogni principio etico e umano alla base
del diritto internazionale.
La Freedom Flotilla Coalition e Thousand Madleens to Gaza denunciano con forza
questo ennesimo crimine di guerra e chiedono a tutti i governi, alle Nazioni
Unite, alla Corte Penale Internazionale e alla società civile mondiale di agire
immediatamente per fermare l’escalation e imporre la fine dell’assedio genocida
contro Gaza.
Chiediamo:
La fine immediata del blocco illegale e mortale imposto alla Striscia di Gaza;
La cessazione del genocidio israeliano contro la popolazione civile;
Il rilascio immediato e incondizionato di tutti i volontari rapiti;
La consegna diretta e immediata degli aiuti umanitari ai palestinesi, senza
alcun controllo israeliano;
L’apertura di un’inchiesta internazionale indipendente sui crimini commessi
contro la Flotilla e i suoi membri;
La piena responsabilità e condanna ufficiale per gli attacchi militari
israeliani contro imbarcazioni civili umanitarie in acque internazionali.
____________
La comunità internazionale ha il dovere morale e giuridico di reagire.
Ogni silenzio, ogni rinvio, ogni neutralità è complicità con il crimine.
Le nostre navi non portavano armi, ma coscienza, solidarietà e umanità.
Ed è proprio questo che Israele teme di più.
Source - InfoAut: Informazione di parte
Informazione di parte
Dopo due settimane di mobilitazioni, in una data simbolica come quella del 7
ottobre, Salvini è arrivato a Livorno.
da Azione Livorno Antifascista
Per permettere il suo arrivo la città è stata blindata, la terrazza Mascagni è
stata militarizzata e trasformata in una zona rossa.
Questa passerella elettorale non è che l’ennesima provocazione in una città come
Livorno, che storicamente ha sempre rifiutato l’odio e il fascismo di cui
Salvini e compagnia si fanno promotori.
La città oggi (ieri ndr) ha reagito circondando la zona rossa per manifestare il
proprio dissenso.
Per ore le forze dell’ordine hanno fatto di tutto per alzare la tensione, finché
lo stesso Salvini non si è avvicinato ai manifestanti per provocarli. La
reazione non si è fatta attendere, ma, per quanto sia stata accesa, ci teniamo a
smentire le accuse che proprio adesso lo stesso ministro sta muovendo nei
confronti dei partecipanti: non c’è stato nessun furto né aggressione ai
cittadini presenti. Quella a cui la città ha assistito è solo l’unica risposta,
spontanea e popolare, che i pochissimi signori in giacca e cravatta protetti
delle numerosissime forze dell’ordine dovevano aspettarsi.
Non c’è più spazio per risposte pacate mentre in città viene dato spazio a chi
ha da subito criminalizzato chi lottacontro il genocidio e tenta di portare
aiuti umanitari a Gaza, ma anzi sfoggia con orgoglio la propria amicizia con
Israele e il sostegno totale alle sue azioni; per chi promuove l’odio razziale e
si è reso responsabile di migliaia di morti nei nostri mari; per chi è complice
di un riarmo insensato, pagato dalle lavoratrici e dai lavoratori del nostro
paese, rubando il presente e il futuro a migliaia di giovani.
Due compagni sono stati portati via: la nostra solidarietà e il nostro sostegno
in questo momento va a loro, dopo la serata di ieri in cui abbiamo presidiato le
uscite della questura dove per ore sono stati interrogati.
Quelli che ora Salvini chiama “teppisti rossi” altro non sono che due ragazzi
che, disarmati, sono stati malmenati e percossi in gruppo da diversi celerini in
antisommossa, con manganelli e scudi.
Questa è la loro democrazia: mentre viene comodamente dato spazio a questi
loschi figuri che dentro i palazzi della nostra città discutono di morte e
violenza impunemente, con la violenza viene represso il dissenso, spontaneo e
legittimo, di chi è stanco di vivere nella guerra e nel fascismo.
A LIVORNO NON CI SARÀ MAI SPAZIO PER VOI!
TUTTI LIBERI E TUTTE LIBERE!
Con Simone Alliva, giornalista del Domani, parliamo del DDL 1627 “Disposizioni
per il contrasto all’antisemitismo e per l’adozione della definizione operativa
di antisemitismo”, definizione che ricalca quella del International Holocaust
Remembrance Alliance (IHRA) che equipara antisemitismo e antisionismo.
Il Decreto prevede pesanti ricadute su scuola e università. Parliamo anche di
altri due DDL, discussi contemporaneamente in Commissione Affari Costituzionali,
l’uno a firma Romeo (Lega), l’altro a firma Scalfarotto (Italia Viva) che mirano
a introdurre limitazioni al diritto di manifestare per la Palestina.
da Radio Onda Rossa
Riprendiamo questo ricco contributo di Kamo Modena, in attesa dell’incontro di
questo weekend a partire dalla presentazione del documento «La lunga frattura».
0. Ci sono giorni che valgono anni. Le ultime settimane, dal 22 settembre al 4
ottobre, sono state tra questi. Anche a Modena.
1. Due scioperi generali che hanno travalicato le appartenenze (o non
appartenenze) sindacali e fermato, rallentato, sabotato, la fabbrica della
guerra che è nel suo complesso il sistema-Italia e di cui Modena è uno dei suoi
reparti più avanzati. Una composizione eterogenea e trasversale di massa e
diffusa che ha utilizzato strumentalmente e pragmaticamente le scadenze di
sigle, collettivi e delle più svariate infrastrutture organizzative per scendere
in mobilitazione permanente. Che, capillarmente, dai territori metropolitani a
quelli provinciali, su livelli di intensità variabile da territorio a
territorio, ha occupato le strade, le piazze, le facoltà, le scuole, i
magazzini, gli stabilimenti, le stazioni, le tangenziali, tentando di praticare
con slancio e determinazione l’obiettivo del “blocchiamo tutto”. Una oceanica
manifestazione nazionale che ha fatto tremare, per la prima volta, un governo di
postfascisti, atlantisti e sionisti – scappati fuori Roma – a digiuno di
opposizione. Per non parlare, appunto, delle imbelli, inutili e ipocrite
opposizioni della Sinistra, atlantista e sionista, saltate a bordo all’ultimo –
citofonare Landini e Schlein – per timore di rimanere naufraghe.
La marea dei 30 mila a Modena. Sciopero generale per la Palestina, 3 ottobre
2025.
2. L’avevamo percepito il lunedì di sciopero generale che l’aria non era più la
stessa. Certe cose le senti: ti lasciano il sapore dell’elettricità in bocca. Il
22 settembre abbiamo assaporato un gusto che non sentivamo da molto tempo a
Modena.
La manifestazione degli studenti è rumorosa e con numeri (circa 400-500) che non
si vedevano da decenni – anche se a maggioranza liceali e con poco apporto di
seconde generazioni – portati per la gran parte dal “lavorio invisibile” di un
gruppo di giovani senza pregressi politici nato, più o meno spontaneamente, un
paio di settimane prima, “Giovani di Modena per la Palestina”. Piazza Grande è
ingrossata da lavoratori delle più disparate categorie: operai della logistica e
non solo, professionisti e partite iva, insegnanti, impiegati dell’industria,
tecnici, precari, operatori delle cooperative, tirocinanti, universitari,
perfino i funzionari della CGIL. La manifestazione arriva a contare circa 3000
persone e si carica di un’energia che neanche i soliti, interminabili comizi al
microfono riescono a spegnere. C’è voglia di bloccare davvero tutto di fronte a
un genocidio trasmesso in diretta dalla Palestina e alle minacce di Israele alla
Flottiglia.
Ma questa voglia non si riduce a questo, crediamo. La Palestina è simbolo e
pretesto ricompositivo per forze e motivi che agiscono nel profondo delle
soggettività e della composizione che si è manifestata – in primo luogo
attraverso una generazione politica formatasi a partire dal primo ciclo di lotte
postpandemiche del 2022, situate dentro lo sviluppo dello stato di guerra e del
caos globale crescente.
La piazza viene fatta sfogare in un corteo selvaggio e liberatorio per il centro
città, fino ad arrivare davanti all’Accademia militare. E qui, al culmine della
forza, fatta inspiegabilmente sciogliere dai leaderini dei gruppi e sindacati
che l’avevano promossa e guidata, sotto le pressioni della digos e
l’indisponibilità a cogliere o solamente riconoscere il momento propizio per un
“passo in più” praticabile. «Grazie a tutti, per oggi è finita qui». Molti
giovani partecipanti, a grossi capannelli, sono rimasti lì, come delusi, ad
aspettare un proseguimento che non ci sarà, mentre gli attivisti e i politicanti
se ne tornavano a casa: «come, tutto qui? Oggi è già finita? Non si poteva fare
un passo in più?»
Sciopero generale per la Palestina, 3 ottobre 2025.
3. Due settimane in cui la mobilitazione serale è stata continuativa e
partecipata – gli stessi presidi che un mese prima contavano 70 persone
appartenenti al ceto politico si sono visti ingrossare fino a 400-500
partecipanti spontanei di quella composizione emersa il 22 – hanno portato allo
sciopero generale di venerdì 3 ottobre.
La CGIL, tirata per la giacca, per non perdere la propria base è scesa in campo
con i reparti corazzati. A Modena, un servizio d’ordine imponente, 150 pettorine
rosse, a collaborare fianco a fianco coi distintivi e i caschi blu. I rapporti
di forza modificati impongono un accordo preventivo tra la questura e il suo
omologo sociale cittadino: viene concessa la tangenziale, passeggiata
dall’uscita 8 all’uscita 10, e poi via al parco Ferrari. Il corteo partito da
piazzale Primo maggio è imponente e inedito per Modena: record storico di 30
mila persone. Una manifestazione di massa, popolare, composita, con tantissimi
giovani. L’apporto delle seconde generazioni e delle comunità arabe è
consistente. Per l’occasione, crediamo, anche i tecnici e professionali, ancora
non toccati dalle proteste, si sono mobilitati.
Il corteo passa di fronte alla stazione dei treni tranquillamente, perché è
impenetrabile, blindata dalle camionette dei reparti mobili e presidiata dalle
truppe incordonate della Camera del Lavoro, fianco a fianco alla Polizia di
Stato. Il serpentone entra infine in tangenziale, come da copione, ma è
all’altezza dell’uscita 10 che, nei piani dei tristi gestori dell’esistente,
qualcosa va storto.
4. Alla fine del percorso, un piccolo ma combattivo pezzo di corteo scavalca
spontaneamente il guardrail passando sull’altra carreggiata vietata dagli
accordi, rifiutandosi di uscire dalla tangenziale. Ci sono ragazzi e ragazze di
seconda generazione a incitare, seguiti da studenti delle superiori e
universitari, giovani lavoratori e più anziani con famiglia al seguito. Persone
“normali” e qualche compagno più o meno sciolto. Assenti i partiti
rivoluzionari, i collettivi studenteschi e universitari, le sigle nazionali dure
e pure. «Abbiamo detto che blocchiamo tutto? E allora facciamolo davvero!» è la
voce unanime. C’è un pezzo di composizione sociale che vuole fare DAVVERO quello
che gli slogan dei militanti ripetono, senza farsi prendere in giro. È ritenuto
possibile, senza troppi timori: il momento di rischiare, di avere coraggio, è
ora. L’esempio della Flottiglia è lì davanti.
Eccedenze. Scavallare il guardrail. Il momento del coraggio. Blocchiamo tutto.
Il corteo è in stallo sia per la polizia sia per l’indecisione dei più a
“scavallare”, nonostante quel pezzo di corteo più determinato a praticare
l’obiettivo diventi progressivamente più nutrito. Il tempo di blocco si allunga,
le contraddizioni arrivano fino al carro di testa, tra gli organizzatori, mentre
in strada il fronteggiamento con la polizia si fa sempre più teso. Fino a che un
argine si scioglie: mentre il grosso della manifestazione rientra nella
compatibilità e riparte sul percorso concordato, alcune centinaia si riversano
invece sulla carreggiata opposta, raggiungendo il blocco e trasformandolo in un
corteo selvaggio e autonomo fino all’uscita 10 bis. Da qui, praticato il blocco
con i propri tempi, lo spezzone si ricongiunge al corteo principale tra cori e
battimani, accolto dagli applausi della gente. Non quelli delle burocrazie
sindacali e politiche, in primis CGIL, che volevano “bloccare tutto” ciò che c’è
di possibile.
