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Nuova stretta sull’asilo. Paesi sicuri e Corti d’appello nel dl flussi
Decreto legge flussi, ok agli emendamenti della maggioranza. Passa anche il segreto di Stato sulle motovedette di Giansandro Merli da il manifesto Il decreto paesi sicuri è diventato un emendamento al decreto flussi, in cui entrano anche le proposte firmate Sara Kelany (Fdi): spostare la competenza sul trattenimento dei richiedenti asilo dalle sezioni specializzate in immigrazione alle Corti d’appello; secretare i contratti per i controlli di frontiera stipulati con i paesi terzi. I via libera agli emendamenti della maggioranza sono arrivati dalla Commissione affari costituzionali tra lunedì e martedì. CHE SAREBBE ANDATA così era chiaro dalle mosse della destra, impermeabile a pareri tecnici e critiche. Per le opposizioni si tratta di «un doppio scempio», di metodo e merito. Basti pensare che il dl paesi sicuri era stato incardinato al Senato ma è finito in quello sui flussi in fase di conversione alla Camera. A contestare la «confluenza» è il Comitato per la legislazione di Palazzo Madama, che fornisce indicazioni sulla qualità dei disegni di legge allo studio delle commissioni, presieduto dal senatore Pd Andrea Giorgis. «Questa tecnica di produzione normativa costituisce un uso anomalo del procedimento di conversione del dl, che può essere giustificato solo in casi eccezionali e con modalità tali da non pregiudicare l’esame parlamentare», dice il parere. Di giustificazioni, però, il governo non ne ha date. Il risultato è un’ulteriore riduzione del ruolo del parlamento. Con l’unione di vari decreti la discussione si concentra nel ramo in cui inizia l’esame «contribuendo a rafforzare quel monocameralismo di fatto che necessita invece di essere superato riconducendo l’esercizio della funzione legislativa alle modalità previste dalla Costituzione», scrive ancora il Comitato. CI SONO POI le questioni di merito. Il governo aveva deciso di trasformare il precedente decreto interministeriale sui paesi sicuri in una norma primaria per rispondere al primo round di non convalide delle detenzioni in Albania. Ha sostenuto, impropriamente, che così le toghe non avrebbero potuto disapplicare la legge, ma solo rinviare alla Consulta. 24 ore dopo il varo del dl è stato chiesto l’intervento di un tribunale sovraordinato: non la Corte costituzionale, ma quella di Giustizia Ue. Il primo rinvio pregiudiziale è partito dal tribunale di Bologna, i seguenti da Palermo, Catania e Roma. NEL FRATTEMPO il decreto è diventato un emendamento, ma il testo è rimasto uguale. I «paesi sicuri» sono 19 e tra questi figurano l’Egitto, che le opposizioni chiedevano di depennare, il Bangladesh e la Tunisia. Ovvero i tre Stati che interessano al governo Meloni perché sono in cima alla classifica degli sbarchi: poterne rinchiudere i cittadini in Albania darebbe un senso ai tanti soldi spesi per il progetto. La legge stabilisce che l’elenco andrà aggiornato periodicamente e che ogni anno, entro il 15 gennaio, il Consiglio dei ministri delibererà una relazione informativa. Questa sarà trasmessa alle Commissioni parlamentari. Le valutazioni di sicurezza andranno fatte «in applicazione dei criteri di qualificazione stabiliti dalla normativa Ue e dei riscontri rinvenuti dalle fonti di informazione fornite dalle organizzazioni internazionali competenti». È proprio questo il punto di scontro con la magistratura: chi valuta che l’elenco nazionale rispetti il diritto comunitario? Il governo ritiene quella lista un atto politico e pretende di sottrarla al controllo giurisdizionale, invocato invece dalle toghe. Deciderà la Corte del Lussemburgo, che in parte si è già pronunciata il 4 ottobre dando ragione ai giudici. «LA LISTA DEI COSIDDETTI “paesi sicuri” manca di trasparenza e ignora le evidenti violazioni dei diritti umani, minando le tutele che un paese civile dovrebbe garantire», attacca il Pd. Per Riccardo Magi (+Europa) le destre vogliono «nascondere il fallimento della campagna di Albania». Magi ha anche contestato duramente l’emendamento Kelany, che chiama «emendamento Musk», perché carente della relazione tecnica sull’impatto organizzativo ed economico del cambio di competenza tra i tribunali. «È inammissibile», afferma. Secondo il 5S Alfonso Colucci i 5mila fascicoli gestiti annualmente dalle Corti d’appello raddoppieranno, complice soprattutto il ripristino del secondo grado per le domande d’asilo, e «sarà il caos». Nei corridoi dei palazzi di giustizia la preoccupazione è alle stelle per l’inevitabile aggravio di lavoro. I presidenti di Corte d’appello lo avevano messo nero su bianco in una lettera al governo. Quello, però, ha tirato dritto. > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp  
November 21, 2024 / Osservatorio Repressione
Il buco nero dei “luoghi idonei alla detenzione”
Stanze di detenzione di cui nessuno parla. Sono all’interno delle questure, liberalizzate dal decreto Salvini. Usate per le persone che vanno a chiedere il permesso di soggiorno, ora sono diventate una terra di nessuno fuori da ogni forma di controllo. di Luigi Mastrodonato da il Domani In Italia ci sono luoghi di detenzione più invisibili delle carceri e dei centri di permanenza per i rimpatri (Cpr). Sono i cosiddetti luoghi idonei presso le questure e le zone di transito aeroportuali. Qui i cittadini stranieri in attesa di esecuzione del rimpatrio vengono trattenuti per ore, se non per giorni, in un contesto normativo grigio, dove non esistono tutele e monitoraggio. Se le carceri italiane sono un buco nero della democrazia e i Cpr dei lager di stato, i luoghi idonei presso le questure e le zone di transito aeroportuali sono aree di detenzione amministrativa discrezionale che per la legge è come se non esistessero, ma a cui il governo sta facendo sempre più ricorso. Nel 2018 in Italia è entrato in vigore il cosiddetto “Decreto Conte/Salvini”. La legge, sbandierata come argine al boom degli sbarchi, è intervenuta tra le altre cose sul tema della detenzione amministrativa degli stranieri in attesa di rimpatrio, prevedendo che essa potesse avvenire non più solo nei Cpr, ma anche in “strutture diverse e idonee nella disponibilità dell’Autorità di pubblica sicurezza”, nel caso in cui negli stessi Cpr non ci fosse più posto. È con questa formula molto generica che in Italia è stata inaugurata la stagione dei luoghi idonei presso le questure. Succede che persone che si trovano sul territorio italiano da anni vengano convocate in questura per informazioni relative al rinnovo del permesso di soggiorno e si ritrovino invece sbattuti in una cella e poi, nel peggiore dei casi, imbarcati su un volo verso il loro paese di origine. Hassan è arrivato in Italia da ormai oltre dieci anni. Ha ottenuto un permesso di soggiorno per protezione speciale, in patria subiva discriminazioni per una malattia da cui è affetto. In Italia si è costruito una vita e ha lavorato con contratti regolari. Il governo Meloni nel 2023 ha cancellato la tipologia del suo permesso di soggiorno, che intanto gli è pure scaduto. Qualche tempo fa la questura di Milano gli ha detto di presentarsi negli uffici con il passaporto, senza dargli ulteriori dettagli. “Mi hanno fatto aspettare in sala d’attesa, poi sono arrivati gli agenti che mi hanno sequestrato il permesso scaduto, la mia carta d’identità italiana e il mio passaporto e mi hanno messo in una cella dicendo che entro poche ore mi avrebbero rimpatriato”, racconta. “Non avrei mai pensato di poter ricevere un trattamento simile, dopo aver vissuto e lavorato per anni in Italia”. La prassi prevede che le persone straniere trattenute nei locali della questura possano rimanerci per un massimo di 96 ore, durante le quali