La Procura di Genova ha aperto un fascicolo per atti relativi alla nave Bahri
Yanbu, il cargo saudita su cui sono stati trovati armamenti e mezzi militari
cingolati.
da Radio Onda d’Urto
Il fascicolo è in mano al procuratore aggiunto Federico Manotti. Le indagini
sono partite dopo che l’Usb ha presentato un esposto ieri sera in cui ipotizza
la violazione della legge 185 del 1990 che regola il transito di armi nei porti
italiani.
Proprio questa mattina c’è stata una nuova protesta del sindacato Usb e dei
portuali del Calp contro la presenza e il passaggio di armi nel porto di Genova
con il blocco del varco Etiopia e del varco Ponente di mezzi pesanti diretti
allo scalo genovese. La protesta nasce dalla scoperta, immortalata da alcune
foto scattate dai portuali e diffuse sui social ieri sera , di mezzi militari
americani e diversi container carichi di materiali esplosivi a bordo della Bahri
Yambu attraccata al terminal Gmt.
“Ieri pomeriggio abbiamo presentato immediatamente un esposto – spiega José
Nivoi di Usb – a tutte le autorità competenti affinché verificassero la
regolarità della documentazione e il rispetto della normativa. Ci è stato detto
che le armi non sono destinate a Israele e i documenti sono regolari ma
aspettiamo di vedere la documentazione vista soprattutto la storica alleanza tra
Usa e Israele”.
Il racconto di José Nivoi di Usb
Source - InfoAut: Informazione di parte
Informazione di parte
Mentre si cerca di presentare una Valle pacificata, l’apparato
politico-industriale a sostegno dell’opera Tav Torino-Lione si riorganizza
attraverso l’ennesimo incontro in Prefettura, volto a rafforzare il controllo
poliziesco del territorio e a ottenere nuovi finanziamenti pubblici. Lontano da
un reale confronto con le popolazioni locali, lo Stato risponde alla
determinazione della resistenza No Tav con risarcimenti alle imprese, indennizzi
per chi deturpa i territori e un incremento dei presidi armati in Valsusa.
da Notav.info
Il Prefetto, i Ministri Salvini (in videoconferenza) e Urso, la Vicepresidente
della Regione Chiorino e il Presidente degli Industriali Gay hanno messo in
scena un vero e proprio teatrino: gli imprenditori lamentano danni, le
istituzioni promettono fondi e maggiore sicurezza, TELT si presenta come
vittima, e il Governo rilancia con nuovi espropri e aumenti di personale. La
cosiddetta Decisione di Esecuzione dell’UE, che continua a essere presentata
come una svolta epocale, altro non è che un documento tecnico che formalizza
quanto già in atto, confermando che i lavori si protrarranno per anni, forse
decenni. Nessuna opera in via di completamento, dunque. Nessun finanziamento
certo. Solo fumo negli occhi.
Nel corso dell’incontro del 6 agosto, il direttore generale di TELT, Maurizio
Bufalini, ha definito “vili” gli attacchi contro le imprese nei cantieri,
sottolineando la necessità di sostenere gli imprenditori danneggiati. Pur non
potendo ignorare la retorica usata, rimane evidente come questa narrazione punti
a dipingere come vittime chi invece sta portando avanti un’opera imposta e
rigettata da trent’anni, dimenticando che il vero soggetto danneggiato è la
Valsusa, sottoposta a una vera e propria militarizzazione e devastazione
ambientale.
Si prevede inoltre un potenziamento delle forze dell’ordine, a conferma che i
cantieri, lungi dall’essere “normalizzati”, continuano a essere percepiti come
corpi estranei e necessitano di una protezione poliziesca permanente. In un
Paese in cui il Governo si rifiuta di investire in sanità, scuola o servizi
essenziali, è significativo osservare come invece si trovino fondi e risorse per
aumentare la presenza di polizia in Valle, confermando che il Tav non può
avanzare senza blindare il territorio e reprimere chi vi si oppone.
Le associazioni di categoria piemontesi, in particolare Ance Torino, API Torino,
Confapi Piemonte, Ascom Confcommercio, Confindustria Piemonte e Unione
Industriali Torino, presenti all’incontro, hanno espresso pieno sostegno alla
sicurezza dei cantieri, ponendo l’accento non solo sull’ordine pubblico, ma
anche sulla necessità di un contesto operativo stabile e sicuro per garantire
“sviluppo e occupazione”. È curioso come “sviluppo” e “sicurezza” vengano intesi
qui esclusivamente in chiave di tutela economica e istituzionale delle imprese,
ignorando del tutto le comunità locali e l’ambiente devastati dall’opera.
Nel frattempo, continua la sottrazione forzata di case, giardini e terre a danno
degli abitanti della Valle: terreni espropriati da TELT “nel rispetto delle
normative”, ma con una violenza che non lascia dubbi. In questo contesto, si
aggiunge anche il tentativo di simulare, dopo quasi trent’anni di lotta,
uno “sforzo di patto sociale con il territorio” attraverso incontri pubblici
(scarsamente partecipati), organizzati in maniera strategica dai sindaci e da
Telt a Susa e Chiomonte, a ridosso della Decisione di Esecuzione dell’UE. Questi
appuntamenti hanno avuto un unico obiettivo: presentare il progetto e le sue
ricadute come se fossero stati accettati dalle comunità locali, ma in realtà
rappresentano un mero teatrino propagandistico volto a legittimare un’opera
imposta senza consenso.
Nel mentre, si tace sui danni ben più gravi arrecati al territorio, alla salute
e alla libertà. La marcia popolare del 27 luglio ha dimostrato ancora una volta
che la Valle non è affatto pacificata, riempiendo sentieri e circondando i
cantieri. La stessa notte, un attentato incendiario ha colpito il Presidio No
Tav di San Didero, senza alcuna parola ufficiale di condanna o notizia sui
responsabili. Quando ad essere colpito è il Movimento No Tav strategicamente
cala il sipario.
E proprio perché la Valle non è pacificata, si attua un’ulteriore manovra di
controllo e finanziamento. Non è soltanto lo Stato a trarre vantaggio dal Tav.
Alcuni sindaci compiacenti, in particolare quelli di Chiomonte e Susa, hanno
beneficiato di ingenti compensazioni, rese possibili anche grazie alla pressione
esercitata dal movimento No Tav nei decenni, che ha costretto lo Stato a
elargire fondi per evitare un fronte unanime di sindaci contrari.
Tali somme, spesso presentate come investimenti sul territorio, sono in
realtà compensazioni ottenute sotto ricatto: fondi destinati originariamente a
opere di messa in sicurezza, manutenzione ordinaria e servizi di base, vincolati
all’accettazione dell’opera. Senza Tav, niente risorse. È così che questi comuni
hanno ottenuto compensazioni significative, utilizzate per progetti spesso
superflui o ornamentali. Questi finanziamenti consentono oggi a tali
amministrazioni di vantare disponibilità economiche che altrimenti non avrebbero
avuto.
Il modello è chiaro: il Governo concede fondi e protezione politica, TELT agisce
da ente clientelare, e alcuni sindaci si trasformano nel suo megafono. Il
risultato? Un territorio devastato, popolazioni espropriate, dissenso
criminalizzato e comunità impoverite.
Si racconta di un’opera “strategica” per l’Europa, ma il vero progetto
strategico è altro: criminalizzare la protesta, occupare militarmente un
territorio e drenare risorse pubbliche per un’opera inutile, imposta e
insostenibile.
Chiunque sperasse in una Valle silenziosa si è profondamente sbagliato. Il
Festival Alta Felicità partecipato da decine di migliaia di giovani, la marcia
popolare di luglio, i blocchi, i presidi e le numerose iniziative testimoniano
una volontà che si rinnova ad ogni tentativo di cancellarla: il movimento No Tav
è vivo e determinato a non arrendersi.
Riportiamo di seguito gli interventi introduttivi dell’assemblea nazionale
tenutasi domenica 27 luglio durante il Festival Alta Felicità in modo da
sottolineare le caratteristiche del percorso di mobilitazione contro guerra,
riarmo e genocidio in Palestina proposto in tale occasione.
E’ stato aperto un canale telegram GUERRA alla GUERRA sul quale poter ritrovare
il report dell’assemblea e i prossimi appuntamenti.
Abbiamo chiamato l’assemblea “Guerra alla guerra”: non vogliamo che sia soltanto
uno slogan, ci siamo ispirati a ciò che si sta organizzando al di là delle Alpi,
ma anche perché pensiamo che ciò di cui c’è bisogno oggi sia una guerra a un
modello che è quello occidentale, imperialista, coloniale, capitalista,
patriarcale e che rappresenta un modello di pace contro il quale dobbiamo
batterci. Questo momento di assemblea pensiamo sia urgente per stimolare un
dibattito collettivo su alcuni aspetti. La prima questione su cui ragionare oggi
è su cosa possiamo costruire un’unità che è evocata da più parti per un percorso
comune contro il riarmo, contro la guerra e contro il genocidio in Palestina.
Non per un senso di unità di per sè, non per costringerci a trovare una sintesi
di lettura geopolitica rispetto alla fase che stiamo attraversando, ma a partire
da degli obiettivi comuni e ciò che riscontriamo come urgenza è quella di capire
quali sono le condizioni che dobbiamo porre per creare un percorso, un
movimento, che sia reale e incisivo contro il riarmo, contro la guerra e a
sostegno della Palestina. Oggi pensiamo sia interessante chiederci quali siano
queste condizioni, noi ne iniziamo a porre sul piatto alcune.
La prima, è quella di ambire a un movimento che sia di massa, che possa offrire
un immaginario e una proposta nella quale ci si possa riconoscere, che sia
capace di coinvolgere sempre più persone al di là di chi già si mobilita;
dobbiamo porci il problema di come si articola la guerra sui nostri territori e
nelle nostre vite, quindi concretamente agire per opporsi con tutte le forme e
le pratiche possibili; pensiamo anche che il nostro compito oggi, la nostra
responsabilità, sia ricostruire fiducia, rapporti sociali reali, laddove
dilagano delega, sfiducia, di opportunismo e strumentalità per restituire anche
il senso della possibilità e della vittoria; lo abbiamo ripetuto nelle piazze di
quest’anno nelle mobilitazioni per la Palestina, ce lo insegna la Palestina,
dunque è ora di uscire dalla retorica dello slogan e essere conseguenti,
chiarire chi è la nostra controparte, agire collettivamente.
