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Remigrazione è la nuova parola d’ordine dell’internazionale nera.
Si scrive remigrazione, si legge deportazione di massa.  di Tiziana Barillà «Come presidente porrò immediatamente fine all’invasione dei migranti in America. Fermeremo tutti i voli dei migranti, metteremo fine a tutti gli ingressi illegali… e riporteremo i migranti illegali di Kamala nei loro Paesi d’origine (nota anche come remigrazione)». La promessa elettorale di Donald Trump, scritta su X a settembre 2024, oggi è una priorità del governo degli Stati Uniti. Remigrazione è la nuova parola d’ordine intorno alla quale oggi si stringe l’internazionale nera, in Europa e negli Stati Uniti. Si scrive remigrazione, si legge deportazione di massa. Il termine, già in uso nel mondo accademico e nello studio dei flussi migratori, viene oggi pescato dall’estrema destra nel tentativo di teorizzare la deportazione di massa di tutti gli “stranieri”, e cioè di tutte le persone non bianche. Spaventosa e naturale conseguenza di anni di teoria dell’invasione. A introdurre il termine remigrazione nel dibattito sono stati gli esponenti di Alternative für Deutschland quando, il 25 novembre del 2023, si sono riuniti alla Adlon Mansion sul lago Lehnitz a Potsdam, in Germania. Sul lago oltre ai membri del partito populista di destra Afd, c’erano anche esponenti della Cdu, il partito di centrodestra tradizionale, dell’associazione politica conservatrice Werteunion e in generale del movimento identitario di estrema destra. Un evento organizzato proprio con il fine di pianificare la deportazione di massa di alcune parti della popolazione tedesca: richiedenti asilo, stranieri con permesso di residenza e cittadini tedeschi “non assimilati”. È stato l’estremista di destra Martin Sellner, a presentare il piano chiamandolo “remigrazione”. Classe 1989, attivista austriaco di estrema destra, leader e co-fondatore del Movimento identitario d’Austria (nato nel 2012). Sellner è considerato una figura chiave della Neue Rechte germanofona e interno al movimento internazionale alt-right. Bisogna arrivare fin quaggiù, nelle viscere dell’estremismo xenofobo europeo e statunitense, per cogliere l’avvio della teoria della remigrazione che è riuscita a farsi largo e irrompere oggi nel dibattito pubblico. In Austria, il Partito della libertà ne ha fatto un punto chiave della campagna elettorale, arrivando a chiedere la nomina di un Commissario europeo alla remigrazione. L’AfD della Turingia ha usato la parola sui suoi manifesti elettorali: “Sommer, sonne, remigration”, con sullo sfondo un aereo della compagnia Deportation airline. E così via. In Italia la remigrazione ha fatto il suo ingresso pochi giorni fa, quando il deputato leghista Rossano Sasso l’ha pronunciata in Aula: «Dal Parlamento italiano un messaggio per chi odia l’Italia e viola la legge: remigrazione unica soluzione». Un orrendo deja-vu che conosciamo grazie al lavoro investigativo di Correctiv, che ha reso noto lo scandalo nel gennaio 2024. Oggi, la politica si fa creando e diffondendo paura e bisogno di sicurezza, abdica al governo delle legittime paure per cavalcarle. Proprio chi dovrebbe contenere la paura finisce per fomentarla, funziona così il mercato della paura: crea problemi invece di soluzioni, cerca capri espiatori e li stigmatizza, è sempre a caccia di nemici. Nel mercato del consenso politico la paura è la merce più preziosa. E in cima alle paure foraggiate nel nostro tempo, su cui certa politica costruisce la propria fortuna, c’è la fantomatica invasione dei migranti, l’invasore assume le sembianze dell’immigrato clandestino. Nemici fabbricati artificialmente ad hoc, a uso e consumo della famelica politica dell’odio e della paura. L’internazionale dei nazionalisti ha trovato la fiaba dell’orrore adattabile a ognuno: la Nazione minacciata da un’invasione con l’obiettivo di islamizzazione dell’Occidente. Ecco il perché dell’ossessione della famiglia tradizionale, del sostegno alla natalità, della cosiddetta «sostituzione etnica». L’internazionale dei nazionalisti è una contraddizione in termini che ha partorito una fragorosa e spaventosa menzogna.     > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp  