5. Perché soffermarsi su un evento così apparentemente insignificante, nel
racconto di queste giornate che hanno visto complessivamente ben altro livello
di scontro o blocco anche solo nelle vicine Bologna e Reggio? Perché, in un
contesto specifico come Modena, di tradizionale bassa conflittualità, pesantezza
del controllo socialdemocratico e grande solidità di recupero sistemico delle
istanze subalterne e delle spinte sociali, questa piccola forzatura non avrebbe
potuto conquistare l’obiettivo del “blocchiamo tutto” fuori dalla compatibilità
istituzionale e dal copione imposto dall’alto e accettato dalle organizzazioni
se non fosse stata trascinata da un’eccedenza, certamente di minoranza ma non
minoritaria, di composizione, capace di esprimere una forma di autonomia in
nuce, una disponibilità – appunto – a “scavalcare” non solo il guardrail e la
paura, ma tutte quelle barriere fatte di ritualità, schemi, appartenenze,
logiche bottegaie e leaderini opportunisti riprodotte da alcuni tipi di
strutture politiche e sindacali che, in tali occasioni, agiscono da tappo.
Insomma, una piccola traccia, ma significativa, del cambio di passo di
composizione che queste giornate hanno espresso, anche a Modena, su livelli di
conflitto e di forza più avanzati da quelli dati dagli stessi militanti,
attivisti, organizzazioni. Per chi sa vedere, non è poco.
Servizio d’ordine della Cgil.
6. Non possiamo sapere, a questo punto, se sia nato, o stia nascendo, un ciclo.
Inteso come processo di medio-lunga durata di mobilitazione, politicizzazione,
organizzazione del conflitto sociale e di classe, che eccede, rimescola,
trasforma le soggettività in esso coinvolte, le identità prestabilite, le stesse
organizzazioni o rappresentanze che l’hanno promosso, cavalcato, inseguito.
Rovesciando – e ricostruendo – l’immaginario collettivo, sovvertendo le forme di
militanza e segnando quelle di vita. Una dinamica ricompositiva e un movimento
d’attacco allo stato di cose presente. Occorre andarci ancora cauti, nonostante
la straordinaria potenza di queste giornate.
7. Sappiamo però che, in queste convulse settimane di tempo sospeso, non più
stretto nel pugno di coloro che comandano sulle nostre esistenze, un lungo e
asfissiante ciclo di immobilismo, passività, rassegnazione, che aveva
galleggiato su di uno stagno di grigia depressione, si è rotto. O quanto meno,
incrinato: la pace del nemico si è infranta in crepe e fratture di possibile
concreto. Da cui filtra – forte, potente – aria fresca e frizzante di cui
riempirsi i polmoni. È la gioia autentica, condivisa, della lotta quando è di
massa e va all’obiettivo. Di riconoscersi complici e compagni in essa, spezzando
le solitudini e scacciando l’impotenza. Di prendere coraggio, come i marinai
della Flottiglia, e assumersi il rischio quel passo in avanti in più, come
scavalcare un guardrail insieme, perché è questo il momento, e non servono altre
parole se non “Blocchiamo tutto”.
Verso l’uscita 10 bis.
8. E adesso? Come tenere aperta, dare continuità e allargare questa frattura da
cui ha spirato un vento che ha scompigliato tutto e tutti? Attraverso quali
forme sostenerlo, potenziarlo, farlo crescere più forte contro il governo e la
fabbrica della guerra, del genocidio, dello sfruttamento, senza imbrigliarlo sui
mulini del nemico che si chiamano Sinistra, delega, pace (per chi comanda), o
lasciarlo spegnere nelle stanze chiuse della competizione sindacale, delle
parrocchie di partito, delle botteghe di Movimento, del mercato delle vacche
delle strutture? Funziona ancora lo strumento “assemblea di
collettivo/partito/movimento” con una composizione che, almeno in questa prima
fase, non ha riempito le fila dei vari gruppi militanti ma le piazze, i cortei,
intesi come evento a cui partecipare, esperienza da vivere, in cui esserci, in
cui imporre una propria autonoma presa di parola e decisione? Da dove può
passare il ruolo dei militanti, la costruzione di un immaginario desiderabile,
la formazione di controsoggettività negli spazi e nei tempi aperti da queste
settimane? C’è tutto un cantiere di inchiesta, conricerca, scienza
dell’inaspettato e immaginazione organizzativa da aprire, insieme alla necessità
di intelligenza collettiva condivisa, di discussione franca e di produzione di
punto di vista, oltre che di pensiero, forte.
9. Mossi più da domande che da certezze, con punto di vista parziale, per ora
qui ci fermiamo.
10. «Si deve ricercare la pace quando la si può avere; quando non si può,
bisogna cercare aiuti per la guerra». Thomas Hobbes, De Cive, 1642.
Di questo discorso e di cosa lo precede rimandiamo all’incontro dell’11 ottobre
con la redazione di Infoaut e con i compagni di Askatasuna Torino per
discuterne, a partire dalla presentazione del documento «La lunga frattura», al
Dopolavoro di via canalino 78, a Modena.
Imbarcato sulla Global Sumud Flotilla per il CALP e l’USB, José Nivoi è
rientrato in Italia dopo essere stato sequestrato e incarcerato dalle forze
d’occupazione israeliane.
La sua testimonianza, per quanto traumatica, mostra solo un frammento
dell’orrore quotidiano vissuto da migliaia di palestinesi nelle carceri
sioniste: luoghi di tortura, umiliazioni e annientamento dell’essere umano.
Nivoi sa bene che, in quanto europeo, ha potuto contare su una protezione
internazionale che gli ha consentito di tornare a casa e raccontare quanto
accaduto, mentre oltre 11.100 palestinesi restano imprigionati senza tutele né
voce, in un sistema di detenzione arbitraria che da decenni colpisce un intero
popolo.
Durante la detenzione, il consolato italiano ha seguito la vicenda con
interventi sporadici e frammentari, offrendo assistenza limitata mentre gli
attivisti erano incarcerati nel deserto.
La sua testimonianza ci ricorda che ciò che per un attivista europeo è stato un
sequestro, per il popolo palestinese rappresenta una frazione della
quotidianità.
Continuare a mobilitarsi significa rompere il silenzio, pretendere la
liberazione di tutti gli attivisti e schierarsi, ogni giorno, al fianco del
popolo palestinese, per fermare il genocidio e la complicità del nostro governo.
da contropiano.org
> La Falterona verde nero e argento: la tristezza solenne della Falterona che si
> gonfia come un enorme cavallone pietrificato, che lascia dietro a sè una
> cavalleria di screpolature screpolature e screpolature nella roccia fino ai
> ribollimenti arenosi di colline laggiù sul piano di Toscana: Castagno, casette
> di macigno disperse a mezza costa, finestre che ho visto accese […]
>
> Dino Campana – Canti Orfici/La Verna/Diario
STORIA DEL TERRITORIO
“E’ una popolazione che ha più volte ricostruito”.
Ci troviamo a Castagno d’Andrea, una piccola frazione di poco più di duecento
abitanti del Comune di San Godenzo, nel Mugello. Una serie di piccoli borghi
incastonati nell’Appennino tosco-emiliano compongono il paesaggio, parte del
Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi. Basta poco per rendersi conto della
storia e della cultura di cui sono intrisi questi territori: da Dante a Giotto,
dal pittore Andrea del Castagno (di cui prende il nome il paese) a Dino Campana,
agli affreschi di Annigoni, tanti e tante sono passati su queste vie, sui
crinali, tra i castagneti di Marradi.
Ci immergiamo nella storia del territorio grazie all’incontro con Carlo Visca,
grande conoscitore del Parco Nazionale Foreste Casentinesi e guida al Centro
Visite del Parco Nazionale Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna di
Castagno d’Andrea.
“Foreste Sacre. Qui vediamo una riproduzione di più di 700 statuette ritrovate
in quello che viene chiamato il Lago degli Idoli, civiltà etrusca. Ciò
testimonia che il Monte Falterona fosse luogo di incontro sia per chi arrivava
dal lato tirrenico sia dal lato adriatico. Non solo sacro ma anche arte e
cultura: infatti, Dino Campana nei suoi Canti Orfici è riuscito a cogliere il
senso della forza della natura di queste montagne.”
Il 1335 viene individuata come data di svolta, quando avvenne una frana che
cambiò completamente la conformazione della montagna e degli insediamenti sul
crinale. Questo viene raccontato da Carlo in uno scambio con altri attivisti del
Comitato rispetto al tema del radicamento sul territorio e dell’attaccamento per
la sua ricostruzione.
Si parla anche dei principi di biodiversità messi a rischio dai progetti
odierni.
Carlo Visca, del Parco Nazionale Foreste Casentinesi
Questi crinali sono oggi minacciati dagli schemi di speculazione che abbiamo
ormai imparato a conoscere bene, qui sotto forma di un grande progetto di
impianto eolico industriale che coinvolge il Monte Giogo di Villore. In
contrasto a questo progetto si è costituito il Comitato Tutela Crinale
Mugellano, Crinali Liberi, aderente alla Coalizione ambientale TESS. Un’ottima
intervista al sindaco di San Godenzo riassume la vicenda, portando un punto di
vista lucido sulle reali esigenze del territorio e sull’impossibilità di opere
di compensazione per territori che vengono stravolti da progetti industriali che
intaccano scrigni di biodiversità che ancora sfuggono al consumo di suolo.
Intervista a Emanuele Piani, sindaco di San Godenzo (Firenze), che spiega tutte
le irregolarità e le questioni critiche che circondano il parco eolico approvato
dalla Regione sul Monte Giogo di Villore, nonostante l’opposizione dell’Ente
parco delle Foreste Casentinesi realizzata da Francesco Capo
In questo video realizzato durante il convegno di TESS Alessandro Bottacci,
professore universitario di Conservazione della Natura ed ex direttore del Parco
Nazionale delle Foreste Casentinesi parla dell’impatto negativo sulla foresta
evoluta che rappresenta il territorio coinvolto.
Non solo su questi crinali sono previsti progetti eolici industriali, ma anche
nell’Appennino umbro-marchigiano, nel Maceratese sono interessati territori nei
comuni di Caldarola, Gagliole, Montecassiano e Serravalle. Qui sono state
infatti raccolte quasi ottomila firme per fermare la costruzione di pale
eoliche. Le pale eoliche previste dai progetti sarebbero duecento, e contro la
loro installazione in provincia si sono mossi comitati e associazioni: Aiace
Italia con i nuclei di Belforte e Macerata, Lac Macerata, Nessuno tocchi
l’Appennino nell’Alto Maceratese, No maxi eolico Caldarola. Simone Vitaletti,
per il comitato territoriale di Sassoferrato e Fabriano, nell’anconetano, ha
raccontato che “queste realtà, che hanno ormai forma nazionale con ormai 130
comitati e associazioni per la difesa delle aree verdi, auspicano che l’energia
rinnovabile si concili con i paesaggi che ci rendono unici al mondo. Un
patrimonio inestimabile, che non è in vendita.”
(Dati di TESS ripresi da qui)
IL CONVEGNO ORGANIZZATO DA TESS
Un momento importante per il territorio e per i comitati svoltosi a settembre
2025, al quale molti soggetti hanno partecipato: Parco Nazionale Foreste
Casentinesi, Sentiero Italia CAI, CAI Toscana, Cai Mugello, I Nostri Crinali: no
eolico industriale sull’Appennino, Comitato Tutela Crinale Mugellano (TESS),
Crinali Liberi.
Ne sono uscite parole chiare e nette: riprendiamoci il Parco Nazionale Foreste
Casentinesi, i territori ai confini, i territori e i crinali dell’Appennino, gli
habitat di specie protette, l’acqua, la terra, le foreste, i Sentieri Nazionali
ed Europei.