deve avvenire la convalida del rimpatrio del Giudice di pace. Il problema è che non esiste una legge a disciplinare questa restrizione della libertà personale. Che dunque si trasforma in una forma di detenzione grigia e arbitraria, fuori da ogni forma di controllo e in violazione di quelli che, normalmente, sarebbero i diritti dei detenuti. Hassan è stato diverse ore nella cella della questura. “Mi hanno sequestrato il cellulare, mi hanno dato un pantalone sporchissimo e usato da altre persone, io non avevo niente con me perché ero andato in questura pensando di restarci pochi minuti”, racconta. “C’era un materassino molto sottile su cui dormire, mentre per andare in bagno dovevi chiedere il permesso agli agenti che ti accompagnavano. Lì dovevi stare con la porta aperta, sotto sorveglianza. La mia privacy è stata violate”. Alla fine il Giudice di pace non ha convalidato l’espulsione e Hassan è uscito dalla questura da uomo libero. Anche Adem, 31 anni, ha passato qualcosa di simile. Arrivato in Italia da bambino, dopo un lungo periodo di regolarità non ha più ricevuto risposta per il rinnovo del permesso di soggiorno, che intanto è scaduto. Lo scorso luglio lo hanno fermato per un controllo in strada ed è stato portato in questura. “Avevano già il biglietto pronto per mandarmi in Marocco, era mezzogiorno e l’aereo partiva alle 18”, spiega. “Mi hanno lasciato per sette ore in una cella, mi hanno tolto tutto lasciandomi in mutande senza neanche una coperta e ritirandomi il cellulare”. L’ambiente era una sorta di discarica: “Era sporchissimo, i muri cadevano in terra, il bagno era tutto nero. Mi hanno dato da mangiare del riso ma dentro c’erano le larve. Chissà da quanti giorni era lì”. Adem è affetto da una malattia cardiaca, ha provato a spiegarlo agli agenti e a un certo punto ha finto un malore. Quando è stato portato in ospedale gli esami hanno confermato la sua sindrome e una volta in questura è stato liberato per le sue condizioni di salute. “Ho messo in scena un malore perché era l’unico modo per andare in ospedale e dimostrare che sono un soggetto fragile”, spiega. Come sottolinea in un report l’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (Asgi), “nessun protocollo è in essere con il servizio sanitario nazionale e i trattenuti non vengono sottoposti ad alcuna visita di idoneità prima di accedere alla struttura; questo perché, sostiene la questura, non vi è alcuna prescrizione di legge in tal senso”. Ma non è l’unica mancanza. Sempre l’Asgi denuncia che durante la detenzione “il diritto di presentare reclami al Garante, il diritto di corrispondenza con l’esterno e perfino il diritto a un pasto caldo sono di fatto condizionati alla disponibilità dell’operatore di turno”. Raccontare i luoghi idonei presso le questure non è facile, perché il loro monitoraggio è di fatto precluso. Abbiamo fatto richiesta alla prefettura di Milano per potervi fare visita, ma non abbiamo ricevuto risposta. Anche l’Asgi aveva ricevuto il rigetto al sopralluogo dalla questura di Milano, che poi è stato effettuato nel 2022 grazie al ricorso al Tar. Le richieste di un elenco dei luoghi idonei presso le questure italiane non ha mai avuto seguito e oggi non si sa quante siano e dove siano, né quante persone ci siano passate. Incrociando le varie testimonianze, solo a Milano le presenze sarebbero decine ogni mese. In una serie di visite effettuate tra il 2020 e il 2021 ai luoghi idonei di Bologna, Parma e Trieste, il Garante dei diritti dei detenuti ha evidenziato numerose criticità sia dal punto di vista strutturale, chiedendo interventi di adeguamento e ristrutturazione, sia riguardo i diritti di base delle persone straniere recluse, come la comunicazione con familiari e avvocati e l’accesso alle informazioni sul loro status. L’Onu ha lamentato un’assenza di tracciabilità dei luoghi idonei e condizioni detentive che rischiano di tramutarsi in una violazione dell’articolo 17 della Convenzione internazionale per la protezione di tutte le persone dalle sparizioni forzate, che vieta la detenzione segreta. I luoghi idonei presso le questure sono zone grigie di detenzione, di cui si sa molto poco. “Negli ultimi tempi è incrementata la loro funzione. Con il nostro sportello stiamo entrando in contatto con sempre più persone coinvolte”, denuncia Cesare Mariani, volontario dello sportello legale Naga. “Molti dei rimpatri ci risultano poco legittimati. Persone che avrebbero diritto a rimanere in Italia o perlomeno a ricorrere contro il provvedimento di espulsione rimanendo sul territorio, da un momento all’altro vengono invece rispedite nel loro paese di origine”. Quello che non funziona nei locali idonei è soprattutto l’isolamento totale, che rende molto difficile riuscire a dimostrare il proprio diritto a restare. E si crea anche un cortocircuito istituzionale. “I provvedimenti nel caso di domanda di protezione internazionale arrivano su parere della commissione territoriale e su esecuzione della questura, che sono a loro volta organi soggetti al ministero dell’Interno”, sottolinea Mariani, che chiosa: “Questi attori agiscono su chiare indicazioni politiche, non c’è volontà di tutela”. > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp
November 18, 2024 / Osservatorio Repressione
Migranti: “Paesi sicuri”, lo scontro è tra diritto e arbitrio
Il Tribunale di Roma, investito della convalida del trattenimento in Albania di sette richiedenti asilo, ha chiesto alla Corte di giustizia dell’Unione europea di chiarire se la legislazione italiana sui “paesi sicuri” sia conforme al diritto europeo. Non si vede cosa ci sia, in ciò, di pretestuoso. Ad essere sorprendente è, piuttosto, l’arroganza del Governo, che pretende di imporre la sua volontà anche a scapito delle regole. di Gianfranco Schiavone da Volere la Luna Non c’è nulla di pretestuoso nei quesiti posti alla Corte di giustizia dell’Unione europea dal Tribunale di Roma in merito al trattenimento in Albania del secondo gruppo di sette richiedenti asilo. Ciò che colpisce in questa storia – che molti, sbagliando, vedono come una battaglia tra poteri dello Stato a colpi di cavilli legali su temi astrusi – è l’atteggiamento arrogante dell’esecutivo, che pretende di imporre la sua volontà come se le regole che limitano il potere delle istituzioni non esistessero e tutto fosse a discrezione della maggioranza. I quesiti posti alla Corte dal Tribunale di Roma sono chiari e precisi: il concetto di paese d’origine sicuro è un dato liberamente determinabile dalla politica (come vorrebbe il Governo italiano) o una nozione giuridica definita dalla Direttiva 2013/32/UE? Il Tribunale di Roma ha disposto ben quattro “rinvii pregiudiziali” alla Corte di giustizia perché la procedura in esame prevede, oltre al trattenimento, una «particolare celerità del procedimento, con conseguente compressione dei diritti della difesa, la possibilità di dichiarare la domanda manifestamente infondata, l’esclusione dell’effetto automaticamente sospensivo del ricorso giurisdizionale avverso la decisione negativa della Commissione territoriale». Ciò comporta la possibilità di sollevare una questione pregiudiziale anche nel corso del giudizio di convalida del trattenimento, essendo «funzionale a garantire un ricorso pieno ed effettivo». Con il primo rinvio il tribunale osserva che, mentre nel decreto ministeriale del 7 maggio 2024 veniva previsto un elenco di Stati terzi ritenuti Paesi di origine sicuri sulla base di schede informative su ognuno di essi, con il decreto legge 23 ottobre 2024, n. 158 il legislatore ha avocato a sé sia la disciplina generale delle modalità e dei criteri di tale designazione sia la designazione stessa. Ciò premesso, chiede alla Corte se è coerente con il diritto dell’Unione il