Per fare questo vorremmo tracciare una proposta che condividiamo qui, che
vorremmo costruire insieme e che si compone di diversi aspetti. Innanzitutto,
avviare percorsi sui territori e dai territori che possano costruire contesti
ampi in cui ci sia la possibilità di confronto e attivazione per colpire gli
obiettivi presenti su quei territori: dalle fabbriche di armi, alle basi
militari, ai progetti bellici in ambito accademico, guardando a esempi virtuosi
di chi oggi mette in campo iniziative per bloccare, sabotare la logistica della
guerra; in secondo luogo, vogliamo guardare a un momento di mobilitazione
nazionale a Roma che abbiamo immaginato per l’8 novembre, per fare si che sia
una grande manifestazione nazionale che si ponga il problema di indicare e
praticare degli obiettivi precisi che incarnano i nemici comuni. Il nemico è
comune per noi, per chi abita nei quartieri popolari, per chi lotta contro una
grande opera inutile, per chi resiste qui e altrove nel mondo; tutto questo per
poi tornare sui territori perché pensiamo che un percorso come questo debba
essere pensato sul lungo periodo e quindi continuare e avere altre tappe, altre
possibilità di confronto per costruire effettivamente una forza e allargare e
coinvolgere sempre più persone e darsi ulteriori tappe comuni.
Per concludere, quello che ci teniamo a sottolineare è che pensiamo che questo
momento non sia risolutivo, non pensiamo di avere la pretesa di vedere questo
come l’unico percorso, questa come l’unica data. Sappiamo che ciascuno e
ciascuna sta lavorando da mesi, da anni, sul proprio territorio per costruire
dei percorsi che vadano in questa direzione. Pensiamo sia necessario però
riuscire anche a condividere quelli che sono degli strumenti, delle pratiche,
condividere dei percorsi, mettere a disposizione anche le proprie agende,
supportare tutte le iniziative che vanno in una direzione effettiva, reale, per
andare in un’ottica, in una prospettiva di lungo periodo, per renderci davvero
incompatibili rispetto a quello che è il piano di riarmo, di militarizzazione,
di guerra della nostra società.
Di seguito l’intervento di apertura di Quarticciolo Ribelle
La chiamata che abbiamo provato a fare oggi non è facile ma, come uno degli
slogan che abbiamo utilizzato nelle nostre rotte territoriali a Roma,
Quarticciolo, “non è facile ma è necessario”, dobbiamo riunirci per capire cosa
possiamo fare in più, che pezzettino in più possiamo fare per contrastare la
guerra e soprattutto interrogarci insieme, quale forme darci e come portare
avanti una trasformazione ed essere incisivi.
A dirla tutta penso che avremmo dovuto procedere al contrario. Avremmo dovuto
innescare prima un processo di partecipazione e poi invitare tutti e tutte alle
discussione ma è necessario scendere in piazza, é necessario praticare un
obiettivo chiaro e leggibile dove tutti si possono riconoscere, è necessario
trovare delle pratiche che possano dare la parvenza alle persone che vi
partecipano di poter incidere su qualcosa. In questo senso guerra alla guerra.
Avremmo dovuto procedere al contrario perché il nostro obiettivo non siamo noi
seduti qui ma sono coloro che non riusciamo a mobilitare nonostante ce ne sia la
voglia. In questo senso abbiamo amici dappertutto. A differenza di altre fasi,
secondo noi, la maggioranza delle persone è contraria a quello che succede in
Palestina, é contro la guerra. A differenza di altri momenti non dobbiamo
convincere nessuno e se volete potrebbe essere piu facile. Invece, abbiamo di
fronte una sfida quella di trovare le forme giuste, trovare la modalità perché
le persone abbiano più fiducia nella politica. Il corteo deve essere una tappa,
non solo il corteo che stiamo proponendo qua, ma tutte le proposte che sono
state fatte negli scorsi mesi.Lo sforzo invece che dobbiamo fare è di capire
come da un’indignazione, che può essere di tipo individuale, si possa passare
alla condivisione di pratiche che danno la possibilità a tutti di partecipare
per favorire un processo che possa essere incisivo.
Io credo che parte della frustrazione che condividiamo derivi da quello che
mettiamo in campo che magari non va, ma dobbiamo partire da quelle pratiche e
strumenti che dobbiamo mettere in condivisione, dal boicottaggio, al
sanzionamento, che possano mettere in difficoltà la controparte che è comune a
tutti e tutte. In questo senso c’è una composizione giovanile che in questi mesi
ci ha anche aiutato a capire come essere incisivi. Penso alle pratiche di
boicottaggio che sono state fatte all’università, queste devono continuare, e ci
hanno insegnato come poter incidere, infatti molte facoltà di molte università
hanno deciso di stracciare gli accordi con l’Università di Israele. Penso che
sia fondamentale che ognuno riesca a fare il suo pezzetto bene e che riesca a
parlare ai molti, che si costruisca un processo per cui anche personalità che
oggi non hanno un’appartenenza possano trovare un megafono collettivo tramite il
quale esprimersi. Penso che ognuno debba continuare a portare avanti le proprie
lotte sui territori e trovare delle modalità cittadine per costruire delle
pratiche di boicottaggio e di sanzionamento che ci fanno arrivare al corteo
avendo costruito delle pratiche comuni contro la guerra. Il senso di quello che
facciamo territorialmente ci serve per continuare a stare all’interno di una
compagine sociale che non è sicuramente quella giovanile, che trova in Meloni,
Trump ecc una risposta alla crisi pensando che quella compagine possa difenderli
e rendere le loro vite più sicure, che potranno avere maggiori garanzie
difendendo le industrie nazionali, che potranno difenderli dalla concorrenza
degli stipendi da fame. Sono territori dove il conflitto e la violenza si
dispiega in linea orizzontale e dove i vari dl Caivano servono per dividerci.
Oggi come Quarticciolo stiamo ancora lottando contro un modello di società e
abbiamo vinto una piccola battaglia sul piano delle periferie, ma non è detto
che vinceremo la guerra di questi 3 anni. Pensiamo che ci sia molto da fare e io
credo che le lotte territoriali, come anche la nostra, siano in relazione
all’economia di guerra, nella logica di guerra. Ciò avviene nella misura in cui
c’è una guerra interna che continua ad aumentare le differenze tra chi sta in
basso e chi sta in alto, tra chi decide e chi subisce le decisioni. Per
costruire una forza e un movimento collettivo vanno quindi continuate e
sostenute tutte le esperienze territoriali, dalle università alle scuole, dalle
lotte sui territori, contro il modello di sicurezza, in modo da costruire un
piano diverso, alternativo, di cosa vorremmo ci fosse nel nostro Paese. Non
dobbiamo trascurare l’interrogativo: quale mondo vogliamo? Un primo passo può
essere quello di ricominciare ad immaginarselo e questo vuol dire anche
ripensare come vogliamo i nostri quartieri popolari, come vogliamo una
riconversione industriale non per le armi, e scambiare strumenti in modo da
metterli a disposizione per chi già sta sperimentando delle lotte, per dare voce
a chi non ha voce.
Queste sono le prospettive e lo spirito con cui partecipiamo a questa assemblea
e vogliamo a partire da oggi dare spazio alle lotte territoriali per
rappresentare un metodo di lavoro che ci diamo comunemente e che può essere
parte della costruzione. Lo sforzo da fare non è unirsi per unirsi ma per dare
spazio e energia a quello che ancora deve nascere.
L’assemblea è stata coperta da Radio Blackout, attraverso la trasmissione in
diretta dell’iniziativa e da Radio Onda d’Urto.
Qui il report dell’assemblea
ASSEMBLEA GUERRA ALLA GUERRA domenica 27 luglio FAF 25 -2Download
Ovunque in Francia, dei gruppi si incontrano, si organizzano e condividono delle
idee con un obiettivo comune: bloccare tutto il 10 settembre prossimo.
da contre-attaque
Le provocazioni del clan al potere sono durate troppo, la rapina a profitto dei
ricchi e il disprezzo per le aspirazioni popolari non possono più continuare.
Contro il piano di austerità di Bayrou, per la giustizia sociale e per la caduta
del governo: raggiungete il movimento e fate circolare il messaggio.
L’appello originario si trova sul sito mobilisation10septembre.blog
Una delle questioni che in questo momento potrebbe costituire una leva per una
nuova fase di proteste, secondo alcune dimensioni di movimento, riguarda la
nuova legge sui pesticidi infatti, poche settimane fa, Macron ha imposto una
«legge Duplomb» per accontentare la lobby dei pesticidi, contro il parere di
tutti gli esperti in materia. Una petizione contro questa legge ha raccolto
quasi 2 milioni di firme, battendo tutti i record e lasciando presagire una
rivolta contro gli avvelenatori. Ciò avviene in parallelo agli appelli per la
mobilitazione del 10 settembre.
Traduciamo di seguito un articolo che approfondisce il tema
«Tsunami in arrivo tra i giovani»: come i pesticidi fanno esplodere i tumori
precoci
Tra il 1990 e il 2019 si è registrato un aumento superiore all’80% dei casi di
cancro tra le persone di età inferiore ai 50 anni a livello mondiale
Nel 2020, secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), il
cancro ha ucciso 10 milioni di persone in tutto il mondo. In Francia, è la prima
causa di mortalità, con 157.400 decessi nel 2018. Mentre infuriano i dibattiti
sull’ormai famosa e detestabile legge Duplomb (dal nome del senatore LR Laurent
Duplomb), che la petizione contro di essa ha superato i 2 milioni di firmatari e
che i suoi sostenitori accumulano menzogne e falsità scientifiche, c’è un dato
incontrovertibile: quello dell’esplosione dei tumori.
E il mondo della sanità lancia l’allarme. Il professor Fabrice Barlesi,
direttore del più grande centro di lotta contro il cancro, l’istituto
Gustave-Roussy, non ha esitato a dichiarare che c’è da temere un “tsunami in
arrivo tra i giovani”. Se i sostenitori della legge sostengono che la scienza è
dalla loro parte, ricordiamo che si tratta di una menzogna spudorata e che 22
società scientifiche hanno ufficialmente preso posizione contro questa legge,
tra cui il Consiglio di Amministrazione della Società Francese di Ematologia, la
Società Francese di Neurologia, la Società Francese per la Lotta contro il
Cancro, la Società Francese di Sanità Pubblica, l’Associazione Francese di
Chirurgia…
Queste istituzioni ricordano in un editoriale che «i pericoli dei pesticidi per
la salute umana sono ormai ben noti». Le perizie collettive dell’INSERM del 2013
e del 2021, basate su un’analisi esaustiva della letteratura scientifica,
stabiliscono una forte presunzione di nesso tra l’esposizione a queste sostanze
e numerosi tumori: prostata, leucemie, mielomi, linfomi, tumori pediatrici».
Sabato 26 luglio, la comunità scientifica ha inviato al Consiglio costituzionale
un elenco di 42 punti, indicando in particolare il consenso scientifico
esistente sui rischi che l’esposizione ai pesticidi comporta per la salute umana
e ricordando l’incostituzionalità di questa legge che viola “la Carta
dell’ambiente [che] sancisce anche il diritto di vivere in un ambiente
equilibrato e rispettoso della salute” e il “principio di precauzione e il
principio di non regressione”. Da anni, infatti, si accumulano studi scientifici
e medici che confermano la correlazione tra l’esposizione ai pesticidi e i
rischi per la salute.