Le criticità per l’avifauna, in particolare per le aquile reali che popolano i
crinali mugellani, hanno costituito il cuore del convegno. Di seguito
un’intervista a Fabio Borlenghi, esperto di aquile reali e segretario
dell’associazione “Altura”. Viene sottolineata la giustificazione con la quale
la Regione Toscana avrebbe autorizzato il progetto eolico “Badia del Vento” sul
crinale di Monte Loggio nell’Alta Valmarecchia. La ditta proponente parla di
“mitigazione” per rispondere alla problematica relativa a una delle cause di
mortalità additiva per gli uccelli, come l’Aquila Reale, specie protetta, ossia
la collisione fatale con le pale eoliche, sostenendo che le pale si fermerebbero
in un certo intervallo di tempo se venissero avvistate aquile reali in
avvicinamento alla pala.
Video di Francesco Capo per supportare il progetto:
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La giornata si è snodata tra diversi interventi nella cornice del circolo “8
dicembre Arnaldo Amadei”, con l’obiettivo di toccare temi diversi. Uno fra tutti
l’assenza di pianificazione delle leggi italiane: secondo il governo
l’individuazione delle zone di accelerazione risolverebbe la questione delle
aree idonee e non idonee, rendendo di fatto delle porzioni di territorio
sacrificabili in quanto non necessiterebbero più di passare dalla VIA. Mentre i
dati, come ha sottolineato Vincenzo delle Site, ricercatore al CNR, nel suo
intervento, dimostrano che il processo di elettrificazione in Italia è molto
lento e che, a dispetto della narrazione generale sulle rinnovabili come un
risparmio automatico in bolletta, non vi sono investimenti sulla rete
elettrica.. Un concetto è bene sottolineare: il mezzo migliore per assorbire CO2
non è il mezzo tecnologico bensì il suolo, la natura, le foreste.
È importante mettere in luce la partecipazione del Comitato I Nostri Crinali che
dal lato emiliano è giunto sino qui per portare la propria esperienza. In
particolare, il comitato ha invitato al FESTIVAL a Casalfiumanese che si terrà
il 12 ottobre su un terreno sul quale già sorge un impianto eolico industriale
oggetto di repowering.
Riportiamo qui l’intervista realizzata da Luca Vitali e pubblicata sul sito Rete
della Resistenza sui Crinali a Piero Romanelli, agricoltore biologico, che vive
nei pressi di una centrale eolica nell’appennino emiliano. Piero Romanelli
descrive in maniera chiara e inequivocabile la sua condizione di “vittima
dell’eolico industriale”.
PROSPETTIVE PER IL PERCORSO NAZIONALE DI CONFLUENZA
Insieme ai comitati locali abbiamo ragionato su come costruire i prossimi
passaggi verso il II Convegno Nazionale di Confluenza che si terrà a fine marzo
prossimo a difesa del Mugello. È qui infatti che molteplici impianti iniziano a
distruggere e a scavare, ma è anche qui dove molti comitati nascono e si
uniscono attorno alla medesima causa, transizione ma senza speculazione.
Abbiamo previsto un passaggio intermedio che si terrà il week end del 22 e 23
novembre nei pressi di Vicchio e Dicomano, dove verrà organizzata un’assemblea
pubblica in modo da informare tutti i comitati della vasta area appenninica
interessata delle iniziative previste. L’occasione è vista come un momento per
approfondire i legami e le relazioni sul territorio, auspicando una
partecipazione il più possibile eterogenea.
“Dobbiamo costruire corridoi ecosistemici, allargare il parco, connettere i
comitati sparsi sui crinali, uscire dalla frammentazione dell’ambiente e
dell’umano.”
Abbiamo condiviso alcune indicazioni chiare e precise: l’appuntamento nazionale
dovrà avere come caratteristica quella di conciliare momenti di discussione e
approfondimento e momenti di iniziativa e mobilitazione collettiva perché
l’obiettivo deve essere riprendere in mano il controllo dei propri territori.
Il est presque impossible de dresser un bilan organique de ces journées
incroyables. Le mouvement « Bloquons tout » a représenté une véritable rupture
politique et sociale dans l’histoire italienne.
Des millions de personnes dans les rues à travers toute l’Italie. Deux grèves
générales effectives en l’espace d’une semaine, des cortèges spontanés, des
blocages diffus partout et une composition si hétérogène et transversale qu’il
est difficile d’en trouver un équivalent dans le passé récent. Le mouvement «
Bloquons tout » a, en quelques jours, traversé tous les secteurs sociaux de
notre pays — des prisons, où certains détenus ont fait grève, jusqu’aux
ambassades italiennes à travers le monde. Et potentiellement, sous certaines
conditions, les possibilités d’une généralisation encore plus large
existeraient. Le mouvement pourrait encore croître dans des territoires et des
secteurs sociaux peu touchés par la politique, qu’elle soit institutionnelle ou
issu des mouvements autonomes.
La dynamique qui s’est activée grâce à la générosité des militants et militantes
de la Global Sumud Flotilla, à la détermination des dockers du CALP et à la
vigueur du syndicalisme de lutte est en train d’influencer tout le cadre
politique italien et européen. Peut-être même celui mondial. Sans se faire trop
d’illusions, le calendrier du Plan Trump suggère que la montée de l’indignation
de l’opinion publique contre le génocide du peuple palestinien a joué un rôle
loin d’être marginal. D’ailleurs, pour ceux d’entre nous qui continuent à
réfléchir aux leçons de l’opéraïsme, la chose n’est pas si surprenante : le
capitalisme et ses formes institutionnelles se restructurent aussi sous
l’impulsion des luttes sociales — même lorsque les mystifications capitalistes
ne permettent pas d’en percevoir clairement le lien de causalité.
L’accélération à laquelle nous assistons n’a pas de précédent historique récent,
et elle diffère considérablement d’autres cycles de mobilisation, pourtant de
masse et transversaux, mais qui avaient des caractéristiques bien codifiées dans
les traditions des mouvements sociaux.
Il faut assumer pleinement ce constat. Reconnaître la césure historique et
comprendre que les foules ont largement dépassé les capacités organisationnelles
des structures militantes, bien que celles-ci aient joué un rôle loin d’être
secondaire en permettant la création de cette alchimie. C’est un débat qui nous
concerne directement et nous traverse — et pour lequel nous n’avons pas de
solutions déjà prêtes. Nous essayons d’exprimer ici quelques thèses inorganisées
et provisoires, toutes à vérifier sur le terrain.
1 – Quelque chose de totalement différent
Depuis la crise de 2008, nous pouvons identifier trois cycles de mobilisation
sociale dans notre pays, très différents les uns des autres. Chacun de ces
cycles a eu des caractéristiques spécifiques en termes de composition sociale,
de dimension organisationnelle et d’expression politique. Le premier a été
essentiellement de nature résistante : les mobilisations contre la réforme
Gelmini, contre le gouvernement Berlusconi d’abord, puis contre celui de Monti ;
les manifestations contre l’austérité et le mouvement Occupy à l’italienne ont
constitué, en substance, la réaction de divers secteurs sociaux face à la
perspective d’un appauvrissement de masse, d’une prolétarisation — en d’autres
mots, à la fin des perspectives ascendantes.
Dans ces années-là, entre les écoles et les universités, mûrissait la première
génération qui n’atteindrait pas le niveau de bien-être de ses parents. Les
formes politiques et organisationnelles de ces mouvements reflétaient cette
tension : malgré certains éléments de nouveauté empruntés à d’autres pays —
comme les acampadas — les mobilisations sociales restaient assez semblables à
celles qui avaient caractérisé le long 1968 et surtout les années 1990. Ce fut
un cycle qui, malgré sa puissance, a marqué la fin de cette phase historique.
La période suivante a été marquée par ce que nous avons défini comme la
mobilisation néopopuliste, tant sur le plan électoral que dans la rue.
L’ascension puis l’effondrement du Mouvement 5 Étoiles se sont accompagnés de
phénomènes sociaux ambigus et hybrides, présentant toutefois certaines
constantes. D’un côté, une direction « politique » des mobilisations assurée par
une classe moyenne en voie d’appauvrissement ; de l’autre, une composition
extrêmement hétérogène qui juxtaposait ses propres revendications à celles des
promoteurs des manifestations, même lorsqu’elles étaient objectivement
contradictoires, au nom de la nécessité d’un changement jugé commun et
indispensable. En Italie, cette tendance a caractérisé de nombreux phénomènes :
des Forconi1 , aux mobilisations des agriculteurs, jusqu’au mouvement contre le
Green Pass2. Des intérêts et des attentes différentes fusionnaient pour exprimer
un rejet de l’état des choses, rejet qui restait inévitablement générique dans
la forme de l’agitation, mais spécifique dans les plateformes portées par les
secteurs sociaux « moteurs » des manifestations — du moins à leurs débuts. Que
ces phénomènes puissent aller vers un processus de « clarification » des
intérêts en jeu, nous l’avons vu pour la première fois avec les Gilets Jaunes en
France.
Avec ses spécificités, peut-on penser que « Bloquons tout » soit le « moment
Gilets Jaunes » italien ? Oui et non. Oui, car il y a une similitude du point de
vue de la composition sociale, des pratiques de lutte et aussi de la capacité
d’influencer le cadre institutionnel (sur lequel nous reviendrons). Non, car à
certains égards, « Bloquons tout » représente un stade de maturation plus avancé
des subjectivités. Au-delà du rôle déjà mentionné des forces sociales
organisées, il faut prendre en compte la conjoncture politique générale : le «
régime de guerre » naissant, la montée au pouvoir, à l’échelle mondiale, des
droites souverainistes, l’approfondissement de la crise sociale et économique
contribuent à changer la direction du vent. Nous sommes face à quelque chose de
nouveau, chargé de potentialités.
2 – Le drapeau palestinien
À juste titre, beaucoup ont mis en garde ces dernières semaines contre les
tentatives de dissocier cette mobilisation surprenante de ses causes évidentes.
Le génocide du peuple palestinien a sans aucun doute été le déclencheur
émotionnel de ces manifestations. Ce fut une expérience de douleur et
d’impuissance partagée pendant presque deux ans : les images provenant de la
bande de Gaza nous ont confrontés, à plusieurs reprises, à divers dilemmes.
Pouvons-nous continuer à mener une vie « normale » alors qu’en face, de l’autre
côté de la Méditerranée, se déroule une épuration ethnique ? Pouvons-nous
accepter que les institutions qui nous gouvernent permettent cela sans rien dire
? Chaque jour, depuis deux ans, ces questions nous hantent — au travail, à
l’école, à l’université, au café, dans le silence de nos maisons. Alors que les
télévisions, les journaux et les politiciens répétaient en boucle les pires
narrations du régime sioniste, nous nous rendions compte que nous n’étions pas
seuls à nous poser ces questions. Malgré la propagande de guerre obsessive, de
plus en plus de gens se sont libérés de la peur de contester : depuis un certain
temps déjà, les initiatives de soutien au peuple palestinien ont dépassé les
milieux sociaux traditionnellement les plus sensibles à ces thèmes — les jeunes
et les communautés arabes en Italie.
Sit-in, initiatives et cortèges ont vu la participation croissante de secteurs
de la société qui ne s’étaient plus mobilisés depuis longtemps. À mesure que la
demande adressée aux institutions — qu’elles sortent enfin de leur inertie et de
leur complicité avec Israël — restait sans réponse, la confiance dans la rue
comme espace où compter réellement grandissait.
La narration médiatique a progressivement changé : de plus en plus de
personnalités publiques ont été contraintes de se prononcer, bon gré mal gré ;
les universités ont dû se justifier. La Global Sumud Flotilla a représenté un
tournant, car elle a offert une réponse pratique à une autre question que
beaucoup d’entre nous se posaient : « Comment pouvons-nous changer les choses si
notre gouvernement, et plus généralement les institutions de notre monde, ne
nous écoutent pas ? » En prenant l’initiative, en cessant de déléguer. Ce geste
courageux de l’équipage de la Flotilla a brisé la défiance. Il a démontré qu’une
partie de la société peut s’organiser pour briser l’inertie du génocide, même si
aucun gouvernement n’est disposé à le faire.
