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Informazione di parte

Continuano le piazze per la Palestina e nella notte nuovo abbordaggio della Flottilla
Ieri, 7 ottobre, in particolare in due città italiane, Torino e Bologna, si sono tenuti appuntamenti per continuare la mobilitazione in solidarietà alla Palestina. Entrambe le piazze sono state vietate dalle rispettive questure in quanto considerate “inopportune”. Mentre l’equipaggio della Global Sumud Flottilla viene man mano liberato a seguito dell’incarcerazione da parte di Israele una nuova flotta di imbarcazioni cariche di medicinali e aiuti umanitari partita dai porti italiani di Catania e Otranto ha raggiunto la zona di rischio e nella notte è stata attaccata dall’esercito israeliano con conseguente sequestro degli equipaggi. A Bologna la gestione dell’ordine pubblico ha immediatamente segnato l’iniziativa, inizialmente le persone ritrovatesi al concentramento sono state divise e accerchiate dalle forze dell’ordine e sono anche state caricate con manganellate e getti di idrante prima di riuscire a partire dalla piazza in corteo. Il corteo è stato poi rincorso dalle forze dell’ordine durante il percorso che però ha visto una partecipazione importante e la determinazione di attraversare le strade della città. video da hubautbologna A Torino si è vista una partecipazione nuovamente oceanica, eterogenea e trasversale. A partire dalle 19.30 ora in cui era stato lanciato l’appuntamento in piazza Castello si è snodato poi un corteo verso i quartieri nord della città, durante il percorso altre persone, abitanti dei quartieri, giovani e giovanissimi si sono uniti al corteo arrivando a toccare numeri come 10 mila persone. foto da Blocchiamo tutto – Torino Nella notte infine si è verificato l’abbordaggio della Freedom Flottilla, riprendendo le informazioni dal comunicato diramato dalla Freedom Flottila Italia leggiamo che “Nella notte tra il 7 e l’8 ottobre, l’esercito di occupazione israeliano ha attaccato e sequestrato la Flotilla in piene acque internazionali, a 120 miglia nautiche (220 km) da Gaza, commettendo un ennesimo atto di pirateria, in violazione palese del diritto marittimo internazionale e delle Convenzioni delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS). La Freedom Flotilla Coalition (FFC) e Thousand Madleens to Gaza (TMTG) confermano che le imbarcazioni dirette a Gaza — 8 barche a vela e la nave Conscience — sono state intercettate, abbordate con la forza e attaccate illegalmente alle 04:34 di oggi, mentre navigavano in una zona dove Israele non ha alcuna giurisdizione né diritto di intervento. A bordo si trovavano equipaggi interamente disarmati, composti da medici, infermieri, giornalisti, parlamentari e attivisti internazionali. Tutte e tutti sono stati rapiti e sequestrati con la forza, mentre le 18 tonnellate di aiuti umanitari destinate a Gaza — medicinali, apparecchiature respiratorie, forniture alimentari e nutrizionali — sono state confiscate illegalmente. Questi aiuti erano diretti principalmente agli ospedali di Gaza; dopo due anni di assedio e bombardamenti, la popolazione vive in condizioni di carestia e collasso sanitario, e i medici ci hanno chiesto aiuto, dato che non hanno più medicinali e sono esausti.” Si parla di 150 persone arrestate provenienti da 30 paesi diversi, tra cui 10 italiani. Il Governo italiano questa volta sta scegliendo il silenzio, dopo aver visto che le esternazioni della premier e del ministro Tajani non avevano fatto altro che implementare la partecipazione alle piazze per il blocco della Global Sumud Flottilla. Organizzazioni per i diritti internazionali come Amnesty e Human Right Watch hanno dichiarato l’intenzione di intraprendere un’inchiesta indipendente per violazione della Convenzione delle Nazioni Unite dei diritti del mare. L’appello di tutte le organizzazioni che stanno portando avanti la campagna in solidarietà alla Flottilla chiama alla mobilitazione immediata, oggi 8 ottobre. Di seguito una lista non esaustiva degli appuntamenti di questa sera. Venezia, Salerno, Novara, Milano, Catania, Roma, Pisa, Reggio Emilia, Bergamo, Brescia, Torino, Bari, Bologna, Cagliari, Chieti, Cremona, Ferrara, Genova, Gorizia, Lecce, Lecco, Modena, Napoli, Nuoro, Padova, Palermo, Parma, Pavia, Ravenna, Saronno, Taranto, Terni, Varese, Vasto, Verbania etante altre. Riprendiamo alcune significative interviste da Radiondadurto su quanto accaduto alla Freedom Flottiglia questa notte: Su Radio Onda d’Urto l’intervista di mercoledì 8 ottobre, in prima mattinata, con Michele Borgia attivista del Media Group in contatto con la Coalizione Internazionale della FFC Riccardo Farnetti ufficio stampa della Thousand Madleens to Gaza Matteo che fa parte della logistica della  Thousand Madleens to Gaza ci parla di questa organizzazione Comunicato stampa della FFC: “Nella notte tra il 7 e l’8 ottobre, l’esercito di occupazione israeliano ha attaccato e sequestrato la Flotilla in piene acque internazionali, a 120 miglia nautiche (220 km) da Gaza, commettendo un ennesimo atto di pirateria, in violazione palese del diritto marittimo internazionale e delle Convenzioni delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS). La Freedom Flotilla Coalition (FFC) e Thousand Madleens to Gaza (TMTG) confermano che le imbarcazioni dirette a Gaza — 8 barche a vela e la nave Conscience — sono state intercettate, abbordate con la forza e attaccate illegalmente alle 04:34 di oggi, mentre navigavano in una zona dove Israele non ha alcuna giurisdizione né diritto di intervento. A bordo si trovavano equipaggi interamente disarmati, composti da medici, infermieri, giornalisti, parlamentari e attivisti internazionali. Tutte e tutti sono stati rapiti e sequestrati con la forza, mentre le 18 tonnellate di aiuti umanitari destinate a Gaza — medicinali, apparecchiature respiratorie, forniture alimentari e nutrizionali — sono state confiscate illegalmente. Questi aiuti erano diretti principalmente agli ospedali di Gaza; dopo due anni di assedio e bombardamenti, la popolazione vive in condizioni di carestia e collasso sanitario, e i medici ci hanno chiesto aiuto, dato che non hanno più medicinali e sono esausti. “Israele non ha alcuna autorità legale per detenere volontari internazionali a bordo di navi civili umanitarie”, ha dichiarato David Heap, membro della Canadian Boat to Gaza e del Comitato di Coordinamento della Freedom Flotilla Coalition. “Questo sequestro viola apertamente il diritto internazionale e sfida le ordinanze vincolanti della Corte Internazionale di Giustizia, che impongono un accesso umanitario senza ostacoli a Gaza. I nostri volontari non sono soggetti alla giurisdizione israeliana e non possono essere criminalizzati per aver consegnato aiuti o denunciato un blocco illegale. La loro detenzione è arbitraria, illegittima e deve terminare immediatamente.” Questo nuovo crimine segue il sequestro illegale e la detenzione arbitraria degli equipaggi delle navi della Global Sumud Flotilla, nonché delle precedenti missioni Handala e Madleen, e l’attacco con droni israeliani contro la nave Conscience lo scorso maggio nelle acque europee, che lasciò l’imbarcazione in fiamme e fuori uso. Si tratta di una strategia deliberata di violenza e intimidazione, volta a impedire la solidarietà internazionale e a criminalizzare la cooperazione umanitaria. Israele mostra ancora una volta di non temere alcuna conseguenza, protetto dall’inerzia complice dei governi occidentali, che tacciono di fronte a crimini evidenti, violazioni sistematiche del diritto internazionale e atti di guerra contro civili disarmati. Israele continua ad agire nell’impunità più assoluta, violando: le ordinanze vincolanti della Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) che impongono il libero accesso degli aiuti umanitari; le Convenzioni di Ginevra, che tutelano civili e operatori umanitari; il diritto del mare, che garantisce la libertà di navigazione in acque internazionali; e ogni principio etico e umano alla base del diritto internazionale. La Freedom Flotilla Coalition e Thousand Madleens to Gaza denunciano con forza questo ennesimo crimine di guerra e chiedono a tutti i governi, alle Nazioni Unite, alla Corte Penale Internazionale e alla società civile mondiale di agire immediatamente per fermare l’escalation e imporre la fine dell’assedio genocida contro Gaza. Chiediamo: La fine immediata del blocco illegale e mortale imposto alla Striscia di Gaza; La cessazione del genocidio israeliano contro la popolazione civile; Il rilascio immediato e incondizionato di tutti i volontari rapiti; La consegna diretta e immediata degli aiuti umanitari ai palestinesi, senza alcun controllo israeliano; L’apertura di un’inchiesta internazionale indipendente sui crimini commessi contro la Flotilla e i suoi membri; La piena responsabilità e condanna ufficiale per gli attacchi militari israeliani contro imbarcazioni civili umanitarie in acque internazionali. ____________ La comunità internazionale ha il dovere morale e giuridico di reagire. Ogni silenzio, ogni rinvio, ogni neutralità è complicità con il crimine. Le nostre navi non portavano armi, ma coscienza, solidarietà e umanità. Ed è proprio questo che Israele teme di più.
Salvini contestato a Livorno per il suo sostegno allo stato sionista
Dopo due settimane di mobilitazioni, in una data simbolica come quella del 7 ottobre, Salvini è arrivato a Livorno. da Azione Livorno Antifascista Per permettere il suo arrivo la città è stata blindata, la terrazza Mascagni è stata militarizzata e trasformata in una zona rossa. Questa passerella elettorale non è che l’ennesima provocazione in una città come Livorno, che storicamente ha sempre rifiutato l’odio e il fascismo di cui Salvini e compagnia si fanno promotori. La città oggi (ieri ndr) ha reagito circondando la zona rossa per manifestare il proprio dissenso. Per ore le forze dell’ordine hanno fatto di tutto per alzare la tensione, finché lo stesso Salvini non si è avvicinato ai manifestanti per provocarli. La reazione non si è fatta attendere, ma, per quanto sia stata accesa, ci teniamo a smentire le accuse che proprio adesso lo stesso ministro sta muovendo nei confronti dei partecipanti: non c’è stato nessun furto né aggressione ai cittadini presenti. Quella a cui la città ha assistito è solo l’unica risposta, spontanea e popolare, che i pochissimi signori in giacca e cravatta protetti delle numerosissime forze dell’ordine dovevano aspettarsi. Non c’è più spazio per risposte pacate mentre in città viene dato spazio a chi ha da subito criminalizzato chi lottacontro il genocidio e tenta di portare aiuti umanitari a Gaza, ma anzi sfoggia con orgoglio la propria amicizia con Israele e il sostegno totale alle sue azioni; per chi promuove l’odio razziale e si è reso responsabile di migliaia di morti nei nostri mari; per chi è complice di un riarmo insensato, pagato dalle lavoratrici e dai lavoratori del nostro paese, rubando il presente e il futuro a migliaia di giovani. Due compagni sono stati portati via: la nostra solidarietà e il nostro sostegno in questo momento va a loro, dopo la serata di ieri in cui abbiamo presidiato le uscite della questura dove per ore sono stati interrogati. Quelli che ora Salvini chiama “teppisti rossi” altro non sono che due ragazzi che, disarmati, sono stati malmenati e percossi in gruppo da diversi celerini in antisommossa, con manganelli e scudi. Questa è la loro democrazia: mentre viene comodamente dato spazio a questi loschi figuri che dentro i palazzi della nostra città discutono di morte e violenza impunemente, con la violenza viene represso il dissenso, spontaneo e legittimo, di chi è stanco di vivere nella guerra e nel fascismo. A LIVORNO NON CI SARÀ MAI SPAZIO PER VOI! TUTTI LIBERI E TUTTE LIBERE!