Un aumento esponenziale del numero di tumori
I dati di Santé Publique France, resi noti in uno studio pubblicato nel 2023,
parlano da soli: tra il 1990 e il 2023, il numero di tumori è raddoppiato (+98%
negli uomini, +104% nelle donne). Il numero di nuovi casi era pari a 433.136 nel
2023. I tumori alla prostata, al seno, al polmone e al colon-retto sono i più
frequenti. Il tasso di incidenza aumenta costantemente dello 0,9% all’anno per
le donne e dello 0,3% per gli uomini. La Francia detiene il triste primato
mondiale per il tasso di incidenza del tumore al seno, con 105,4 casi ogni
100.000 donne.
Sebbene questa esplosione abbia alcune cause già ben identificate (tabacco,
sedentarietà, alcol…), rimane ancora molta incertezza sul potenziale “rischio
legato all’esposoma chimico per spiegare l’aumento osservato dell’incidenza del
cancro al seno nelle donne giovani”, come rivela Florence Molinié, presidente
della Rete francese dei registri dei tumori, a Médiapart in un articolo
pubblicato il 28 luglio. Nello stesso articolo, Mediapart cita altri due studi
che rivelano il disastro in corso: negli Stati Uniti, “il tasso di incidenza […]
è da due a tre volte superiore nella coorte degli adulti nati negli anni ’90
rispetto a quella degli anni ’20 per i tumori dell’intestino, del fegato, del
rene e del pancreas, sia negli uomini che nelle donne. Il rischio di sviluppare
un tumore al seno è quasi raddoppiato nelle donne nate negli anni ’90 rispetto
alle loro coetanee degli anni ’20”.
Lo studio “Pesticidi ed effetti sulla salute”, pubblicato dall’Inserm nel 2021,
mostra “la forte presunzione di un legame tra l’esposizione ai pesticidi e sei
patologie: linfomi non Hodgkin (LNH), mieloma multiplo, cancro alla prostata,
morbo di Parkinson, disturbi cognitivi, broncopneumopatia cronica ostruttiva e
bronchite cronica“. Sono stati analizzati ben 5300 documenti da un gruppo di
esperti. Ma il governo continua ad affermare che ”la scienza è dalla loro
parte”.
I tumori nei più giovani
A livello mondiale, tra il 1990 e il 2019, il numero di tumori negli adulti
sotto i 50 anni è aumentato dell’80%. E la Francia si colloca in una posizione
di rilievo. Uno studio di Santé Publique France rivela un aumento del 26% del
numero di tumori infantili tra il 1980 e il 2000. “A meno di ipotizzare che il
genoma degli esseri umani francesi sia cambiato in cento anni, non resta che
l’ambiente: sembra essere più cancerogeno per i giovani rispetto a qualche
decennio fa”, spiega l’ematologo Pierre Sujobert a Mediapart. Ricordiamo infatti
che la Francia è il paese europeo che fa maggior uso di pesticidi, che il 99,8%
delle persone in Francia è intossicato dal glifosato e che gli studi condotti
fino ad oggi hanno un punto cieco: quello del cocktail di sostanze tossiche.
Attualmente si studia l’impatto di un solo pesticida per stabilire correlazioni,
mentre l’esposizione a un vero e proprio cocktail letale di decine di sostanze
diverse è ancora più preoccupante.
Lo studio dell’Inserm del 2021 sottolinea che “gli studi epidemiologici sui
tumori infantili consentono di concludere che esiste una forte presunzione di un
legame tra l’esposizione ai pesticidi della madre durante la gravidanza
(esposizione professionale o per uso domestico) o del bambino e il rischio di
alcuni tumori, in particolare leucemie e tumori del sistema nervoso centrale”.
Quindi, oltre a far ammalare noi, i pesticidi fanno ammalare i nostri figli
prima ancora della loro nascita, direttamente nell’utero. E non si tratta solo
dei figli degli agricoltori e degli agricoltori, poiché anche l’esposizione ai
prodotti per la pulizia, ad esempio, ha un ruolo importante.
Il caso del cancro al pancreas
In Francia, il numero di casi di cancro al pancreas sta aumentando in modo
allarmante. Si tratta del tumore più aggressivo e difficile da curare, che non
lascia praticamente alcuna possibilità di sopravvivenza ai malati. Il tasso di
sopravvivenza a 5 anni è solo del 5%. Questo aumento è due o tre volte più
rapido rispetto alla maggior parte degli altri paesi europei. All’inizio di
gennaio 2025, la Fondazione per la ricerca sul cancro (ARC) ha analizzato due
studi che sollevano interrogativi sul legame più che probabile tra questo
aumento e l’esposizione ai pesticidi.
Un primo studio basato sui dati dell’Assicurazione malattia ha rivelato la
distribuzione dei tumori al pancreas sul territorio. Il risultato è che questa
mappa è quasi identica a quella dell’uso dei pesticidi, in particolare del
glifosato, del mancozeb e dello zolfo polverizzato. Il secondo studio, invece,
si è concentrato sulla concentrazione di pesticidi nel tessuto adiposo e nelle
urine dei pazienti affetti da tumore al pancreas. Anche in questo caso, i
risultati sono eloquenti: questi pazienti presentavano una concentrazione di
pesticidi superiore alla media.
È chiaro che questo aumento vertiginoso dei casi di cancro e questo “tsunami in
arrivo” tra i più giovani non sono un fenomeno naturale, ma una decisione
consapevole e politica, presa con piena cognizione di causa: il governo, i
giganti dell’agroindustria e i produttori di pesticidi antepongono i propri
profitti alle nostre vite e a quelle dei nostri figli. Cercando di arricchirsi
sempre di più, condannano centinaia di migliaia di persone. La legge Duplomb è
solo l’ultimo esempio in ordine di tempo.
Contro questa legge ingiusta e contro questa corsa al profitto dell’agrobusiness
e dell’agrochimica, siamo tutti pronti, a partire dal 10 settembre, a riprendere
il controllo della nostra salute.
Il 9 agosto Pablo Hasél festeggerà il suo 37° compleanno dietro le sbarre.
da secoursrouge
Rapper, militante comunista e antifascista, è in carcere dal 16 febbraio 2021 ed
è stato condannato a diversi anni di reclusione per «apologia del terrorismo» a
causa dei suoi brani e delle sue posizioni contro la monarchia e a sostegno dei
prigionieri del GRAPO (vedi qui). Fino al 14 aprile 2027 continuerà a essere
detenuto nel carcere di Ponent per il suo attivismo e la sua musica
rivoluzionaria.
Per rompere il suo isolamento, i suoi sostenitori invitano a scrivergli per il
suo compleanno a questo indirizzo:
Nei primi quindici giorni della campagna nazionale di sottoscrizione a sostegno
del combattente per la libertà palestinese Anan Yaeesh – detenuto nel carcere di
Terni e attualmente processato presso il Tribunale dell’Aquila – la solidarietà
popolare ha prodotto un risultato straordinario.
*Dal 15 luglio al 1° agosto 2024, sono stati raccolti 4340 euro* attraverso
decine e decine di bonifici bancari provenienti da:
* *Singoli cittadini* da tutta Italia
* *Associazioni* impegnate nella difesa dei diritti umani e nella giustizia
sociale
* *Sindacati di Base*
Questo flusso costante e generoso di contributi dimostra l’ampio sostegno alla
lotta di Anan e all’urgente necessità di garantire il suo diritto a una difesa
adeguata e a un processo equo, il diritto allo studio e alla salute.
*RILANCIAMO L’INIZIATIVA!*
La campagna *NON SI FERMA*. Per far fronte alle spese legali, di supporto
processuale e di sostegno al diritto allo studio e alla salute di Anan durante
questo difficile momento, è cruciale continuare e rafforzare la raccolta fondi.
*COME CONTRIBUIRE:*
1. *BONIFICO BANCARIO intestato a *CONFEDERAZIONE COBAS, SEDE PROVINCIALE DI
TERNI
IBAN IT95C0200814412000103485396
Causale: per Anan Yaeesh
*PERCHÉ È IMPORTANTE CONTINUARE A SOSTENERE:*
* Garantire ad Anan Yaeesh gli strumenti necessari per la sua difesa legale.
* Coprire i costi dell’università
* Garantire il diritto alla salute e alle spese mediche di Anan
* Mantenere alta l’attenzione pubblica sulla sua vicenda giudiziaria e sulla
causa palestinese.
*La solidarietà concreta è la nostra arma più potente. Ogni contributo, grande o
piccolo, fa la differenza.*
*Restiamo uniti per Anan, per la Palestina, per la Giustizia!*
CONFEDERAZIONE COBAS TERNI
COORDINAMENTO TERNANO PER LA PALESTINA
Soccorso rosso proletario
Slai Cobas s.c.
CaseMatte L’Aquila
da soccorso rosso proletario
Un filo conduttore scottante è quello che possiamo tracciare tra questione
energetica, nucleare e riarmo. Condividiamo di seguito alcuni contributi su
questi temi, prodotto delle riflessioni di Confluenza e di alcuni momenti
organizzati in occasione del Festival Alta Felicità in Val Susa.
Il dibattito dal titolo “La transizione ecologica va in guerra: il ritorno del
falso mito nucleare” con l’intervento di Angelo Tartaglia, fisico nucleare del
Politecnico di Torino e Roberto Aprile, compagno dei movimenti antinucleari, ha
toccato il cuore della questione.
Riproponiamo di seguito l’audio integrale del dibattito
Ringraziamo poi Paolo Cacciari che, impossibilitato a partecipare, ha inviato
alcune note sull’intreccio tra guerra ed energia che pubblichiamo qui di
seguito:
L’intreccio tra guerra ed energia è molto stretto. Per diversi motivi.
I militari hanno bisogno di molta energia, non solo per costruire armi sempre
più sofisticate ad alta potenzialità distruttiva e per trasportare velocemente
mezzi e truppe, ma anche per le reti di controllo, sorveglianza e di puntamento
a distanza (“armi autonome”, le chiamano) che abbisognano di colossali apparati
satellitari, informatici e l’uso di enormi data base.
Tutte attività fameliche di energia.
Davvero interessante un passaggio della appassionante ricostruzione che fa
Pietro Greco della corsa alla costruzione della bomba atomica tra Stati Uniti e
Germania (Pietro Greco in L’Atomica e le responsabilità della scienza, edizioni
L’Asino d’oro, 2025). Secondo il grande giornalista scientifico l’attenzione dei
fisici nucleari nazisti era più orientata a capire come controllare la reazione
atomica per produrre energia finale utile, piuttosto che a farne una bomba.
