Cosa c’è dietro il nuovo piano di Israele per dividere Gaza in due

InfoAut: Informazione di parte - Tuesday, November 4, 2025

Mentre Trump elogia la “pace”, Israele sta consolidando un nuovo regime di confini fortificati, governo per procura e disperazione orchestrata, con l’espulsione ancora obiettivo finale.

Fonte: English version

Di Muhammad Shehada , 31 ottobre 2025

Immagine di copertina: Palestinesi camminano tra le rovine delle loro case nel quartiere di Tal Al-Hawa, nella parte meridionale di Gaza, 17 ottobre 2025. (Khalil Kahlout/Flash90)

Dall’entrata in vigore del cessate il fuoco tra Israele e Hamas, l’amministrazione Trump ha salutato con entusiasmo l’inizio di un nuovo capitolo a Gaza. “Dopo tanti anni di guerra incessante e pericoli infiniti, oggi i cieli sono calmi, le armi tacciono, le sirene sono ferme e il sole sorge su una Terra Santa finalmente in pace”, ha dichiarato il presidente durante il suo discorso alla Knesset all’inizio di questo mese. Ma i fatti sul campo rivelano una realtà drammaticamente più cupa e gettano luce sul nuovo piano di Israele per il dominio permanente dell’enclave.

Con la cosiddetta “Linea Gialla”, Israele ha diviso la Striscia in due: Gaza Ovest, che comprende il 42 percento dell’enclave, dove Hamas mantiene il controllo e dove sono stipate oltre 2 milioni di persone; e Gaza Est, che comprende il 58 percento del territorio, che è stato completamente spopolato dai civili ed è controllato dall’esercito israeliano e da quattro bande per procura .

Secondo il piano Trump, questa linea era intesa come un indicatore temporaneo, la prima fase del graduale ritiro di Israele dalla Striscia, mentre una Forza Internazionale di Stabilizzazione assumeva il controllo sul territorio. Invece, le forze israeliane si stanno trincerando, rafforzando la divisione con terrapieni, fortificazioni e barriere che suggeriscono un passaggio verso la permanenza.

La parte occidentale di Gaza sta diventando simile al Libano meridionale, che l’esercito israeliano ha continuato a bombardare periodicamente dopo la firma di un cessate il fuoco con Hezbollah lo scorso novembre. Dall’inizio della tregua a Gaza, attacchi aerei, droni e mitragliatrici israeliani hanno continuato a colpire la popolazione quotidianamente, solitamente con il pretesto infondato di “sventare un attacco imminente”, per rappresaglia contro presunti attacchi ai soldati israeliani o prendendo di mira individui che si avvicinano alla Linea Gialla. Finora, questi attacchi hanno ucciso oltre 200 palestinesi, tra cui decine di bambini.

Israele continua a limitare gli aiuti a Gaza occidentale, con una media di circa 95 camion in entrata al giorno durante i primi 20 giorni di cessate il fuoco, ben al di sotto dei 600 al giorno previsti dall’accordo tra Israele e Hamas. La maggior parte dei residenti ha perso la casa , ma Israele continua a impedire l’ingresso di tende, roulotte, unità abitative prefabbricate e altri beni essenziali, con l’inverno alle porte.

Forze di sicurezza palestinesi sequestrano camion di aiuti umanitari che entrano nella Striscia di Gaza attraverso il valico di Kerem Shalom, 16 ottobre 2025. (Saeed Mohammed/Flash90)

Gaza Est, un tempo granaio dell’enclave, è ora una landa desolata. Colleghi e amici che vivono nelle vicinanze descrivono il rumore costante di esplosioni e demolizioni: soldati israeliani e coloni privati ​​stanno ancora sistematicamente radendo al suolo tutti gli edifici rimasti, tranne i piccoli accampamenti destinati alle bande che vivono sotto la protezione dell’esercito israeliano e sono dotati di armi, denaro, veicoli e altri beni di lusso.

Israele non ha intenzione di lasciare Gaza Est a breve. L’esercito ha rafforzato la Linea Gialla con blocchi di cemento, inglobando ampie fasce di Gaza Ovest, e il Ministro della Difesa Israel Katz si è apertamente vantato di autorizzare il fuoco su chiunque si avvicini alla barriera, anche solo per cercare di raggiungere la propria casa. Alcuni rapporti suggeriscono anche che Israele stia pianificando di estendere ulteriormente la Linea Gialla nella Gaza Ovest, ma l’amministrazione Trump per ora sembra rimandare questa mossa.