DDL Gasparri, per imbavagliare la solidarietà alla Palestina
Con Simone Alliva, giornalista del Domani, parliamo del DDL 1627 “Disposizioni per il contrasto all’antisemitismo e per l’adozione della definizione operativa di antisemitismo”, definizione che ricalca quella del International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA) che equipara antisemitismo e antisionismo. Il Decreto prevede pesanti ricadute su scuola e università. Parliamo anche di altri due DDL, discussi contemporaneamente in Commissione Affari Costituzionali, l’uno a firma Romeo (Lega), l’altro a firma Scalfarotto (Italia Viva) che mirano a introdurre limitazioni al diritto di manifestare per la Palestina. da Radio Onda Rossa
Aria frizzante. Un punto di vista dalla provincia sulla marea del «Blocchiamo tutto»
Riprendiamo questo ricco contributo di Kamo Modena, in attesa dell’incontro di questo weekend a partire dalla presentazione del documento «La lunga frattura». 0. Ci sono giorni che valgono anni. Le ultime settimane, dal 22 settembre al 4 ottobre, sono state tra questi. Anche a Modena. 1. Due scioperi generali che hanno travalicato le appartenenze (o non appartenenze) sindacali e fermato, rallentato, sabotato, la fabbrica della guerra che è nel suo complesso il sistema-Italia e di cui Modena è uno dei suoi reparti più avanzati. Una composizione eterogenea e trasversale di massa e diffusa che ha utilizzato strumentalmente e pragmaticamente le scadenze di sigle, collettivi e delle più svariate infrastrutture organizzative per scendere in mobilitazione permanente. Che, capillarmente, dai territori metropolitani a quelli provinciali, su livelli di intensità variabile da territorio a territorio, ha occupato le strade, le piazze, le facoltà, le scuole, i magazzini, gli stabilimenti, le stazioni, le tangenziali, tentando di praticare con slancio e determinazione l’obiettivo del “blocchiamo tutto”. Una oceanica manifestazione nazionale che ha fatto tremare, per la prima volta, un governo di postfascisti, atlantisti e sionisti – scappati fuori Roma – a digiuno di opposizione. Per non parlare, appunto, delle imbelli, inutili e ipocrite opposizioni della Sinistra, atlantista e sionista, saltate a bordo all’ultimo – citofonare Landini e Schlein – per timore di rimanere naufraghe. La marea dei 30 mila a Modena. Sciopero generale per la Palestina, 3 ottobre 2025. 2. L’avevamo percepito il lunedì di sciopero generale che l’aria non era più la stessa. Certe cose le senti: ti lasciano il sapore dell’elettricità in bocca. Il 22 settembre abbiamo assaporato un gusto che non sentivamo da molto tempo a Modena. La manifestazione degli studenti è rumorosa e con numeri (circa 400-500) che non si vedevano da decenni – anche se a maggioranza liceali e con poco apporto di seconde generazioni – portati per la gran parte dal “lavorio invisibile” di un gruppo di giovani senza pregressi politici nato, più o meno spontaneamente, un paio di settimane prima, “Giovani di Modena per la Palestina”. Piazza Grande è ingrossata da lavoratori delle più disparate categorie: operai della logistica e non solo, professionisti e partite iva, insegnanti, impiegati dell’industria, tecnici, precari, operatori delle cooperative, tirocinanti, universitari, perfino i funzionari della CGIL. La manifestazione arriva a contare circa 3000 persone e si carica di un’energia che neanche i soliti, interminabili comizi al microfono riescono a spegnere. C’è voglia di bloccare davvero tutto di fronte a un genocidio trasmesso in diretta dalla Palestina e alle minacce di Israele alla Flottiglia. Ma questa voglia non si riduce a questo, crediamo. La Palestina è simbolo e pretesto ricompositivo per forze e motivi che agiscono nel profondo delle soggettività e della composizione che si è manifestata – in primo luogo attraverso una generazione politica formatasi a partire dal primo ciclo di lotte postpandemiche del 2022, situate dentro lo sviluppo dello stato di guerra e del caos globale crescente. La piazza viene fatta sfogare in un corteo selvaggio e liberatorio per il centro città, fino ad arrivare davanti all’Accademia militare. E qui, al culmine della forza, fatta inspiegabilmente sciogliere dai leaderini dei gruppi e sindacati che l’avevano promossa e guidata, sotto le pressioni della digos e l’indisponibilità a cogliere o solamente riconoscere il momento propizio per un “passo in più” praticabile. «Grazie a tutti, per oggi è finita qui». Molti giovani partecipanti, a grossi capannelli, sono rimasti lì, come delusi, ad aspettare un proseguimento che non ci sarà, mentre gli attivisti e i politicanti se ne tornavano a casa: «come, tutto qui? Oggi è già finita? Non si poteva fare un passo in più?» Sciopero generale per la Palestina, 3 ottobre 2025. 3. Due settimane in cui la mobilitazione serale è stata continuativa e partecipata – gli stessi presidi che un mese prima contavano 70 persone appartenenti al ceto politico si sono visti ingrossare fino a 400-500 partecipanti spontanei di quella composizione emersa il 22 – hanno portato allo sciopero generale di venerdì 3 ottobre. La CGIL, tirata per la giacca, per non perdere la propria base è scesa in campo con i reparti corazzati. A Modena, un servizio d’ordine imponente, 150 pettorine rosse, a collaborare fianco a fianco coi distintivi e i caschi blu. I rapporti di forza modificati impongono un accordo preventivo tra la questura e il suo omologo sociale cittadino: viene concessa la tangenziale, passeggiata dall’uscita 8 all’uscita 10, e poi via al parco Ferrari. Il corteo partito da piazzale Primo maggio è imponente e inedito per Modena: record storico di 30 mila persone. Una manifestazione di massa, popolare, composita, con tantissimi giovani. L’apporto delle seconde generazioni e delle comunità arabe è consistente. Per l’occasione, crediamo, anche i tecnici e professionali, ancora non toccati dalle proteste, si sono mobilitati. Il corteo passa di fronte alla stazione dei treni tranquillamente, perché è impenetrabile, blindata dalle camionette dei reparti mobili e presidiata dalle truppe incordonate della Camera del Lavoro, fianco a fianco alla Polizia di Stato. Il serpentone entra infine in tangenziale, come da copione, ma è all’altezza dell’uscita 10 che, nei piani dei tristi gestori dell’esistente, qualcosa va storto. 4. Alla fine del percorso, un piccolo ma combattivo pezzo di corteo scavalca spontaneamente il guardrail passando sull’altra carreggiata vietata dagli accordi, rifiutandosi di uscire dalla tangenziale. Ci sono ragazzi e ragazze di seconda generazione a incitare, seguiti da studenti delle superiori e universitari, giovani lavoratori e più anziani con famiglia al seguito. Persone “normali” e qualche compagno più o meno sciolto. Assenti i partiti rivoluzionari, i collettivi studenteschi e universitari, le sigle nazionali dure e pure. «Abbiamo detto che blocchiamo tutto? E allora facciamolo davvero!» è la voce unanime. C’è un pezzo di composizione sociale che vuole fare DAVVERO quello che gli slogan dei militanti ripetono, senza farsi prendere in giro. È ritenuto possibile, senza troppi timori: il momento di rischiare, di avere coraggio, è ora. L’esempio della Flottiglia è lì davanti. Eccedenze. Scavallare il guardrail. Il momento del coraggio. Blocchiamo tutto. Il corteo è in stallo sia per la polizia sia per l’indecisione dei più a “scavallare”, nonostante quel pezzo di corteo più determinato a praticare l’obiettivo diventi progressivamente più nutrito. Il tempo di blocco si allunga, le contraddizioni arrivano fino al carro di testa, tra gli organizzatori, mentre in strada il fronteggiamento con la polizia si fa sempre più teso. Fino a che un argine si scioglie: mentre il grosso della manifestazione rientra nella compatibilità e riparte sul percorso concordato, alcune centinaia si riversano invece sulla carreggiata opposta, raggiungendo il blocco e trasformandolo in un corteo selvaggio e autonomo fino all’uscita 10 bis. Da qui, praticato il blocco con i propri tempi, lo spezzone si ricongiunge al corteo principale tra cori e battimani, accolto dagli applausi della gente. Non quelli delle burocrazie sindacali e politiche, in primis CGIL, che volevano “bloccare tutto” ciò che c’è di possibile. 5. Perché soffermarsi su un evento così apparentemente insignificante, nel racconto di queste giornate che hanno visto complessivamente ben altro livello di scontro o blocco anche solo nelle vicine Bologna e Reggio? Perché, in un contesto specifico come Modena, di tradizionale bassa conflittualità, pesantezza del controllo socialdemocratico e grande solidità di recupero sistemico delle istanze subalterne e delle spinte sociali, questa piccola forzatura non avrebbe potuto conquistare l’obiettivo del “blocchiamo tutto” fuori dalla compatibilità istituzionale e dal copione imposto dall’alto e accettato dalle organizzazioni se non fosse stata trascinata da un’eccedenza, certamente di minoranza ma non minoritaria, di composizione, capace di esprimere una forma di autonomia in nuce, una disponibilità – appunto – a “scavalcare” non solo il guardrail e la paura, ma tutte quelle barriere fatte di ritualità, schemi, appartenenze, logiche bottegaie e leaderini opportunisti riprodotte da alcuni tipi di strutture politiche e sindacali che, in tali occasioni, agiscono da tappo. Insomma, una piccola traccia, ma significativa, del cambio di passo di composizione che queste giornate hanno espresso, anche a Modena, su livelli di conflitto e di forza più avanzati da quelli dati dagli stessi militanti, attivisti, organizzazioni. Per chi sa vedere, non è poco. Servizio d’ordine della Cgil. 6. Non possiamo sapere, a questo punto, se sia nato, o stia nascendo, un ciclo. Inteso come processo di medio-lunga durata di mobilitazione, politicizzazione, organizzazione del conflitto sociale e di classe, che eccede, rimescola, trasforma le soggettività in esso coinvolte, le identità prestabilite, le stesse organizzazioni o rappresentanze che l’hanno promosso, cavalcato, inseguito. Rovesciando – e ricostruendo – l’immaginario collettivo, sovvertendo le forme di militanza e segnando quelle di vita. Una dinamica ricompositiva e un movimento d’attacco allo stato di cose presente. Occorre andarci ancora cauti, nonostante la straordinaria potenza di queste giornate. 7. Sappiamo però che, in queste convulse settimane di tempo sospeso, non più stretto nel pugno di coloro che comandano sulle nostre esistenze, un lungo e asfissiante ciclo di immobilismo, passività, rassegnazione, che aveva galleggiato su di uno stagno di grigia depressione, si è rotto. O quanto meno, incrinato: la pace del nemico si è infranta in crepe e fratture di possibile concreto. Da cui filtra – forte, potente – aria fresca e frizzante di cui riempirsi i polmoni. È la gioia autentica, condivisa, della lotta quando è di massa e va all’obiettivo. Di riconoscersi complici e compagni in essa, spezzando le solitudini e scacciando l’impotenza. Di prendere coraggio, come i marinai della Flottiglia, e assumersi il rischio quel passo in avanti in più, come scavalcare un guardrail insieme, perché è questo il momento, e non servono altre parole se non “Blocchiamo tutto”. Verso l’uscita 10 bis. 8. E adesso? Come tenere aperta, dare continuità e allargare questa frattura da cui ha spirato un vento che ha scompigliato tutto e tutti? Attraverso quali forme sostenerlo, potenziarlo, farlo crescere più forte contro il governo e la fabbrica della guerra, del genocidio, dello sfruttamento, senza imbrigliarlo sui mulini del nemico che si chiamano Sinistra, delega, pace (per chi comanda), o lasciarlo spegnere nelle stanze chiuse della competizione sindacale, delle parrocchie di partito, delle botteghe di Movimento, del mercato delle vacche delle strutture? Funziona ancora lo strumento “assemblea di collettivo/partito/movimento” con una composizione che, almeno in questa prima fase, non ha riempito le fila dei vari gruppi militanti ma le piazze, i cortei, intesi come evento a cui partecipare, esperienza da vivere, in cui esserci, in cui imporre una propria autonoma presa di parola e decisione? Da dove può passare il ruolo dei militanti, la costruzione di un immaginario desiderabile, la formazione di controsoggettività negli spazi e nei tempi aperti da queste settimane? C’è tutto un cantiere di inchiesta, conricerca, scienza dell’inaspettato e immaginazione organizzativa da aprire, insieme alla necessità di intelligenza collettiva condivisa, di discussione franca e di produzione di punto di vista, oltre che di pensiero, forte. 9. Mossi più da domande che da certezze, con punto di vista parziale, per ora qui ci fermiamo. 10. «Si deve ricercare la pace quando la si può avere; quando non si può, bisogna cercare aiuti per la guerra». Thomas Hobbes, De Cive, 1642. Di questo discorso e di cosa lo precede rimandiamo all’incontro dell’11 ottobre con la redazione di Infoaut e con i compagni di Askatasuna Torino per discuterne, a partire dalla presentazione del documento «La lunga frattura», al Dopolavoro di via canalino 78, a Modena.