Sappiamo da alcune stime (peraltro tutt’altro che realistiche) che le attività
militari assieme alla filiera dell’industria bellica, “in tempo di pace”,
consumano il 10% dell’energia mondiale e, secondo altre stime, emettono tra il 5
e il 6% delle emissioni globali di gas climalteranti. Se fossero uno stato si
situerebbero al quarto posto, dopo US, Cina ed India. (Federica Frazzetta e
Paola Imperatore, Clima di guerra, in Sbilanciamoci! 2025). Da notare che i dati
sono segretati. Non vi è obbligo di comunicazione da parte delle forze armate,
ma solo con l’Accordo di Parigi del 2015 gli stati sono invitati a fornire una
rendicontazione volontaria.
Ma è davvero possibile scorporare i dati sul consumo di energia tra i settori
militari e civili?
Per il nucleare l’intreccio è – per definizione – inestricabile. Sia per come
funziona la filiera produttiva, sia per i requisiti di gestione. Una centrale
nucleare è di fatto un sito militare.
Ma l’ignobile e perverso “dual use” è orami una realtà in tutti i settori
tecnologici e della ricerca scientifica.
Sappiamo che le industrie belliche e le attività militari sul campo hanno
bisogno dei servigi delle grandi aziende tecnologiche globali (tra cui IBM,
Microsoft, Google, Amazon, Palantir e Hewlett Packard). Sappiamo da quello che
sta accadendo a Gaza (vedi i rapporti di Francesca Albanese) come la guerra sia
il campo di sperimentazione delle innovazioni tecnologiche in ogni settore.
Non è del resto una novità nella storia dell’umanità. I militari hanno bisogno
di usare i ritrovati della scienza, così come la scienza e la tecnica hanno
bisogno delle commesse militari per potersi sperimentare e sviluppare. Una
questione questa di enorme importanza su cui gli scienziati, i centri di
ricerca, le università dovrebbero riflettere, a proposito della neutralità della
scienza e di altri miti bugiardi che allontano l’agire etico e delle
responsabilità individuali (vedi l’Appello degli scienziati contro il riarmo,
firmato da Carlo Rovelli e non molti altri).
Le grandi innovazioni nella chimica (esplosivi che diventano fertilizzanti e
viceversa), nell’ingegneria (aviazione), nelle telecomunicazioni, nella
biologia, della geoingegneria, nella stessa informatica sono quasi sempre il
frutto della volontà di conquista degli stati esercitata attraverso gli
eserciti.
La questione – mi sia permesso di dirlo – non è tanto o quanto si spende per le
armi (come se il 2,1% sia più sostenibile del 5% del Pil), ma tutto ciò che
permette agli industriali di costruire e ai militari di usare le armi. Quando si
dice siamo in una “economia di guerra” non si dice solo che la spesa per gli
eserciti è eccessiva, ma che il sistema sociopolitico ruota attorno alla guerra,
dipende dai rapporti di forza armati (deterrenza) e dalla capacità di usarli in
qualsiasi omento e in qualsiasi luogo (“prontezza”, la chiama Ursula von der
Leyen). Letta e Draghi nei loro rapporti/suggerimenti alla UE affermano che la
competizione economica (a partire dalla superiorità tecnologica) la si vince o
la si perde nella misura in cui gli appartati industriali militari saranno
superiori a quelli dei competitori. (Mi pare che Israele lo stia dimostrando
alla grande con l’IDF).
La spirale tra militarizzazione del pianeta, accaparramento delle materie prime
e controllo delle rotte commerciali moltiplica i conflitti armati (mai così
tanti dalla fine della Seconda guerra mondiale, 57) e aumenta spaventosamente i
fabbisogni energetici.
Come fare, allora, a fermare la guerra?
Potremmo provare a staccargli la spina!
Non è uno scherzo. Attenzione, anche loro sanno di avere qualche problema di
sostenibilità nell’uso dell’energia. Sembra che gli Stati maggiori del generale
Crosetto stiano lavorando ad una “Strategia Energetica della Difesa”, il cui
obiettivo – udite-udite – è: “raggiungere più elevati livelli di efficienza e
indipendenza energetica, al fine di perseguire concreti obiettivi di […] tutela
ambientale […] e di sviluppare una nuova mentalità energy oriented nell’ambito
dei settori della logistica, delle operazioni e delle infrastrutture della
Difesa”.
(https://temi.camera.it/leg19DIL/temi/19_la-transizione-ecologica-della-difesa.html).
Ci sono anche progetti per “Caserme Verdi a basso impatto ambientale”, “Basi
(navali) Blu” e “Aeroporti Azzurri”.
L’ex ministro alla fu Transizione ecologica, Roberto Cingolani, ora ad della
Leonardo saprà certamente inventarsi un carro armato con vernice green
biologica, perfettamente riciclabile e dotato di motori elettrici. C’è un
magistrale discorso di papa Bergoglio, che andrebbe sempre ricordato: “Gli aerei
inquinano l’atmosfera ma con una piccola parte dei soldi del biglietto piantano
alberi per compensare parte del danno arrecato. Le società del gioco d’azzardo
finanziano compagnie per i giocatori patologici che creano. E il giorno in cui
le imprese di armi finanzieranno ospedali per curare i bambini mutilati dalle
loro bombe, il sistema avrà raggiunto il suo culmine. Questa è ipocrisia!”
(Vaticano 4 febbraio 2017). La Leonardo ci ha provato a donare 1,5 milioni di
euro all’ospedale di Roma Bambin Gesù, ma non li hanno voluti.
Se nell’economia di guerra tutto ruota inestricabilmente attorno all’apparato
militare industriale e se l’intero sistema industriale dipende dal controllo
dell’energia, allora rivendicare un controllo democratico sull’uso delle fonti
energetiche può essere una giusta e buona strategia per i movimenti pacifisti ed
ecologisti (ecopacifisti).
In fondo l’energia è una sola, è il flusso che alimenta ogni processo naturale.
È il primo bene comune. È la forza preesistente della vita, sia quella
miracolosamente sprigionata direttamente dal sole, sia quella racchiusa nei
giacimenti fossili, sia quella meravigliosamente rigenerata in continuazione dal
processo biochimico della fotosintesi clorofilliana, sia quella rara e
misteriosa contenuta nell’atomo di uranio. Ha un valore primario in sé, il cui
uso dovrebbe essere regolato da un semplice principio: i benefici che se ne
possono trarre, senza danneggiare il bene, devono essere messi a disposizione,
condivisi e goduti da tutti gli esseri viventi. (Non solo gli esseri umani).
Poiché il flusso dell’energia è il principale regolatore e indicatore (il
“medium”) del metabolismo uomo/natura, nella storia dell’umanità intervengono
delle regolazioni sociali che trasformano un dono gratuito della natura in uno
di più potenti strumenti di controllo e di dominio politico. Accade così che nei
regimi del capitale (nell’“ecologia del capitale”) le fonti di energia primaria
vengano privatizzate attraverso la costruzione di apparati tecnologici e regimi
giuridici proprietari di cattura, estrazione, trasformazione, distribuzione,
erogazione, consumo. Si formano così enormi asimmetrie di potere nel disporre
del bene comune, concentrazioni ed esclusioni, sprechi vergognosi e
disuguaglianze intollerabili (povertà energetica, magari tra quelle popolazioni
dal cui suolo si estraggono idrocarburi; 800 mln di africani non hanno accesso
all’elettricità). Queste strutture e questi apparati sono pensati allo scopo di
realizzare profitti e accumulare capitali, trasformano l’energia (un dono
gratuito) in una merce e oscurano l’origine naturale dell’energia.
Per avere la pace, per pacificare il mondo dovremmo quindi mettere in
discussione il sistema energetico nel suo complesso. Non solo il tipo di
tecnologie usate per trasformare l’energia primaria in energia utilizzabile, non
solo gli impatti ambientali sulle diverse matrici naturali lungo tutta la
filiera, non solo l’equa ridistribuzione delle utilità, ma anche quali sono i
fabbisogni autentici e davvero necessari al benessere umano (e non solo) che
devono essere garantiti.
Insomma, dovremmo riuscire a mettere in discussione non solo quale energia
produrre, ma chi la produce e per farne cosa. La questione fondamentale è il
tipo di controllo sociale delle fonti e dei sistemi di distribuzione
dell’energia.
Non siamo (mi pongo all’interno dei movimenti che sognano una società della
decrescita) mossi da furore ideologico anticapitalistico o da nichilismo
tecnologico. A me piace il solare perché è una fonte ben distribuita e si può
usare senza appropriarsene. Amo le Comunità energetiche rinnovabili perché penso
che siano una forma di autogestione consapevole e replicabile. Ma so anche
quanto facile sia la loro sussunzione nel mercato tramite i collegamenti alla
rete e la bancarizzazione dei ricavi. Mi rivolgo quindi a quanti in ottima buona
fede sostengono la “transizione energetica”, le energie pulite, la neutralità
climatica, l’elettrificazione, le green tech… per metterli in guardia sul fatto
che questi sacrosanti obiettivi rimarranno una chimera (come lo è tutto il Green
Deal europeo) se a controllare produzione e distribuzione continueranno ad
essere le forze di mercato, i gruppi industriali interessati a ricavare più
profitti a prezzi vantaggiosi.
Mi auguro e spero che non un raggio di sole, non un soffio di vento, non una
goccia d’acqua possa mai finire in mani armate.
Per concludere condividiamo alcune riflessioni di Confluenza a seguito
dell’Assemblea “Guerra alla Guerra” che si è tenuta a Venaus domenica 27 luglio
Un tema, quello del riarmo e della guerra, che ovviamente è emerso a vari
livelli anche all’interno dell’esperienza della rete territoriale Confluenza, a
partire dalla transizione energetica di cui, tra le altre cose, si sta
occupando. I progetti di grandi impianti eolici e agri-fotovoltaici hanno messo
in luce la perseveranza nel seguire un modello basato sulla necessità energetica
infinita che, al di là dell’incoerenza tra il concetto stesso di transizione
ecologica e la strada del mix energetico (comprendente gas e nucleare)
intrapresa dal governo, pone una domanda essenziale: a cosa e a chi servirebbe
tutta questa energia? Sicuramente il processo di digitalizzazione in corso con
lo sviluppo dell’intelligenza artificiale e il suo dual use in campo civile e
militare e la pianificazione in atto della macchina bellica sono fattori
energivori che rispondono al quesito.
Ci sono ovviamente realtà territoriali dove l’argomento del riarmo ha
un’evidenza più immediata per la natura stessa delle loro lotte contro la
presenza di basi militari e di depositi di scorie nucleari. Mentre le prime
causano preoccupazione in merito a un aumento di esercitazioni, emissioni di
inquinanti e ampliamenti di strutture militari a discapito di zone naturali, ai
quali viene affidato lo status di opere strategiche nazionali con le conseguenze
che ne derivano sulle possibili forme di opposizione, in merito ai depositi è la
sempre viva interconnessione tra nucleare civile e militare il punto di contatto
col tema della guerra.