fatto «che la designazione dei Paesi di origine sicuri sia affidata a un atto normativo primario, avente forza e valore di legge». Con il secondo rinvio il tribunale mette in luce che il decreto legge emanato dal Governo dopo la mancata convalida dei primi trattenimenti «non riporta né le specifiche fonti informative utilizzate né la loro provenienza; e neppure vi fa riferimento in modo preciso per consentire di risalire a quelle fonti e di esaminarne il contenuto e non permette, quindi, al richiedente asilo di contestarne, e al giudice di sindacarne la provenienza, l’autorevolezza, l’attendibilità, la pertinenza, l’attualità, la completezza, e comunque in generale il contenuto». Ciò, ad avviso del tribunale determina «una significativa limitazione del carattere effettivo della tutela giurisdizionale» e pone il problema se, nel designare un Paese terzo come sicuro, uno Stato UE possa, senza violare il diritto dell’Unione, non esplicitare «il metodo di valutazione e i criteri di giudizio adoperati in concreto, nonché le fonti dalle quali ha tratto le pertinenti informazioni su quel determinato Paese». Con il terzo rinvio il tribunale torna sulla questione dei poteri spettanti al giudice nella valutazione della correttezza della designazione di uno Stato terzo come Paese di origine sicuro, ovvero sul punto «se il giudice possa avvalersi di proprie autonome fonti informative qualificate per svolgere quell’analisi e valutazione concreta che gli viene richiesto di attuare sulla base dell’interpretazione del diritto dell’Unione che la stessa Corte europea ne ha dato con la sentenza del 4 ottobre 2024». Di qui la richiesta se il diritto UE imponga agli Stati membri di attribuire ai giudici «il potere-dovere di utilizzare tutte le informazioni ad essi disponibili, provenienti da fonti qualificate, per compiere una valutazione effettiva e attuale della correttezza della qualificazione dello Stato terzo come Paese di origine sicuro, indipendentemente dal fatto che l’autorità che lo ha così designato abbia reso note le fonti e le informazioni su cui ha basato le proprie valutazioni oppure no». Con il quarto rinvio il tribunale, riferendosi alle conclusioni della citata sentenza della Corte europea del 4 ottobre, ritiene che «un Paese terzo non possa essere considerato sicuro se tale non è per gruppi di individui, sia che ciò dipenda dalla porzione di territorio in cui si trovano o potrebbero trovarsi […] sia che dipenda dalla categoria di soggetti alla quale appartengono». La valutazione del tribunale è di grande importanza laddove evidenzia che «l’applicazione di una procedura accelerata appare incompatibile con l’esistenza di situazioni di persecuzione, discriminazione e maltrattamento come quelle relative a categorie di persone: tali situazioni, infatti, emergono normalmente soltanto all’esito di un’approfondita istruttoria sulla situazione di ogni singolo richiedente protezione, possibile esclusivamente nelle procedure amministrative ordinarie di esame della domanda di protezione, che permettono tempi adeguati di analisi e valutazione della posizione individuale del richiedente e sono soggette eventualmente ad impugnazione attraverso ricorsi in sede giurisdizionale esperibili entro termini di decadenza non stringenti». Muovendosi su una linea di pensiero non molto dissimile da quella del Tribunale di Bologna (che ha anch’esso effettuato un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea), il Tribunale di Roma chiede dunque alla Corte se non sia in contrasto con il diritto europeo una disposizione che designi un Paese di origine come sicuro se esso non può essere considerato tale per determinate categorie di persone. Il lettore mi scuserà per l’inevitabile ricorso a qualche tecnicismo, ma da quanto sopra esposto coglierà come i quesiti interpretativi posti dal Tribunale di Roma siano chiari e precisi e che nell’ordinanza che a molti ancora fa scandalo non ci sia nulla di pretestuoso. Non a caso, del resto, nessuno Stato UE ha, ad esempio, inserito tra i paesi sicuri l’Egitto, dove è stato torturato ed ucciso Giulio Regeni (e dove migliaia di persone vengono fatte sparire o torturate nelle carceri come ricorda anche la storia di Patrick Zaki). A nessuno verrebbe in mente una simile scelta, tranne che al Governo italiano, così inadeguato a guidare quella stessa Repubblica la cui Costituzione (art. 10 comma 3) prevede il diritto d’asilo come diritto fondamentale della persona. Un Paese come la Nigeria, dilaniato dai conflitti interni, compariva anch’esso tra i paesi di origine sicura fino a poco tempo fa, quando è stato depennato grazie alla richiamata sentenza della Corte di giustizia. Non avrebbe però mai dovuto comparire nell’elenco, lo stesso in cui ancora c’è la Georgia, dove ben due regioni secessioniste, l’Ossezia del nord e l’Abkhazia, con l’appoggio di Mosca, sono di fatto separate dal resto del Paese. Compariva – e c’è tuttora – nella lista italiana il Bangladesh dove sono in corso repressioni politiche che hanno prodotto centinaia di morti, specie tra gli studenti. E si potrebbe continuare. La vicenda – come si vede – è molto pericolosa: non solo per gli stranieri che chiedono asilo ma anche per noi e per le nostre istituzioni. > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp
November 15, 2024 / Osservatorio Repressione
Liberi i migranti deportati in Albania
Cpr in Albania, nuovo stop in tribunale: i sette migranti deportati torneranno in Italia di Annalisa Camilli da Internazionale L’11 novembre il tribunale di Roma ha rinviato alla corte di giustizia dell’Unione europea la decisione sul trattenimento di sette richiedenti asilo che erano stati portati in Albania con una nave militare italiana dopo essere stati soccorsi nel Mediterraneo centrale. Nell’attesa del parere della corte, i richiedenti asilo saranno liberati e riportati in Italia. Dopo che i primi 16 migranti erano stati tutti rilasciati a metà ottobre, il governo italiano guidato da Giorgia Meloni, ha insistito sul progetto di tenere attivi i due centri di detenzione in Albania, istituiti dal protocollo con Tirana, firmato nel novembre del 2023, che prevede dei centri extraterritoriali italiani sul suolo albanese. Per questo il 21 ottobre il governo italiano ha approvato un nuovo decreto indicando una lista di 19 paesi considerati sicuri, ma il tribunale di Bologna, Palermo e Roma hanno chiesto un parere alla corte di giustizia dell’Unione europea sul decreto, ritenendolo in contrasto con le leggi europee e in particolare con la direttiva procedure. In un comunicato stampa l’11 novembre il tribunale di Roma ha spiegato: “I giudici hanno ritenuto necessario disporre rinvio pregiudiziale alla corte di giustizia dell’Unione europea, formulando quattro quesiti, analogamente a quanto già disposto nei giorni scorsi da due collegi della stessa sezione […]. Il rinvio pregiudiziale è stato scelto come strumento più idoneo per chiarire vari profili di dubbia compatibilità con la disciplina sovranazionale emersi in seguito delle norme introdotte dal decreto legge“. Per il tribunale di Roma il decreto paesi sicuri è in contrasto con le norme europee, perché Bangladesh ed Egitto, i due paesi di provenienza dei migranti trasferiti in Albania, non possono essere considerati sicuri in tutto il loro territorio e verso qualsiasi persona, come ribadito anche da una sentenza della corte europea il 4 ottobre. Quindi la normativa italiana è in contrasto con quella europea. Per questo i giudici di Roma hanno chiesto un parere alla corte che ha sede in Lussemburgo su come procedere. La risposta potrebbe arrivare tra sedici o diciotto mesi. Uno degli otto migranti portati in Albania era già stato liberato poche ore dopo l’arrivo e riportato in