La voce di Jose Nivoi, di ritorno da Gaza
Imbarcato sulla Global Sumud Flotilla per il CALP e l’USB, José Nivoi è rientrato in Italia dopo essere stato sequestrato e incarcerato dalle forze d’occupazione israeliane. La sua testimonianza, per quanto traumatica, mostra solo un frammento dell’orrore quotidiano vissuto da migliaia di palestinesi nelle carceri sioniste: luoghi di tortura, umiliazioni e annientamento dell’essere umano. Nivoi sa bene che, in quanto europeo, ha potuto contare su una protezione internazionale che gli ha consentito di tornare a casa e raccontare quanto accaduto, mentre oltre 11.100 palestinesi restano imprigionati senza tutele né voce, in un sistema di detenzione arbitraria che da decenni colpisce un intero popolo. Durante la detenzione, il consolato italiano ha seguito la vicenda con interventi sporadici e frammentari, offrendo assistenza limitata mentre gli attivisti erano incarcerati nel deserto. La sua testimonianza ci ricorda che ciò che per un attivista europeo è stato un sequestro, per il popolo palestinese rappresenta una frazione della quotidianità. Continuare a mobilitarsi significa rompere il silenzio, pretendere la liberazione di tutti gli attivisti e schierarsi, ogni giorno, al fianco del popolo palestinese, per fermare il genocidio e la complicità del nostro governo. da contropiano.org
Le esplorazioni di Confluenza: il Mugello si prepara a difendere il territorio dalla speculazione eolica
> La Falterona verde nero e argento: la tristezza solenne della Falterona che si > gonfia come un enorme cavallone pietrificato, che lascia dietro a sè una > cavalleria di screpolature screpolature e screpolature nella roccia fino ai > ribollimenti arenosi di colline laggiù sul piano di Toscana: Castagno, casette > di macigno disperse a mezza costa, finestre che ho visto accese […] > > Dino Campana – Canti Orfici/La Verna/Diario STORIA DEL TERRITORIO “E’ una popolazione che ha più volte ricostruito”.  Ci troviamo a Castagno d’Andrea, una piccola frazione di poco più di duecento abitanti del Comune di San Godenzo, nel Mugello. Una serie di piccoli borghi incastonati nell’Appennino tosco-emiliano compongono il paesaggio, parte del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi. Basta poco per rendersi conto della storia e della cultura di cui sono intrisi questi territori: da Dante a Giotto, dal pittore Andrea del Castagno (di cui prende il nome il paese) a Dino Campana, agli affreschi di Annigoni, tanti e tante sono passati su queste vie, sui crinali, tra i castagneti di Marradi.  Ci immergiamo nella storia del territorio grazie all’incontro con Carlo Visca, grande conoscitore del Parco Nazionale Foreste Casentinesi e guida al Centro Visite del Parco Nazionale Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna di Castagno d’Andrea.  “Foreste Sacre. Qui vediamo una riproduzione di più di 700 statuette ritrovate in quello che viene chiamato il Lago degli Idoli, civiltà etrusca. Ciò testimonia che il Monte Falterona fosse luogo di incontro sia per chi arrivava dal lato tirrenico sia dal lato adriatico. Non solo sacro ma anche arte e cultura: infatti, Dino Campana nei suoi Canti Orfici è riuscito a cogliere il senso della forza della natura di queste montagne.”  Il 1335 viene individuata come data di svolta, quando avvenne una frana che cambiò completamente la conformazione della montagna e degli insediamenti sul crinale. Questo viene raccontato da Carlo in uno scambio con altri attivisti del Comitato rispetto al tema del radicamento sul territorio e dell’attaccamento per la sua ricostruzione.  Si parla anche dei principi di biodiversità messi a rischio dai progetti odierni.  Carlo Visca, del Parco Nazionale Foreste Casentinesi Questi crinali sono oggi minacciati dagli schemi di speculazione che abbiamo ormai imparato a  conoscere bene, qui sotto forma di un grande progetto di impianto eolico industriale che coinvolge il Monte Giogo di Villore. In contrasto a questo progetto si è costituito il Comitato Tutela Crinale Mugellano, Crinali Liberi, aderente alla Coalizione ambientale TESS. Un’ottima intervista al sindaco di San Godenzo riassume la vicenda, portando un punto di vista lucido sulle reali esigenze del territorio e sull’impossibilità di opere di compensazione per territori che vengono stravolti da progetti industriali che intaccano scrigni di biodiversità che ancora sfuggono al consumo di suolo.  Intervista a Emanuele Piani, sindaco di San Godenzo (Firenze), che spiega tutte le irregolarità e le questioni critiche che circondano il parco eolico approvato dalla Regione sul Monte Giogo di Villore, nonostante l’opposizione dell’Ente parco delle Foreste Casentinesi realizzata da Francesco Capo In questo video realizzato durante il convegno di TESS Alessandro Bottacci, professore universitario di Conservazione della Natura ed ex direttore del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi parla dell’impatto negativo sulla foresta evoluta che rappresenta il territorio coinvolto. Non solo su questi crinali sono previsti progetti eolici industriali, ma anche nell’Appennino umbro-marchigiano, nel Maceratese sono interessati territori nei comuni di Caldarola, Gagliole, Montecassiano e Serravalle. Qui sono state infatti raccolte quasi ottomila firme per fermare la costruzione di pale eoliche. Le pale eoliche previste dai progetti sarebbero duecento, e contro la loro installazione in provincia si sono mossi comitati e associazioni: Aiace Italia con i nuclei di Belforte e Macerata, Lac Macerata, Nessuno tocchi l’Appennino nell’Alto Maceratese, No maxi eolico Caldarola. Simone Vitaletti, per il comitato territoriale di Sassoferrato e Fabriano, nell’anconetano, ha raccontato che “queste realtà, che hanno ormai forma nazionale con ormai 130 comitati e associazioni per la difesa delle aree verdi, auspicano che l’energia rinnovabile si concili con i paesaggi che ci rendono unici al mondo. Un patrimonio inestimabile, che non è in vendita.” (Dati di TESS ripresi da qui) IL CONVEGNO ORGANIZZATO DA TESS Un momento importante per il territorio e per i comitati svoltosi a settembre 2025, al quale molti soggetti hanno partecipato: Parco Nazionale Foreste Casentinesi, Sentiero Italia CAI, CAI Toscana, Cai Mugello, I Nostri Crinali: no eolico industriale sull’Appennino, Comitato Tutela Crinale Mugellano (TESS), Crinali Liberi. Ne sono uscite parole chiare e nette: riprendiamoci il Parco Nazionale Foreste Casentinesi, i territori ai confini, i territori e i crinali dell’Appennino, gli habitat di specie protette, l’acqua, la terra, le foreste, i Sentieri Nazionali ed Europei.  Le criticità per l’avifauna, in particolare per le aquile reali che popolano i crinali mugellani, hanno costituito il cuore del convegno. Di seguito un’intervista a Fabio Borlenghi, esperto di aquile reali e segretario dell’associazione “Altura”. Viene sottolineata la giustificazione con la quale la Regione Toscana avrebbe autorizzato il progetto eolico “Badia del Vento” sul crinale di Monte Loggio nell’Alta Valmarecchia. La ditta proponente parla di “mitigazione” per rispondere alla problematica relativa a una delle cause di mortalità additiva per gli uccelli, come l’Aquila Reale, specie protetta, ossia la collisione fatale con le pale eoliche, sostenendo che le pale si fermerebbero in un certo intervallo di tempo se venissero avvistate aquile reali in avvicinamento alla pala.  Video di Francesco Capo per supportare il progetto:   via IBAN: IT95J3608105138275442275456 Reason: Donation Paid to: Francesco Capo BIC/SWIFT Code: PPAYITR1XXX via PAYPAL: francescocapo@yahoo.it La giornata si è snodata tra diversi interventi nella cornice del circolo “8 dicembre Arnaldo Amadei”, con l’obiettivo di toccare temi diversi. Uno fra tutti l’assenza di pianificazione delle leggi italiane: secondo il governo l’individuazione delle zone di accelerazione risolverebbe la questione delle aree idonee e non idonee, rendendo di fatto delle porzioni di territorio sacrificabili in quanto non necessiterebbero più di passare dalla VIA. Mentre i dati, come ha sottolineato Vincenzo delle Site, ricercatore al CNR, nel suo intervento, dimostrano che il processo di elettrificazione in Italia è molto lento e che, a dispetto della narrazione generale sulle rinnovabili come un risparmio automatico in bolletta, non vi sono investimenti sulla rete elettrica.. Un concetto è bene sottolineare: il mezzo migliore per assorbire CO2 non è il mezzo tecnologico bensì il suolo, la natura, le foreste.  È importante mettere in luce la partecipazione del Comitato I Nostri Crinali che dal lato emiliano è giunto sino qui per portare la propria esperienza. In particolare, il comitato ha invitato al FESTIVAL a Casalfiumanese che si terrà il 12 ottobre su un terreno sul quale già sorge un impianto eolico industriale oggetto di repowering.  Riportiamo qui l’intervista realizzata da Luca Vitali e pubblicata sul sito Rete della Resistenza sui Crinali a Piero Romanelli, agricoltore biologico, che vive nei pressi di una centrale eolica nell’appennino emiliano. Piero Romanelli  descrive in maniera chiara e inequivocabile la sua condizione di “vittima dell’eolico industriale”. PROSPETTIVE PER IL PERCORSO NAZIONALE DI CONFLUENZA Insieme ai comitati locali abbiamo ragionato su come costruire i prossimi passaggi verso il II Convegno Nazionale di Confluenza che si terrà a fine marzo prossimo a difesa del Mugello. È qui infatti che molteplici impianti iniziano a distruggere e a scavare, ma è anche qui dove molti comitati nascono e si uniscono attorno alla medesima causa, transizione ma senza speculazione.  Abbiamo previsto un passaggio intermedio che si terrà il week end del 22 e 23 novembre nei pressi di Vicchio e Dicomano, dove verrà organizzata un’assemblea pubblica in modo da informare tutti i comitati della vasta area appenninica interessata delle iniziative previste. L’occasione è vista come un momento per approfondire i legami e le relazioni sul territorio, auspicando una partecipazione il più possibile eterogenea.  “Dobbiamo costruire corridoi ecosistemici, allargare il parco, connettere i comitati sparsi sui crinali, uscire dalla frammentazione dell’ambiente e dell’umano.”  Abbiamo condiviso alcune indicazioni chiare e precise: l’appuntamento nazionale dovrà avere come caratteristica quella di conciliare momenti di discussione e approfondimento e momenti di iniziativa e mobilitazione collettiva perché l’obiettivo deve essere riprendere in mano il controllo dei propri territori. 