Tra i vari comitati sparsi nel territorio nazionale sono però emersi anche altri
ragionamenti degni di nota, quali quello della paranoia militarista che sta
pervadendo l’Europa, avvertita come cornice più ampia che si declina in un clima
repressivo a livello nazionale. Si percepisce in maniera preoccupante la volontà
di controllare, intimidire chi dissente: il decreto sicurezza con le sue norme
“anti Ghandi”, la militarizzazione del territorio e le sanzioni spropositate
comminate a chi protesta, rischiano tra le altre cose di innescare un clima di
paura, abitudine e legittimazione.
Ma le connessioni tra lotte territoriali e riarmo si palesano anche su un piano
strettamente economico. I comuni italiani negli ultimi decenni sono stati
fortemente penalizzati da ingenti tagli di finanziamenti dovuti alle politiche
di austerità europee; il riarmo avrà certamente ulteriori ripercussioni con
futuri tagli alla spesa. Tutto questo avrà come effetto non solo la qualità dei
servizi al cittadino ma anche una situazione di maggiore debolezza dei comuni
stessi che si verranno a trovare in una situazione di maggiore ricattabilità. Le
loro esigenze economiche porteranno pertanto alla svendita del territorio e
all’accettazione di progetti che poco o nulla hanno a che fare con le reali
esigenze di chi il territorio lo vive ma portano con sé forme di contributi o
compensazioni a fronte di profitto delle aziende proponenti: un processo di
sfruttamento del territorio a discapito della cultura della prevenzione di cui
il nostro paese avrebbe urgentemente necessità.
Continua l’impegno di Confluenza a sostegno del Coordinamento No Gronda – No
Tangest. Di seguito riportiamo un estratto del testo giuntoci da Claudio Viano,
della serata informativa svoltasi ad Andezeno e un report a seguito
dell’incontro organizzato dalle istituzioni torinesi preposte al verde pubblico
avvenuto il 21 giugno scorso a Montaldo Torinese, anche in questa occasione
l’assessore Tresso ha evitato le domande e le questioni che riguardano il
territorio in cui si trovava, dunque il progetto di tangenziale est. Anche in
quell’occasione un gruppo di chi si oppone a questo progetto ha fatto presente
le proprie istanze che riportiamo di seguito per sottolineare le ragioni di chi
dice NO.
Giovedi 5 giugno ad Andezeno, presso la Biblioteca Comunale, il Coordinamento No
Gronda – No Tangest ha promosso un incontro pubblico dal titolo: “Gronda est,
quale idea di futuro per il nostro territorio?” Hanno partecipato una novantina
di persone: una presenza numerosa e motivata da cui sono emersi interrogativi
importanti.
Tra i presenti la Sindaca e il Vice-Sindaco di Pavarolo oltre ad alcuni ex
amministratori locali, alcuni agricoltori e il presidente dell’associazione
“Frutteto di Vezzolano-per la salvaguardia del paesaggio rurale”. La serata è
stata introdotta da Elio Acquaviva del “Coordinamento No Gronda – No Tangest”,
al quale sono seguiti diversi interventi: il sindaco di Andezeno Agostino
Ambrassa (il cui testo è stato letto dal consigliere di maggioranza Luca
Faranda), Piergiorgio Tenani, Carlo Massucco, Gregorio Savio, Piercarlo
Porporato e considerazioni del pubblico.
Perché questo incontro?
L’incontro nasce anzitutto dall’esigenza di informare i cittadini sulle
problematiche legate alla “gronda est”, cosa che le amministrazioni locali,
tranne qualche eccezione, non hanno fatto. Il commento iniziale del Sindaco di
Andezeno è che non sarà facile finanziare un progetto come la gronda, occorrerà
valutare gli impatti ambientali e i risvolti logistici ma in ogni caso servirà
attendere la presentazione dello studio di fattibilità per esprimersi a favore o
meno.
Tenani, presidente dell’Associazione Il tuo parco, ha messo in evidenza che la
risposta in termini di partecipazione vi è sempre ogni qual volta si fa uno
sforzo per condividere le informazioni possedute soprattutto in funzione del
futuro che ci attenderà, con o senza gronda. Il coordinamento sta organizzando
serate con la medesima modalità messa in atto in questa occasione, in tutti i
Comuni ipoteticamente coinvolti dalla gronda.
Il documento “Gronda est, quale futuro per il nostro territorio?”, presentato e
messo a disposizione della cittadinanza, nasce dall’esperienza di salvaguardia
del territorio e da un’azione culturale, didattica ed educativa tramite cui si
cerca di dare una possibile risposta alle varie questioni principali che possono
essere sollevate. L’obiettivo è capire che ne sarà del nostro territorio.
Che tipo di progettualità c’è dietro a questa ipotesi, che tipo di analisi?
Sono altre le visioni che vanno anteposte per mettere in luce le opportunità del
nostro territorio perché la gronda non è solo una questione di viabilità.
Pertanto come coordinamento auspichiamo un confronto sui problemi: esistono
altre soluzioni possibili e a tal fine occorre evidenziare anzitutto quali sono
le valenze, opportunità, eccellenze dei nostri luoghi.
“Meta” è la società che ha ricevuto dalla città metropolitana l’incarico di
sviluppare uno studio di pre-fattibilità, ovvero uno studio che non inserisce
ancora i costi e che si limita a fornire linee, indirizzi e ipotesi che nel
frattempo si vanno definendo. Avrebbe dovuto essere consegnato a fine 2024,
forse lo sarà in occasione dell’assemblea dei sindaci di fine mese (giugno
2025).
Quando parliamo di opere del genere dobbiamo mettere in conto quanto esse
modifichino pesantemente la vita dei nostri territori. Lo studio di fattibilità
è già costato 100 mila euro e altri 750 mila ne verrebbero spesi per il progetto
vero e proprio di un’opera il cui costo è stimato tra 1 miliardo e 1 miliardo e
200 milioni di euro: soldi che potrebbero essere spesi per il trasporto pubblico
locale.
Di quale tipo di progresso parliamo?
La gronda servirebbe a chi transita, non a chi il territorio lo abita.
Le riprese dall’alto della periferia dell’attuale tangenziale mostrano una
radicale diversità dai nostri paesaggi dove verrebbero scavate gallerie (una
proprio sotto Montaldo) ed eretti viadotti, similmente alle riproduzioni e
simulazioni che riportiamo.
Perché per qualcuno la gronda è così importante?
Come cittadini non siamo stati minimamente coinvolti. Neanche i sindaci lo sono
stati. Invece vorremmo sapere perché stiamo parlando di un lascito alle
generazioni future. Noi il progetto di Meta non l’abbiamo visto (eccetto alcune
slide) e chiediamo vengano inseriti altri studi che potrebbero considerare la
gronda come del tutto inutile. Manca un rendiconto.
Alcuni dati nel concreto.
Lo “Studio Meta” sui flussi di traffico ci dice che la gronda scaricherebbe la
tangenziale nord, ma con l’apertura della Asti-Cuneo la stima scende dal 4% al
2%. Sono dati della stessa Meta. Ha senso quindi una spesa di oltre un miliardo
di euro per una riduzione di traffico del 2%? E questo effetto si otterrebbe tra
25 anni se ci saranno fondi sufficienti a realizzare l’opera. Nel frattempo,
giusto per calarsi nel contesto contemporaneo, le norme europee sono indirizzate
a una diversa mobilità: si prevede la riduzione del trasporto da gomma a rotaia
e delle emissioni inquinanti entro pochi anni. E la gronda per contro aumenta il
traffico, non lo diminuisce.
Esistono molte alternative e possibilità diverse dal puro traffico di veicoli,
di seguito alcuni esempi. Amazon utilizza droni per la consegna delle merci
nell’ultimo miglio, altre imprese hanno iniziato a sostituire furgoni con
cargo-bike, molti giovani non vogliono comprare l’auto sia per gli alti costi
che per scelte di vita, Friburgo in Germania, città delle dimensioni di Chieri,
ha il traffico di auto ridotto al 18% dei mezzi circolanti e interi quartieri
sono serviti da mobilità derivante da fonti rinnovabili.
Noi vogliamo confrontarci con chi si dice favorevole alla gronda, con le
associazioni di categoria e gli imprenditori. Alcune associazioni di
imprenditori locali hanno richiesto e suggerito di migliorare e potenziare il
trasporto pubblico per i loro lavoratori. Abbiamo molti motivi per essere
contrari, un’altra visione è possibile.
Le tangenziali si portano dietro inquinamento e consumo di suolo. Il nostro
territorio fa parte del “Mab-Unesco Riserva Collina del Po”, istituito nel 2016
ed entro il prossimo anno partiranno le procedure per il riconoscimento. Come
coordinamento ci siamo attivati nel coinvolgimento di associazioni e imprese in
grado di riempire di contenuti la candidatura Unesco, che possiamo riassumere in
tre punti:
1. il benessere delle persone
2. la conservazione del territorio e della sua biodiversità
3. supporto ad innovazione tecnologica
4. Il Mab-Unesco è un’opportunità per la condivisione partecipata del
territorio nella fruizione turistica (ad esempio la bike economy per la
quale l’Italia ha ancora molti margini di miglioramento) e
nell’agro-alimentazione di qualità. Dobbiamo richiamare le nostre
amministrazioni al loro dovere di coinvolgimento della popolazione. Un tale
consumo di denaro impedisce di fare altre cose.
5. Ci stiamo muovendo per coinvolgere esperti nella valutazione e nella
indagine medica sugli effetti possibili nei confronti della salute.
Massucco, nativo di questi luoghi, ricorda che sono 35 anni che si parla
prima di tangenziale e ora di gronda. Di seguito riportiamo parte del suo
intervento.
6. “In passato si parlava del porto di Savona come destinato a divenire il
porto principale della Liguria e quindi si realizzò l’autostrada
Torino-Savona per completare il corridoio. I risultati però furono diversi.
I dati di Meta dicono che la circonvallazione di Chieri diventerà di 4
corsie mentre la sp 122 di 3 corsie come la Torino Savona. A queste ultime
si aggiungeranno due strade laterali parallele in quanto attualmente ci
sono molti affacci sulla sp 122. Poiché nel PUMS (redatto da Meta qualche
anno fa) oltre che di gronda si parla anche di mobilità pubblica, ho
chiesto al sindaco di Chieri, anche in qualità di assessore della città
metropolitana, di chiarire con la città metropolitana stessa e con la
Regione quale dovrebbero essere i valori di investimento da destinare alla
gronda e quale alla mobilità pubblica, visto che per il momento si parla
solo della prima e si sacrifica la seconda. I sindaci che erano stati
coinvolti non hanno dichiarato un sì in favore della gronda. Lo studio di
fattibilità è poi variato nel frattempo e Meta ha avuto l’ulteriore
incarico di deviare il tragitto per via della scelta di intercettare il
sito del futuro ospedale di Cambiano. Forse non si sa che uno dei punti più
inquinati del territorio è tra i due semafori di Andezeno, che con la
gronda non può che peggiorare. Arignano, Mombello e Castelnuovo vedranno
aumentare il traffico perdendo la loro vocazione agricola d’eccellenza. Chi
imboccherà la gronda in direzione Chivasso per arrivare a Torino passerà da
Pino Torinese. Meta non dice nulla.”
