Corpi senza tomba. Storia di Mohamed Amine e gli altri dispersi di Bizerte

Osservatorio Repressione - Saturday, February 22, 2025

La speranza e il dolore Farah che continua a lottare per la verità, e perché anche di fronte all’immensità del mare ogni vita venga ricordata; e ogni storia, per quanto tragica, raccontata

di Luna Casarotti – Yairaiha ets da Monitor

Farah è una madre e una donna coraggiosa che si è rivolta alla nostra associazione per avere notizie di suo figlio Aouina Mohamed Amine, di soli sedici anni, scomparso durante un viaggio verso l’Europa.

Mohamed Amine è partito la notte del 5 febbraio 2024 da Bizerte, a bordo di un gommone nero, insieme ad altre diciassette persone, tra le quali sono noti i nomi di Helmi, Yassim, Mohamed, Bilel, Ayoub, Seif, Fahmi, Mahdi, Maher, Mohamed Omar, Ghanim, Souahail e del piccolo Anas, di appena cinque anni. La destinazione era Cagliari, con arrivo previsto per il giorno successivo. Di lui non si sono mai più trovate tracce.

Alla partenza da Bizerte, Mohamed Amine indossava un maglione nero, pantaloni da jogging, un giubbotto e scarpe Nike nere. Il giovane aveva una piccola cicatrice sulla gamba sinistra, poco sotto il ginocchio, ricordo sul suo corpo di un infortunio subito in passato. Tre giorni dopo la partenza sua madre Farah ha ricevuto un messaggio da un numero tedesco che riferiva di un possibile avvistamento del figlio in un ospedale di Cagliari. Tuttavia, nonostante il messaggio sia ancora disponibile, il numero a oggi risulta inesistente, rendendo impossibile sia risalire al mittente che verificare se la segnalazione fosse veritiera.

Contattata la polizia, all’ufficio immigrazione sostengono che le verifiche iniziali condotte dalle autorità non abbiano portato a risultati concreti. Tra gennaio e marzo 2024 non risultano sbarchi di cittadini tunisini a Cagliari, ma solo gruppi di algerini. Inoltre, il confronto tra la fotografia del passaporto di Mohamed Amine e le immagini delle persone sottoposte a foto-segnalamento in Italia non ha dato esito positivo. La questura di Palermo sostiene che sul territorio siciliano non risulti alcuna traccia del ragazzo, pertanto il nominativo rimane sconosciuto.

Successivamente si viene a sapere che il 7 febbraio un attivista ed ex parlamentare tunisino, Majdi Karbai, noto per il suo impegno sui temi dell’immigrazione, era stato contattato da una persona, familiare di alcuni migranti in viaggio, per segnalare una situazione di emergenza. Un’imbarcazione partita da Bizerte e diretta a Cagliari si trovava bloccata in mezzo al mare a causa di un guasto al motore. I passeggeri a bordo, riusciti a raggiungere telefonicamente i propri parenti, avevano lanciato l’allarme. Karbai aveva immediatamente contattato la Guardia Costiera di Roma, quella di Cagliari e quella siciliana, oltre alla sala operativa della capitale. Nonostante l’intervento dei soccorsi, però, l’imbarcazione non venne intercettata.

La barca su cui viaggiavano Mohamed Amine e gli altri dovrebbe essere naufragata al largo della Sardegna, in condizioni di mare tempestoso, il 6 febbraio del 2024. Con l’arrivo della scorsa primavera il mare iniziò a restituire corpi di vittime, e tra marzo e aprile diversi cadaveri furono ritrovati al largo delle Eolie e di Rodia, sulle coste della Sicilia, della Calabria e della Campania. Tra i corpi recuperati, alcuni furono identificati grazie a dettagli diffusi dalla stampa.

Per esempio, il 13 aprile, il corpo di un’uomo fu trovato in stato di avanzata decomposizione dalla Capitaneria di Porto di Milazzo, nella zona di mare tra l’isola di Vulcano e il promontorio di Capo Tindari, nel comune di Patti (Messina). Il fratello della vittima lo riconobbe grazie a una serie di tatuaggi distintivi: un dragone, una tela di ragno e uno scorpione. Il giorno successivo, i resti del piccolo Anas furono rinvenuti da un pescatore nei pressi della zona industriale di Lamezia. Di suo padre Souahail, invece, non sembra essere rimasta nessuna traccia.

Grazie all’intervento dell’associazione Mem. Med. – Memoria Mediterranea, ulteriori indagini furono attivate. Tra le diciotto persone disperse si riuscì però a trovare e identificare solo cinque cadaveri. In quei giorni Farah si sottopose al test del Dna, ma l’esito fu negativo: nessuno di quei corpi era quello di suo figlio. A oggi, il nome di Mohamed Amine dovrebbe essere incluso nella lista ufficiale dei dispersi diffusa dal consolato tunisino a Roma all’epoca dei ritrovamenti, ma nonostante quattro solleciti, il consolato non fornisce alcuna conferma a riguardo. Se così non fosse, sarebbe ancora più difficile che eventuali tracce del corpo di Mohamed Amine vengano associate al suo nome, in caso di ritrovamento.

Intanto, l’incertezza è diventata per questa donna un tormento insostenibile. Da un lato, la speranza che Mohamed Amine possa essere sopravvissuto le dà la forza di continuare a cercarlo e di non arrendersi. Dall’altra, il timore che il mare, silenzioso custode di innumerevoli tragedie, possa un giorno restituirle il corpo del figlio non le dà pace. In bilico tra questa speranza e questo dolore Farah continua a lottare per la verità, e perché anche di fronte all’immensità del mare ogni vita venga ricordata; e ogni storia, per quanto tragica, raccontata.

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