Certes, cette dynamique émotionnelle a joué un rôle fondamental dans la
naissance du mouvement. Mais il ne faut pas sous-estimer d’autres aspects
importants. En premier lieu, celui du « savoir ». S’il y a quelque chose de
surprenant — depuis les camps de tente à l’université — c’est bien à quel point
cette mobilisation a été accompagnée par des formes d’apprentissage par le bas,
partagées et collectives. Nous avons souvent été étonnés, même en dehors des
manifestations, de découvrir combien la connaissance — non superficielle — des
causes, de l’histoire et des visions de la lutte de libération palestinienne
s’était diffusée au-delà même de ceux qui se mobilisaient directement. Autour de
ces luttes s’est construit un savoir à la fois général et spécifique,
transversal et enraciné, complexe et raffiné. Inévitablement, ce savoir, en
partant de la question palestinienne, a dû se confronter à toute une série
d’autres problématiques : le fonctionnement des universités italiennes, la
logistique de guerre, le rôle stratégique de l’Italie, des États, des
multinationales, le fonctionnement des médias, le droit international,
l’histoire du colonialisme, et mille autres aspects encore. Tout cela s’est
produit sans qu’il soit besoin d’évangélisateurs allant de maison en maison :
c’est le fruit d’une intelligence collective confrontée aux défis d’une
mobilisation de masse. On pourrait s’interroger sur le rôle des réseaux sociaux
et sur le fait d’avoir en permanence une encyclopédie potentielle dans sa poche,
mais ce n’est sans doute pas l’aspect le plus important aujourd’hui. Ce qui
importe de dire, c’est que la mobilisation en solidarité avec le peuple
palestinien a constitué un véritable cours accéléré sur le fonctionnement de
nombreux aspects de notre monde, souvent dissimulés sous la couche de
mystifications produites par le capital. Une prise de conscience qui, forcément,
ne concernera pas seulement le rôle de notre pays dans le génocide.
À première vue, cela peut paraître paradoxal, mais la complexité et la
profondeur historique de la question palestinienne n’ont pas entravé le
développement du mouvement — au contraire, elles en ont été la force, permettant
à chaque fois de gravir un niveau supplémentaire de réalité à affronter. Ce fut
aussi un processus de libération en ce sens : la conquête d’une connaissance
autonome des rapports sociaux mondiaux. C’est une leçon importante : penser
qu’il existe une séparation trop déterministe entre le champ des besoins
matériels et celui du politique est une vision superficielle, voire parfois
classiste.
D’ailleurs, s’il est peut-être exagéré de ressortir l’ancien slogan « Le Vietnam
est à l’usine », il n’est pas absurde de penser que les conditions matérielles
vécues par une partie significative de notre pays ont joué un rôle dans ce
processus. La logique du réarmement et de l’économie de guerre rencontre un
refus diffus et transversal, déjà apparu à d’autres occasions. Plus
généralement, il est raisonnable de penser qu’un ensemble de revendications,
n’ayant pas trouvé de formes d’expression propres, se sont déversées dans les
manifestations pour Gaza comme symbole d’une libération face à un système
injuste et de plus en plus oppressif. En particulier parmi les jeunes
générations, on observe la projection d’une expérience sociale marquée par
l’effondrement croissant des attentes d’amélioration des conditions de vie et
par la réduction des espaces de liberté. Comme nous l’avons souvent dit : une
forme possible de nouvel internationalisme.
Cela ne signifie pas que les personnes participant à ce mouvement s’engagent
immédiatement sur d’autres terrains — tels que le réarmement ou les besoins
sociaux. Mais cette mobilisation ouvre des espaces de possibilité sous plusieurs
angles. D’abord, elle montre que descendre dans la rue est une manière effective
d’influer sur les phénomènes politiques nationaux et internationaux. Ensuite,
elle met en évidence l’existence d’une majorité sociale potentielle réticente à
se rallier à l’armée — réelle ou métaphorique — du capitalisme occidental dirigé
par les États-Unis.
3 – Temps additionnel
L’aspect peut-être le plus surprenant de cette dynamique est qu’elle s’est
déclenchée de manière totalement indépendante des partis et des syndicats de la
gauche institutionnelle. Le geste de la CGIL, qui a lancé une grève quelques
jours avant le 22 septembre3, s’est retourné contre elle, démontrant que le
syndicat n’est plus en mesure de saisir la profondeur du malaise social. Le
choix, en rattrapage, de s’unir à la grève générale du 3 octobre a replacé
Landini au centre de l’attention. D’un côté, cette décision a probablement mûri
sous la pression des adhérents du syndicat et a facilité un élargissement de la
participation — également grâce à l’hystérie du gouvernement ; de l’autre, elle
constitue une tentative de ramener la protestation dans le giron institutionnel.
Il en va de même, en partie, pour les partis qui, en l’espace de quelques
semaines, se sont déplacés vers des positions de plus en plus radicales — du
moins dans les discours. Beaucoup ont interprété ce virage comme un simple
calcul électoral, dans le cadre d’une campagne pour les élections régionales qui
va durée au cours des prochains mois. Il y a certainement du vrai, mais la
stratégie semble plus subtile et plus à long terme. Avec les référendums sur le
travail et sur la citoyenneté, les partis de la gauche institutionnelle ont
compris qu’une part significative de l’abstention et du non-vote portait des
revendications de justice économique et sociale qu’ils ne parviennent pas à
capter électoralement. Pendant ce temps, le camp centriste est pratiquement
asséché, presque entièrement déplacé vers la droite. Mais la désaffection envers
les partis institutionnels est si profonde que les simples déclarations
d’intention et les campagnes froides ne suffisent pas à ramener les gens aux
urnes. Le centre-gauche, dans ses différentes déclinaisons, est donc contraint
de courir derrière les phénomènes sociaux et d’essayer de s’y insérer comme un
flanc institutionnel.
Cette tendance ouvre une phase ambivalente : d’un côté, des revendications
issues de la base atteignent les canaux de la politique dominante ; de l’autre,
le risque de récupération est bien réel. Il n’est pas simple de naviguer dans
cette ambivalence, d’autant que les réalités militantes — y compris les plus
structurées — ne disposent pas, pour la plupart, aujourd’hui des outils, des
capacités ni du nombre suffisant pour favoriser l’organisation autonome de la
grande spontanéité qui s’est déversée dans les rues. Dans une phase
d’accélération de ce genre, tous ces éléments peuvent se construire rapidement,
mais pour cela, il faut trouver des formes qui favorisent le protagonisme social
et l’auto-organisation de l’intelligence collective. Quelles contre-institutions
ce mouvement — ou celui qui pourrait venir — peut-il se donner ? C’est la
question urgente qui, dans la ferveur de ces journées, a été justement mise de
côté, mais qu’il faudra aborder pour donner continuité et profondeur au
mouvement, sans qu’il soit réabsorbé dans les dynamiques institutionnelles.
4 – Dispositifs de disciplinement et rapports de force
Le mouvement « Bloquons tout » a remis en cause, en l’espace de deux semaines,
de nombreux dispositifs de disciplinement que ce gouvernement, comme ceux qui
l’ont précédé, avait mis en place pour contrer les luttes sociales. Face aux
chiffres et à la puissance de la mobilisation, le fameux Décret Sécurité4 s’est
dissous comme neige au soleil. Des dizaines de milliers de personnes ont
pratiqué les blocages et les occupations de ports, d’autoroutes, de voies
ferrées et d’aéroports, tandis que les préfectures et commissariats laissaient
souvent faire — à la fois par impréparation face à l’ampleur de l’événement et
pour éviter de lui donner encore plus d’ampleur. Le 3 octobre a ensuite marqué
un autre tournant historique : pendant des décennies, le droit de grève des
travailleurs et travailleuses a été entravé dans un ensemble de réglementations
destinées à en neutraliser le plus possible l’efficacité. Le travail de
démolition de ce droit s’est poursuivi même à des moments où l’outil de la grève
mettait en cause les profits de filières spécifiques — comme celle de la
logistique — sans pour autant remettre en question l’ensemble du système
économique italien. Souvent, les syndicats confédéraux ont été complices de ces
limitations progressives. Le 3 octobre a démontré que la grève est toujours
légitime, indépendamment de ce que dit le garant, des menaces de réquisition, ou
de la colère de Salvini. En deux semaines, ce mouvement a construit un rapport
de force incroyable, même si, dans la rhétorique schizophrène du gouvernement,
ces conquêtes sont présentées comme des concessions. La reconquête d’une plus
grande liberté d’action politique pour les mouvements sociaux passe par là : par
l’enracinement et le renforcement de ces rapports de force.
5 – Le cadre objectif
Dans la matinée d’hier, le Hamas a annoncé avoir accepté la première partie du
plan Trump, celle concernant la libération des otages israéliens et le
cessez-le-feu, tout en souhaitant discuter des points relatifs au retrait des
forces armées israéliennes (IDF) de Gaza, à la démilitarisation de la résistance
palestinienne et au « protectorat » américain sur la bande.
De retour dans son pays, Netanyahou continue d’affirmer que l’armée israélienne
restera dans la bande, tandis que les ministres les plus extrémistes de son
gouvernement ne cessent de saper l’accord de paix. Toujours hier, Trump a
reconnu dans l’après-midi que « Bibi est allé trop loin » et qu’il a risqué
d’isoler Israël sur la scène internationale. C’est un signe que la mobilisation
de l’opinion publique internationale a pesé — et pas qu’un peu — sur le contexte
des négociations. Il est difficile de prévoir ce qui peut se passer dans les
prochains jours : la guerre pourrait reprendre immédiatement après la libération
des prisonniers, ou bien connaître une période de refroidissement plus ou moins
longue. Les perspectives de création d’un État palestinien sur le territoire de
la Cisjordanie et de la bande de Gaza semblent, pour l’instant, très limitées —
tout comme celles d’un processus de décolonisation de la société israélienne
semblable à celui survenu en Afrique du Sud. Sans s’attaquer à la racine du
projet sioniste, les chances d’une paix durable en Palestine sont proches de
zéro.
La perspective d’un cessez-le-feu effectif et durable dépend aussi de la
pression politique qui pourra être maintenue sur Israël. Il est naturel — et
physiologique — qu’une éventuelle trêve ait un impact sur la participation aux
mobilisations, mais il sera essentiel de maintenir l’attention sur Gaza et sur
les crimes de guerre, sur le génocide commis par Israël au cours de ces deux
dernières années. Beaucoup de gouvernements, y compris le nôtre, voient dans
cette éclaircie une occasion de normaliser leurs relations avec Israël et
d’essayer de passer l’éponge sur le massacre impuni du peuple palestinien. Nous
ne pouvons pas le permettre.
Il ne faut pas oublier non plus que, ces dernières semaines, les vents de guerre
à l’est soufflent de plus en plus fort. Alors que le regard de l’opinion
publique reste fixé sur Gaza, le risque d’une escalade militaire devient
concret. La militarisation de l’Union européenne progresse à un rythme effréné,
et les perspectives d’un refroidissement du conflit semblent de plus en plus
lointaines. On ne peut pas exclure de nouvelles accélérations du désordre
mondial. Même ce qui se passe en Amérique latine, avec l’agressivité américaine
envers le Venezuela — déguisée en « guerre contre la drogue » — n’augure rien de
bon.
6 – Conclusions
Nous en arrivons à la journée d’hier, 4 octobre, rendez-vous lancé par les
associations palestiniennes en Italie, qui s’est inscrite, avec un calendrier
favorable, comme le point culminant des deux semaines précédentes, allant de la
grève du 22 à celle du 3.
Le premier élément à souligner est la participation massive, littéralement
océanique : le parcours lui-même n’a pas réussi à contenir physiquement le
nombre de personnes présentes.
Cet aspect peut nous offrir un point de réflexion sur les possibilités concrètes
de se tenir dans la rue.
Le serpentin long de plusieurs kilomètres s’est déroulé dans les artères de
Rome, incapables de le contenir ; à la fin du cortège, des jeunes ont pris
certaines rues latérales pour rejoindre d’autres lieux de la ville, et cette
tentative s’est heurtée à une réponse rapide de la partie adverse : deux
encerclements ont été formés à la suite de jets de canon à eau et de gaz
lacrymogènes, enfermant quelques centaines de personnes, ensuite identifiées et
relâchées.
En parallèle, dans d’autres points de la ville, il y a eu des charges policières
accompagnées d’un lancement massif de gaz lacrymogènes ; une voiture de police a
pris feu, et jusque tard dans la soirée, des affrontements se sont succédé dans
plusieurs zones.
Il semblerait pour le moment que sur les 12 interpellés, on compte 2
arrestations.