7. Savio riassume le iniziative svolte, in particolare quella di Chieri, per
ribadire l’opposizione al progetto. “Questo è il momento per manifestare la
nostra contrarietà all’opera prima che qualcuno imponga le sue scelte e per
costruire con altri possibili alternative”.
8. Porporato, di Gassino, sottolinea che in tutti questi anni si sono
inutilmente spesi più di un milione di euro in studi di fattibilità ed ora
è giunto il momento di dire basta. “Con questi soldi si sarebbero potuti
fare interventi utili alla cittadinanza e invece sono stati sprecati. Si
dice che bisogna coinvolgere i cittadini ma siamo stati lasciati fuori da
ogni possibilità di valutare lo studio di fattibilità. Ci è stato detto di
chiederlo ai sindaci e quindi tutti quanti dovremmo bussare alla loro porta
per sapere a che punto è il progetto”.
9. Si sono poi susseguiti interventi che elenchiamo brevemente di seguito:
10. – una tangenziale o gronda per il trasporto locale renderebbe solo più
difficoltoso il traffico locale e aumenterebbero i rischi per gli abitanti
locali
11. – la necessità di supporti legali per essere più incisivi
12. – mentre il singolo cittadino è rallentato e ostacolato da svariate
pratiche per sanatorie e permessi, ci si chiede come mai per i promotori
della gronda è così facile e perché non devono rendere conto a nessuno
13. – la presenza di linee ferroviarie chiuse frettolosamente da uno sviluppo
sbagliato, ora invase da erbe ed in stato di abbandono. Basterebbero un po’
di treni moderni che ridurebbero il traffico dalle strade e
incrementerebbero il turismo. Adesso a Chieri, in particolare alla
domenica, si resta bloccati
14. – Il vice-sindaco di Pavarolo chiarisce che come amministrazione locale
hanno idee diverse dai sostenitori della gronda. “Costoro non hanno mai
parlato dei danni che porterebbe questa opera. A Pavarolo viene portato
avanti un percorso di tutela e valorizzazione non solo MAB-Unesco (..) e
non siamo disposti a modificare l’assetto stradale attuale. Ci vogliono
infrastrutture che non entrino in conflitto col nostro territorio”.
15. – i turisti sono entusiasti di trovare posti unici, poco o per nulla
conosciuti, preferiti alle Langhe. Da Superga a Casale la natura ha ancora
un peso centrale. Occorre muoversi per arrivare a certificazioni ambientali
di eccellenza
16. – l’importanza di fare rete, anche costruendo piccoli comitati locali che
aderiscano e promuovano iniziative nei singoli Comuni
17. – l’ipotesi di esporre dalle nostre finestre delle bandiere o striscioni in
cui affermiamo visivamente la nostra contrarietà alla gronda
18. – chiedere a tutte le amministrazioni di dedicare una giornata per
affrontare un dibattito sulle problematiche MAB-Unesco anche perché l’idea
di sviluppo delle aree industriali è sorpassata dalle sfide future. Nel
frattempo ci si è già attivati sugli 86 comuni aderenti alle linee del
MAB-Unesco con progetti per avvalorarne il riconoscimento e per incontrare
le associazioni di categoria per un confronto.
19. Il Coordinamento No Gronda – No Tangest prosegue dunque la sua campagna di
informazione per difendere il proprio territorio .
Sabato 21 giugno si è svolto a Montaldo Torinese, organizzato dalla Pro Loco, il
‘Green Festival’ che, oltre ad un mercatino di produttori locali, ha previsto un
Convegno incentrato sulle opportunità offerte al territorio dal MAB (‘Man and
Biosphere’) Unesco. L’argomento è stato introdotto dall’ing.Tresso, presidente
del MAB ‘Collina Po’ nonché Assessore a Viabilità e Verde pubblico del Comune
di Torino. Tresso ha presentato il MAB, programma che ha come obiettivo primario
‘l’uso e la condivisione razionale e sostenibile delle risorse della biosfera’.
‘Collina Po’ è dal 2016 una ‘Riserva della Biosfera’ cioé un ecosistema
terrestre che ‘promuove attività di cooperazione scientifica, ricerca
interdisciplinare e sostenibilità ambientale’. Questa qualifica dev’essere
rinnovata nel 2026. Lungo l’asse del fiume Po ci sono altre Riserve della
Biosfera come il ‘Po Grande’ e il ‘Delta’ e l’obiettivo dichiarato da Tresso è
quello di creare un coordinamento dei territori lungo tutto l’asse fluviale,
dalla sorgente al delta, considerandolo un unico ambito fondamentale per la
conservazione della biodiversità, delle comunità, delle specie e degli
ecosistemi. L’obiettivo di uno sviluppo sostenibile è stato a parole condiviso
dal Consigliere regionale Magliano che ha sottolineato come in un territorio,
quale quello della collina del Po, si debbano portare risorse come trasporti
locali o pediatri per evitare lo spopolamento.
Il pubblico ha ascoltato con interesse i due esponenti delle Istituzioni,
sperando non fossero le solite parole vuote: le domande sono ovviamente state
incentrate sul convitato di pietra del Convegno, la ‘Gronda Est’, infrastruttura
viaria in contrasto con ogni idea di tutela del territorio. I due esponenti
politici hanno abilmente e prevedibilmente eluso le risposte: alla domanda se il
rinnovo del MAB sia compatibile con l’attraversamento ed il sezionamento di una
‘Riserva della Biosfera’ da parte di una strada a quattro corsie, percorsa da
TIR e auto, la risposta di Tresso è stata vaga e addirittura possibilista,
dipendendo il giudizio dai valutatori. Ancora più vaga la risposta di Magliano
come rappresentante della Regione, che per ora ‘sta verificando lo stato di
fattibilità’ di un progetto che è in capo alla Città Metropolitana di Torino.
Lo stesso si è dichiarato personalmente favorevole alla Gronda, posizione che
evidentemente non ha percepito come in palese contrasto con l’oggetto ed il
contenuto del suo intervento ‘Turismo lento e produzioni sostenibili’… L’unica
concessione di entrambi i relatori è stata la dichiarazione che ritengono sia
necessario coinvolgere sempre nelle decisioni i territori su cui la politica
intende intervenire con progetti di forte impatto, e qui il MAB può servire a
promuovere il confronto tra comunità e amministratori, senza però, secondo
Tresso, esprimere una posizione…. Lo stesso Tresso ha dichiarato che ‘purtroppo’
a volte può accadere che il confronto non venga fatto, per motivi di urgenza,
come recentemente accaduto per progettare l’intervento nel Parco del Meisino con
fondi PNRR, che non ha tenuto per nulla conto del parere dei cittadini che
difendevano dalle ruspe del Comune un’area di estremo interesse naturalistico,
facendoli sgomberare dalla polizia.
Alice De Marco, presidente di Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta, ha sostenuto
l’importanza della Collina del Po come polmone verde, da tutelare e preservare,
mentre Elena Di Bella ha parlato di mobilità sostenibile, che richiede il
potenziamento dei trasporti locali e dell’intermodalità. Del legame tra cibo e
territorio ha parlato Riccardo Bruno, illustrando i risultati del suo Dottorato
di Ricerca presso il Politecnico di Torino: l’area urbanizzata sta erodendo il
territorio agricolo o boscato della collina del Po. Il cibo prodotto nel
territorio spesso non rimane nel territorio ma viene trasportato altrove. Il suo
invito è quello di adottare politiche del cibo, studiandone produzione,
distribuzione, consumo e considerando gli aspetti sociali, territoriali e
ambientali. Con Roberto Sambo, di Slow Food, si è parlato di cibo di qualità,
‘buono, pulito, giusto’, quello valorizzato dai ‘presìdi’ di Slow Food, come
difesa dalla globalizzazione. Difesa delle eccellenze locali significa anche
difesa del territorio che le produce e delle modalità ‘dolci’ di produzione. La
cerealicoltura intensiva, in larga parte destinata ad allevamenti intensivi di
bestiame (dannosi per gli animali e l’ambiente) o alla produzione di biomasse
(!) causa il prelievo eccessivo di acqua dal Po, destabilizzando l’ecosistema
del fiume.
Nell’intervento della Prof.ssa Elena Granata, del Politecnico di Milano, è stato
indicato uno strumento legislativo importante perché vincolante sullo sviluppo
delle comunità, il ‘Piano clima’ (Piano di adattamento ai cambiamenti
climatici), che deve diventare il presupposto di tutte le altre politiche: ogni
territorio deve conoscere il rischio specifico derivante dal cambiamento
climatico, calcolabile da dati esistenti, e questo aspetto deve avere la
priorità su ogni pianificazione. Gli amministratori locali presenti in sala si
sono dimostrati molto interessati a questo strumento che dà potenza e forza a
tutti gli strumenti settoriali come il ‘Piano acqua’ o il ‘Piano di comunità’.
Il Convegno si è concluso con le immagini dell’alluvione di Forlì del 2023, e
delle frane sull’Appennino Emiliano, riprese dalla fotografa Silvia Camporesi,
che documentano le mutazioni del paesaggio e sottolineno la fragilità del
territorio. E’ stato ricordato come solamente nello scorso mese di Aprile anche
la collina del Po sia stata lacerata da frane e smottamenti conseguenti a piogge
intensissime.
Fuori dalla sala, un ‘gazebo’ presidiato da attivisti NOGronda/NOTangEst, con
striscione e bandiere, ha sottolineato come esista un’opposizione all’ennesima
opera devastatrice del territorio, promossa da ipocriti parolai incuranti di
crisi ambientale e climatica.
Conferenza stampa, lunedì 4 agosto 2025, per la presentazione ufficiale
della XXXIII Festa di Radio Onda d’Urto, che si tiene da mercoledì 6 agosto a
sabato 23 agosto 2025 nella storica area feste di via Serenissima, a Brescia.
Tutto il programma è già disponibile sul sito internet www.festaradio.org
Durante l’incontro con i media sono stati toccati diversi aspetti relativi alla
Festa 2025, che vedrà oltre 200 eventi nell’arco di meno di tre settimane:
decine di concerti solo sul palco principale, dall’Italia e dal mondo, che
diventano oltre 200 tra live e dj set delle varie tende, presentazioni di libri
e dibattiti. Non solo: i laboratori quotidiani per bambine e bambini a cura
di Siamo Gatti, e tanto, tanto altro ancora tra enogastronomia, autoproduzioni,
momenti di scambio, confronto e socialità fuori dalle logiche del mercato.