Réflexions à chaud sur le mouvement « Bloquons tout »
Il est presque impossible de dresser un bilan organique de ces journées incroyables. Le mouvement « Bloquons tout » a représenté une véritable rupture politique et sociale dans l’histoire italienne. Des millions de personnes dans les rues à travers toute l’Italie. Deux grèves générales effectives en l’espace d’une semaine, des cortèges spontanés, des blocages diffus partout et une composition si hétérogène et transversale qu’il est difficile d’en trouver un équivalent dans le passé récent. Le mouvement « Bloquons tout » a, en quelques jours, traversé tous les secteurs sociaux de notre pays — des prisons, où certains détenus ont fait grève, jusqu’aux ambassades italiennes à travers le monde. Et potentiellement, sous certaines conditions, les possibilités d’une généralisation encore plus large existeraient. Le mouvement pourrait encore croître dans des territoires et des secteurs sociaux peu touchés par la politique, qu’elle soit institutionnelle ou issu des mouvements autonomes. La dynamique qui s’est activée grâce à la générosité des militants et militantes de la Global Sumud Flotilla, à la détermination des dockers du CALP et à la vigueur du syndicalisme de lutte est en train d’influencer tout le cadre politique italien et européen. Peut-être même celui mondial. Sans se faire trop d’illusions, le calendrier du Plan Trump suggère que la montée de l’indignation de l’opinion publique contre le génocide du peuple palestinien a joué un rôle loin d’être marginal. D’ailleurs, pour ceux d’entre nous qui continuent à réfléchir aux leçons de l’opéraïsme, la chose n’est pas si surprenante : le capitalisme et ses formes institutionnelles se restructurent aussi sous l’impulsion des luttes sociales — même lorsque les mystifications capitalistes ne permettent pas d’en percevoir clairement le lien de causalité. L’accélération à laquelle nous assistons n’a pas de précédent historique récent, et elle diffère considérablement d’autres cycles de mobilisation, pourtant de masse et transversaux, mais qui avaient des caractéristiques bien codifiées dans les traditions des mouvements sociaux. Il faut assumer pleinement ce constat. Reconnaître la césure historique et comprendre que les foules ont largement dépassé les capacités organisationnelles des structures militantes, bien que celles-ci aient joué un rôle loin d’être secondaire en permettant la création de cette alchimie. C’est un débat qui nous concerne directement et nous traverse — et pour lequel nous n’avons pas de solutions déjà prêtes. Nous essayons d’exprimer ici quelques thèses inorganisées et provisoires, toutes à vérifier sur le terrain. 1 – Quelque chose de totalement différent Depuis la crise de 2008, nous pouvons identifier trois cycles de mobilisation sociale dans notre pays, très différents les uns des autres. Chacun de ces cycles a eu des caractéristiques spécifiques en termes de composition sociale, de dimension organisationnelle et d’expression politique. Le premier a été essentiellement de nature résistante : les mobilisations contre la réforme Gelmini, contre le gouvernement Berlusconi d’abord, puis contre celui de Monti ; les manifestations contre l’austérité et le mouvement Occupy à l’italienne ont constitué, en substance, la réaction de divers secteurs sociaux face à la perspective d’un appauvrissement de masse, d’une prolétarisation — en d’autres mots, à la fin des perspectives ascendantes. Dans ces années-là, entre les écoles et les universités, mûrissait la première génération qui n’atteindrait pas le niveau de bien-être de ses parents. Les formes politiques et organisationnelles de ces mouvements reflétaient cette tension : malgré certains éléments de nouveauté empruntés à d’autres pays — comme les acampadas — les mobilisations sociales restaient assez semblables à celles qui avaient caractérisé le long 1968 et surtout les années 1990. Ce fut un cycle qui, malgré sa puissance, a marqué la fin de cette phase historique. La période suivante a été marquée par ce que nous avons défini comme la mobilisation néopopuliste, tant sur le plan électoral que dans la rue. L’ascension puis l’effondrement du Mouvement 5 Étoiles se sont accompagnés de phénomènes sociaux ambigus et hybrides, présentant toutefois certaines constantes. D’un côté, une direction « politique » des mobilisations assurée par une classe moyenne en voie d’appauvrissement ; de l’autre, une composition extrêmement hétérogène qui juxtaposait ses propres revendications à celles des promoteurs des manifestations, même lorsqu’elles étaient objectivement contradictoires, au nom de la nécessité d’un changement jugé commun et indispensable. En Italie, cette tendance a caractérisé de nombreux phénomènes : des Forconi1 , aux mobilisations des agriculteurs, jusqu’au mouvement contre le Green Pass2. Des intérêts et des attentes différentes fusionnaient pour exprimer un rejet de l’état des choses, rejet qui restait inévitablement générique dans la forme de l’agitation, mais spécifique dans les plateformes portées par les secteurs sociaux « moteurs » des manifestations — du moins à leurs débuts. Que ces phénomènes puissent aller vers un processus de « clarification » des intérêts en jeu, nous l’avons vu pour la première fois avec les Gilets Jaunes en France. Avec ses spécificités, peut-on penser que « Bloquons tout » soit le « moment Gilets Jaunes » italien ? Oui et non. Oui, car il y a une similitude du point de vue de la composition sociale, des pratiques de lutte et aussi de la capacité d’influencer le cadre institutionnel (sur lequel nous reviendrons). Non, car à certains égards, « Bloquons tout » représente un stade de maturation plus avancé des subjectivités. Au-delà du rôle déjà mentionné des forces sociales organisées, il faut prendre en compte la conjoncture politique générale : le « régime de guerre » naissant, la montée au pouvoir, à l’échelle mondiale, des droites souverainistes, l’approfondissement de la crise sociale et économique contribuent à changer la direction du vent. Nous sommes face à quelque chose de nouveau, chargé de potentialités. 2 – Le drapeau palestinien À juste titre, beaucoup ont mis en garde ces dernières semaines contre les tentatives de dissocier cette mobilisation surprenante de ses causes évidentes. Le génocide du peuple palestinien a sans aucun doute été le déclencheur émotionnel de ces manifestations. Ce fut une expérience de douleur et d’impuissance partagée pendant presque deux ans : les images provenant de la bande de Gaza nous ont confrontés, à plusieurs reprises, à divers dilemmes. Pouvons-nous continuer à mener une vie « normale » alors qu’en face, de l’autre côté de la Méditerranée, se déroule une épuration ethnique ? Pouvons-nous accepter que les institutions qui nous gouvernent permettent cela sans rien dire ? Chaque jour, depuis deux ans, ces questions nous hantent — au travail, à l’école, à l’université, au café, dans le silence de nos maisons. Alors que les télévisions, les journaux et les politiciens répétaient en boucle les pires narrations du régime sioniste, nous nous rendions compte que nous n’étions pas seuls à nous poser ces questions. Malgré la propagande de guerre obsessive, de plus en plus de gens se sont libérés de la peur de contester : depuis un certain temps déjà, les initiatives de soutien au peuple palestinien ont dépassé les milieux sociaux traditionnellement les plus sensibles à ces thèmes — les jeunes et les communautés arabes en Italie. Sit-in, initiatives et cortèges ont vu la participation croissante de secteurs de la société qui ne s’étaient plus mobilisés depuis longtemps. À mesure que la demande adressée aux institutions — qu’elles sortent enfin de leur inertie et de leur complicité avec Israël — restait sans réponse, la confiance dans la rue comme espace où compter réellement grandissait. La narration médiatique a progressivement changé : de plus en plus de personnalités publiques ont été contraintes de se prononcer, bon gré mal gré ; les universités ont dû se justifier. La Global Sumud Flotilla a représenté un tournant, car elle a offert une réponse pratique à une autre question que beaucoup d’entre nous se posaient : « Comment pouvons-nous changer les choses si notre gouvernement, et plus généralement les institutions de notre monde, ne nous écoutent pas ? » En prenant l’initiative, en cessant de déléguer. Ce geste courageux de l’équipage de la Flotilla a brisé la défiance. Il a démontré qu’une partie de la société peut s’organiser pour briser l’inertie du génocide, même si aucun gouvernement n’est disposé à le faire. Certes, cette dynamique émotionnelle a joué un rôle fondamental dans la naissance du mouvement. Mais il ne faut pas sous-estimer d’autres aspects importants. En premier lieu, celui du « savoir ». S’il y a quelque chose de surprenant — depuis les camps de tente à l’université — c’est bien à quel point cette mobilisation a été accompagnée par des formes d’apprentissage par le bas, partagées et collectives. Nous avons souvent été étonnés, même en dehors des manifestations, de découvrir combien la connaissance — non superficielle — des causes, de l’histoire et des visions de la lutte de libération palestinienne s’était diffusée au-delà même de ceux qui se mobilisaient directement. Autour de ces luttes s’est construit un savoir à la fois général et spécifique, transversal et enraciné, complexe et raffiné. Inévitablement, ce savoir, en partant de la question palestinienne, a dû se confronter à toute une série d’autres problématiques : le fonctionnement des universités italiennes, la logistique de guerre, le rôle stratégique de l’Italie, des États, des multinationales, le fonctionnement des médias, le droit international, l’histoire du colonialisme, et mille autres aspects encore. Tout cela s’est produit sans qu’il soit besoin d’évangélisateurs allant de maison en maison : c’est le fruit d’une intelligence collective confrontée aux défis d’une mobilisation de masse. On pourrait s’interroger sur le rôle des réseaux sociaux et sur le fait d’avoir en permanence une encyclopédie potentielle dans sa poche, mais ce n’est sans doute pas l’aspect le plus important aujourd’hui. Ce qui importe de dire, c’est que la mobilisation en solidarité avec le peuple palestinien a constitué un véritable cours accéléré sur le fonctionnement de nombreux aspects de notre monde, souvent dissimulés sous la couche de mystifications produites par le capital. Une prise de conscience qui, forcément, ne concernera pas seulement le rôle de notre pays dans le génocide. À première vue, cela peut paraître paradoxal, mais la complexité et la profondeur historique de la question palestinienne n’ont pas entravé le développement du mouvement — au contraire, elles en ont été la force, permettant à chaque fois de gravir un niveau supplémentaire de réalité à affronter. Ce fut aussi un processus de libération en ce sens : la conquête d’une connaissance autonome des rapports sociaux mondiaux. C’est une leçon importante : penser qu’il existe une séparation trop déterministe entre le champ des besoins matériels et celui du politique est une vision superficielle, voire parfois classiste. D’ailleurs, s’il est peut-être exagéré de ressortir l’ancien slogan « Le Vietnam est à l’usine », il n’est pas absurde de penser que les conditions matérielles vécues par une partie significative de notre pays ont joué un rôle dans ce processus. La logique du réarmement et de l’économie de guerre rencontre un refus diffus et transversal, déjà apparu à d’autres occasions. Plus généralement, il est raisonnable de penser qu’un ensemble de revendications, n’ayant pas trouvé de formes d’expression propres, se sont déversées dans les manifestations pour Gaza comme symbole d’une libération face à un système injuste et de plus en plus oppressif. En particulier parmi les jeunes générations, on observe la projection d’une expérience sociale marquée par l’effondrement croissant des attentes d’amélioration des conditions de vie et par la réduction des espaces de liberté. Comme nous l’avons souvent dit : une forme possible de nouvel internationalisme. Cela ne signifie pas que les personnes participant à ce mouvement s’engagent immédiatement sur d’autres terrains — tels que le réarmement ou les besoins sociaux. Mais cette mobilisation ouvre des espaces de possibilité sous plusieurs angles. D’abord, elle montre que descendre dans la rue est une manière effective d’influer sur les phénomènes politiques nationaux et internationaux. Ensuite, elle met en évidence l’existence d’une majorité sociale potentielle réticente à se rallier à l’armée — réelle ou métaphorique — du capitalisme occidental dirigé par les États-Unis. 3 – Temps additionnel L’aspect peut-être le plus surprenant de cette dynamique est qu’elle s’est déclenchée de manière totalement indépendante des partis et des syndicats de la gauche institutionnelle. Le geste de la CGIL, qui a lancé une grève quelques jours avant le 22 septembre3, s’est retourné contre elle, démontrant que le syndicat n’est plus en mesure de saisir la profondeur du malaise social. Le choix, en rattrapage, de s’unir à la grève générale du 3 octobre a replacé Landini au centre de l’attention. D’un côté, cette décision a probablement mûri sous la pression des adhérents du syndicat et a facilité un élargissement de la participation — également grâce à l’hystérie du gouvernement ; de l’autre, elle constitue une tentative de ramener la protestation dans le giron institutionnel. Il en va de même, en partie, pour les partis qui, en l’espace de quelques semaines, se sont déplacés vers des positions de plus en plus radicales — du moins dans les discours. Beaucoup ont interprété ce virage comme un simple calcul électoral, dans le cadre d’une campagne pour les élections régionales qui va durée au cours des prochains mois. Il y a certainement du vrai, mais la stratégie semble plus subtile et plus à long terme. Avec les référendums sur le travail et sur la citoyenneté, les partis de la gauche institutionnelle ont compris qu’une part significative de l’abstention et du non-vote portait des revendications de justice économique et sociale qu’ils ne parviennent pas à capter électoralement. Pendant ce temps, le camp centriste est pratiquement asséché, presque entièrement déplacé vers la droite. Mais la désaffection envers les partis institutionnels est si profonde que les simples déclarations d’intention et les campagnes froides ne suffisent pas à ramener les gens aux urnes. Le centre-gauche, dans ses différentes déclinaisons, est donc contraint de courir derrière les phénomènes sociaux et d’essayer de s’y insérer comme un flanc institutionnel. Cette tendance ouvre une phase ambivalente : d’un côté, des revendications issues de la base atteignent les canaux de la politique dominante ; de l’autre, le risque de récupération est bien réel. Il n’est pas simple de naviguer dans cette ambivalence, d’autant que les réalités militantes — y compris les plus structurées — ne disposent pas, pour la plupart, aujourd’hui des outils, des capacités ni du nombre suffisant pour favoriser l’organisation autonome de la grande spontanéité qui s’est déversée dans les rues. Dans une phase d’accélération de ce genre, tous ces éléments peuvent se construire rapidement, mais pour cela, il faut trouver des formes qui favorisent le protagonisme social et l’auto-organisation de l’intelligence collective. Quelles contre-institutions ce mouvement — ou celui qui pourrait venir — peut-il se donner ? C’est la question urgente qui, dans la ferveur de ces journées, a été justement mise de côté, mais qu’il faudra aborder pour donner continuité et profondeur au mouvement, sans qu’il soit réabsorbé dans les dynamiques institutionnelles. 