Les journaux ont relancé la narration resséssée de la division entre « bons et
méchants », tentant de criminaliser et de fragmenter le mouvement, en omettant
délibérément la réalité de ce qui s’était produit la veille et la forte charge
conflictuelle qui avait caractérisé toutes les places lors de la journée de
grève générale, de manière transversale. « Bloquer », nous l’avons dit
collectivement, du nord au sud, a pris ces dernières semaines une valeur
concrète. Les dockers, de Gênes à Livourne, de Trieste à d’autres ports, nous
l’ont enseigné : bloquer, cela signifie interrompre les flux qui alimentent une
économie de guerre et financent le génocide en Palestine. Une ritualité a été
brisée grâce au choix de toutes les personnes descendues dans la rue qui ont
réellement mis à disposition d’eux-mêmes, de leur vie, de leur temps, afin
d’être impactant, afin de pratiquer efficacement l’objectif de ne pas être
complices du gouvernement d’Israël ni des gouvernements occidentaux qui le
soutiennent.
Comme on l’a déjà dit, se pose maintenant la question de la continuité, à la
lumière à la fois des transformations générales en cours et des formes que
prendra le mouvement à l’intérieur et au-delà de ses dimensions organisées.
Certains éléments susceptibles de constituer une proposition devront tenir
compte de la diffusion territoriale géographique qui a contribué à la réussite
et à la tenue de ces deux semaines, et donc de la nécessité d’en alimenter la
diffusion ; du rôle des médias, qui ont permis de massifier la composition
sociale du mouvement ; de la nécessité de continuer à construire des blocages
réels, accompagnés de l’ouverture d’espaces de prise de parole capables
d’expliciter la profonde signification politique de ce qui est en train de se
mettre en mouvement.
Une fenêtre éblouissante a déchiré la normalité ; faire de l’exceptionnalité de
ce moment une nouvelle normalité est un pari qu’on ne peut pas se permettre de
fuir.
video dei Giovani Palestinesi d’Italia Daniele Calabretti Photo – Leonardo Turin
– Grève du 3 octobre Alisagki photo – Milan – Grève 22 septembre Livourne –
Presidio permanente al porto – Grève 22 septembre
1. Le mouvement des Forconi a éclaté en 2013 lancé initialement par des
chauffeurs autoroutiers siciliens et proches de la droite contre la
fiscalité et l’État plus globalement. Le mouvement s’est étendu à d’autres
secteurs sociaux (agriculteurs, ouvriers, marchands ambulants, etc.) sur
toute la péninsule de façon peu structurée. Le manifestants ont procédé
principalement à des blocages autoroutiers, routiers et des ronds-points.
C’est une des premières fois où la composition mobilisée ne se rattachait
pas à une ideologie précise, mais plutôt ambiguë. Les mots d’ordre des
forconi se concentraient sur des revendications liées aux conditions
materielles de vie et pas du tout idéalistes… Pour en savoir en plus :
https://www.infoaut.org/bisogni/impressioni-di-dicembre ↩︎
2. Équivalent du Pass sanitaire en France pendant le Covid ↩︎
3. La date du 22 septembre avait été choisie par les syndicats de lutte comme
première grande date nationale de «Bloquons tout» avec un appel à la grève.
↩︎
4. Le Décret Sécurité à été voté en juin 2025 et fait passer des dispositions
d’urgence en matière de sécurité publique telles que l’anti-terrorisme, plus
de tutelle des forces de l’ordre, des dispositions plus strictes et des
peines plus dures en matière de gestion de l’ordre public. Par exemple le
décret alourdit les peines pour les blocages routiers, pour interruption de
services publics (c’est-à-dire la grève). Cette loi a aussi été surnommée
‘loi contre les mouvements écologistes’ car ils ont fait de ces pratiques de
désoibeissance civile leur forme de lutte privilegié (mais pas que). ↩︎
Riprendiamo il comunicato pubblicato dalla campagna Free Anan e ci uniamo alla
solidarietà ad Anan Yaeesh.
Sabato 4 ottobre 2025, il prigioniero politico palestinese Anan Yaeesh è entrato
in sciopero della fame. Questa sua decisione si affianca alla solidarietà con le
mobilitazioni per la Palestina che nelle ultime settimane hanno attraversato
l’Italia e, in particolare, nel giorno della manifestazione nazionale a Roma,
quando oltre un milione di persone è sceso in piazza contro il genocidio del
popolo palestinese e contro la collaborazione e la complicità del governo
italiano con l’occupazione israeliana.
Nel nuovo istituto penitenziario, infatti, gli incontri con i legali sono
diventati sempre più difficili e rari, rendendo quasi impossibile concordare la
strategia difensiva. Il trasferimento, privo di giustificazioni oggettive,
rappresenta un atto di rappresaglia nei confronti della solidarietà e un
tentativo di isolamento politico e umano. Lo sciopero della fame di Anan Yaeesh
è un atto di resistenza e dignità, che chiama alla mobilitazione e alla
vigilanza di quanti abbiano a cuore la giustizia, la libertà e i diritti del
popolo palestinese. Chiediamo il rispetto dei diritti di Anan Yaeesh, la fine
delle misure punitive e la sua immediata ricollocazione in un carcere che
garantisca il pieno esercizio del diritto alla difesa.
Ribadiamo inoltre che non sarà certo un trasferimento a minare o recidere la
solidarietà che il popolo italiano ha espresso nei confronti di Anan nel corso
di questi quasi due anni; precisiamo quindi, a chiunque si celi dietro queste
decisioni, che ovunque Anan verrà trasferito, continuerà a godere dell’ampio
sostegno e delle mobilitazioni in sostegno alla sua causa.
La resistenza non si arresta!
La resistenza non si processa!
Novanta medici, infermieri, operatori sanitari, tra cui sei italiani, sono a
bordo di quello che loro stessi hanno definito “un ospedale galleggiante pieno
di farmaci”.
Una vera e propria seconda ondata della Freedom Flotilla Coalition, coordinata
con Thousand Madleens, sempre con lo stesso scopo umanitario, ma mirata proprio
a portare aiuto sanitario a una popolazione che rischia di morire anche per una
banale infezione.
“Se Israele arresterà professionisti della sanità protetti dalle convenzioni
internazionali, i governi dei loro paesi non potranno non intervenire con
maggiore forza rispetto a quanto fatto con la Sumud” hanno detto.
E il motivo è che i medici non possono essere arrestati nell’esercizio delle
proprie funzioni, secondo la Convenzione di Ginevra. Ma abbiamo
già visto quanto vale il diritto internazionale per il governo criminale di
Netanyahu.
A loro, a tutti i medici, infermieri, operatori sanitari, va tutta la nostra
gratitudine perquello che stanno facendo.
Chi pensava che sarebbe bastato abbordare la Global Sumud Flotilla per
fermarli,non ha capito il senso profondo della Flotilla e quello che ha
risvegliato.
Se esiste ancora un barlume di umanità, è in questi scatoloni, su quelle
barche.
Tutti gli occhi sulla Flotilla.
da @ossrepressione
Riprendiamo questo articolo di Duccio Facchini, direttore di Altraeconomia
apparso originariamente sulla rivista medesima e poi ripreso da
osservatoriorepressione.
Roberto Cingolani, amministratore delegato del colosso, ha provato a “rispondere
alle accuse di ‘complicità nel genocidio’” con un’intervista al Corriere della
Sera zeppa di contraddizioni e tesi fantasiose. Ma nel maldestro tentativo di
alleggerire la propria posizione ha clamorosamente smentito due anni di falsità
raccontate dall’esecutivo. Ecco, punto per punto, perché
L’intervista rilasciata il 30 settembre 2025 dall’amministratore delegato di
Leonardo Spa, Roberto Cingolani, al Corriere della Sera al dichiarato scopo di
“rispondere alle accuse di ‘complicità nel genocidio’” segna una tappa cruciale
nella vicenda delle armi italiane a Israele.
La principale azienda bellica del nostro Paese ammette anche sulla stampa più
vicina quanto già evidenziato dalle inchieste di Altreconomia: e cioè che
l’Italia ha continuato a esportare materiale d’armamento verso Tel Aviv dopo il
7 ottobre 2023, nella complice inerzia del Governo Meloni.
Leonardo, il cui azionista di maggioranza è quello stesso governo che per mesi
ha negato l’innegabile, lo ha fatto in forza di autorizzazioni rilasciate
dall’Unità per le autorizzazioni dei materiali d’armamento (Uama), in seno alla
Farnesina, prima del 7 ottobre 2023 che non sono mai state sospese o revocate
dall’esecutivo, che pure avrebbe potuto e dovuto farlo in forza della legge
185/1990, che già prevede esplicitamente la circostanza della sospensione o
revoca (all’articolo 15) di licenze già rilasciate financo per armi sportive, da
caccia, gli “artifizi luminosi e fumogeni”, le “armi e munizioni comuni da
sparo”. Figurarsi per i materiali e i ricambi che Leonardo ha esportato a
beneficio dei velivoli M-346 prodotti dalla Alenia Aermacchi di Varese e che i
piloti dell’aeronautica israeliana utilizzano per formarsi e poi, perché è
quello che fanno, bombardare, con altri caccia, la Striscia di Gaza.
Cingolani sostiene che Leonardo sia stata quasi “costretta” a proseguire quelle
esportazioni per onorare due contratti in essere relativi alla “manutenzione per
elicotteri e aeroplani da addestramento non armati”. Se non lo avesse fatto, è
la tesi propinata oggi come se nulla fosse accaduto nel frattempo, avrebbe
commesso “un illecito” che avrebbe poi portato a un “contenzioso legale”.
Nel maldestro tentativo di alleggerire la propria posizione e sorvolando
sull’obbligo cogente in capo all’azienda di sospendere i contratti
indipendentemente da un passo governativo (si veda, ad esempio, la Convenzione
di Vienna), Cingolani -che si è ben guardato dal citare il programma dei dodici
elicotteri AW119Kx d’addestramento della Agusta-Westland prodotti a Philadelphia
dopo un accordo del febbraio 2019, i cannoni Oto Melara sulle corvette dello
Stato ebraico, o la vicenda delle bombe GBU-39 co-prodotte da Mbda, di cui
Leonardo detiene il 25%- si è spinto a invocare “una copertura istituzionale”,
facendo così cadere la maschera del governo. “Per fortuna adesso il ministero
degli Esteri e la Uama stanno guardando se sia possibile trovare un
provvedimento che ci consenta di sospendere le vecchie licenze sulla falsariga
della legge 185”.
È una farsa. La legge 185/1990 prevede esplicitamente la possibilità di
sospendere e revocare le licenze, e le palesi e gravi violazioni delle
convenzioni internazionali in materia di diritti umani a Gaza sono sotto gli
occhi del mondo da quasi due anni, denunciate prima e accertate poi da numerosi
organismi internazionali, anche in seno alle Nazioni Unite. Perché il governo
italiano non ha fatto nulla e si ritrova “adesso” a “guardare” se sia possibile
firmare un “provvedimento” di sospensione?
Quel provvedimento è un decreto che la Farnesina non ha mai voluto firmare.
Quando Altreconomia ne chiese conto tramite un accesso civico generalizzato nel
lontano dicembre 2023 la risposta fu da commedia dell’assurdo: il ministero
degli Esteri si rifiutò persino di dare la “informazione circa la sussistenza o
meno di decreti di sospensione in sé, indipendentemente dalla circostanza che
siffatte tipologie di provvedimenti siano o meno state adottate” perché la
semplice notizia dell’esistenza del decreto avrebbe potuto “arrecare potenziale,
concreto pregiudizio alle relazioni internazionali citate, in quanto
consentirebbe l’immissione nella conoscenza di processi di analisi e decisioni
che toccano livelli di riservatezza nella gestione delle relazioni
internazionali per come sopra qualificate”. Oggi Cingolani svela il bluff: non
c’era nulla da ostendere se non la complice inerzia nel far proseguire
esportazioni già autorizzate.