La Festa 2025 cade inoltre in un anno speciale: è quello in cui Radio Onda
d’Urto compie i suoi primi 40 anni di vita. Tanti ne sono passati da quando, il
18 dicembre 1985, da una cantina in vicolo delle Sguizzette, nel centro di
Brescia, iniziava a diffondersi nell’etere il segnale antagonista del Gatto
Nero. L’edizione di quest’anno è dedicata proprio al quarantennale della Radio.
La Festa, infatti, esiste perché esiste Radio Onda d’Urto. E come sempre, il
ricavato di queste 18 serate va a sostenere le spese di un anno intero di
trasmissioni radiofoniche senza pubblicità, sponsor o padroni.
Tanti i temi al centro del palinsesto di questa edizione speciale della Festa di
Radio Onda d’Urto: arriverà a Brescia, con il concerto sul palco principale di
giovedì 7 agosto, il gruppo palestinese 47SOUL, che con la loro musica hanno
fatto in modo di portare la voce della Palestina sul palcoscenico globale. Anche
a Brescia. Non solo concerti: la Palestina e il genocidio in corso a Gaza, i
movimenti che si battono per la sua liberazione, sono parte del programma
all’interno degli eventi presso lo Spazio Dibattiti e la Libreria del Gatto
Nero. E ancora: le leggi liberticide del governo Meloni, l’ambiente e la
salute, la riconversione bellica, il riarmo e le guerre, sono alcuni degli
argomenti affrontati nelle 18 serate di dibattiti e presentazioni.
Tra gli altri, anche quest’anno, abbiamo deciso di dedicare una serata della
Festa di Radio Onda d’Urto alla campagna internazionale per la liberazione del
leader del movimento di liberazione curdo Abdullah Öcalan e di tutti i
prigionieri e le prigioniere politiche. La serata è organizzata insieme a
Ufficio Informazione Kurdistan in Italia e Rete Kurdistan Italia ed è in
programma per sabato 9 agosto con un dibattito presso la Libreria del Gatto
Nero.
Non da ultimo, la prima sera della Festa della Radio – mercoledì 6 agosto, sarà
dedicata al nostro amico, compagno e prezioso collaboratore Titta Colleoni,
scomparso poche settimane fa. L’edizione di quest’anno sarà l’occasione di
ricordarlo, insieme a tutte le volontarie e i volontari che non ci sono più.
La conferenza stampa con gli interventi, a nome della Redazione di Radio Onda
d’Urto e della Festa, di Michele Borra, Giulia Ferrari e Siham Oufiz. Ascolta o
scarica
IL PROGRAMMA COMPLETO
La Festa di Radio Onda d’Urto si tiene da mercoledì 6 a sabato 23 agosto 2025 in
via Serenissima a Brescia! Quella 2025 è un’edizione – la numero XXXIII –
speciale perché coincide con i primi 40 anni (1985-2025) di Radio Onda d’Urto!
Apertura cancelli: ogni sera, dalle ore 19.00.
Prevendite già disponibili per i concerti del 10 agosto (Coma_Cose, 25 euro) e
20 agosto (Night Skinny + Rrari Dal Tacco + Promessa + Peter Napo, 15 euro).
Link diretti qui sotto, nelle date corrispondenti. Sarà comunque possibile
acquistare il biglietto anche ai cancelli nelle due sere indicate, 10 e 20
agosto.
In tutte le altre date, invece, niente prevendite, ma la solita modalità di
sostegno e sottoscrizione a Radio Onda d’Urto.
Palco principale 2025:
* Mercoledì 6 agosto: PUNKREAS + KID COMBO
Apertura cancelli ore 19. Ingresso con sottoscrizione di 5 euro dalle ore 20
* Giovedì 7 agosto: 47 SOUL (Palestina) + TÄRA
Apertura cancelli ore 19. Ingresso con sottoscrizione di 10 euro dalle ore 20
* Venerdì 8 agosto: FANTASTIC NEGRITO (Usa) + CEK & THE STOMPERS
Apertura cancelli ore 19. Ingresso con sottoscrizione di 10 euro dalle 20
* Sabato 9 agosto: BANDABARDÒ + ZAK!
Apertura cancelli ore 19. Ingresso con sottoscrizione di 5 euro dalle 20
* Domenica 10 agosto: COMA_COSE + GATTOTORO. 25 euro dalle ore 19; disponibili
le prevendite su ticketone.it e mailiticket.it
* Lunedì 11 agosto: MEZZOSANGUE + MURUBUTU
Apertura cancelli ore 19. Ingresso con sottoscrizione di 15 euro dalle ore 19
* Martedì 12 agosto: MELLOW MOOD + TOMMY KUTI
Apertura cancelli ore 19. Ingresso con sottoscrizione di 5 euro dalle 20
* Mercoledì 13 agosto: THE CINELLI BROTHERS (Inghilterra) + LUKE WINSLOW KING &
LEGHORN BAND (Usa) + MUÌZU
Apertura cancelli ore 19. Ingresso con sottoscrizione di 5 euro dalle 20
* Giovedì 14 agosto: FOLKSTONE + DEROZER + MADBEAT
Apertura cancelli ore 19. Ingresso con sottoscrizione di 10 euro dalle 19
* Venerdì 15 agosto: VALLEY OF THE SUN (Usa) + OvO
Apertura cancelli ore 19. Ingresso con sottoscrizione di 5 euro dalle 20
* Sabato 16 agosto: NITRO + MADMAN W/DJ 2P + 8BLEVRAI
Apertura cancelli ore 19. Ingresso con sottoscrizione di 15 euro alle 19
* Domenica 17 agosto: “CANZONI RESISTENTI” CON YO YO MUNDI & GANG
Apertura cancelli ore 19. Ingresso con sottoscrizione di 5 euro dalle 20
* Lunedì 18 agosto: GLOCKY + ASTRO + 22SIMBA + LILCR
Apertura cancelli ore 19. Ingresso con sottoscrizione di 15 euro dalle 19
* Martedì 19 agosto: EMMA NOLDE + GINEVRA
Apertura cancelli ore 19. Ingresso con sottoscrizione di 5 euro dalle ore 20
* Mercoledì 20 agosto: NIGHT SKINNY + RRARI DAL TACCO + PROMESSA + PETER
NAPO. 15 euro dalle ore 19; disponibili
le prevendite su ticketone.it e mailiticket.it
* Giovedì 21 agosto: 99 POSSE + LA NIÑA
Apertura cancelli ore 19. Ingresso con sottoscrizione di 10 euro dalle 20
* Venerdì 22 agosto: M¥SS KETA + LORENZZA
Apertura cancelli ore 19. Ingresso con sottoscrizione di 10 euro dalle 19
* Sabato 23 agosto: MODENA CITY RAMBLERS + RADICI NEL CEMENTO
Apertura cancelli ore 19. Ingresso con sottoscrizione di 10 euro dalle 20
_________________
ALTRE TENDE:
PROGRAMMA DIBATTITI 2025
PROGRAMMA LIBRERIA DEL GATTO NERO 2025
PROGRAMMA SIAMO GATTI – SPAZIO BIMB* 2025
PROGRAMMA CHIRINGUITO 2025
PROGRAMMA PATCHANKA 2025
PROGRAMMA TENDA BLU 2025
______________
Cos’è la Festa di Radio Onda d’Urto di Brescia? Tante serate di socialità libera
e liberata, dibattiti, incontri, grande musica live con diversi palchi, libri,
autoproduzioni, enogastronomia, confronto e scambio reciproco.
E tanto, tanto altro, a sostegno di Radio Onda d’Urto, emittente antagonista
nata il 18 dicembre 1985 e che da allora trasmette tutti i giorni senza un
secondo di pubblicità. Siamo a 150 metri dal capolinea sud della metropolitana,
Sant’Eufemia – Buffalora.
Nell’attesa della Festa..sostienici!
Come?
* ABBONATI E FAI ABBONARE: PER AIUTARE RADIO ONDA D’URTO…BASTANO 8 EURO AL
MESE: CLICCA QUI!
* VINILE “ONDA D’URTO”: 300 copie, numerate e firmate, del vinile di “Onda
d’Urto”, canzone scritta e interpretata da Punkreas e Bunna (Africa Unite),
con remix di dj Bonnot. Per riceverlo CLICCA QUI
* DEVOLVI IL TUO 5X1000 : devolvi il 5×1000 a Radio Onda d’Urto, in
dichiarazione dei redditi. Il codice da inserire è : 02084620174
________________________
CHI SIAMO
“Nel 1985 cominciavano, in una cantina di Vicolo delle Sguizzette, a Brescia, le
trasmissioni di Radio Onda d’Urto. Accompagnando i fermenti sociali, giovanili e
studenteschi, che in quel lontano 1985 anche nella nostra città riaffioravano
oltre la cappa repressiva dei primi anni Ottanta, prendeva così corpo quel
progetto di comunicazione antagonista agito soprattutto da giovani compagni e
compagne universitari e studenti medi. In uno dei volantini che pubblicizzavano
il nostro primo palinsesto scrivevamo: “L’informazione è merce e nello stesso
tempo strumento di comando e controllo sociale. Radio onda d’urto, emittente
comunista di Brescia, vuole essere il granello di sabbia nel mostruoso
ingranaggio della disinformazione del sistema della costruzione del consenso,
vuole essere la voce di tutte quelle realtà (di lotta, sociali, politiche,
culturali) che il sistema vorrebbe costrette al silenzio; è l’unica emittente di
Brescia non commerciale, autogestita e finanziata dai suoi ascoltatori e
ascoltatrici. Radio onda d’urto è ripristino dell’informazione negata dal
capitale e dai media, è comunicazione altra, antagonista.”
In questi lunghi anni siamo usciti dalle cantine, abbiamo trovato casa, ci siamo
rafforzati, siamo cresciuti e cambiati ma senza recidere le nostre radici e
senza perdere quell’aspirazione originaria a voler non solo comprendere il
mondo, ma trasformarlo. Abbiamo affrontato il terreno, per noi anche di lotta,
della comunicazione attrezzandoci perché la radio diventasse uno strumento di
analisi critica adeguato e all’altezza delle sfide che il nuovo millennio ci
poneva…”
da Radio Onda d’Urto
Per il due agosto abbiamo indetto una manifestazione in Contrada Ulmo, con
partenza dal presidio nomuos e arrivo alla base militare della US Navy,
preceduta la sera prima dalla proiezione del film “Valentina e i MUOStri” in
piazza Vittorio Emanuele a Niscemi.
da No Muos
Ci teniamo a raccontare cosa è successo il giorno della manifestazione per
rendere noto a tutti/e come in Contrada Ulmo si vive in uno stato di polizia.