4 – Dispositifs de disciplinement et rapports de force Le mouvement « Bloquons tout » a remis en cause, en l’espace de deux semaines, de nombreux dispositifs de disciplinement que ce gouvernement, comme ceux qui l’ont précédé, avait mis en place pour contrer les luttes sociales. Face aux chiffres et à la puissance de la mobilisation, le fameux Décret Sécurité4 s’est dissous comme neige au soleil. Des dizaines de milliers de personnes ont pratiqué les blocages et les occupations de ports, d’autoroutes, de voies ferrées et d’aéroports, tandis que les préfectures et commissariats laissaient souvent faire — à la fois par impréparation face à l’ampleur de l’événement et pour éviter de lui donner encore plus d’ampleur. Le 3 octobre a ensuite marqué un autre tournant historique : pendant des décennies, le droit de grève des travailleurs et travailleuses a été entravé dans un ensemble de réglementations destinées à en neutraliser le plus possible l’efficacité. Le travail de démolition de ce droit s’est poursuivi même à des moments où l’outil de la grève mettait en cause les profits de filières spécifiques — comme celle de la logistique — sans pour autant remettre en question l’ensemble du système économique italien. Souvent, les syndicats confédéraux ont été complices de ces limitations progressives. Le 3 octobre a démontré que la grève est toujours légitime, indépendamment de ce que dit le garant, des menaces de réquisition, ou de la colère de Salvini. En deux semaines, ce mouvement a construit un rapport de force incroyable, même si, dans la rhétorique schizophrène du gouvernement, ces conquêtes sont présentées comme des concessions. La reconquête d’une plus grande liberté d’action politique pour les mouvements sociaux passe par là : par l’enracinement et le renforcement de ces rapports de force. 5 – Le cadre objectif Dans la matinée d’hier, le Hamas a annoncé avoir accepté la première partie du plan Trump, celle concernant la libération des otages israéliens et le cessez-le-feu, tout en souhaitant discuter des points relatifs au retrait des forces armées israéliennes (IDF) de Gaza, à la démilitarisation de la résistance palestinienne et au « protectorat » américain sur la bande. De retour dans son pays, Netanyahou continue d’affirmer que l’armée israélienne restera dans la bande, tandis que les ministres les plus extrémistes de son gouvernement ne cessent de saper l’accord de paix. Toujours hier, Trump a reconnu dans l’après-midi que « Bibi est allé trop loin » et qu’il a risqué d’isoler Israël sur la scène internationale. C’est un signe que la mobilisation de l’opinion publique internationale a pesé — et pas qu’un peu — sur le contexte des négociations. Il est difficile de prévoir ce qui peut se passer dans les prochains jours : la guerre pourrait reprendre immédiatement après la libération des prisonniers, ou bien connaître une période de refroidissement plus ou moins longue. Les perspectives de création d’un État palestinien sur le territoire de la Cisjordanie et de la bande de Gaza semblent, pour l’instant, très limitées — tout comme celles d’un processus de décolonisation de la société israélienne semblable à celui survenu en Afrique du Sud. Sans s’attaquer à la racine du projet sioniste, les chances d’une paix durable en Palestine sont proches de zéro. La perspective d’un cessez-le-feu effectif et durable dépend aussi de la pression politique qui pourra être maintenue sur Israël. Il est naturel — et physiologique — qu’une éventuelle trêve ait un impact sur la participation aux mobilisations, mais il sera essentiel de maintenir l’attention sur Gaza et sur les crimes de guerre, sur le génocide commis par Israël au cours de ces deux dernières années. Beaucoup de gouvernements, y compris le nôtre, voient dans cette éclaircie une occasion de normaliser leurs relations avec Israël et d’essayer de passer l’éponge sur le massacre impuni du peuple palestinien. Nous ne pouvons pas le permettre. Il ne faut pas oublier non plus que, ces dernières semaines, les vents de guerre à l’est soufflent de plus en plus fort. Alors que le regard de l’opinion publique reste fixé sur Gaza, le risque d’une escalade militaire devient concret. La militarisation de l’Union européenne progresse à un rythme effréné, et les perspectives d’un refroidissement du conflit semblent de plus en plus lointaines. On ne peut pas exclure de nouvelles accélérations du désordre mondial. Même ce qui se passe en Amérique latine, avec l’agressivité américaine envers le Venezuela — déguisée en « guerre contre la drogue » — n’augure rien de bon. 6 – Conclusions Nous en arrivons à la journée d’hier, 4 octobre, rendez-vous lancé par les associations palestiniennes en Italie, qui s’est inscrite, avec un calendrier favorable, comme le point culminant des deux semaines précédentes, allant de la grève du 22 à celle du 3. Le premier élément à souligner est la participation massive, littéralement océanique : le parcours lui-même n’a pas réussi à contenir physiquement le nombre de personnes présentes. Cet aspect peut nous offrir un point de réflexion sur les possibilités concrètes de se tenir dans la rue. Le serpentin long de plusieurs kilomètres s’est déroulé dans les artères de Rome, incapables de le contenir ; à la fin du cortège, des jeunes ont pris certaines rues latérales pour rejoindre d’autres lieux de la ville, et cette tentative s’est heurtée à une réponse rapide de la partie adverse : deux encerclements ont été formés à la suite de jets de canon à eau et de gaz lacrymogènes, enfermant quelques centaines de personnes, ensuite identifiées et relâchées. En parallèle, dans d’autres points de la ville, il y a eu des charges policières accompagnées d’un lancement massif de gaz lacrymogènes ; une voiture de police a pris feu, et jusque tard dans la soirée, des affrontements se sont succédé dans plusieurs zones. Il semblerait pour le moment que sur les 12 interpellés, on compte 2 arrestations. Les journaux ont relancé la narration resséssée de la division entre « bons et méchants », tentant de criminaliser et de fragmenter le mouvement, en omettant délibérément la réalité de ce qui s’était produit la veille et la forte charge conflictuelle qui avait caractérisé toutes les places lors de la journée de grève générale, de manière transversale. « Bloquer », nous l’avons dit collectivement, du nord au sud, a pris ces dernières semaines une valeur concrète. Les dockers, de Gênes à Livourne, de Trieste à d’autres ports, nous l’ont enseigné : bloquer, cela signifie interrompre les flux qui alimentent une économie de guerre et financent le génocide en Palestine. Une ritualité a été brisée grâce au choix de toutes les personnes descendues dans la rue qui ont réellement mis à disposition d’eux-mêmes, de leur vie, de leur temps, afin d’être impactant, afin de pratiquer efficacement l’objectif de ne pas être complices du gouvernement d’Israël ni des gouvernements occidentaux qui le soutiennent. Comme on l’a déjà dit, se pose maintenant la question de la continuité, à la lumière à la fois des transformations générales en cours et des formes que prendra le mouvement à l’intérieur et au-delà de ses dimensions organisées. Certains éléments susceptibles de constituer une proposition devront tenir compte de la diffusion territoriale géographique qui a contribué à la réussite et à la tenue de ces deux semaines, et donc de la nécessité d’en alimenter la diffusion ; du rôle des médias, qui ont permis de massifier la composition sociale du mouvement ; de la nécessité de continuer à construire des blocages réels, accompagnés de l’ouverture d’espaces de prise de parole capables d’expliciter la profonde signification politique de ce qui est en train de se mettre en mouvement. Une fenêtre éblouissante a déchiré la normalité ; faire de l’exceptionnalité de ce moment une nouvelle normalité est un pari qu’on ne peut pas se permettre de fuir. video dei Giovani Palestinesi d’Italia Daniele Calabretti Photo – Leonardo Turin – Grève du 3 octobre Alisagki photo – Milan – Grève 22 septembre Livourne – Presidio permanente al porto – Grève 22 septembre 1. Le mouvement des Forconi a éclaté en 2013 lancé initialement par des chauffeurs autoroutiers siciliens et proches de la droite contre la fiscalité et l’État plus globalement. Le mouvement s’est étendu à d’autres secteurs sociaux (agriculteurs, ouvriers, marchands ambulants, etc.) sur toute la péninsule de façon peu structurée. Le manifestants ont procédé principalement à des blocages autoroutiers, routiers et des ronds-points. C’est une des premières fois où la composition mobilisée ne se rattachait pas à une ideologie précise, mais plutôt ambiguë. Les mots d’ordre des forconi se concentraient sur des revendications liées aux conditions materielles de vie et pas du tout idéalistes… Pour en savoir en plus : https://www.infoaut.org/bisogni/impressioni-di-dicembre ↩︎ 2. Équivalent du Pass sanitaire en France pendant le Covid ↩︎ 3. La date du 22 septembre avait été choisie par les syndicats de lutte comme première grande date nationale de «Bloquons tout» avec un appel à la grève. ↩︎ 4. Le Décret Sécurité à été voté en juin 2025 et fait passer des dispositions d’urgence en matière de sécurité publique telles que l’anti-terrorisme, plus de tutelle des forces de l’ordre, des dispositions plus strictes et des peines plus dures en matière de gestion de l’ordre public. Par exemple le décret alourdit les peines pour les blocages routiers, pour interruption de services publics (c’est-à-dire la grève). Cette loi a aussi été surnommée ‘loi contre les mouvements écologistes’ car ils ont fait de ces pratiques de désoibeissance civile leur forme de lutte privilegié (mais pas que). ↩︎
Anan Yaeesh in sciopero della fame
Riprendiamo il comunicato pubblicato dalla campagna Free Anan e ci uniamo alla solidarietà ad Anan Yaeesh. Sabato 4 ottobre 2025, il prigioniero politico palestinese Anan Yaeesh è entrato in sciopero della fame. Questa sua decisione si affianca alla solidarietà con le mobilitazioni per la Palestina che nelle ultime settimane hanno attraversato l’Italia e, in particolare, nel giorno della manifestazione nazionale a Roma, quando oltre un milione di persone è sceso in piazza contro il genocidio del popolo palestinese e contro la collaborazione e la complicità del governo italiano con l’occupazione israeliana. Nel nuovo istituto penitenziario, infatti, gli incontri con i legali sono diventati sempre più difficili e rari, rendendo quasi impossibile concordare la strategia difensiva. Il trasferimento, privo di giustificazioni oggettive, rappresenta un atto di rappresaglia nei confronti della solidarietà e un tentativo di isolamento politico e umano. Lo sciopero della fame di Anan Yaeesh è un atto di resistenza e dignità, che chiama alla mobilitazione e alla vigilanza di quanti abbiano a cuore la giustizia, la libertà e i diritti del popolo palestinese. Chiediamo il rispetto dei diritti di Anan Yaeesh, la fine delle misure punitive e la sua immediata ricollocazione in un carcere che garantisca il pieno esercizio del diritto alla difesa. Ribadiamo inoltre che non sarà certo un trasferimento a minare o recidere la solidarietà che il popolo italiano ha espresso nei confronti di Anan nel corso di questi quasi due anni; precisiamo quindi, a chiunque si celi dietro queste decisioni, che ovunque Anan verrà trasferito, continuerà a godere dell’ampio sostegno e delle mobilitazioni in sostegno alla sua causa. La resistenza non si arresta! La resistenza non si processa!
11 nuove barche della Freedom Flotilla cariche di medicine stanno navigando nel Mediterraneo, ormai prossime alle coste di Gaza, decise a rompere l’assedio israeliano.