E in una conferenza stampa della scorsa settimana, l’inviato di Trump, Jared Kushner, ha annunciato che la ricostruzione avverrà solo nelle aree attualmente completamente controllate dall’esercito israeliano, mentre il resto di Gaza rimarrà un cumulo di macerie e cenere finché Hamas non si disarmerà completamente e porrà fine al suo governo.

Queste divisioni sempre più profonde tra Gaza Est e Ovest preannunciano quella che il Ministro israeliano per gli Affari Strategici Ron Dermer ha definito “la soluzione dei due stati… all’interno di Gaza stessa”. Israele permetterebbe una ricostruzione simbolica nelle aree di Rafah governate dalle sue bande per procura, mentre il resto di Gaza Est diventerebbe probabilmente una zona cuscinetto rasa al suolo e una discarica per Israele. In questo scenario, Gaza Ovest rimarrebbe in un perpetuo stato di guerra, devastazione e privazioni.

Questa non è una ricostruzione postbellica, ma piuttosto una disperazione architettata, imposta attraverso muri, la costante minaccia di violenza militare e reti di collaborazionisti. Gaza viene ricostruita non per il bene della sua popolazione, ma per consolidare il controllo israeliano permanente e perseguire il suo obiettivo di lunga data: costringere i palestinesi a lasciare la Striscia.

Hamas riafferma il controllo

Da parte sua, Hamas ha cercato di riaffermare il controllo nella Striscia di Gaza occidentale per invertire il collasso sociale provocato da Israele in due anni di genocidio. Non appena il cessate il fuoco è entrato in vigore, Hamas ha avviato una stretta sulla sicurezza per perseguire i criminali e disarmare i clan e le milizie sostenute da Israele.

Membri mascherati di Hamas durante un’operazione per arrestare presunti collaboratori della milizia di Yasser Abu Shabab, nella Striscia di Gaza meridionale. (Saeed Mohammed/Flash90)

La campagna ha raggiunto l’apice con l’esecuzione pubblica di otto presunti collaboratori, insieme a pesanti scontri con il clan Daghmoush : una calcolata dimostrazione di forza volta a intimidire i gruppi rivali. La strategia è sembrata efficace: diverse famiglie  hanno consegnato le armi ad Hamas senza combattere.

Con questa campagna, Hamas mira anche a comunicare, sia a livello nazionale che internazionale, che non è stato sconfitto nonostante le ingenti perdite subite durante la guerra, e che non può essere  escluso nei dibattiti sul futuro di Gaza. Allo stesso tempo, il gruppo sta cercando di ripristinare una parvenza di ordine civile e di vendicarsi dei membri di bande criminali  che hanno sfruttato il caos della guerra per saccheggiare e depredare i civili. Questo fa anche parte di uno sforzo per recuperare legittimità dopo aver perso gran parte del suo sostegno popolare a causa della vasta distruzione di Gaza.

Nel frattempo, il Primo Ministro Benjamin Netanyahu ha cercato disperatamente di convincere Trump a permettere a Israele di riprendere il genocidio, sfruttando episodi isolati a Rafah per giustificare una nuova azione militare. In un caso, due soldati israeliani sarebbero stati uccisi dopo aver investito ordigni inesplosi; in un altro, i soldati sono stati attaccati da quella che sembrava essere una piccola cellula di Hamas , ignara del cessate il fuoco o di qualsiasi legame con la catena di comando del gruppo.

Netanyahu ha anche trasformato in un’arma l’operazione di sicurezza da parte di Hamas , descrivendola come una strage di civili e accusando il gruppo di rifiutarsi di restituire i corpi degli ostaggi, il tutto nel tentativo di convincere Washington a dare il via libera a una nuova offensiva a Gaza con il pretesto di fare pressione su Hamas.

Il presidente degli Stati Uniti, ancora euforico per la rara ondata di copertura mediatica positiva che ha circondato il cessate il fuoco a Gaza, ha finora tenuto a freno Israele , anche se non è chiaro per quanto tempo durerà. Il capo di stato maggiore congiunto è il prossimo in lizza per fare da babysitter a Netanyahu, dopo le visite di Trump, del vicepresidente J.D. Vance e del segretario di Stato Marco Rubio.