Come da prassi, abbiamo comunicato a chi dovere l’intenzione di fare una
manifestazione, ricevendo le classiche prescrizioni del caso, questa volte più
restrittive rispetto agli anni precedenti. Quello che abbiamo affrontato sabato
in Contrada Ulmo ha dell’incredibile. Scopriamo solo il giorno del corteo che su
tutta la strada, da tutti gli accessi possibili, che porta dalla statale 10 al
presidio e quindi alla base, è vietato il transito di mezzi propri per tutta la
giornata (dalle 8 alle 22), con l’eccezione delle persone residenti nella zona.
Anche chi è proprietario/a di un terreno, ma ha la residenza altrove, non può
transitare. nche per noi, quindi, regolarmente proprietari del terreno del
presidio è precluso l’accesso. Anche alle macchine regolarmente comunicate alla
questura utili a svolgere diversi compiti durante la giornata e il corteo
(portare l’amplificazione, portare le scorte di acqua e il materiale per creare
zone d’ombra, fare la spola in caso di necessità durante il corteo, trasportare
persone con esigenze particolari durante il corteo) viene vietato accesso e
transito. I controlli ci sono per tutto il giorno, ma si intensificano nelle ore
precedenti al concentramento del corteo. Inizia quindi, fin dalla tarda
mattinata, una lunga contrattazione con le forze dell’ordine per garantire ciò
che era stato regolarmente comunicato e accettato dalla questura, e per far
prevalere il buonsenso sull’isteria questurina: permettere ai veicoli provvisti
di pass per disabilità di raggiungere il presidio in macchina, permettere a
persone con necessità di arrivare in macchina in presidio, evitando loro più di
due 2 km (a cui aggiungere i km della manifestazione) di camminata sotto il sole
nelle ore più calde della giornata. I posti di blocco aumentano nel corso della
giornata, e ad un certo punto quelli che dovevano essere dei “controlli
randomici” diventano delle identificazioni a tappeto, con tanto di perquisizioni
di zaini, borse e buste, foto ai documenti di identità, svolte più volte lungo
la strada che dalla statale 10 porta al presidio. Detta in altre parole, ci
siamo ritrovate davanti ad una identificazione di massa, e diversi punti che
erano dei veri e propri check-point per arrivare al presidio, che ricordiamo
essere proprietà privata del movimento, ben prima dell’inizio della
manifestazione. Nonostante la nostra disponibilità a dialogare e contrattare,
tutti gli accordi presi nell’arco della mattinata non sono stati rispettati.
Questo controllo a tappeto scoraggia qualcuno/a, che fa marcia indietro, ma non
abbatte l’animo e la determinazione di molti/e che hanno comunque raggiungono il
presidio. I doppi, alle volte tripli, controlli rallentano chiaramente tutti i
tempi della giornata, per cui salta l’assemblea prevista all’inizio, per
recuperarla alla fine della manifestazione.
La manifestazione si svolge in clima sereno e determinato. Tanti sono gli slogan
e gli interventi che ricordano il genocidio in Palestina, che si oppongono al
piano di riarmo europeo e NATO, che ricordano che preferiamo che i soldi vengano
spesi per servizi essenziali e utili e non in armi; si ricorda rabbiosamente
anche l’incendio della sughereta e il paradosso di come, in una delle zone più
presidiate al mondo, sia possibile appiccare degli incendi per tre giorni di
fila in punti diversi; infine, si ricorda la visita del comandante statunitense
al Comune di Niscemi qualche giorno fa, ribadendo che chi occupa, sfrutta e
rende casa nostra una portaerei di guerra è e continuerà ad essere un nostro
nemico. Finiamo il corteo davanti al cancello una breve assemblea tra le persone
presenti, lasciandoci con l’appuntamento per sabato prossimo alla manifestazione
no ponte e promettendoci di rivederci a settembre per delle nuove iniziative
nomuos.
Vorremmo chiudere questo breve racconto della giornata di ieri con qualche
considerazione e qualche ringraziamento.
Mai, in quindici anni di lotta, il livello di controllo e militarizzazione di
Contrada Ulmo è stato così alto. Sappiamo che non è casuale questo e che è
certamente legato al corteo della scorsa estate e al nuovo clima che si respira
dopo l’approvazione del decreto sicurezza; lo abbiamo sempre detto: guerra sul
fronte esterno e interno sono inevitabilmente intrecciati.
Vorremmo anche dire alla questura, che si sfrega le mani pensando di aver fatto
un buon lavoro, che se ieri alla manifestazione non una rete è stata toccata non
è perché “hanno fatto un buon lavoro”. Contrada Ulmo, la sughereta, i boschi
circostanti sono casa nostra. Quando tagliare, entrare, danneggiare, salire
sulle antenne lo decidiamo noi, sempre e da sempre. Ieri nessuna rete è stata
tagliata perché così abbiamo voluto. Valutiamo noi e sappiamo noi come, cosa e
quando farlo.
Infine, vorremmo davvero ringraziare tutte le persone che ci hanno raggiunto in
piazza venerdì sera, a guardare il film, la regista Francesca Scalisi, Valentina
e la famiglia Terranova per aver partecipato. Vogliamo ringraziare tutti e tutti
gli amici del movimento che sono passati/e per un saluto, un abbraccio e un
sorriso, ricordando le ore passate insieme in presidio, i blocchi stradali, le
manifestazioni, le sere al presidio attorno al fuoco mangiando carciofi:
l’emigrazione è una brutta bestia che forza le persone ad andare via. Anche per
questo lottiamo contro la guerra e la militarizzazione del territorio, anche per
liberarci dai ricatti del lavoro (e dell’assenza di lavoro) che spingono sempre
più persone ad andare via. Vogliamo ringraziare tutte le persone che non si sono
fatte scoraggiare dai controlli e ci hanno raggiunte. Grazie ai compagni e alle
compagne che hanno macinato migliaia di chilometri solo per fare il corteo
insieme: questa generosità e questo affetto non passano mai inosservate. Grazie
per essere tornate in contrada Ulmo, grazie per averci raggiunte per la prima
volta. Grazie ai sindaci e consiglieri comunali di vari comuni che sono stati
presenti sentendo l’urgenza di stare lì, dove la guerra parte, sentendo così
sentire ancora di più l’assenza del sindaco di Niscemi. Grazie a tutte le
compagne e i compagni del movimento che, come sempre, con grande generosità, si
sono messe a diposizione affinché tutto “filasse liscio”, trovando degli
improbabili equilibri tra il lavoro salariato e spesso precario, il lavoro di
cura all’interno delle mura domestiche, e un vita sempre più difficile. Grazie
davvero.
Tornare ancora sotto il MUOS dopo tre anni di guerra alle porte di casa
significava dire che c’è chi non si arrende al fatto che siamo costretti/e a
vivere accanto a uno strumento che serve a fare la guerra in ucraina, che
sostiene il genocidio in Palestina e dirige le operazioni militari statunitensi
in medio oriente; significa ricordare e ricordarsi che una Sicilia senza il MUOS
e Sigonella è possibile; significa dirsi che la cura del nostro territorio tocca
a noi, e la prima impresa è liberarlo dagli oppressori.
Un compagno a noi molto caro lo scorso anno ha chiuso la manifestazione dicendo
che non importano i numeri ma la determinazione. Anche quest’anno abbiamo
confermato che quella determinazione ci appartiene, nelle azioni dirette come
nel ragionamento politico e nelle motivazioni che dirigono la nostra lotta.
Ci siamo state, ci siamo e ci saremo sempre. Fino alla vittoria.
Il coordinamento No Pizzone II organizza l’11 e 12 agosto 2025 a Rocchetta al
Volturno (IS) due giornate di confronto, escursioni e proposte collettive contro
la speculazione energetica e la marginalizzazione dei territori. Il programma
definitivo.
dal sito del Coordinamento No Pizzone II
Il campeggio sarà uno spazio aperto per costruire insieme momenti di incontro,
dibattito e condivisione, dove le esperienze di lotta e di costruzione dal basso
saranno al centro.
La prima giornata si articolerà attorno a due tavoli tematici:
– Marginalità come risorsa: per ribaltare la narrazione che vuole le aree
interne come fragili o irrilevanti, valorizzandole invece come luoghi generatori
di nuove forme di comunità, economia e autodeterminazione;
– Grandi progetti e difesa dei territori: un confronto diretto tra esperienze
che si oppongono a opere devastanti per l’ambiente e per il tessuto sociale,
dalla Sicilia all’Appennino, alla Val di Susa.
Tra gli interventi previsti:
Rossano Pazzagli (Università del Molise), APE Salerno, CISAV, Movimento No
SNAM, Confluenza Piemonte, Ecologia Politica Network, Fridays for Future – SOS
Bologna, Intifada Studentesca per la Palestina, e altri attivisti e collettivi
impegnati nella difesa dei beni comuni.
Il 12 agosto sarà dedicato a un’escursione collettiva dalle Sorgenti del
Volturno al Lago di Castel San Vincenzo, attraversando luoghi direttamente
interessati dal progetto di Enel. Nel pomeriggio, si terrà un’assemblea finale
per condividere proposte, strumenti e orizzonti comuni.
L’iniziativa è aperta a chiunque voglia contribuire alla costruzione di una rete
di lotte contro le logiche speculative e per una reale transizione dal basso,
fondata su giustizia sociale, ecologica e territoriale.
Qui il programma completo del campeggio :
programma-definitivo-campeggio-no-pizzone-iiDownload
Di seguito ripubblichiamo l’intervista svolta da Radio Blackout durante il
Festival Alta Felicità a Elena del Coordinamento No Pizzone II e a Miriam di
Confluenza
Riceviamo e pubblichiamo molto volentieri un documento a cura della Società dei
territorialisti e delle territorialiste sull’urgenza di porre fine alla
gigantesca mistificazione che si è creata attorno alla prevalente declinazione
energetica della cosiddetta transizione ecologica.
In questo contesto la necessità di promuovere le energie rinnovabili sta
diventando la foglia di fico di strategie tese a rilanciare l’uso di risorse
energetiche fossili ed ecologicamente insostenibili, come il nucleare; al tempo
stesso, le modalità spesso speculative che caratterizzano la diffusione di
impianti di energie rinnovabili, espongono i territori locali, i paesaggi, gli
ecosistemi naturali ed antropici al rischio di alterazioni sempre più vaste e
rovinose.
Come progetto Confluenza troviamo che il contributo sia perfettamente in linea
con i ragionamenti sviluppati a partire dai territori e dal lavoro svolto con i
comitati che li difendono, accogliamo dunque l’invito a diffonderlo.
Invitiamo chi concorda con i contenuti e gli intenti del documento, a
diffonderlo, pubblicarlo e farci sapere se e in quali forme vuole condividerlo
o farlo proprio scrivendo a informazioni@societadeiterritorialisti.it
DOCUMENTO-SDT-firmato_Energia e Territori_20250716_0001Download