Novanta medici, infermieri, operatori sanitari, tra cui sei italiani, sono a bordo di quello che loro stessi hanno definito “un ospedale galleggiante pieno di farmaci”. Una vera e propria seconda ondata della Freedom Flotilla Coalition, coordinata con Thousand Madleens, sempre con lo stesso scopo umanitario, ma mirata proprio a portare aiuto sanitario a una popolazione che rischia di morire anche per una banale infezione.  “Se Israele arresterà professionisti della sanità protetti dalle convenzioni internazionali, i governi dei loro paesi non potranno non intervenire con maggiore forza rispetto a quanto fatto con la Sumud” hanno detto.  E il motivo è che i medici non possono essere arrestati nell’esercizio delle proprie funzioni, secondo la Convenzione di Ginevra. Ma abbiamo  già visto quanto vale il diritto internazionale per il governo criminale di Netanyahu. A loro, a tutti i medici, infermieri, operatori sanitari, va tutta la nostra gratitudine perquello che stanno facendo.  Chi pensava che  sarebbe bastato abbordare la Global Sumud Flotilla per fermarli,non ha capito il senso profondo della Flotilla e quello che ha risvegliato.  Se esiste ancora un barlume di umanità, è in questi scatoloni, su quelle barche.   Tutti gli occhi sulla Flotilla.   da @ossrepressione
Leonardo ammette l’export di armi in Israele e fa cadere la maschera del governo
Riprendiamo questo articolo di Duccio Facchini, direttore di Altraeconomia apparso originariamente sulla rivista medesima e poi ripreso da osservatoriorepressione. Roberto Cingolani, amministratore delegato del colosso, ha provato a “rispondere alle accuse di ‘complicità nel genocidio’” con un’intervista al Corriere della Sera zeppa di contraddizioni e tesi fantasiose. Ma nel maldestro tentativo di alleggerire la propria posizione ha clamorosamente smentito due anni di falsità raccontate dall’esecutivo. Ecco, punto per punto, perché L’intervista rilasciata il 30 settembre 2025 dall’amministratore delegato di Leonardo Spa, Roberto Cingolani, al Corriere della Sera al dichiarato scopo di “rispondere alle accuse di ‘complicità nel genocidio’” segna una tappa cruciale nella vicenda delle armi italiane a Israele. La principale azienda bellica del nostro Paese ammette anche sulla stampa più vicina quanto già evidenziato dalle inchieste di Altreconomia: e cioè che l’Italia ha continuato a esportare materiale d’armamento verso Tel Aviv dopo il 7 ottobre 2023, nella complice inerzia del Governo Meloni. Leonardo, il cui azionista di maggioranza è quello stesso governo che per mesi ha negato l’innegabile, lo ha fatto in forza di autorizzazioni rilasciate dall’Unità per le autorizzazioni dei materiali d’armamento (Uama), in seno alla Farnesina, prima del 7 ottobre 2023 che non sono mai state sospese o revocate dall’esecutivo, che pure avrebbe potuto e dovuto farlo in forza della legge 185/1990, che già prevede esplicitamente la circostanza della sospensione o revoca (all’articolo 15) di licenze già rilasciate financo per armi sportive, da caccia, gli “artifizi luminosi e fumogeni”, le “armi e munizioni comuni da sparo”. Figurarsi per i materiali e i ricambi che Leonardo ha esportato a beneficio dei velivoli M-346 prodotti dalla Alenia Aermacchi di Varese e che i piloti dell’aeronautica israeliana utilizzano per formarsi e poi, perché è quello che fanno, bombardare, con altri caccia, la Striscia di Gaza. Cingolani sostiene che Leonardo sia stata quasi “costretta” a proseguire quelle esportazioni per onorare due contratti in essere relativi alla “manutenzione per elicotteri e aeroplani da addestramento non armati”. Se non lo avesse fatto, è la tesi propinata oggi come se nulla fosse accaduto nel frattempo, avrebbe commesso “un illecito” che avrebbe poi portato a un “contenzioso legale”. Nel maldestro tentativo di alleggerire la propria posizione e sorvolando sull’obbligo cogente in capo all’azienda di sospendere i contratti indipendentemente da un passo governativo (si veda, ad esempio, la Convenzione di Vienna), Cingolani -che si è ben guardato dal citare il programma dei dodici elicotteri AW119Kx d’addestramento della Agusta-Westland prodotti a Philadelphia dopo un accordo del febbraio 2019, i cannoni Oto Melara sulle corvette dello Stato ebraico, o la vicenda delle bombe GBU-39 co-prodotte da Mbda, di cui Leonardo detiene il 25%- si è spinto a invocare “una copertura istituzionale”, facendo così cadere la maschera del governo. “Per fortuna adesso il ministero degli Esteri e la Uama stanno guardando se sia possibile trovare un provvedimento che ci consenta di sospendere le vecchie licenze sulla falsariga della legge 185”. È una farsa. La legge 185/1990 prevede esplicitamente la possibilità di sospendere e revocare le licenze, e le palesi e gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani a Gaza sono sotto gli occhi del mondo da quasi due anni, denunciate prima e accertate poi da numerosi organismi internazionali, anche in seno alle Nazioni Unite. Perché il governo italiano non ha fatto nulla e si ritrova “adesso” a “guardare” se sia possibile firmare un “provvedimento” di sospensione? Quel provvedimento è un decreto che la Farnesina non ha mai voluto firmare. Quando Altreconomia ne chiese conto tramite un accesso civico generalizzato nel lontano dicembre 2023 la risposta fu da commedia dell’assurdo: il ministero degli Esteri si rifiutò persino di dare la “informazione circa la sussistenza o meno di decreti di sospensione in sé, indipendentemente dalla circostanza che siffatte tipologie di provvedimenti siano o meno state adottate” perché la semplice notizia dell’esistenza del decreto avrebbe potuto “arrecare potenziale, concreto pregiudizio alle relazioni internazionali citate, in quanto consentirebbe l’immissione nella conoscenza di processi di analisi e decisioni che toccano livelli di riservatezza nella gestione delle relazioni internazionali per come sopra qualificate”. Oggi Cingolani svela il bluff: non c’era nulla da ostendere se non la complice inerzia nel far proseguire esportazioni già autorizzate. Eppure sono due anni che il vicepresidente del Consiglio e titolare degli Esteri Antonio Tajani dispensa rassicurazioni all’opinione pubblica dicendo che è “tutto bloccato”. È arrivato persino ad affermare, nella pasticciata confusione di chi forse prova a tutelare la propria posizione di fronte ai tribunali internazionali, che se qualcosa proprio fosse partito erano semplicemente “pezzi di radio”. L’Avvocatura dello Stato -nella causa promossa dall’avvocato gazawi Salahaldin M. A. Abdalaty- ha parlato addirittura di “documentazione tecnica e corsi di formazione”. Una medaglia spetta però alla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che in Senato il 15 ottobre 2024, in risposta alla nostra inchiesta, disse che l’export in capo a Leonardo altro non era se non “componentistica per aerei che vengono assemblati in Israele per essere esportati negli Stati Uniti” e che dunque non vi era alcun “rischio” che fossero “utilizzati”. Un’invenzione. Passa un anno e Roberto Cingolani sul Corriere della Sera ne dice un’altra: l’export di Leonardo sarebbero in realtà “quattro tecnici che sono in Israele per la manutenzione ordinaria dei velivoli”. L’ennesima e triste capriola smentita dalla stessa società che amministra, dato che un anno fa Leonardo ha comunicato ad Altreconomia che le forniture nel 2024 furono “assistenza tecnica da remoto, senza presenza di personale nel Paese (sic), riparazione materiali e fornitura ricambi”, per un valore di sette milioni di euro. Cosa che è proseguita anche nel 2025 ma Leonardo si rifiuta di specificare pubblicamente l’ammontare. Dire tutto e il contrario di tutto, scegliendo naturalmente da chi farsi porre le domande (Cingolani ha del resto rifiutato la nostra proposta di intervista) non è cabaret, è una scelta precisa, utile a tacciare l’opinione pubblica di esser incapace di cogliere la complessità e di cadere in semplicistiche derive di natura ideologica. Peccato però che poi ci siano i fatti a parlare. Non è vero che nel rapporto della Relatrice speciale Onu Francesca Albanese “Dall’economia dell’occupazione all’economia del genocidio” -che, va ricordato, ha il vincolo formale delle 9mila parole complessive- Leonardo Spa sia nominata “in quattro pagine in maniera abbastanza superficiale, con accuse strumentali e forzate”. Perché Leonardo Spa non divulga la dettagliata comunicazione ricevuta da Albanese prima della pubblicazione del report? Le circostanze relative al consorzio che produce gli F-35 che hanno raso al suolo larga parte della Striscia di Gaza sono incontestabili. Come incontestabile è l’ipocrisia dell’amministratore delegato del colosso quando arriva a dire che da socio di maggioranza non può “fare nulla” sulla società che invece dovrebbe controllare, come è il caso della statunitense Drs o della israeliana Rada in tema di radar, per via di giurisdizioni differenti che ne limitano l’intervento. Certi alibi quando si schiantano al suolo lasciano enormi crateri.
Francia: Lecornu si dimette, il suo è il mandato più breve della storia
A un mese dalla nomina del nuovo primo ministro, e a poche ore dalla nascita nel nuovo esecutivo, il governo di Sebastien Lecornu è già finito. Nominato il 9 settembre, Lecornu era stato oggetto di critiche da parte dell’opposizione e della destra dopo aver svelato domenica sera parte della composizione del suo governo. Martedì avrebbe dovuto pronunciare la sua dichiarazione di politica generale all’Assemblea. Lunedì mattina, Lecornu ha presentato le sue dimissioni, accettate dal presidente Macron. La France Insoumise chiede ora l’”esame immediato” della mozione di destituzione del presidente Macron. Lasciando Matignon (la sede del governo) 27 giorni dopo la sua nomina, Lecornu diventa il primo ministro con il mandato più breve della storia. Si tratta di dimissioni inaspettate, e quali ne sono state le cause? Quali sono i possibili scenari che si aprono? Lo abbiamo chiesto ad Andrea Di Gesu, ricercatore italiano che vive in Francia e nostro collaboratore da Parigi. Ascolta o scarica. da Radio Onda d’Urto
Comunicato de* medic* in formazione specialistica dell’Università di Torino contro il genocidio del popolo palestinese
Riceviamo e pubblichiamo volentieri… Noi sottoscritt* medic* specializzand* dell’Università di Torino riteniamo necessario prendere insieme una posizione pubblica in merito al genocidio del popolo palestinese e alla situazione umanitaria nella Striscia di Gaza. Siamo convint* che l’isolamento internazionale del governo d’Israele debba partire dalle prese di posizione dei cittadini dei Paesi i cui governi, a fronte di parole di circostanza sulle sofferenze del popolo palestinese, continuano ad avere, come se nulla fosse, rapporti commerciali e diplomatici con Israele, rendendosi di fatto complici di uno sterminio con pochi precedenti nella storia dell’umanità. A questo fine, crediamo fondamentale che nei posti di lavoro maturi sempre più forte il rifiuto di tollerare in silenzio questa situazione e, al contempo, si costituiscano gruppi di persone decise e capaci di iniziative di protesta civile e democratica. Ma sappiamo che ciò è possibile solo se si sente fino in fondo che il destino della Palestina è anche il nostro. È questo il senso principale della nostra iniziativa.  