Italia. In seguito a un approfondimento medico, infatti, il ragazzo era risultato affetto da disturbi psicologici e quindi non idoneo alla procedura accelerata che può riguardare solo persone in buono stato di salute. In un caso analogo il 25 ottobre nella sua richiesta di un parere alla corte di giustizia dell’Unione europea, il tribunale di Bologna aveva scritto: “Si potrebbe dire, paradossalmente, che la Germania sotto il regime nazista era un paese estremamente sicuro per la stragrande maggioranza della popolazione tedesca: fatti salvi gli ebrei, gli omosessuali, gli oppositori politici, le persone di etnia rom ed altri gruppi minoritari, oltre 60 milioni di tedeschi vantavano una condizione di sicurezza invidiabile. Lo stesso può dirsi dell’Italia sotto il regime fascista. Se si dovesse ritenere sicuro un paese quando la sicurezza è garantita alla generalità della popolazione, la nozione giuridica di paese di origine sicuro si potrebbe applicare a pressoché tutti i paesi del mondo, e sarebbe, dunque, una nozione priva di qualsiasi consistenza giuridica”. La giurista Chiara Favilli, docente di diritto dell’Unione europea all’università di Firenze, commenta la decisione del tribunale di Roma dicendo: “C’era da aspettarselo, visto come si sono mossi i tribunali italiani negli ultimi giorni. Quando in un determinato caso un giudice rileva un contrasto tra la norma italiana e quella europea può fare tre cose: non applicare la norma italiana, rinviarla alla corte di giustizia dell’Unione europea oppure alla corte costituzionale italiana. Il decreto sui paesi sicuri deve essere conforme al diritto dell’Unione europea“. Per Favilli, anche se è stato chiesto un parere di urgenza, potrebbero volerci dai tre ai diciotto mesi per avere una risposta dalla corte europea e nel frattempo il governo potrebbe continuare a trasferire forzatamente i richiedenti asilo in Albania. “È necessario rispettare la normativa europea. Tra l’altro è in virtù della normativa europea che abbiamo introdotto la lista dei paesi sicuri, quindi poi non possiamo decidere di dare il significato che vogliamo alla definizione di ‘paese sicuro‘”, continua Favilli. “La regola dovrebbe essere quella di sottoporre i richiedenti asilo alla procedura ordinaria di asilo, solo in casi eccezionali si può ricorrere a quella accelerata. Dovrebbe essere solo in casi rari e per persone che arrivano davvero da paesi sicuri, non secondo la convenienza degli stati“. Su questo punto per Favilli la posizione già espressa dalla sentenza della corte di giustizia del 4 ottobre è molto chiara.  applicare a pressoché tutti i paesi del mondo, e sarebbe, dunque, una nozione priva di qualsiasi consistenza giuridica”. > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp  
November 11, 2024 / Osservatorio Repressione
Chiusi in gabbia. L’inferno nel Cpr di Ponte Galeria a Roma
Celle di pernotto di 20 metri quadrati in cui dormono fino a otto persone su materassi buttati per terra senza reti, sovraffollamento, nulla da fare, il tempo che diventa ulteriore afflizione. E condizioni igienico-sanitarie “vergognose”. Il rapporto della Coalizione italiana libertà e diritti civili fotografa la situazione del centro attivo dal 1998 nella periferia romana. L’appello al sindaco Gualtieri per sostenerne la chiusura di Angela Gennaro da altreconomia Più di cento pagine di racconti dell’orrore. È “Chiusi in gabbia: viaggio nell’inferno del Cpr di Ponte Galeria”, il rapporto della Coalizione italiana libertà e diritti civili (Cild), presentato a Roma a inizio novembre per, racconta l’avvocata Federica Borlizzi, “denunciare le condizioni indegne di detenzione del Centro per i rimpatri che si trova nell’estrema periferia romana”.   Attivo dal 5 agosto del 1998, è l’unico ad avere anche una sezione femminile in tutta Italia. In 26 anni di vita la struttura non è stata mai chiusa. Eppure le violazioni, sanzionate dalla stessa prefettura, non mancano. Celle di pernotto di 20 metri quadrati in cui dormono fino a otto persone su materassi buttati per terra senza reti, sovraffollamento, nulla da fare, il tempo che diventa ulteriore afflizione. E condizioni igienico-sanitarie “vergognose”. “Un ragazzo ci si è avvicinato con una dermatite evidente, aveva la scabbia. Ha dormito per mesi sul materasso fuori, perché i compagni di cella avevano il timore di essere contagiati”. La multinazionale elvetica Ors si aggiudica l’appalto per la gestione del centro per il triennio 2021-2023 per oltre sette milioni di euro (nonostante sia, nota il rapporto, “priva dell’informativa antimafia”). Il contratto tra la prefettura della capitale e Ors Italia è oggetto di una proroga fino al 31 ottobre 2024. Ma, non essendo ancora stata definita la nuova gara d’appalto, “appare ipotizzabile che Ors continuerà, ancora per i prossimi mesi, a gestire il centro romano”.   Il suicidio di Ousmane Sylla, la morte di Wissem Ben Abdellatif: sono tante le storie che Cild ha raccolto. Come quella di una donna che, entrata nel Cpr in estate, per settimane è rimasta solo con un pigiama invernale e un rotolo di carta igienica. Il capitolato d’appalto prevede 16 ore settimanali di assistenza normativa e legale. Un numero insufficiente per gli oltre cento posti del centro, e che comunque sembra non essere onorato. La prefettura di Roma ha sanzionato Ors per 100mila euro per non aver rispettato la dotazione minima di personale prevista dal capitolato d’appalto. “Sanzioni pecuniarie che sono nulla dinanzi a Ors che è una multinazionale, un colosso dell’accoglienza e del trattenimento in tutta Europa”.   Da tempo la società civile chiede la chiusura del Cpr di Ponte Galeria. “Abbiamo chiesto che venga istituita una commissione di inchiesta che porti prefettura, questura, la Asl Roma 3 e l’ente gestore a rendere conto di quello che fanno dinanzi al Campidoglio, per coinvolgere la cittadinanza e far comprendere che c’è un lager in questa città”. Tra le richieste c’è quella dell’immediato svuotamento della sezione femminile di Ponte Galeria. “Cinque posti in tutta Italia. L’abbiamo ridenominata la ‘lotteria infame’”, dice Borlizzi. Cinque donne isolate, spesso con storie di violenza alle spalle, vittime di tratta, ex collaboratrici domestiche che hanno perso il permesso di soggiorno. Finora, nel 2024, dal Cpr di Ponte Galeria sono passate 675 persone trattenute. Di loro 50 sono donne. In tutto il 2023 erano state 45. “Stiamo assistendo a un aumento e rafforzamento della detenzione femminile”, aggiunge ancora Borlizzi.   La distopia raggiunge l’apice per colei che si fa chiamare Giovanni e viene registrata come Camelia. Le autorità italiane non sanno neanche da dove venga (e dove dovrebbe essere rimpatriata?), non si fa avvicinare. Per nove mesi resta in isolamento nel Cpr di Ponte Galeria, “nonostante fosse totalmente incapace di intendere e di volere”. Per tre volte la questura di Roma chiede per lei la proroga del trattenimento e per tre volte un giudice di pace la accorda. Esce solo in seguito a una condanna dell’Italia da parte della Corte europea dei diritti umani che parla di “logica manicomiale” per il Cpr. E comincia un percorso di cura, mentre, si scoprirà, “tanto per rendere ancora più distopica la sua storia”, dice Valentina Muglia di Cild, che Giovanni è una cittadina dell’Unione europea. Altro che Cpr.   In 26 anni di vita mai nessun sindaco o sindaca è entrato qui. Ha promesso di farlo l’attuale primo cittadino Roberto Gualtieri. A lui si rivolge ora un’istanza, firmata da una quarantina di personalità accademiche, per fare propria l’azione popolare per la chiusura del Centro per i rimpatri. “Il Comune ha potere di intervento per arrivare alla chiusura e abolizione totale del Cpr -spiega Gennaro Santoro, avvocato e autore dell’istanza-. È contrario all’identità della città di Roma e al suo statuto fondato sui diritti costituzionali. Non si rispettano i diritti minimi della persona ed è gestito da privati senza regole: non sono previste neanche le tutele minime del carcere”.   