Eppure sono due anni che il vicepresidente del Consiglio e titolare degli Esteri
Antonio Tajani dispensa rassicurazioni all’opinione pubblica dicendo che è
“tutto bloccato”. È arrivato persino ad affermare, nella pasticciata confusione
di chi forse prova a tutelare la propria posizione di fronte ai tribunali
internazionali, che se qualcosa proprio fosse partito erano semplicemente “pezzi
di radio”. L’Avvocatura dello Stato -nella causa promossa dall’avvocato gazawi
Salahaldin M. A. Abdalaty- ha parlato addirittura di “documentazione tecnica e
corsi di formazione”. Una medaglia spetta però alla presidente del Consiglio,
Giorgia Meloni, che in Senato il 15 ottobre 2024, in risposta alla nostra
inchiesta, disse che l’export in capo a Leonardo altro non era se non
“componentistica per aerei che vengono assemblati in Israele per essere
esportati negli Stati Uniti” e che dunque non vi era alcun “rischio” che fossero
“utilizzati”. Un’invenzione.
Passa un anno e Roberto Cingolani sul Corriere della Sera ne dice un’altra:
l’export di Leonardo sarebbero in realtà “quattro tecnici che sono in Israele
per la manutenzione ordinaria dei velivoli”. L’ennesima e triste capriola
smentita dalla stessa società che amministra, dato che un anno fa Leonardo
ha comunicato ad Altreconomia che le forniture nel 2024 furono “assistenza
tecnica da remoto, senza presenza di personale nel Paese (sic), riparazione
materiali e fornitura ricambi”, per un valore di sette milioni di euro. Cosa che
è proseguita anche nel 2025 ma Leonardo si rifiuta di specificare pubblicamente
l’ammontare.
Dire tutto e il contrario di tutto, scegliendo naturalmente da chi farsi porre
le domande (Cingolani ha del resto rifiutato la nostra proposta di intervista)
non è cabaret, è una scelta precisa, utile a tacciare l’opinione pubblica di
esser incapace di cogliere la complessità e di cadere in semplicistiche derive
di natura ideologica. Peccato però che poi ci siano i fatti a parlare.
Non è vero che nel rapporto della Relatrice speciale Onu Francesca
Albanese “Dall’economia dell’occupazione all’economia del genocidio” -che, va
ricordato, ha il vincolo formale delle 9mila parole complessive- Leonardo Spa
sia nominata “in quattro pagine in maniera abbastanza superficiale, con accuse
strumentali e forzate”. Perché Leonardo Spa non divulga la dettagliata
comunicazione ricevuta da Albanese prima della pubblicazione del report? Le
circostanze relative al consorzio che produce gli F-35 che hanno raso al suolo
larga parte della Striscia di Gaza sono incontestabili. Come incontestabile è
l’ipocrisia dell’amministratore delegato del colosso quando arriva a dire che da
socio di maggioranza non può “fare nulla” sulla società che invece dovrebbe
controllare, come è il caso della statunitense Drs o della israeliana Rada in
tema di radar, per via di giurisdizioni differenti che ne limitano l’intervento.
Certi alibi quando si schiantano al suolo lasciano enormi crateri.
A un mese dalla nomina del nuovo primo ministro, e a poche ore dalla nascita nel
nuovo esecutivo, il governo di Sebastien Lecornu è già finito.
Nominato il 9 settembre, Lecornu era stato oggetto di critiche da parte
dell’opposizione e della destra dopo aver svelato domenica sera parte della
composizione del suo governo. Martedì avrebbe dovuto pronunciare la sua
dichiarazione di politica generale all’Assemblea. Lunedì mattina, Lecornu ha
presentato le sue dimissioni, accettate dal presidente Macron. La France
Insoumise chiede ora l’”esame immediato” della mozione di destituzione del
presidente Macron. Lasciando Matignon (la sede del governo) 27 giorni dopo la
sua nomina, Lecornu diventa il primo ministro con il mandato più breve della
storia. Si tratta di dimissioni inaspettate, e quali ne sono state le cause?
Quali sono i possibili scenari che si aprono? Lo abbiamo chiesto ad Andrea Di
Gesu, ricercatore italiano che vive in Francia e nostro collaboratore da Parigi.
Ascolta o scarica.
da Radio Onda d’Urto
Riceviamo e pubblichiamo volentieri…
Noi sottoscritt* medic* specializzand* dell’Università di Torino riteniamo
necessario prendere insieme una posizione pubblica in merito al genocidio del
popolo palestinese e alla situazione umanitaria nella Striscia di Gaza.
Siamo convint* che l’isolamento internazionale del governo d’Israele debba
partire dalle prese di posizione dei cittadini dei Paesi i cui governi, a fronte
di parole di circostanza sulle sofferenze del popolo palestinese, continuano ad
avere, come se nulla fosse, rapporti commerciali e diplomatici con Israele,
rendendosi di fatto complici di uno sterminio con pochi precedenti nella storia
dell’umanità. A questo fine, crediamo fondamentale che nei posti di lavoro
maturi sempre più forte il rifiuto di tollerare in silenzio questa situazione e,
al contempo, si costituiscano gruppi di persone decise e capaci di iniziative di
protesta civile e democratica. Ma sappiamo che ciò è possibile solo se si sente
fino in fondo che il destino della Palestina è anche il nostro. È questo il
senso principale della nostra iniziativa.
Da decenni, il popolo palestinese che abita i territori occupati sottostà ad un
franco regime di apartheid imposto da Israele, fondato su segregazione etnica,
limitazioni massive della libertà di movimento e del diritto di voto, continui
espropri di territori ed abitazioni, ed uso sistematico della violenza. La
condotta di Israele è stata più volte condannata dagli organi delle Nazioni
Unite (risoluzioni 446, 465 e 2334 del Consiglio di Sicurezza; risoluzioni
77/247 ed ES-10/23 dell’Assemblea Generale; et cetera), purtroppo senza
conseguenze pratiche. Quanto accaduto nella striscia di Gaza a partire dall’8
ottobre 2023, giorno successivo al deplorevole attentato di Hamas, è in assoluta
continuità con tale condotta, ma ha portato le violenze ad un livello mai visto
in precedenza.
Negli ultimi venti mesi, secondo i dati del Dipartimento di Salute di Gaza,
circa 60.000 palestinesi sono stati uccisi nella Striscia come conseguenza
diretta degli attacchi delle Israeli Defense Forces. Un’analisi peer-reviewed
pubblicata su The Lancet nel 2024 (DOI: 10.1016/S0140-6736(24)01169-3) ha
stimato che il numero reale di vittime considerando anche le morti indirette
(ovvero quelle dovute alla fame e alla sete, al freddo, ad altre forme di
deprivazione materiale, alle malattie e al mancato accesso ai servizi sanitari)
sia almeno del 40% più alto. La grande maggioranza dei morti, probabilmente tra
il 70 e l’80%, è rappresentata da donne, anziani e bambini (Nearly 70% of Gaza
war dead women and children – UN). Il direttore regionale dell’UNICEF per Medio
Oriente e Nord-Africa ha dichiarato che almeno 50.000 bambini sono stati uccisi
o feriti nella Striscia di Gaza tra ottobre 2023 e maggio 2025 (‘Unimaginable
horrors’: more than 50,000 children reportedly killed or injured in the Gaza
Strip).
Oltre ad aver reso la popolazione civile il principale bersaglio degli attacchi,
l’esercito israeliano ha anche devastato il sistema sanitario di Gaza, come più
volte riportato dalla World Health Organization (Health system at breaking point
as hostilities further intensify in Gaza, WHO warns). Il 94% degli ospedali
nella Striscia è stato danneggiato o completamente distrutto, e solo 19 dei 36
ospedali presenti nella zona ad ottobre 2023 sono oggi operativi. Per questo, a
Gaza risultano attualmente disponibili circa 2.000 letti di ospedale per più di
due milioni di persone prostrate oltre i limiti dell’immaginabile, equivalenti a
100 letti ogni 100.000 persone, contro 516 letti ogni 100.000 persone
nell’Unione Europea. Tutto ciò senza considerare gli oltre 1400 operatori
sanitari uccisi nel corso degli attacchi dell’esercito israeliano su ospedali e
ambulanze (Reported impact snapshot | Gaza Strip (7 May 2025) | United Nations
Office for the Coordination of Humanitarian Affairs – Occupied Palestinian
Territory) e quelli arrestati mentre prestavano assistenza ai feriti (Gaza
hospital chief Abu Safia detained, tortured in Israeli jail: Lawyer |
Israel-Palestine conflict News | Al Jazeera).
Ad aggravare ancora la situazione nella Striscia contribuiscono la malnutrizione
e le malattie (People in Gaza starving, sick and dying as aid blockade
continues). I tre quarti della popolazione della Striscia sono in stato di
deprivazione alimentare “emergenziale” o “catastrofica”. Il Ministero della
Sanità di Gaza ha segnalato che da marzo 2025, quando Israele ha scientemente
iniziato ad impedire la consegna di aiuti, almeno 60 bambini sono morti DI FAME.
Questo numero è destinato a crescere con opprimente certezza. 17.000 donne
incinte o in fase di allattamento soffriranno di malnutrizione acuta nel corso
dei prossimi mesi, con conseguenze terribili quando non letali per i loro figli.
Il programma di distribuzione di aiuti gestito dalla Gaza Humanitarian
Foundation -coordinato solo da israeliani e statunitensi- è assolutamente
insufficiente a soddisfare le esigenze della popolazione di Gaza. Peraltro, da
maggio 2025 l’esercito israeliano e i suoi collaboratori hanno aperto e
continuano ad aprire il fuoco impunemente sui civili anche nel contesto delle
procedure di distribuzione di cibo, uccidendo ogni giorno decine di palestinesi
(US-Israeli backed Gaza aid group must be shut down, say 170 charities).
La portata e l’efferatezza di questo genocidio in diretta si ripercuoteranno per
generazioni sui palestinesi che sopravviveranno. La storia dell’umanità è
macchiata, di nuovo, in maniera indelebile.
Le sofferenze e la distruzione inflitte al popolo palestinese rappresentano
l’assoluta negazione dei principi e delle ragioni per cui abbiamo scelto e
svolgiamo il nostro lavoro. In qualità di medic* specializzand* sentiamo di
avere il dovere, oltre che il diritto, di chiedere conto all’Università di
Torino delle relazioni che vengono intrattenute con gli atenei israeliani,
maggior parte dei quali supporta DE FACTO il genocidio della popolazione
palestinese. Ciò è dettagliatamente descritto nell’ultimo rapporto della
relatrice speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani nei Territori
Palestinesi Occupati, Francesca Albanese, pubblicato il 30 giugno scorso (ref),
dove si documenta esplicitamente “In Israele, le università – in particolare le
facoltà di giurisprudenza, i dipartimenti di archeologia e di studi sul Medio
Oriente – contribuiscono all’impalcatura ideologica dell’apartheid, coltivando
narrazioni allineate con lo Stato, cancellando la storia palestinese e
giustificando le pratiche dell’occupazione. Parallelamente, i dipartimenti di
scienza e tecnologia fungono da centri di ricerca e sviluppo per le
collaborazioni tra l’esercito israeliano e i contraenti del settore bellico, tra
cui Elbit Systems, Israel Aerospace Industries (IAI), IBM e Lockheed Martin,
contribuendo così alla produzione di strumenti per la sorveglianza, il controllo
delle folle, la guerra urbana, il riconoscimento facciale e le uccisioni mirate,
strumenti che vengono di fatto testati sui palestinesi” (Palestinian Academic
Unions Commend Global Universities for Ending Ties With Complicit Israeli
Universities, Urge Action From Others | BDS Movement).
Siamo convint* che l’isolamento internazionale delle politiche del governo
israeliano debba partire anche dalle scelte etiche delle comunità accademiche
dei Paesi i cui governi, pur esprimendo cordoglio per le vittime palestinesi,
mantengono rapporti commerciali, accademici e militari con Israele, contribuendo
di fatto a prolungare crimini che la comunità scientifica e le agenzie dell’ONU
documentano da anni. Un esempio concreto è il mantenimento da parte delle
Aziende Sanitarie dei contratti in essere con TEVA, multinazionale farmaceutica
israeliana TEVA che finanzia il governo e l’esercito israeliano con le sue
imposte (da considerare che l’utile lordo del 2022 dell’intero gruppo è di quasi
7.000 milioni di dollari, pari al 46,7% del fatturato – TEVA). Nei luoghi di
lavoro e di formazione è indispensabile rifiutare la normalizzazione
dell’ingiustizia, costruire gruppi capaci di proteste civili e democratiche e
riconoscere che il destino del popolo palestinese riguarda anche la nostra
responsabilità professionale.