Per ora, il presidente è determinato a mantenere il cessate il fuoco, anche solo nominalmente, per evitare che venga  percepito come un fallimento o come un gioco di prestigio da parte di Netanyahu. Ma il primo ministro israeliano scommette che, col tempo, Trump si lascerà distrarre dalla prossima grande novità, perderà interesse per Gaza e gli darà di nuovo carta bianca.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu interviene in una sessione speciale della Knesset insieme al presidente degli Stati Uniti Donald Trump, a Gerusalemme, il 13 ottobre 2025. (Yonatan Sindel/Flash90)

‘Una Nuova Rafah’

Ma se non fosse in grado di tornare a un assalto su vasta scala, il piano di riserva di Israele è stato quello di persuadere la Casa Bianca a limitare la ricostruzione alla striscia di Gaza orientale controllata da Israele, iniziando da Rafah, convenientemente lungo il confine con l’Egitto, dove oltre 150.000 abitanti di Gaza sono già fuggiti (la ricostruzione nel nord, in aree come Beit Lahiya, è assente da questi piani). Secondo quanto riportato dai media israeliani, la città ricostruita, che includerebbe “scuole, cliniche, edifici pubblici e infrastrutture civili”, sarebbe circondata da una vasta area cuscinetto, di fatto una ” zona di morte “.

Alla fine, Israele potrebbe consentire o addirittura incoraggiare i palestinesi a trasferirsi nelle aree ricostruite di Rafah, come “zona sicura” a Gaza dove i civili possono fuggire da Hamas – un’idea che le voci filo-israeliane sui media americani hanno cercato di vendere. Poiché Hamas non può essere completamente eliminato da Gaza, come ha recentemente ammesso Amit Segal, editorialista politico israeliano e alleato di Netanyahu , l’unico “futuro” per i palestinesi nell’enclave sarà nell’Est smilitarizzato sotto il controllo israeliano.

“Una nuova Rafah… questa sarebbe la Gaza moderata”, ha detto Segal a Ezra Klein del New York Times. “E l’altra Gaza sarebbe ciò che giace tra le rovine di Gaza City e nei campi profughi nella Gaza centrale”.

Attualmente, gli unici abitanti palestinesi a Rafah sono membri della milizia di Yasser Abu Shabaab, un gruppo legato all’ISIS, armato, finanziato e protetto da Israele. Sembra altamente improbabile che molti palestinesi accettino di vivere sotto il dominio di un signore della guerra, spacciatore condannato e collaborazionista che ha sistematicamente saccheggiato le scorte alimentari e imposto la fame a Gaza su ordine di Israele. Inoltre, chiunque attraversi la Striscia di Gaza orientale controllata da Israele rischia di essere visto come un collaborazionista, come è successo al famoso attivista anti-Hamas Moumen Al-Natour, fuggito dalla recente repressione di Hamas verso il territorio di Abu Shabaab e successivamente ripudiato dalla sua famiglia.

Anche se alcuni abitanti di Gaza disperati accettassero di trasferirsi a Rafah, Israele non li lascerebbe semplicemente passare in massa da Gaza Ovest a Gaza Est, invocando il pretesto di impedire l’infiltrazione di Hamas tra la folla. Il piano delle ” bolle di sicurezza ” – proposto per la prima volta dall’allora Ministro della Difesa Yoav Gallant nel giugno 2024 – che prevedeva la creazione di 24 campi chiusi in cui la popolazione di Gaza sarebbe stata gradualmente trasferita, fornisce un modello: l’esercito israeliano probabilmente ispezionerebbe e autorizzerebbe ogni individuo autorizzato ad attraversare Gaza Est, producendo inevitabilmente un lungo e invasivo processo burocratico basato sull’intelligenza artificiale che lascerebbe i richiedenti vulnerabili al ricatto delle agenzie di sicurezza israeliane, che potrebbero richiedere collaborazione in cambio dell’ingresso.

Israele ha chiarito ampiamente che chiunque attraversi quella “zona sterile” di Rafah non sarà autorizzato a tornare dall’altra parte di Gaza, trasformando Rafah in un “campo di concentramento”, come ha affermato l’ex primo ministro israeliano Ehud Olmert . Molti palestinesi eviteranno quindi di entrare nella Gaza orientale per paura che, se Israele riprendesse il genocidio con la sua precedente intensità, potrebbero essere spinti in Egitto. Infatti, pur predisponendo piani per consentire la ricostruzione di Rafah, l’esercito israeliano continua a demolire e far saltare in aria le case e gli edifici rimasti proprio in quella zona.

Migliaia di palestinesi si radunano alla rotonda di Tahlia, Rafah, nel disperato tentativo di ottenere farina, Striscia di Gaza, 23 luglio 2025. (Doaa Albaz/Activestills)

In definitiva, la “Nuova Rafah” israeliana fungerebbe da villaggio Potemkin – una facciata esterna per far credere al mondo che la situazione sia migliore di quanto non sia in realtà, offrendo solo un rifugio di base e una sicurezza marginalmente maggiore ai palestinesi che vi fuggono. E senza una ricostruzione completa o un orizzonte politico, questo piano sembra assomigliare a quanto promesso dal Ministro delle Finanze israeliano Bezalel Smotrich a maggio: “I cittadini di Gaza saranno concentrati nel sud. Saranno totalmente disperati, comprendendo che non c’è speranza e nulla da cercare a Gaza, e cercheranno di essere trasferiti per iniziare una nuova vita altrove”.