Gualtieri ha tempo fino al 15 dicembre per agire sul ministero dell’Interno per quanto di competenza del Comune, c’è un precedente analogo che negli anni scorsi ha visto un’iniziativa simile a Bari. Secondo ActionAid, nel 2023 il Cpr romano ha visto il 23% di rimpatriati e ben il 53% di persone liberate dai giudici. Il governo guidato da Giorgia Meloni ha aumentato i fondi dedicati ai Cpr ed esteso i tempi massimi di permanenza a 18 mesi. “Una specie di rassicurazione per la collettività: li teniamo più a lungo per essere sicuri di rinviarli nei loro Paesi”, conclude Mauro Palma, già garante nazionale delle persone private della libertà personale e firmatario dell’appello a Gualtieri. “Non è vero: in otto anni, da garante, mi sono accorto che si oscilla tra il 48% e il 52% di rimpatri. E o si riesce a rimpatriare presto oppure non lo si fa più. L’altra metà riceve un foglio di via e resta sul territorio da irregolare. Ai margini. Vuol dire solo lanciare un messaggio basato sulla sofferenza delle persone”.  > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp  
November 8, 2024 / Osservatorio Repressione
Egitto, il “paese sicuro” dove è stato torturato e ucciso Giulio Regeni
Nonostante le smentite dell’Unione europea e dei giudici, il Governo insiste nella “campagna d’Albania” per rimpatriare i richiedenti asilo con procedura accelerata. Ora ci prova con un decreto legge ma anche così non può stabilire che paesi come l’Egitto devono essere considerati “sicuri”. Meloni non se ne abbia a male: i magistrati applicando le regole europee dovranno continuare a dire “che l’asino non vola”. di Domenico Gallo da Volere la Luna La campagna d’Albania del Governo italiano che introduce una sorta di gestione esternalizzata dei flussi migratori, vantata come un modello da proporre in Europa, ha subito una prima clamorosa disfatta per effetto dei decreti emessi dal Tribunale di Roma il 18 ottobre che hanno negato la convalida del trattenimento dei primi migranti trasportati in Albania, determinandone il ritorno in Italia. Di fronte ad uno smacco così grave, c’è stata una reazione scomposta con insulti ai giudici di ministri, politici e media e minacce di reazioni istituzionali per mettere a posto i giudici. È stato quindi emanato a tambur battente un decreto legge (23 ottobre 2024, n. 158) per superare gli ostacoli giuridici che avevano indotto il Tribunale di Roma a negare la convalida del trattenimento. Nelle premesse del provvedimento si riconosce che la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, del 4 ottobre 2024 ha escluso che un paese terzo possa essere designato come Paese di origine sicuro quando alcune parti del suo territorio non lo sono. Il decreto stabilisce che l’elenco dei paesi sicuri deve essere disposto con legge, non più con atti amministrativi e, facendo finta di dare attuazione al principio di diritto espresso dalla Corte di Giustizia, esclude Camerun, Colombia e Nigeria dall’elenco dei “paesi sicuri”, confermando tutti gli altri, compresi Egitto e Bangladesh. Il decreto, presentato per la conversione alla Camera, è stato spostato al Senato e poi ritirato dal Governo che intende ripresentarlo sotto forma di emendamento da introdurre nel decreto flussi in discussione alla Camere il 21 novembre. In questo modo è stata sottratta al Parlamento una discussione che sotto molti profili si presentava imbarazzante per il Governo di Giorgia Meloni, tanto più che il Tribunale di Bologna, con un’ordinanza in data 25 ottobre, ha dubitato della conformità del decreto al diritto dell’Unione ed ha rivolto alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea due questioni pregiudiziali che attengono ai presupposti per la determinazione dei paesi sicuri e al dovere del giudice nazionale di disapplicare l’atto di designazione del paese sicuro contrastante con i criteri europei. Anche contro questo provvedimento sono sorte roventi polemiche aizzate da Giorgia Meloni, che ha definito quello del Tribunale di Bologna: un volantino propagandistico. In realtà, il fuoco di sbarramento polemico sollevato dalla politica contro la magistratura, ulteriormente esasperato a seguito dei provvedimenti dei giudici di Catania che hanno disapplicato il decreto paesi sicuri, fa da velo ed impedisce di cogliere gli aspetti umani, giuridici ed istituzionali di questa vicenda. Il problema di fondo riguarda le modalità d’esercizio del diritto d’asilo. Il Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea attribuisce all’UE la competenza ad emanare delle regole comuni per la gestione del diritto d’asilo in conformità alle Convenzioni internazionali, compresa l’adozione di procedure comuni per garantire l’accesso al diritto d’asilo. Per velocizzare le procedure e rendere meno gravoso per gli Stati membri la gestione dei flussi dei migranti-richiedenti asilo è stato definito il concetto di “paese d’origine sicuro” ai fini dell’esame delle domande di protezione internazionale. Per i richiedenti che provengano da un paese d’origine qualificato come sicuro è prevista una procedura accelerata con minori garanzie. In questi casi vige una sorta di presunzione di infondatezza della domanda che può essere superata solo se il ricorrente sia in grado di indicare delle circostanze specifiche fondate su gravi motivi. Inoltre per coloro che provengono da un paese sicuro non vale la regola generale che consente di permanere sul territorio nazionale fino all’esaurimento dei rimedi giurisdizionali, quindi la decisione amministrativa di rigetto della domanda consente il rimpatrio immediato. Nella c.d. “procedura di frontiera” a cui sono destinati i migranti deportati in Albania, la Commissione territoriale decide nel termine di sette giorni dalla ricezione della domanda. Il progetto che sta alla base del modello Albania è quello di procedere speditamente, nel giro di una settimana, al rimpatrio dei richiedenti asilo nei paesi sicuri d’origine, con i quali evidentemente è stato stipulato un accordo (semplificato) di riammissione. È evidente che questa procedura comporta la compressione massima del diritto d’asilo, sino quasi ad annullarlo. Per questo, dal punto di vista della tutela dei diritti umani, diventa di importanza vitale il rispetto dei criteri che consentono di qualificare un paese terzo come “sicuro”. Secondo l’Allegato 1 alla Direttiva 2013/32/UE: «Un paese è considerato paese di origine sicuro se, sulla base dello status giuridico, dell’applicazione della legge all’interno di un sistema democratico e della situazione politica generale, si può dimostrare che non ci sono generalmente e costantemente persecuzioni quali definite nell’articolo 9 della direttiva 2011/95/UE, né tortura o altre forme di pena o trattamento disumano o degradante, né pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale. Per effettuare tale valutazione si tiene conto, tra l’altro, della misura in cui viene offerta protezione contro le persecuzioni ed i maltrattamenti mediante: a) le pertinenti disposizioni legislative e regolamentari del paese e il modo in cui sono applicate; b) il rispetto dei diritti e delle libertà stabiliti nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e/o nel Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici e/o nella Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura, in particolare i diritti ai quali non si può derogare a norma dell’articolo 15, paragrafo 2, di detta Convenzione europea; c) il rispetto del principio di non-refoulement