Crediamo in un’Università e in una Società che si posizioni in modo chiaro e
concreto contro le ingiustizie. Di fronte al quotidiano aggravarsi della
situazione umanitaria in Palestina, riteniamo che l’Università di Torino con la
sua ultima mozione del Senato accademico abbia messo in atto risposte
sicuramente importanti ma ancora poco decisive all’ottenimento di un effetto
concreto sull’inaccettabile situazione in Palestina
(https://www.unito.it/sites/default/files/2025-10/resoconto_sas_30_settembre_2025.pdf).
Richiediamo quindi:
* Sospensione immediata di tutte le collaborazioni in essere o in programma con
atenei o enti — israeliani o meno — coinvolti nello sviluppo di tecnologie
potenzialmente utilizzabili per sostenere l’apartheid e lo sterminio in corso
a Gaza.
* Interruzione immediata di qualsiasi accordo o relazione formale con
università israeliane e impegno a non stipularne di nuovi finché perdura
l’attuale situazione.
* Rafforzamento della cooperazione sanitaria e formativa con strutture
palestinesi, attraverso telemedicina, formazione specialistica, fornitura di
dotazioni essenziali e facilitazione della mobilità del personale e degli
studenti.
* L’interruzione dei contratti con TEVA da parte delle Aziende Sanitarie con
cui è in attivo il Protocollo d’intesa per l’attuazione del percorso
formativo di Specializzazione (per maggiori informazioni
https://bdsitalia.org/index.php/campagne/teva-no-grazie)
L* medic* specializzand* dell’Università di Torino
– Se sei un* specializzand* dell’Università di Torino, ti invitiamo a firmare il
comunicato.
– Se non sei un* specializzand* dell’Università di Torino, non è necessario che
firmi il comunicato. Ti ringraziamo del supporto e ti invitiamo a organizzare
un’iniziativa analoga sul luogo di lavoro. Per domande o chiarimenti:
alessandrafortuna96@gmail.com
L’appello è condiviso da* specializzand* dei seguenti Atenei:
– Università di Pisa
– Università di Bologna
che hanno sottoscritto un Comunicato analogo presso il proprio centro.
Firmatar*
1. Dott.ssa Alessandra Fortuna, Ginecologia e Ostetricia
2. Dott.ssa Chiara Cito, Ginecologia e Ostetricia
3. Dott.ssa Stefania Arridu, Ginecologia e Ostetricia
4. Dott.ssa Giorgia Dragone, Ginecologia e Ostetricia
5. Dott.ssa Francesca Valloreo, Ginecologia e Ostetricia
6. Dott.ssa Francesca Neglia, Ginecologia e Ostetricia
7. Dott.ssa Greta Cunico, Ginecologia e Ostetricia
8. Dott.ssa Sara Babich, Ginecologia e Ostetricia
9. Dott. Francesco Muccio, Anestesia e Rianimazione
10. Dott. Alessandro Mastrippolito, Ginecologia e Ostetricia
11. Dott. Lorenzo Nescis, Nefrologia
12. Dott.ssa Caterina Vallarino, Medicina di Emergenza e Urgenza
13. Dott. Andrea Casson, Ematologia
14. Dott.ssa Laura Serrao, Pediatria
15. Dott.ssa Maria Francesca Greco, Ginecologia e Ostetricia
16. Dott. Tommaso Picardi, Ematologia
17. Dott.ssa Alessandra Russo, Chirurgia Toracica
18. Dott. Giovanni Murante, Ematologia
19. Dott. Enrico Amaducci, Ematologia
20. Dott. Alessandro Di Nicola, Ematologia
21. Dott. Rocco Schiavone, Oncologia medica
22. Dott.ssa Giulia Beltrami, Anestesia e Rianimazione
23. Dott.ssa Wassila Znaidi, Chirurgia vascolare
24. Dott. Giovanni Geraci, Nefrologia
25. Dott. Paolo Sanna, Anestesia e Rianimazione
26. Dott.ssa Melania Dall’Occo, Medicina di Emergenza e Urgenza
27. Dott.ssa Annalisa Guarino, Nefrologia
28. Dott.ssa Laura Manino, Malattie dell’apparato respiratorio
29. Dott. Alessandro Giuri, Ginecologia e Ostetricia
30. Dott.ssa Silvia Parente, Patologia clinica e biochimica clinica
31. Dott. Davide Stella, Ematologia
32. Dott.ssa Francesca Ferrara, Ortopedia e Traumatologia
33. Dott.ssa Grazia Mallia, Ematologia
34. Dott.ssa Mariapia Pironti, Ematologia
35. Dott. Giuseppe Bertuglia
36. Dott.ssa Benedetta Violetto, Ginecologia e Ostetricia
37. Dott.ssa Camilla Chimenti, Ginecologia e Ostetricia
38. Dott.ssa Francesca Tamburelli, Ginecologia e Ostetricia
39. Dott. Luca Oleandri, Anestesia e Rianimazione
40. Dott.ssa Nada Harani, Radiodiagnostica
41. Dott.ssa Silvia Montisci, Medicina di Emergenza e Urgenza
42. Dott.ssa Ilaria Giovannini, Ginecologia e Ostetricia
43. Dott.ssa Giada Ronco, Medicina d’emergenza e urgenza
44. Dott.ssa Alice Cutruneo
45. Dott.ssa Francesca Maglioli, Medicina d’emergenza e urgenza
46. Dott.ssa Sofía Guzmán Décimo, Ginecologia e Ostetricia
47. Dott. Jacopo Fornasiero, Medicina d’emergenza e urgenza
48. Dott. Andrea Milani, Medicina d’emergenza e urgenza
49. Dott. Simone Lizza
50. Dott. Giorgio Lombardo, Anestesia e Rianimazione
51. Dott. Micol Colombatto, Medicina Interna
52. Dott.ssa Silvia Mascolo, Reumatologia
53. Dott.ssa Chiara Bartoletti, Medicina d’emergenza e urgenza
54. Dott.ssa Rebecca Tasca, Cardiologia
55. Dott.ssa Francesca Cavalla, Anestesia e Rianimazione
56. Dott.ssa Elena Bianco Morghet, Anestesia e Rianimazione
57. Dott.ssa Federica Curró Dossi, Cardiologia
58. Dott.ssa Maria Felicia Filardo, Anestesia e Rianimazione
59. Dott. Stefano Paronuzzi, Medicina Interna
60. Dott.ssa Valentina Braia, Malattie dell’apparato cardiovascolare
61. Dott. Francesco Napoli, Medicina d’emergenza e urgenza
62. Dott.ssa Irene Vanacore, Ginecologia e Ostetricia
63. Dott. Lorenzo Boriglione, Ginecologia e Ostetricia
64. Dott.ssa Teresa Ruggiero, Anestesia e Rianimazione
65. Dott.ssa Caterina Guerra, Radiodiagnostica
66. Dott.ssa Federica Gavello, Ginecologia e Ostetricia
67. Dott. Salvatore Andrea Randazzo, Medicina d’emergenza e urgenza
68. Dott.ssa Beatrice Sanna, Malattie dell’apparato cardiovascolare
69. Dott. Luca Tricomi, Malattie dell’apparato cardiovascolare
70. Dott. Gianvito Cotangelo, Ginecologia e Ostetricia
71. Dott.ssa Federica Buzzurro, Nefrologia e Dialisi
72. Dott.ssa Claudia Marraccini, Ginecologia e Ostetricia
73. Dott. Guglielmo Merlino, Cardiologia
74. Dott. Andrea Ranieri, Anestesia e Rianimazione
75. Dott. Luca Nissardi
76. Dott. Federico Favaro, Reumatologia
77. Dott. Manuel Petracca, Cardiologia
78. Dott. Bono Niccolò, Radiodiagnostica
79. Dott. Vincenzo Carella, Medicina interna
80. Dott.ssa Rachele Gastaldi, Gastroenterologia
81. Dott. Pietro Denti, Ginecologia e Ostetricia
82. Dott.ssa Matilde Giudetti, Ginecologia e Ostetricia
83. Dott. Luca Cozzone, Oncologia
84. Dott.ssa Lisa Gassino, Anestesia e Rianimazione
85. Dott.ssa Francesca Giacchino, Ginecologia e Ostetricia
86. Dott.ssa Federica Agagliati, Neuropsichiatria Infantile
87. Dott.ssa Valentina Pizzorni, Ginecologia e Ostetricia
88. Dott. Lorenzo Sauro, Endocrinologia
89. Dott.ssa Anna Rigodanza, Medicina d’emergenza e urgenza
90. Dott.ssa Caterina Galasso, Ginecologia e Ostetricia
91. Dott. Edoardo Gallizio, Pediatria
92. Dott. Emanuele Tau, Anestesia e Rianimazione
93. Dott.ssa Irene Praticò, Medicina Interna
94. Dott.ssa Elisa Rossi, Pediatria
95. Dott.ssa Valentina Ortale, Medicina d’urgenza ed emergenza
96. Dott.ssa Modugno Elisa, Pediatria
97. Dott.ssa Mimma Trevisani, Medicina d’urgenza ed emergenza
98. Dott.ssa Giulia Bonacina, Medicina d’urgenza ed emergenza
99. Dott. Caruso Nunziante, Nefrologia
100. Dott. Andrea De Caro, Anestesia e Rianimazione
101. Dott.ssa Elisa Catale, Malattie dell’apparato cardiovascolare
102. Dott.ssa Gloria Riva, Malattie dell’apparato cardiovascolare
103. Dott.ssa Martina Bortoloni, Ginecologia e Ostetricia
104. Dott.ssa Anita Somenzi, Pediatria
105. Dott.ssa Francesca Lionetto, Medicina d’urgenza ed emergenza
106. Dott.ssa Ludovica Torchio, Ginecologia e Ostetricia
107. Dott.ssa Francesca Giungato, Malattie Infettive e tropicali
108. Dott.ssa Francesca Romano, Malattie Infettive e tropicali
109. Dott.ssa Elisa Vuaran, Malattie Infettive e tropicali
110. Dott. Enrico Garro, Malattie Infettive e tropicali
111. Dott.ssa Cristina Bobba, Malattie Infettive e tropicali
112. Dott. Carlo Luigi Piumatti, Oncologia medica
113. Dott. Matteo Ajassa, Medicina fisica e riabilitativa114. Dott.ssa Giulia
D’Agnolo, Medicina d’urgenza ed emergenza
115. Dott.ssa Valentina Fornari, Malattie Infettive e tropicali
116. Dott.ssa Maria Chiara Ottino, Malattie Infettive e tropicali
117. Dott.ssa Livia Sormonta, Medicina d’urgenza ed emergenza
118. Dott.ssa Andreina Bichiri, Endocrinologia e Malattie del Metabolismo
119. Dott.ssa Ilaria Campisi, Oncologia medica
120. Dott. Emanuele Drappero, Malattie Infettive e tropicali
121. Dott.ssa Silvia Prato, Medicina d’urgenza ed emergenza
122. Dott.ssa Viviana Maccario, Malattie Infettive e tropicali
123. Dott.ssa Margherita Mautino, Otorinolaringoiatria
124. Dott.ssa Debora Masci, Oncologia medica
125. Dott.ssa Eleonora Dicesare, Pediatria
126. Dott.ssa Anna Tallone, Pediatria
127. Dott.ssa Carlotta Saracco, Pediatria
128. Dott.ssa Agnese Casamenti, Pediatria
129. Dott.ssa Letizia Tiberia, Anestesia e Rianimazione
130. Dott. Alessandro Cogorno, Pediatria
131. Dott. Valerio Santoro, Pediatria
132. Dott.ssa Anna Biga, Pediatria
133. Dott. Luigi D’Angelo, Pediatria
134. Dott. Tommaso Bini, Pediatria
135. Dott.ssa Giulia Serra, Pediatria
136. Dott.ssa Ilaria Camerlo, Pediatria
137. Dott.ssa Sofia Poggi Longostrevi, Pediatria
138. Dott. Luigi Veleno, Pediatria
139. Dott. Giacomo Ronconi, Oncologia medica
140. Dott.ssa Bianca Capocaccia, Pediatria