Il disarmo come trappola

Indipendentemente dal fatto che la ricostruzione nella Striscia di Gaza orientale proceda o meno, Israele continuerà a definirla sempre più una zona “libera dal terrorismo” e “deradicalizzata” e continuerà a bombardare l’altra parte con il pretesto di disarmare e deporre Hamas.

Il gruppo islamista ha già accettato di consegnare Gaza a un comitato tecnico amministrativo e di consentire il dispiegamento nell’enclave di una nuova forza di sicurezza palestinese addestrata da Egitto e Giordania, insieme a una missione di protezione internazionale. Netanyahu, tuttavia, ha respinto categoricamente l’ingresso di 5.500 poliziotti palestinesi a Gaza, ha rifiutato di consentire l’ingresso nella Striscia di forze di stabilizzazione turche o qatariote e ha ostacolato la creazione del comitato amministrativo.

Allo stesso modo, il disarmo è un’area di ambiguità che fornisce a Israele un pretesto pressoché infinito per impedire la ricostruzione nella Striscia di Gaza occidentale e mantenere il controllo militare. Hamas ha fatto sapere che accetterebbe di smantellare le sue armi offensive (come i razzi) e ha già accettato la rinuncia al resto del suo armamento difensivo leggero (incluse armi da fuoco e missili anticarro) come risultato di un accordo di pace, piuttosto che come prerequisito.

Hamas è anche aperta a un processo simile a quello dell’Irlanda del Nord, in base al quale rinchiuderebbe le sue armi difensive nei magazzini e si impegnerebbe a una completa cessazione reciproca delle ostilità per un decennio o due, o fino alla fine dell’occupazione illegale di Israele. In tal caso, le rimanenti armi leggere fungerebbero da garanzia che Israele non rinnegherebbe le sue promesse di ritirarsi da Gaza e porre fine al genocidio.

Membri delle Brigate Qassam di Hamas mettono in sicurezza la zona mentre le squadre utilizzano macchinari pesanti per cercare i corpi degli ostaggi israeliani, nel campo profughi di Nuseirat, nella Striscia di Gaza centrale, 27 ottobre 2025. (Ali Hassan/Flash90)

Sia il governo britannico che quello egiziano , insieme all’Arabia Saudita e ad altre potenze regionali, stanno attualmente spingendo per il modello di disarmo dell’Irlanda del Nord, un segno che riconoscono la delicatezza e la complessità della questione del disarmo.

L’insistenza di Israele sul disarmo totale immediato è una trappola deliberatamente inattuabile che esige la resa completa dei palestinesi. Anche se la leadership di Hamas a Doha fosse in qualche modo costretta ad accettare questa capitolazione, molti dei suoi stessi membri e di altri gruppi militanti a Gaza sarebbero destinati a disobbedire. Ciò sarebbe simile all’accordo di disarmo della Colombia , in cui molti militanti delle FARC hanno disertato e creato nuove milizie o si sono uniti a bande.

E finché l’esercito israeliano rimarrà all’interno di Gaza, senza una reale prospettiva di porre fine all’assedio e al regime di apartheid di Israele, ci sarà sempre un incentivo per alcuni attori a imbracciare le armi. Israele potrà quindi indicare quei gruppi separatisti o singoli militanti come giustificazione per continuare a bombardare e occupare Gaza.

Israele ha impiegato oltre 740 giorni, quasi 100 miliardi di dollari e perso circa 470 soldati per ridurre Gaza in polvere. Come si è vantato Netanyahu a maggio , Israele sta “distruggendo sempre più case [a Gaza, e di conseguenza i palestinesi] non hanno un posto dove tornare”, aggiungendo: “L’unica conseguenza ovvia sarà che i cittadini di Gaza sceglieranno di emigrare fuori dalla Striscia”.

Anche dopo aver fallito nel tentativo di ottenere un’espulsione di massa attraverso un attacco militare diretto, la leadership israeliana sta ora perseguendo lo stesso risultato attraverso la disperazione orchestrata, usando macerie, assedi e bombardamenti periodici come strumenti di riorganizzazione demografica. La prospettiva della pulizia etnica non è scomparsa con il cessate il fuoco; si è semplicemente evoluta in una nuova politica, mascherata e normalizzata attraverso una pianificazione burocratica.

Muhammad Shehada è uno scrittore e analista politico di Gaza, ricercatore ospite presso l’EuropeanCouncil on Foreign Relations.

Traduzione a cura di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali”, per Invictapalestina.org