conformemente alla convenzione di Ginevra; d) un sistema di ricorsi effettivi contro le violazioni di tali diritti e libertà». L’inclusione di un paese terzo nella lista dei paesi sicuri deve rispettare rigorosamente i criteri stabiliti dalle regole europee. Per questo tale scelta non è un atto di discrezionalità politica, incensurabile in sede giurisdizionale, bensì un atto di discrezionalità tecnica, sempre passibile di valutazione in sede giurisdizionale sotto il profilo dell’eccesso di potere e della violazione di legge (in questo caso le regole europee). Il fatto che adesso la definizione di paese terzo sicuro avviene con legge, anziché con atto amministrativo, è una truffa delle etichette che non cambia la sostanza del problema. Il giudice deve applicare la legge ma, nel contrasto fra la legge italiana e le regole europee, sono queste che devono prevalere per giurisprudenza pacifica della Corte Europea di Giustizia e della Corte costituzionale italiana. Un esempio ci aiuta a comprendere meglio. Il paese dove è stato torturato e ucciso Giulio Regeni (e con lui centinaia o migliaia di oppositori), dove i torturatori hanno goduto e godono della massima protezione essendo la magistratura asservita al potere politico, può essere considerato un paese sicuro ai sensi delle regole europee? Il Governo italiano ha stabilito con legge che l’Egitto è un paese democratico dove non si fanno torture e vigono le regole dello Stato di diritto, ciononostante l’Egitto resta, pur sempre il paese dove si torturano e uccidono le persone come Regeni. Con una legge si può anche stabilire che l’asino vola, ma gli asini continueranno a non volare. Meloni non se ne abbia a male se i magistrati disapplicando la sua legge, riconoscono che l’asino non vola. > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp
November 6, 2024 / Osservatorio Repressione
Esplode la rivolta dei migranti nel cara di Bari
Cara di Bari, esplode la rivolta dei migranti dopo la morte di un “ospite” della struttura: disordini e corteo di protesta La questione migratoria occupa non solo le cronache politico-giudiziarie. Nel tardo pomeriggio di lunedì 4 novembre il Cara di Bari-Palese, il Centro di accoglienza per richiedenti asilo che dal 19 ottobre ospita, tra gli altri, anche 12 dei 16 migranti che erano stati portati a bordo della nave Libra della Marina militare nell’hotspot albanese di Gjader, salvo poi fare ritorno in Italia, è scoppiata una rivolta. Disordini scoppiati nel pomeriggio e proseguito fino alla serata di lunedi 4 novembre, provocati dalla rabbia degli ospiti del Centro di accoglienza in seguito alla morte di un 33enne che era “detenuto” al suo interno. L’uomo il 3 novembre aveva accusato un malore: curato con una compressa all’interno del Centro, nel quale di notte non è più operativa l’infermeria le sue condizioni si sono aggravate ed è stato portato lunedì mattina all’ospedale San Paolo di Bari. Qui l’uomo è morto: secondo prime ricostruzioni il 33enne avrebbe ingoiato delle batterie o altri piccoli oggetti metallici prima di sentirsi male, ma per avere certezze su quanto accaduto servirà aspettare l’esito dell’autopsia disposta dalla Procura di Bari. Quando la notizia della morte del 33enne si è diffusa nel Cara di Palese, la tensione è salita: gli altri ospiti, tra cui alcuni amici della vittima, avevano chiesto di poter andare in ospedale ma non è stato possibile. Così è scoppiato il caos: alcune decine di persone avrebbero assalto la mensa danneggiando le suppellettili, con la situazione è tornata sotto controllo solo dopo diverse ore con l’intervento della polizia. Una rivolta che non sorprende: da mesi si ripetono gli allarmi sulla situazione all’interno del Cara di Polese, tra sovraffollamento e lamentele per la scarsa sicurezza nel Centro di accoglienza. Proteste che sono poi continuate anche nella mattinata di ieri, quando un centinaio di migranti ha organizzato un corteo per denunciare le condizioni di vita precarie all’interno del Cara: una marcia non violenta diretta a Bari, con la scorta della polizia, fino al raggiungimento della Prefettura per un presidio di protesta. (fonte l’Unità) > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp
November 6, 2024 / Osservatorio Repressione
Persone migranti, non numeri di merce da rispedire al mittente
La fine del diritto di asilo in Europa potrebbe segnare la fine dell’Unione europea. di Fulvio Vassallo Paleologo da Adif 1. No, non ci stiamo, a questo stillicidio di comunicati trionfanti del ministro Piantedosi che annuncia su X(twitter) il rimpatrio di qualche decina di persone, che dopo essere state detenute nel centro per i rimpatri di Pian dl Lago a Caltanissetta, sono state imbarcate su un volo charter in partenza per l’Egitto. E’ successo ancora il 25 ottobre. Questa volta i pochi avvocati di fiducia che dovevano comunicare con i loro assistiti hanno visto in sala colloqui persone con le fascette adesive ai polsi, le manette in uso nei centri di detenzione per stranieri, anche durante gli incontri con i legali, hanno visto pullman carichi di egiziani che uscivano dal centro per l’accompagnamento forzato in aeroporto, dove un volo li avrebbe trasportate nel loro paese di origine, un paese che per il governo italiano sarebbe “sicuro”. Ma con l’Egitto, come con la Tunisia, in base agli accordi bilaterali in vigore, le procedure di riconoscimento sono semplificate, e si può essere rimpatriati anche solo sulla base della mera attribuzione della nazionalità, senza una compiuta identificazione personale. Tanto, una volta arrivati nel paese di origine “sicuro” le forze di polizia hanno gli strumenti per farsi dichiarare immediatamente tutti i dati anagrafici delle persone che il nostro paese gli ha riconsegnato in blocco, come se si trattasse di merce da rispedire al mittente, e non di persone, Tutto questo con una accelerazione impressa nell’ultima missione al Cairo, a marzo di quest’anno, da Giorgia Meloni con Ursula von der Leyen. In questi rimpatri celati all’opinione pubblica, ma buoni per fare statistica, si nasconde una umanità dolente, persone trasformate in numeri dalla burocrazia, alcuni destinatari di provvedimenti di espulsione, altri invece, arrivati di recente a Lampedusa, con un provevdimento di respingimento “differito” del questore, una pratica che si sbriga in qualche settimana, grazie alle convalide lampo dei giudici di pace, raramente contrastate da avvocati di fiducia nominati dai “trattenuti”. Per la maggior parte di loro soltanto un avvocato d’ufficio che non articola nessun argomento difensivo, una udienza che si conclude in pochi minuti con la convalida implacabile del giudice. Che non riceverà certo minacce, come succede ormai regolarmente ai giudici che applicano la legge e rispettano i principi della Costituzione e la normativa europea, che vieterebbero anche questo tipo di rimpatri, sui cui punta molto, in assenza di altri risultati, la propaganda di governo. Basti ricordare che nel 2023 sono stati 28.983 i migranti irregolari che sono stati destinatari di provvedimenti di espulsione da parte delle questure italiane, e solo 4.368 quelli effettivamente rimpatriati (Fonte: Ministero dell’interno). Quest’anno il governo vanta un aumento del 10 -16 per cento, ma non comunica i numeri reali e che l’aumento riguarda soltanto qualche centinaio di persone. A fronte di decine di migliaia di arrivi e di oltre 500.000 irregolari già presenti in Italia, prodotti dalle politiche governative che promettono “flussi di ingresso” legali per lavoro ma nei fatti impongono percorsi burocratici impossibili, respingimenti differiti e provvedimenti di diniego, che riproducono l’irregolarità. Dopo il fallimento delle procedure accelerate in frontiera, in Sicilia, a Pozzallo