141. Dott. Valentin Nicolae Iftime, Psichiatria
142. Dott. Lucco Castello Stefano, Anestesia e Rianimazione
143. Dott. Antonino Incadorna, Pediatria
144. Dott. Guglielmo David, Chirurgia generale
145. Dott.ssa Giorgia Prandi, Pediatria
146. Dott.ssa Julia Muzio, Endocrinologia e malattie del metabolismo
147. Dott. Matteo Sandei, Pediatria
148. Dott.ssa Irene Ruvituso, Pediatria
149. Dott.ssa Alice Ravetto, Pediatria
150. Dott.ssa Eleonora Fontani, Pediatria
151. Dott. Emanuele Savasta, Pediatria
152. Dott.ssa Valeria Pardo, Pediatria
153. Dott. Simone Basso, Pediatria
154. Dott.ssa Alessandra Vincenza Fera
155. Dott.ssa Chiara Lo Presti, Pediatria
156. Dott. Andrea Di Stefano, Pediatria
157. Dott. Adriano Scornovacche, Pediatria
158. Dott. Lorenzo Scaglione, Pediatria
159. Dott. Alberto Rigo, Anestesia e Rianimazione
160. Dott. Lorenzo Cantore, Medicina Interna
161. Dott.ssa Francesca Osella, Ginecologia e Ostetricia
162. Dott. Giulio Romano, Medicina interna
163. Dott. Danilo Gambino, Pediatria
164. Dott. Matteo Ferrante, Medicina interna
165. Dott.ssa Lisa Mollia, Medicina interna
166. Dott.ssa Micol Ottino, Pediatria
167. Dott. Andrea Gaido, Medicina interna
168. Dott.ssa Cecilia Marengo, Pediatria
169. Dott. Tommaso Vaccari, Pediatria
170. Dott.Simone Mattivi, Medicina interna
171. Dott.ssa Federica Gattino, Medicina interna
172. Dott. Stefano Dallari, Medicina dello Sport e dell’Esercizio fisico
173. Dott.ssa Francesca Posillico, Medicina interna
174. Dott.ssa Chiara Moressa, Medicina interna
175. Dott.ssa Carlotta Giambra, Medicina interna
176. Dott. Pietro Ponzo, Pediatria
177. Dott.ssa Silvia Dogliotti, Medicina interna
178. Dott.ssa Cinzia Parola, Medicina interna
179. Dott. Giulia Morone, Psichiatria
180. Dott. Marco De Benedetti, Medicina interna
181. Dott. ssa Annalisa Caramia, Medicina interna
182. Dott. ssa Rosa Fornicch, Medicina interna
183. Dott. Lorenzo Serroni, Malattie Infettive e tropicali
184. Dott.ssa Maria Filomena Lamberti, Medicina interna
185. Dott. ssa Dalila Brero, Medicina interna
186. Dott. ssa Sandra Vergnano, Anestesia e Rianimazione
187. Dott. ssa Irene Ferri, Pediatria
188. Dott. Nicola De Stefano, Chirurgia generale
189. Dott.ssa Mariavittoria Sala, Pediatria
190. Dott. ssa Ilaria Salerno, Pediatria
191. Dott.ssa Carolina Carlà, Chirurgia vascolare
192. Dott. Roberto Fresca, Medicina interna
193. Dott.ssa Carlotta Ghione, Malattie Infettive e tropicali
194. Dott.ssa Miriam Ayoubi Khajekini, Medicina fisica e riabilitativa
195. Dott. Mohamad Ali Matar, Pediatria
196. Dott.ssa Arianna Frasson, Anestesia e Rianimazione
197. Dott. Andrea Gidiucci, Anestesia e Rianimazione
198. Dott.ssa Letizia Barbatelli, Medicina fisica e riabilitativa
199. Dott.ssa Nicole Badas, Anestesia e Rianimazione
200. Dott. Alessandro Berardi, Anestesia e Rianimazione
201. Dott.ssa Laura Siciliano, Pediatria
202. Dott. Karim El Nagar, Pneumologia
203. Dott.ssa Giorgia Trolese, Psichiatria
204. Dott.ssa Emanuela Greco, Ginecologia e Ostetricia
205. Dott. Marco Repetto, Anestesia e Rianimazione
206. Dott. Simone Scrivanti, Anestesia e Rianimazione
207. Dott. Andrea Fiorillo, Medicina fisica e riabilitativa
208. Dott.ssa Alessandra Canale, Anestesia e Rianimazione
209. Dott.ssa Giorgia Zanuccoli, Anestesia e Rianimazione
210. Dott.ssa Chiara Peris, Anestesia e Rianimazione
211. Dott. Nasim Taheri, Pediatria
212. Dott.ssa Paola Cascitelli, Medicina d’urgenza ed emergenza
213. Dott. Carlotta Ustica, Anestesia e Rianimazione
214. Dott.ssa Giorgia Danese, Medicina d’urgenza ed emergenza
215. Dott.ssa Chiara Bongiovanni, Anestesia e Rianimazione
216. Dott.ssa Cecilia Marasco, Anestesia e Rianimazione
217. Dott. Mattia Monfroglio, Anestesia e Rianimazione
218. Dott.ssa Viola Ferrero, Neuropsichiatria infantile
219. Dott. Marco Cerutti, Pediatria
220. Dott.ssa Eleonora di Bono, Pediatria
221. Dott.ssa Carola Boschetti
223. Dott. Graziano Carlin, Anestesia e Rianimazione
224. Dott.ssa Alice Geranzani, Pediatria
225. Dott.ssa Martina Cavagnero, Anestesia e Rianimazione
226. Dott.ssa Stefania Zappalà, Pediatria
227. Dott.ssa Sara Voghera, Anestesia e Rianimazione
228. Dott.ssa Valentina Casale, Anestesia e Rianimazione
229. Dott.ssa Francesca Rossanino, Medicina d’emergenza e urgenza
230. Dott.ssa Mariacristina Barletta, Medicina d’emergenza e urgenza
231. Dott.ssa Silvia Cascone, Medicina d’emergenza e urgenza
232. Dott.ssa Alessia Gerace, Pediatria
233. Dott.ssa Federica Meli, Pediatria
234. Dott.ssa Giulia Borini, Pediatria
235. Dott.ssa Maria Francesca Faggiano, Anestesia e Rianimazione
236. Dott.ssa Sofia Nicolì, Pediatria
237. Dott.ssa Arianna Curto, Anestesia e Rianimazione
238. Dott. Lorenzo Marega, Igiene e Medicina Preventiva
239. Dott.ssa Daisy Bellino, Anestesia e Rianimazione
240. Dott.ssa Alessia Mattucci, Anestesia e Rianimazione
241. Dott. Giacomo Francesco Amarotti, Medicina Fisica e Riabilitativa
242. Dott. Enrico Presta, Medicina Fisica e Riabilitativa
243. Dott. Samuel J. Gardner-Medwin, Ginecologia e Ostetricia
244. Dott.ssa Martina Gagnone, Medicina fisica e riabilitativa
245. Dott.ssa Marta Avataneo, Medicina interna
246. Dott.ssa Ignazzi Sara, Pediatria
247. Dott.ssa Chiara Novara, Pediatria
248. Dott.ssa Emma Laterza, Medicina fisica e riabilitativa
249. Dott.ssa Daniela di Giacomo, Anestesia e Rianimazione
250. Dott. Felice Camurati, Malattie dell’apparato digerente
251. Dott. Mattia Gumina, Medicina fisica e riabilitativa
252. Dott.ssa Francesca Chiappino, Pediatria
253. Dott.ssa Mariaserena Solano, Ginecologia e Ostetricia
254. Dott.ssa Vanessa Valente, Medicina fisica e riabilitativa
255. Dott.ssa Anna Barilli, Medicina interna
256. Dott.ssa Margherita Branca, Pediatria
257. Dott.ssa Anna Colomba, Medicina interna
258. Dott.ssa Paola Fuselli, Pediatria
259. Dott.ssa Chiara Valenti, Pediatria
260. Dott.ssa Irene Papetti, Pediatria
261. Dott.ssa Kristela Topalli, Pediatria
262. Dott. ssa Chiara Paudice, Pediatria
263. Dott.ssa Carola Cassetta, Anestesia e Rianimazione
264. Dott. Enrico Trogolo, Medicina d’emergenza e urgenza
265. Dott. Michele Tripaldi, Ginecologia e Ostetricia
266. Dott.ssa Cecilia Diamanti, Pediatria
267. Dott. Leonardo Cigna, Psichiatria
268. Dott.ssa Eleonora Lacchia, Anestesia e Rianimazione
269. Dott.ssa Roberta Ferrara, Medicina Interna
270. Dott.ssa Anna de Francesco
271. Dott.ssa Ottavia Mazzucco, Medicina d’emergenza e urgenza
272. Dott.ssa Ginevra Fortunati, Ginecologia e Ostetricia
273. Dott.ssa Michela Crugnola, Oftalmologia
274. Dott. Davide Ferri, Pediatria
275. Dott. Damiano Nesi, Chirurgia generale
276. Dott.ssa Sara Comanzo, Ginecologia e Ostetricia
277. Dott.ssa Ginevra Mocchetti, Ginecologia e Ostetricia
278. Dott.ssa Giulia Picca, Pediatria
279. Dott.ssa Cristina Lanzetta, Oncologia medica
280. Dott.ssa Gaia Grilli, Endocrinologia
281. Dott. Rudoni Stefano, Neuropsichiatria infantile
282. Dott.ssa Giovanna Romeo, Anestesia e Rianimazione
283. Dott.ssa Benedetta Del Rio, Oncologia medica
284. Dott. Niccolò Spano, Pediatria
285. Dott.ssa Matilde Pradella, Ginecologia e Ostetricia
286. Dott.ssa Lucia Del Core, Anestesia e Rianimazione
287. Dott.ssa Giulia Ferrari, Medicina interna
288. Dott.ssa Elena Rubatto, Medicina interna
289. Dott.ssa Elizaveta Ausheva, Medicina interna
290. Dott.ssa Ludovica Cipolla, Medicina interna
291. Dott.ssa Veronica di Matteo, Pediatria
292. Dott. Marco Caldarone, Medicina interna
293. Dott.ssa Costanza Valentini, Ginecologia e Ostetricia
294. Dott.ssa Carla Ogoumah Olagot, Otorinolaringoiatria
295. Dott.ssa Sara Gondolo, Ginecologia e Ostetricia
296. Dott. ssa Eva Costantini, Radioterapia
297. Dott. Giovanni Battista Rossi, Neurologia
298. Dott. ssa Federica Massazza, Ortopedia e Traumatologia
299. Dott.ssa Ilaria Monitillo, Oncologia Medica
300. Dott.ssa Elisa Papalia, Ortopedia e Traumatologia
301. Dott.ssa Alice Ferrua, Medicina Interna
302. Dott.ssa Floriana Mao, Medicina Interna
303. Dott.ssa Federica Buzzurro, Nefrologia e Dialisi
304. Dott.ssa Laura Bonfante, Medicina d’Emergenza e Urgenza
305. Dott.ssa Carola Beltratti, Ginecologia e Ostetricia
306. Dott. Dentato Matteo, Igiene e medicina preventiva
307. Dott.ssa Irene Fiorin, Ginecologia e Ostetricia
308. Dott.ssa Felicetta Sgarlata, Ortopedia e Traumatologia
309. Dott.ssa Giulia Spagna, Pediatria
310. Dott.ssa Alice Ramanand, Anestesia e rianimazione
311. Dott.ssa Carla Carbonaro, Cardiologia
312. Dott.ssa Mariausilia Giurdanella, Ginecologia e Ostetricia
313. Dott.ssa Elena Colitti, Medicina Fisica e Riabilitativa
314. Dott. Yusuf Omar Ahmed, Chirurgia pediatrica
315. Dott.ssa Giovanna Vesnaver, Medicina interna
316. Dott.ssa Miriam Folino Gallo, Ginecologia e ostetricia
317. Dott. Francesco Bruno, Geriatria
318. Dott.ssa Laura Dorighelli, Malattie dell’apparato respiratorio
319. Dott. Matteo Astengo, Medicina interna
320. Dott.ssa Francesca Trecca, Pediatria
321. Dott.ssa Asia Aimo, Geriatria
322. Dott. Edoardo Burzi, Pediatria
323. Dott.ssa Federica Lorelli, Medicina Fisica e Riabilitativa
324. Dott. Stefano Sottemano, Neuropsichiatria Infantile
Firme in continuo aggiornamento (06/10/2025)
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