Da decenni, il popolo palestinese che abita i territori occupati sottostà ad un franco regime di apartheid imposto da Israele, fondato su segregazione etnica, limitazioni massive della libertà di movimento e del diritto di voto, continui espropri di territori ed abitazioni, ed uso sistematico della violenza. La condotta di Israele è stata più volte condannata dagli organi delle Nazioni Unite (risoluzioni 446, 465 e 2334 del Consiglio di Sicurezza; risoluzioni 77/247 ed ES-10/23 dell’Assemblea Generale; et cetera), purtroppo senza conseguenze pratiche. Quanto accaduto nella striscia di Gaza a partire dall’8 ottobre 2023, giorno successivo al deplorevole attentato di Hamas, è in assoluta continuità con tale condotta, ma ha portato le violenze ad un livello mai visto in precedenza. Negli ultimi venti mesi, secondo i dati del Dipartimento di Salute di Gaza, circa 60.000 palestinesi sono stati uccisi nella Striscia come conseguenza diretta degli attacchi delle Israeli Defense Forces. Un’analisi peer-reviewed pubblicata su The Lancet nel 2024 (DOI: 10.1016/S0140-6736(24)01169-3) ha stimato che il numero reale di vittime considerando anche le morti indirette (ovvero quelle dovute alla fame e alla sete,  al freddo, ad altre forme di deprivazione materiale, alle malattie e al mancato accesso ai servizi sanitari) sia almeno del 40% più alto. La grande maggioranza dei morti, probabilmente tra il 70 e l’80%, è rappresentata da donne, anziani e bambini (Nearly 70% of Gaza war dead women and children – UN). Il direttore regionale dell’UNICEF per Medio Oriente e Nord-Africa ha dichiarato che almeno 50.000 bambini sono stati uccisi o feriti nella Striscia di Gaza tra ottobre 2023 e maggio 2025 (‘Unimaginable horrors’: more than 50,000 children reportedly killed or injured in the Gaza Strip). Oltre ad aver reso la popolazione civile il principale bersaglio degli attacchi, l’esercito israeliano ha anche devastato il sistema sanitario di Gaza, come più volte riportato dalla World Health Organization (Health system at breaking point as hostilities further intensify in Gaza, WHO warns). Il 94% degli ospedali nella Striscia è stato danneggiato o completamente distrutto, e solo 19 dei 36 ospedali presenti nella zona ad ottobre 2023 sono oggi operativi. Per questo, a Gaza risultano attualmente disponibili circa 2.000 letti di ospedale per più di due milioni di persone prostrate oltre i limiti dell’immaginabile, equivalenti a 100 letti ogni 100.000 persone, contro 516 letti ogni 100.000 persone nell’Unione Europea. Tutto ciò senza considerare gli oltre 1400 operatori sanitari uccisi nel corso degli attacchi dell’esercito israeliano su ospedali e ambulanze (Reported impact snapshot | Gaza Strip (7 May 2025) | United Nations Office for the Coordination of Humanitarian Affairs – Occupied Palestinian Territory) e quelli arrestati mentre prestavano assistenza ai feriti (Gaza hospital chief Abu Safia detained, tortured in Israeli jail: Lawyer | Israel-Palestine conflict News | Al Jazeera). Ad aggravare ancora la situazione nella Striscia contribuiscono la malnutrizione e le malattie (People in Gaza starving, sick and dying as aid blockade continues). I tre quarti della popolazione della Striscia sono in stato di deprivazione alimentare “emergenziale” o “catastrofica”. Il Ministero della Sanità di Gaza ha segnalato che da marzo 2025, quando Israele ha scientemente iniziato ad impedire la consegna di aiuti, almeno 60 bambini sono morti DI FAME. Questo numero è destinato a crescere con opprimente certezza. 17.000 donne incinte o in fase di allattamento soffriranno di malnutrizione acuta nel corso dei prossimi mesi, con conseguenze terribili quando non letali per i loro figli. Il programma di distribuzione di aiuti gestito dalla Gaza Humanitarian Foundation -coordinato solo da israeliani e statunitensi- è assolutamente insufficiente a soddisfare le esigenze della popolazione di Gaza. Peraltro, da maggio 2025 l’esercito israeliano e i suoi collaboratori hanno aperto e continuano ad aprire il fuoco impunemente sui civili anche nel contesto delle procedure di distribuzione di cibo, uccidendo ogni giorno decine di palestinesi (US-Israeli backed Gaza aid group must be shut down, say 170 charities). La portata e l’efferatezza di questo genocidio in diretta si ripercuoteranno per generazioni sui palestinesi che sopravviveranno. La storia dell’umanità è macchiata, di nuovo, in maniera indelebile.  Le sofferenze e la distruzione inflitte al popolo palestinese rappresentano l’assoluta negazione dei principi e delle ragioni per cui abbiamo scelto e svolgiamo il nostro lavoro. In qualità di medic* specializzand* sentiamo di avere il dovere, oltre che il diritto, di chiedere conto all’Università di Torino delle relazioni che vengono intrattenute con gli atenei israeliani, maggior parte dei quali supporta DE FACTO il genocidio della popolazione palestinese. Ciò è dettagliatamente descritto nell’ultimo rapporto della relatrice speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani nei Territori Palestinesi Occupati, Francesca Albanese, pubblicato il 30 giugno scorso (ref), dove si documenta esplicitamente “In Israele, le università – in particolare le facoltà di giurisprudenza, i dipartimenti di archeologia e di studi sul Medio Oriente – contribuiscono all’impalcatura ideologica dell’apartheid, coltivando narrazioni allineate con lo Stato, cancellando la storia palestinese e giustificando le pratiche dell’occupazione. Parallelamente, i dipartimenti di scienza e tecnologia fungono da centri di ricerca e sviluppo per le collaborazioni tra l’esercito israeliano e i contraenti del settore bellico, tra cui Elbit Systems, Israel Aerospace Industries (IAI), IBM e Lockheed Martin, contribuendo così alla produzione di strumenti per la sorveglianza, il controllo delle folle, la guerra urbana, il riconoscimento facciale e le uccisioni mirate, strumenti che vengono di fatto testati sui palestinesi” (Palestinian Academic Unions Commend Global Universities for Ending Ties With Complicit Israeli Universities, Urge Action From Others | BDS Movement). Siamo convint* che l’isolamento internazionale delle politiche del governo israeliano debba partire anche dalle scelte etiche delle comunità accademiche dei Paesi i cui governi, pur esprimendo cordoglio per le vittime palestinesi, mantengono rapporti commerciali, accademici e militari con Israele, contribuendo di fatto a prolungare crimini che la comunità scientifica e le agenzie dell’ONU documentano da anni. Un esempio concreto è il mantenimento da parte delle Aziende Sanitarie dei contratti in essere con TEVA, multinazionale farmaceutica israeliana TEVA che finanzia il governo e l’esercito israeliano con le sue imposte (da considerare che l’utile lordo del 2022 dell’intero gruppo è di quasi 7.000 milioni di dollari, pari al 46,7% del fatturato – TEVA). Nei luoghi di lavoro e di formazione è indispensabile rifiutare la normalizzazione dell’ingiustizia, costruire gruppi capaci di proteste civili e democratiche e riconoscere che il destino del popolo palestinese riguarda anche la nostra responsabilità professionale. Crediamo in un’Università e in una Società che si posizioni in modo chiaro e concreto contro le ingiustizie. Di fronte al quotidiano aggravarsi della situazione umanitaria in Palestina, riteniamo che l’Università di Torino con la sua ultima mozione del Senato accademico abbia messo in atto risposte sicuramente importanti ma ancora poco decisive all’ottenimento di un effetto concreto sull’inaccettabile situazione in Palestina (https://www.unito.it/sites/default/files/2025-10/resoconto_sas_30_settembre_2025.pdf).  Richiediamo quindi: * Sospensione immediata di tutte le collaborazioni in essere o in programma con atenei o enti — israeliani o meno — coinvolti nello sviluppo di tecnologie potenzialmente utilizzabili per sostenere l’apartheid e lo sterminio in corso a Gaza. * Interruzione immediata di qualsiasi accordo o relazione formale con università israeliane e impegno a non stipularne di nuovi finché perdura l’attuale situazione. * Rafforzamento della cooperazione sanitaria e formativa con strutture palestinesi, attraverso telemedicina, formazione specialistica, fornitura di dotazioni essenziali e facilitazione della mobilità del personale e degli studenti. * L’interruzione dei contratti con TEVA da parte delle Aziende Sanitarie con cui è in attivo il Protocollo d’intesa per l’attuazione del percorso formativo di Specializzazione (per maggiori informazioni https://bdsitalia.org/index.php/campagne/teva-no-grazie) L* medic* specializzand* dell’Università di Torino – Se sei un* specializzand* dell’Università di Torino, ti invitiamo a firmare il comunicato. – Se non sei un* specializzand* dell’Università di Torino, non è necessario che firmi il comunicato. Ti ringraziamo del supporto e ti invitiamo a organizzare un’iniziativa analoga sul luogo di lavoro. Per domande o chiarimenti: alessandrafortuna96@gmail.com L’appello è condiviso da* specializzand* dei seguenti Atenei: – Università di Pisa – Università di Bologna che hanno sottoscritto un Comunicato analogo presso il proprio centro. Firmatar* 1. Dott.ssa Alessandra Fortuna, Ginecologia e Ostetricia 2. Dott.ssa Chiara Cito, Ginecologia e Ostetricia 3. Dott.ssa Stefania Arridu, Ginecologia e Ostetricia 4. Dott.ssa Giorgia Dragone, Ginecologia e Ostetricia 5. Dott.ssa Francesca Valloreo, Ginecologia e Ostetricia 6. Dott.ssa Francesca Neglia, Ginecologia e Ostetricia 7. Dott.ssa Greta Cunico, Ginecologia e Ostetricia 8. Dott.ssa Sara Babich, Ginecologia e Ostetricia 9. Dott. Francesco Muccio, Anestesia e Rianimazione 10. Dott. Alessandro Mastrippolito, Ginecologia e Ostetricia 11. Dott. Lorenzo Nescis, Nefrologia 12. Dott.ssa Caterina Vallarino, Medicina di Emergenza e Urgenza 13. Dott. Andrea Casson, Ematologia 14. Dott.ssa Laura Serrao, Pediatria 15. Dott.ssa Maria Francesca Greco, Ginecologia e Ostetricia 16. Dott. Tommaso Picardi, Ematologia 17. Dott.ssa Alessandra Russo, Chirurgia Toracica 18. Dott. Giovanni Murante, Ematologia 19. Dott. Enrico Amaducci, Ematologia 20. Dott. Alessandro Di Nicola, Ematologia 21. Dott. Rocco Schiavone, Oncologia medica 22. Dott.ssa Giulia Beltrami, Anestesia e Rianimazione 23. Dott.ssa Wassila Znaidi, Chirurgia vascolare 24. Dott. Giovanni Geraci, Nefrologia 25. Dott. Paolo Sanna, Anestesia e Rianimazione 26. Dott.ssa Melania Dall’Occo, Medicina di Emergenza e Urgenza 27. Dott.ssa Annalisa Guarino, Nefrologia 28. Dott.ssa Laura Manino, Malattie dell’apparato respiratorio 29. Dott. Alessandro Giuri, Ginecologia e Ostetricia 30. Dott.ssa Silvia Parente, Patologia clinica e biochimica clinica 31. Dott. Davide Stella, Ematologia 32. Dott.ssa Francesca Ferrara, Ortopedia e Traumatologia 33. Dott.ssa Grazia Mallia, Ematologia 34. Dott.ssa Mariapia Pironti, Ematologia 35. Dott. Giuseppe Bertuglia 36. Dott.ssa Benedetta Violetto, Ginecologia e Ostetricia 37. Dott.ssa Camilla Chimenti, Ginecologia e Ostetricia 38. Dott.ssa Francesca Tamburelli, Ginecologia e Ostetricia 39. Dott. Luca Oleandri, Anestesia e Rianimazione 40. Dott.ssa Nada Harani, Radiodiagnostica 41. Dott.ssa Silvia Montisci, Medicina di Emergenza e Urgenza 42. Dott.ssa Ilaria Giovannini, Ginecologia e Ostetricia 43. Dott.ssa Giada Ronco, Medicina d’emergenza e urgenza 44. Dott.ssa Alice Cutruneo 45. Dott.ssa Francesca Maglioli, Medicina d’emergenza e urgenza 46. Dott.ssa Sofía Guzmán Décimo, Ginecologia e Ostetricia 47. Dott. Jacopo Fornasiero, Medicina d’emergenza e urgenza 48. Dott. Andrea Milani, Medicina d’emergenza e urgenza 49. Dott. Simone Lizza 50. Dott. Giorgio Lombardo, Anestesia e Rianimazione 51. Dott. Micol Colombatto, Medicina Interna 52. Dott.ssa Silvia Mascolo, Reumatologia 53. Dott.ssa Chiara Bartoletti, Medicina d’emergenza e urgenza 54. Dott.ssa Rebecca Tasca, Cardiologia 55. Dott.ssa Francesca Cavalla, Anestesia e Rianimazione 56. Dott.ssa Elena Bianco Morghet, Anestesia e Rianimazione 57. Dott.ssa Federica Curró Dossi, Cardiologia 58. Dott.ssa Maria Felicia Filardo, Anestesia e Rianimazione 59. Dott. Stefano Paronuzzi, Medicina Interna 60. Dott.ssa Valentina Braia, Malattie dell’apparato cardiovascolare 61. Dott. Francesco Napoli, Medicina d’emergenza e urgenza 62. Dott.ssa Irene Vanacore, Ginecologia e Ostetricia 63. Dott. Lorenzo Boriglione, Ginecologia e Ostetricia 64. Dott.ssa Teresa Ruggiero, Anestesia e Rianimazione 65. Dott.ssa Caterina Guerra, Radiodiagnostica 66. Dott.ssa Federica Gavello, Ginecologia e Ostetricia 67. Dott. Salvatore Andrea Randazzo, Medicina d’emergenza e urgenza 68. Dott.ssa Beatrice Sanna, Malattie dell’apparato cardiovascolare 69. Dott. Luca Tricomi, Malattie dell’apparato cardiovascolare 70. Dott. Gianvito Cotangelo, Ginecologia e Ostetricia 71. Dott.ssa Federica Buzzurro, Nefrologia e Dialisi 72. Dott.ssa Claudia Marraccini, Ginecologia e Ostetricia 73. Dott. Guglielmo Merlino, Cardiologia 74. Dott. Andrea Ranieri, Anestesia e Rianimazione 75. Dott. Luca Nissardi 76. Dott. Federico Favaro, Reumatologia 77. Dott. Manuel Petracca, Cardiologia 78. Dott. Bono Niccolò, Radiodiagnostica 79. Dott. Vincenzo Carella, Medicina interna 80. Dott.ssa Rachele