e a Porto Empedocle, per le mancate convalide dei Tribunali di Catania e Palermo, e la implosione del modello Albania, non solo per le ordinanze di non convalida dei trattenimenti del Tribunale di Roma, ma per la impraticabilità di un sistema di soccorso in mare e di trasferimento nel porto di Schengjn che non è chiaramente applicabile sui grandi numeri promessi dal governo, il Viminale adotta nuove strategia per annunciare “successi” inesistenti e pubblicare periodicamente i suoi “mattinali” sui social anche per pochi rimpatri forzati effettivamente eseguiti. Poco importa se i voli charter partono verso paesi come l’Egitto o la Tunisia, sicuri per i turisti europei, forse, ma dove non vi sono garanzie per il rispetto dei diritti fondamentali della persona, se migrante, e neppure per tutti quei cittadini che protestano contro condizioni di vita diventate impossibili. Gli accordi con i regimi autoritari ormai sono la norma, del resto sia Prodi che Berluconi avevano stretto accordi con Gheddafi, e il Memorandum Italia Libia del 2017 risale ai tempi di Gentiloni e di Minniti. E oggi conta sempre meno il diritto internazionale (art.53 della Convenzione di Vienna) che li dovrebbe rendere nulli. Si vede tutti i giorni in Palestina e in Libano, e in tante altre parti del mondo, quanto contano ancora il diritto internazionale e gli organismi che ne dovrebbero imporre l’applicazione agli Stati. 2. Si è passati dalle “procedure accelerate in frontiera”, chiaramente fallite, malgrado la sequenza di decreti legge “sparati” contro le ordinanze di non convalida dei Tribunali, a procedure ordinarie di asilo anche per coloro che provengono da paesi di origine qualificati (adesso per legge) come” sicuri”. Le procedure accelerate si svolgono sempre più spesso all’interno dei centri per i rimpatri. Sembra pure che sia stato rimesso in funzione il CPR di Trapani Milo, quello che in Sicilia garantisce la capienza maggiore, anche per centinaia di persone. Si moltiplicano i dinieghi per” manifesta infondateza” della domanda, anche quando i richiedenti hanno argomentato molteplici gravi motivi per il riconoscimento della protezione, con decisioni adottate in tempi rapidissimi da parte delle Commissioni territoriali. Oppure si ritarda la formalizzazione della domanda di asilo, dopo la prima manifestazione di volontà allo sbarco, fino a quando il richiedente asilo, magari trasferito da Lampedusa a Porto Empeodcle, e da qui nel CPR di Caltanissetta, può formalizzare la sua domanda di protezione soltanto nell’udienza di convalida del trattenimento, Dopo un provvedimento che magari è stato emesso dal questore appena qialche ora prima. A quel punto non ci sono alternative al trattenimento in un centro di detenzione, anche per mesi all’interno di un CPR, e di fronte ad un lungo periodo di privazione della libertà personale in condizioni indegne, confermate dal recente rapporto di Action Aid e dell’Università di Bari, “Trattenuti”, ci sono pure persone che rinunciano alla domanda di protezione e scelgono di richiedere il rimpatrio volontario,. Un rimpatrio che di “volontario” non ha proprio nulla, ma che è di fatto “necessitato”, frutto della “deterrenza” feroce attuata dal Ministero dell’interno con pratiche disumane di trattenimento nei centri per stranieri, CPR e nelle strutture assimilate. Per altri invece, se non sono richiedenti asilo, o se hanno ricevuto un diniego per manifesta infondatezza, e il tribunale competente in sede di ricorso non concede la “sospensiva”, il rimpatrio può esere eseguito immediatamente. Infatti, il ricorso contro il diniego stabilito dalla Commsiione territoriale, previsto ormai in termini tanto brevi da rendere ineffettivo il diritto di difesa (in violazione dell’ art.24 della Costituzione), è possibile soltanto quando interviene un avvocato di fiducia, e questo è ostacolato in ogni modo, da ultimo persino con il sequestro dei telefoni. Nessuna possibilità, ovviamente, per una domanda reiterata di asilo, pure prevista dal nostro ordinamento, o per un semplice ripensamento per chi, dopo avere ricevuto informazioni fuorvianti, e avere formulato la richiesta di rimpatrio volontario, tenta di presentare una richiesta di asilo. In qualche caso si è verificato anche che il rimpatrio sia stato eseguito quando il Tribunale non aveva ancora deciso sulla richiesta di sospensiva. Così, alla fine il Viminale può comunicare agli italiani che “34 citadini stranieri, senza titolo per rimanere sul territorio nazionale, sono stati espulsi e ricondotti con volo charter nel loro Paese d’origine”.…“a testimonianza dell’impegno del Governo per contrastare l’immigrazione irregolare”. L’inserimento della lista dei paesi di origine “sicuri” in un decreto legge non renderà più facili le convalide dei trattenimenti amministrativi nelle procedure accelerate in frontiera, soprattutto se deterritorializzate in Albania, ma renderà monolitici i dinieghi adottati dalle Commissioni territoriali, anche per i ridottissimi tempi consentiti per l’informativa, imposta dala normativa europea, poi per articolare le richieste di asilo, e infine, soprattutto, per esercitare i diritti di difesa con i mezzi di ricorso previsti dal nostro ordinamento. 3. .Occorre rafforzare le attività di monitoraggio svolte dalle associazioni indipendenti, e le ispezioni parlamentari, nei centri per stranieri, che anche il principale partito di opposizione sembra avere abbandonato, dopo alcune visite nel centro di Porto Empedocle la scorsa estate. Si deve sollecitare l’Autorità garante dei diritti delle persone private della libertà personale, a effettuare visite più frequenti, monitorare i voli di rimpatrio e rendicontare periodicamente le proprie attività, come avveniva megli anni passati, durante il mandato di Garante conferito a Mauro Palma. Già nel 2018, nel caso di rimpatri con voli charter verso l’Egitto il Garante nazionale denunciava “il mancato preavviso ai rimpatriandi; l’uso generalizzato e preventivo delle fascette in velcro ai polsi dei rimpatriandi, a prescindere da valutazioni individuali del rischio e da una effettiva e concreta necessità; le verifiche di sicurezza effettuate con modalità non sempre rispettose dei diritti della persona”. Criticità che si continua a riscontrare ancora oggi nel silenzio generale. La piattaforma per i rifugiati (RPE) in Egitto ha pubblicato ad ottobre del 2022 un importante documento in cui critica il sostegno europeo alle politiche di esternalizzazione dei controlli di frontiera praticate dall’Egitto. Non vorremmo che per quanto riguarda i controlli sui centri per stranieri, inclusi i voli charter di rimpatrio, controlli obbligatori previsti dalla legge, le attività del Garante nazionale per i detenuti, diventassero evanescenti, fino ad evaporare del tutto, come è successo nel caso dell’UNAR, l’agenzia nazionale contro le discriminazioni razziali. Sarà poi necessario riportare l’attenzione generale su quanto avviene nei paesi di origine qualificati come “sicuri”, a partire proprio dall’Egitto, verso il quale ieri, con un volo charter, sono state rimpatriate 34 persone. Un paese che, oltre a vivere una situazione di completa negazione dei diritti fondamentali, tanto che neppure i testimoni del delitto Regeni hanno potuto raggiungere l’Italia per testimoniare, si trova al centro di gravissime crisi umanitarie, a sud in Sudan ed a nord-est in Palestina, Con l’afflusso di decine di migliaia di profughi che non ritrovano nessuna possibilità di proseguire la loro fuga attraverso canali legali. Anche su queste crisi migratorie attuali, e future, e sui conflitti di cui sono conseguenza, occorre fare una informazione completa per inchiodare i governi alle loro responsabilità. Occore attivare al più presto canali di evacuazione umanitaria verso l’Europa ed ampliare le possibilità di rilascio di visti umanitari. Tutto il resto si può spacciare come lotta all’immigrazione clandestina, ma è soltanto negazione del diritto di asilo e complicità con i trafficanti di esseri umani, che profittano sugli sbarramenti ad ogni frontiera. E’ giunto il tempo di saldare la difesa dei diritti dei migranti con la lotta per la pace, per la fine dei conflitti interni e delle guerre che in Africa e nel vicino oriente producono potenziali richiedenti asilo, che i governi occidentali, responsabili di fornire armi ai governi belligeranti, soprattutto ad Israele, cercano di contenere con accordi con regimi spietati, pur di tenere lontano chi fugge per la vita. Si tratta così con regimi come quello di Assad in Siria, per il rimpatrio di migliaia di asilanti siriani attualmente nei campi profughi in Libano, questione che è stata al centro della missione della Meloni a Beirut. Sempre, beninteso, “a testimonianza dell’impegno del Governo per contrastare l’immigrazione irregolare”. E sono sempre più stretti i rapporti con l’Egitto di Al Sisi e con la Tunisia dell’autocrate Saied, anche se a Bruxelles qualcuno comincia ad avere dubbi sul Memorandum d’intesa UE-Tunisia, concluso con l’appoggio della Meloni e della Von der Leyen, malgrado fossero chiare ed evidenti le violazioni dei diritti umani non solo dei profughi sub-sahariani intrappolati in quel paese, ma anche a danno dei cittadini tunisini, che sempre più spesso sono costretti a fuggire all’estero e a chiedere asilo. Su queste partite politiche internazionali si sta riscontrando uno smottamento dei partiti popolari verso l’estrema destra,e non solo in Italia, ma lo scontro sarà sempre più duro, sia a Roma che a Bruxelles, e potrebbe pesare anche sulla nuova Commissione europea e sul mandato alla presidenza dell’UE, ancora da confermare a Ursula von der Leyen. Che sull’imnigrazione ha fatto da sponda a Giorgia Meloni ed alle destre europee xenofobe e razziste. Non è in gioco solo la presidenza della Commissione o la nomina di qualche Commissario, per effetto delle scelte in materia di immigrazione ed asilo saranno sempre più difficili i rapporti tra Parlamento e Consiglio, in un momento in cui l’Unione europea è sotto attacco e dovrebbe reagire con maggiore coesione. La fine del diritto di asilo in Europa potrebbe segnare la fine dell’Unione europea. > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp
October 28, 2024 / Osservatorio Repressione
Il “decreto Albania” e la sospensione del diritto
La procedura messa in piedi per deportare i migranti potrebbe configurare la violazione del divieto di respingimenti collettivi. Sotto gli occhi di Unhcr e Oim di Fulvio Vassallo Paleologo da il manifesto Possiamo adesso leggere il decreto legge 158/2024 con il quale il governo tenta di fare fronte alle ordinanze dei giudici di Roma che non hanno convalidato il trattenimento di 12 richiedenti asilo provenienti da paesi di origine definiti come «sicuri». Trasferiti poi nei centri di detenzione in Albania, dopo essere stati soccorsi da navi militari italiane nelle acque internazionali a sud di Lampedusa. Una operazione di polizia marittima, sotto gli occhi dell’Unhcr e dell’Oim, a bordo di nave Libra, che potrebbe configurare, al di là del paese di provenienza delle persone sbarcate a Shengijn dopo essere state a bordo di navi della Marina militare, dunque in territorio italiano, la violazione del divieto di respingimenti collettivi affermato, oltre che dalla Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati (articolo 33), dalla Cedu (che nel “caso Hirsi” ha condannato l’Italia, per la violazione di questo divieto) e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (articolo 19). E Meloni ha annunciato di voler ripetere i trasferimenti in Albania. QUESTO ENNESIMO decreto legge stabilisce che l’elenco dei Paesi di origine «sicuri», finora contenuto in decreti interministeriali, vada aggiornato periodicamente con una legge e quindi notificato alla Commissione europea. Ma anche con l’entrata in vigore del nuovo provvedimento i giudici resteranno soggetti alla normativa dell’Unione europea e potranno disapplicare il diritto interno in contrasto con disposizioni cogenti contenute in Regolamenti ed in Decisioni della Corte di Giustizia dell’Unione. Per quanto riguarda le procedure accelerate in frontiera il governo ha preferito puntare sul ruolo attribuito alle Commissioni territoriali, ed in particolare a quella di Roma, la stessa che appena pochi giorni fa è stata dislocata in Albania per processare in poche ore le richieste di protezione, e adottare provvedimenti di diniego che contengono un’attestazione che impone l’allontanamento dal territorio, prima che possa intervenire la convalida, o più spesso la non convalida, del trattenimento da parte delle Sezioni specializzate del Tribunale competente. Con la possibilità – che si è già verificata in Sicilia – che il questore adotti un provvedimento di respingimento differito prima che la persona possa formalizzare la sua intenzione, già dichiarata, di richiedere asilo. L’ARTICOLO 2 del nuovo decreto prevede ulteriori modifiche al decreto legislativo 25/2008, come modificato da ultimo dal decreto Cutro (legge numero 50/2023). Si prevede che le nuove disposizioni sui ricorsi in appello si applicano «decorsi trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto legge 11 ottobre 2024 numero 145». Si innesca in questo modo una serie di rinvii, perché il termine di inizio dell’efficacia della norma che prevede un nuovo grado di giudizio con il ricorso in appello (che il ministero dell’Interno intende riservarsi per ribaltare le decisioni sgradite dei tribunali) si riporta alla data di conversione di un altro decreto legge, che però si trova ancora in Parlamento. In ogni caso di mancata convalida del trattenimento da parte del Tribunale di Roma il richiedente asilo trattenuto nei centri albanesi dovrà comunque essere condotto in Italia, venendo meno, nella pendenza del ricorso del governo in Cassazione e malgrado il ricorso in appello dell’avvocatura dello Stato, il titolo giuridico di limitazione della libertà personale richiesto dall’articolo 5 della Cedu, oltre che dall’articolo 13 della Costituzione. E intanto gli apparati giudiziari potrebbero implodere sotto una mole crescente di ricorsi. I CENTRI DI DETENZIONE in Albania resteranno ancora vuoti, o funzioneranno a scopo propagandistico, con qualche decina di richiedenti asilo in stato di detenzione, la maggior parte dei quali al termine della procedura accelerata finirà per essere ritrasferita in Italia. Per non incorrere in una procedura di infrazione si dovrà comunque riconoscere il primato del diritto dell’Unione europea, anche in base al richiamo degli articoli 10 e 117 della Costituzione e dunque il potere/dovere di cooperazione istruttoria affidato ai giudici, sul rispetto delle regole sulle procedure accelerate in frontiera, anche in assenza di una allegazione di fatti specifici da parte del richiedente asilo. Ammesso che gli venga riconosciuto l’esercizio effettivo dei diritti di difesa, senza spazi fisici o temporali di sospensione del diritto. > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp
October 25, 2024 / Osservatorio Repressione
Governo Meloni: tra propaganda e decreti.
La decisione del governo italiano di collaborare con l’Albania per la gestione dei migranti si inserisce in un processo di esternalizzazione delle frontiere, oltre che di chiusura delle frontiere, che da decenni va avanti concorrendo a una vera e propria guerra contro i migranti. Nel 2015 vengono creati gli hotspot implicando una divisione tra migrante […]
October 24, 2024 / Radio Blackout 105.25FM