Gastaldi, Gastroenterologia 81. Dott. Pietro Denti, Ginecologia e Ostetricia 82. Dott.ssa Matilde Giudetti, Ginecologia e Ostetricia 83. Dott. Luca Cozzone, Oncologia 84. Dott.ssa Lisa Gassino, Anestesia e Rianimazione 85. Dott.ssa Francesca Giacchino, Ginecologia e Ostetricia 86. Dott.ssa Federica Agagliati, Neuropsichiatria Infantile 87. Dott.ssa Valentina Pizzorni, Ginecologia e Ostetricia 88. Dott. Lorenzo Sauro, Endocrinologia 89. Dott.ssa Anna Rigodanza, Medicina d’emergenza e urgenza 90. Dott.ssa Caterina Galasso, Ginecologia e Ostetricia 91. Dott. Edoardo Gallizio, Pediatria 92. Dott. Emanuele Tau, Anestesia e Rianimazione 93. Dott.ssa Irene Praticò, Medicina Interna 94. Dott.ssa Elisa Rossi, Pediatria 95. Dott.ssa Valentina Ortale, Medicina d’urgenza ed emergenza 96. Dott.ssa Modugno Elisa, Pediatria 97. Dott.ssa Mimma Trevisani, Medicina d’urgenza ed emergenza 98. Dott.ssa Giulia Bonacina, Medicina d’urgenza ed emergenza 99. Dott. Caruso Nunziante, Nefrologia 100. Dott. Andrea De Caro, Anestesia e Rianimazione 101. Dott.ssa Elisa Catale, Malattie dell’apparato cardiovascolare 102. Dott.ssa Gloria Riva, Malattie dell’apparato cardiovascolare 103. Dott.ssa Martina Bortoloni, Ginecologia e Ostetricia 104. Dott.ssa Anita Somenzi, Pediatria 105. Dott.ssa Francesca Lionetto, Medicina d’urgenza ed emergenza 106. Dott.ssa Ludovica Torchio, Ginecologia e Ostetricia 107. Dott.ssa Francesca Giungato, Malattie Infettive e tropicali 108. Dott.ssa Francesca Romano, Malattie Infettive e tropicali 109. Dott.ssa Elisa Vuaran, Malattie Infettive e tropicali 110. Dott. Enrico Garro, Malattie Infettive e tropicali 111. Dott.ssa Cristina Bobba, Malattie Infettive e tropicali 112. Dott. Carlo Luigi Piumatti, Oncologia medica 113. Dott. Matteo Ajassa, Medicina fisica e riabilitativa114. Dott.ssa Giulia D’Agnolo, Medicina d’urgenza ed emergenza 115. Dott.ssa Valentina Fornari, Malattie Infettive e tropicali 116. Dott.ssa Maria Chiara Ottino, Malattie Infettive e tropicali 117. Dott.ssa Livia Sormonta, Medicina d’urgenza ed emergenza 118. Dott.ssa Andreina Bichiri, Endocrinologia e Malattie del Metabolismo 119. Dott.ssa Ilaria Campisi, Oncologia medica 120. Dott. Emanuele Drappero, Malattie Infettive e tropicali 121. Dott.ssa Silvia Prato, Medicina d’urgenza ed emergenza 122. Dott.ssa Viviana Maccario, Malattie Infettive e tropicali 123. Dott.ssa Margherita Mautino, Otorinolaringoiatria 124. Dott.ssa Debora Masci, Oncologia medica 125. Dott.ssa Eleonora Dicesare, Pediatria 126. Dott.ssa Anna Tallone, Pediatria 127. Dott.ssa Carlotta Saracco, Pediatria 128. Dott.ssa Agnese Casamenti, Pediatria 129. Dott.ssa Letizia Tiberia, Anestesia e Rianimazione   130. Dott. Alessandro Cogorno, Pediatria 131. Dott. Valerio Santoro, Pediatria 132. Dott.ssa Anna Biga, Pediatria 133. Dott. Luigi D’Angelo, Pediatria 134. Dott. Tommaso Bini, Pediatria 135. Dott.ssa Giulia Serra, Pediatria 136. Dott.ssa Ilaria Camerlo, Pediatria  137. Dott.ssa Sofia Poggi Longostrevi, Pediatria 138. Dott. Luigi Veleno, Pediatria 139. Dott. Giacomo Ronconi, Oncologia medica 140. Dott.ssa Bianca Capocaccia, Pediatria 141. Dott. Valentin Nicolae Iftime, Psichiatria 142. Dott. Lucco Castello Stefano, Anestesia e Rianimazione 143. Dott. Antonino Incadorna, Pediatria 144. Dott. Guglielmo David, Chirurgia generale 145. Dott.ssa Giorgia Prandi, Pediatria 146. Dott.ssa Julia Muzio, Endocrinologia e malattie del metabolismo 147. Dott. Matteo Sandei, Pediatria 148. Dott.ssa Irene Ruvituso, Pediatria 149. Dott.ssa Alice Ravetto, Pediatria 150. Dott.ssa Eleonora Fontani, Pediatria 151. Dott. Emanuele Savasta, Pediatria 152. Dott.ssa Valeria Pardo, Pediatria 153. Dott. Simone Basso, Pediatria 154. Dott.ssa Alessandra Vincenza Fera 155. Dott.ssa Chiara Lo Presti, Pediatria 156. Dott. Andrea Di Stefano, Pediatria 157. Dott. Adriano Scornovacche, Pediatria 158. Dott. Lorenzo Scaglione, Pediatria 159. Dott. Alberto Rigo, Anestesia e Rianimazione 160. Dott. Lorenzo Cantore, Medicina Interna 161. Dott.ssa Francesca Osella, Ginecologia e Ostetricia 162. Dott. Giulio Romano, Medicina interna 163. Dott. Danilo Gambino, Pediatria 164. Dott. Matteo Ferrante, Medicina interna 165. Dott.ssa Lisa Mollia, Medicina interna 166. Dott.ssa Micol Ottino, Pediatria 167. Dott. Andrea Gaido, Medicina interna 168. Dott.ssa Cecilia Marengo, Pediatria 169. Dott. Tommaso Vaccari, Pediatria 170. Dott.Simone Mattivi, Medicina interna 171. Dott.ssa Federica Gattino, Medicina interna 172. Dott. Stefano Dallari, Medicina dello Sport e dell’Esercizio fisico 173. Dott.ssa Francesca Posillico, Medicina interna 174. Dott.ssa Chiara Moressa, Medicina interna 175. Dott.ssa Carlotta Giambra, Medicina interna 176. Dott. Pietro Ponzo, Pediatria 177. Dott.ssa Silvia Dogliotti, Medicina interna 178. Dott.ssa Cinzia Parola, Medicina interna 179. Dott. Giulia Morone, Psichiatria 180. Dott. Marco De Benedetti, Medicina interna 181. Dott. ssa Annalisa Caramia, Medicina interna 182. Dott. ssa Rosa Fornicch, Medicina interna 183. Dott. Lorenzo Serroni, Malattie Infettive e tropicali 184. Dott.ssa Maria Filomena Lamberti, Medicina interna 185. Dott. ssa Dalila Brero, Medicina interna 186. Dott. ssa Sandra Vergnano, Anestesia e Rianimazione 187. Dott. ssa Irene Ferri, Pediatria 188. Dott. Nicola De Stefano, Chirurgia generale 189. Dott.ssa Mariavittoria Sala, Pediatria 190. Dott. ssa Ilaria Salerno, Pediatria 191. Dott.ssa Carolina Carlà, Chirurgia vascolare 192. Dott. Roberto Fresca, Medicina interna 193. Dott.ssa Carlotta Ghione, Malattie Infettive e tropicali 194. Dott.ssa Miriam Ayoubi Khajekini, Medicina fisica e riabilitativa 195. Dott. Mohamad Ali Matar, Pediatria 196. Dott.ssa Arianna Frasson, Anestesia e Rianimazione 197. Dott. Andrea Gidiucci, Anestesia e Rianimazione 198. Dott.ssa Letizia Barbatelli, Medicina fisica e riabilitativa 199. Dott.ssa Nicole Badas, Anestesia e Rianimazione 200. Dott. Alessandro Berardi, Anestesia e Rianimazione 201. Dott.ssa Laura Siciliano, Pediatria 202. Dott. Karim El  Nagar, Pneumologia 203. Dott.ssa Giorgia Trolese, Psichiatria 204. Dott.ssa Emanuela Greco, Ginecologia e Ostetricia 205. Dott. Marco Repetto, Anestesia e Rianimazione 206. Dott. Simone Scrivanti, Anestesia e Rianimazione 207. Dott. Andrea Fiorillo, Medicina fisica e riabilitativa 208. Dott.ssa Alessandra Canale, Anestesia e Rianimazione 209. Dott.ssa Giorgia Zanuccoli, Anestesia e Rianimazione 210. Dott.ssa Chiara Peris, Anestesia e Rianimazione 211. Dott. Nasim Taheri, Pediatria 212. Dott.ssa Paola Cascitelli, Medicina d’urgenza ed emergenza 213. Dott. Carlotta Ustica, Anestesia e Rianimazione 214. Dott.ssa Giorgia Danese, Medicina d’urgenza ed emergenza 215. Dott.ssa Chiara Bongiovanni, Anestesia e Rianimazione 216. Dott.ssa Cecilia Marasco,  Anestesia e Rianimazione 217. Dott. Mattia Monfroglio, Anestesia e Rianimazione 218. Dott.ssa Viola Ferrero, Neuropsichiatria infantile 219. Dott. Marco Cerutti, Pediatria 220. Dott.ssa Eleonora di Bono, Pediatria 221. Dott.ssa Carola Boschetti 223. Dott. Graziano Carlin, Anestesia e Rianimazione 224. Dott.ssa Alice Geranzani, Pediatria 225. Dott.ssa Martina Cavagnero, Anestesia e Rianimazione 226. Dott.ssa Stefania Zappalà, Pediatria 227. Dott.ssa Sara Voghera, Anestesia e Rianimazione 228. Dott.ssa Valentina Casale, Anestesia e Rianimazione 229. Dott.ssa Francesca Rossanino, Medicina d’emergenza e urgenza 230. Dott.ssa Mariacristina Barletta, Medicina d’emergenza e urgenza 231. Dott.ssa Silvia Cascone, Medicina d’emergenza e urgenza 232. Dott.ssa Alessia Gerace, Pediatria 233. Dott.ssa Federica Meli, Pediatria 234. Dott.ssa Giulia Borini, Pediatria 235. Dott.ssa Maria Francesca Faggiano, Anestesia e Rianimazione 236. Dott.ssa Sofia Nicolì, Pediatria 237. Dott.ssa Arianna Curto, Anestesia e Rianimazione 238. Dott. Lorenzo Marega, Igiene e Medicina Preventiva 239. Dott.ssa Daisy Bellino, Anestesia e Rianimazione 240. Dott.ssa Alessia Mattucci, Anestesia e Rianimazione 241. Dott. Giacomo Francesco Amarotti, Medicina Fisica e Riabilitativa 242. Dott. Enrico Presta, Medicina Fisica e Riabilitativa 243. Dott. Samuel J. Gardner-Medwin, Ginecologia e Ostetricia 244. Dott.ssa Martina Gagnone, Medicina fisica e riabilitativa 245. Dott.ssa Marta Avataneo, Medicina interna 246. Dott.ssa Ignazzi Sara, Pediatria 247. Dott.ssa Chiara Novara, Pediatria 248. Dott.ssa Emma Laterza, Medicina fisica e riabilitativa 249. Dott.ssa Daniela di Giacomo, Anestesia e Rianimazione 250. Dott. Felice Camurati, Malattie dell’apparato digerente 251. Dott. Mattia Gumina, Medicina fisica e riabilitativa 252. Dott.ssa Francesca Chiappino, Pediatria 253. Dott.ssa Mariaserena Solano, Ginecologia e Ostetricia 254. Dott.ssa Vanessa Valente, Medicina fisica e riabilitativa 255. Dott.ssa Anna Barilli, Medicina interna 256. Dott.ssa Margherita Branca, Pediatria 257. Dott.ssa Anna Colomba, Medicina interna 258. Dott.ssa Paola Fuselli, Pediatria 259. Dott.ssa Chiara Valenti, Pediatria 260. Dott.ssa Irene Papetti, Pediatria 261. Dott.ssa Kristela Topalli, Pediatria 262. Dott. ssa Chiara Paudice, Pediatria 263. Dott.ssa Carola Cassetta, Anestesia e Rianimazione 264. Dott. Enrico Trogolo, Medicina d’emergenza e urgenza 265. Dott. Michele Tripaldi, Ginecologia e Ostetricia 266. Dott.ssa Cecilia Diamanti, Pediatria 267. Dott. Leonardo Cigna, Psichiatria 268. Dott.ssa Eleonora Lacchia, Anestesia e Rianimazione 269. Dott.ssa Roberta Ferrara, Medicina Interna 270. Dott.ssa Anna de Francesco 271. Dott.ssa Ottavia Mazzucco, Medicina d’emergenza e urgenza 272. Dott.ssa Ginevra Fortunati, Ginecologia e Ostetricia 273. Dott.ssa Michela Crugnola, Oftalmologia 274. Dott. Davide Ferri, Pediatria 275. Dott. Damiano Nesi, Chirurgia generale 276. Dott.ssa Sara Comanzo, Ginecologia e Ostetricia 277. Dott.ssa Ginevra Mocchetti, Ginecologia e Ostetricia 278. Dott.ssa Giulia Picca, Pediatria 279. Dott.ssa Cristina Lanzetta, Oncologia medica 280. Dott.ssa Gaia Grilli, Endocrinologia 281. Dott. Rudoni Stefano, Neuropsichiatria infantile 282. Dott.ssa Giovanna Romeo, Anestesia e Rianimazione 283. Dott.ssa Benedetta Del Rio, Oncologia medica 284. Dott. Niccolò Spano, Pediatria 285. Dott.ssa Matilde Pradella, Ginecologia e Ostetricia 286. Dott.ssa Lucia Del Core, Anestesia e Rianimazione 287. Dott.ssa Giulia Ferrari, Medicina interna 288. Dott.ssa Elena Rubatto, Medicina interna 289. Dott.ssa Elizaveta Ausheva, Medicina interna 290. Dott.ssa Ludovica Cipolla, Medicina interna 291. Dott.ssa Veronica di Matteo, Pediatria 292. Dott. Marco Caldarone, Medicina interna 293. Dott.ssa Costanza Valentini, Ginecologia e Ostetricia 294. Dott.ssa Carla Ogoumah Olagot, Otorinolaringoiatria 295. Dott.ssa Sara Gondolo, Ginecologia e Ostetricia 296. Dott. ssa Eva Costantini, Radioterapia 297. Dott. Giovanni Battista Rossi, Neurologia 298. Dott. ssa Federica Massazza, Ortopedia e Traumatologia 299. Dott.ssa Ilaria Monitillo, Oncologia Medica 300. Dott.ssa Elisa Papalia, Ortopedia e Traumatologia 301. Dott.ssa Alice Ferrua, Medicina Interna 302. Dott.ssa Floriana Mao, Medicina Interna 303. Dott.ssa Federica Buzzurro, Nefrologia e Dialisi 304. Dott.ssa Laura Bonfante, Medicina d’Emergenza e Urgenza 305. Dott.ssa Carola Beltratti, Ginecologia e Ostetricia 306. Dott. Dentato Matteo, Igiene e medicina preventiva 307. Dott.ssa Irene Fiorin, Ginecologia e Ostetricia 308. Dott.ssa Felicetta Sgarlata, Ortopedia e Traumatologia 309. Dott.ssa Giulia Spagna, Pediatria 310. Dott.ssa Alice Ramanand, Anestesia e rianimazione 311. Dott.ssa Carla Carbonaro, Cardiologia 312. Dott.ssa Mariausilia Giurdanella, Ginecologia e Ostetricia 313. Dott.ssa Elena Colitti, Medicina Fisica e Riabilitativa 314. Dott. Yusuf Omar Ahmed, Chirurgia pediatrica 315. Dott.ssa Giovanna Vesnaver, Medicina interna 316. Dott.ssa Miriam Folino Gallo, Ginecologia e ostetricia 317. Dott. Francesco Bruno, Geriatria 318. Dott.ssa Laura Dorighelli, Malattie dell’apparato respiratorio 319. Dott. Matteo Astengo, Medicina interna 320. Dott.ssa Francesca Trecca, Pediatria 321. Dott.ssa Asia Aimo, Geriatria 322. Dott. Edoardo Burzi, Pediatria 323. Dott.ssa Federica Lorelli, Medicina Fisica e Riabilitativa 324. Dott. Stefano Sottemano, Neuropsichiatria Infantile Firme in continuo aggiornamento (06/10/2025)  Per firmare clicca qui.