January 11, 2025 / Osservatorio Repressione
Nei Cpr si sta come al 41bis
La dura condanna del comitato antitortura. Isolamento e uso eccessivo della forza sui reclusi: il rapporto al governo dell’organismo europeo, che ha ispezionato i centri per il rimpatrio, è inquietante. Come può un’aberrazione, in evidente il contrasto con la Costituzione, essersi protratta tanto a lungo e su vasta scala? di Gianfranco Schiavone da l’Unità Il quadro che emerge dal Rapporto al governo italiano del Comitato europeo per la Prevenzione della Tortura e dei Trattamenti – o punizioni – inumani o degradanti (Cpt) e reso pubblico il 13 dicembre 2024 è veramente inquietante. Il Comitato è un organismo dell’Unione europea che ha il compito “per mezzo di sopralluoghi, di controllare il trattamento delle persone private di libertà allo scopo di rafforzare, se necessario, la loro protezione dalla tortura e dalle pene o da trattamenti inumani o degradanti” (Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti, 1987 – art.1). La visita, effettuata a quattro Cpr ovvero Gradisca, Palazzo san Gervasio (PZ), Roma e Milano tra il 2 e il 12 aprile 2024 è stata ritenuta “necessaria in base alle circostanze”, e il suo obiettivo era quello di “esaminare il trattamento, le condizioni di detenzione, le garanzie legali e la qualità dell’assistenza sanitaria fornita ai cittadini stranieri detenuti in quattro dei nove Centri di permanenza chiusi (Cpr), operativi sul territorio nazionale”. Nella sua relazione conclusiva il Comitato ha deplorato di non aver potuto “presentare le sue principali conclusioni ai vertici del ministero dell’Interno al termine della visita” e ha aggiunto infine che “la risposta fornita dalle autorità italiane il 17 giugno 2024 alle osservazioni preliminari della delegazione del Cpt, sebbene informativa su alcuni aspetti specifici della gestione e delle condizioni degli specifici Cpr, non ha affrontato le preoccupazioni sistemiche e fondamentali espresse dalla delegazione alle autorità italiane al termine della sua visita e nelle sue osservazioni preliminari scritte”. In queste poche parole c’è già la sintesi di un quadro spaventoso emerso nel corso delle visite: dai maltrattamenti inferti ai trattenuti alle degradanti condizioni materiali dei centri, dall’abuso degli psicofarmaci alla assoluta mancanza di ogni attività interna, fino alle carenze sanitarie e nell’assistenza legale. Il Comitato ha ricevuto numerose “accuse di maltrattamenti fisici e uso eccessivo della forza, le cui prove sono state trovate nella documentazione esaminata dalla delegazione”. Si tratta di fatti “legati alla gestione dei numerosi eventi critici che si sono verificati in diversi centri, consistenti in tentativi di fuga, atti di vandalismo, proteste e sommosse, ed episodi di agitazione psicomotoria di singoli detenuti, che hanno richiesto l’assistenza dei gruppi di intervento speciale (Interforze) all’interno dei moduli di detenzione dei Cpr”. Ciò ha indotto il Comitato stesso a raccomandare “di trasmettere un messaggio chiaro, attraverso una dichiarazione formale da parte dei vertici del ministero dell’Interno, a tutti gli agenti di polizia che lavorano nei Cpr: qualsiasi forma di maltrattamento delle persone private della libertà è inaccettabile e sarà punita di conseguenza”. Oltre a ciò, una delle più rilevanti richieste del Comitato è quella di prevedere che, specie nelle situazioni critiche, “gli interventi nei centri di detenzione per immigrati debbano avvenire in presenza di un’autorità pienamente indipendente sia dalle forze di sicurezza interessate, sia dalla struttura di detenzione, incaricata di osservare e successivamente riferire sul modo in cui l’intervento è stato effettuato. La presenza di un’autorità di questo tipo avrebbe un effetto dissuasivo su chiunque avesse intenzione di maltrattare le persone detenute e faciliterebbe notevolmente le indagini su eventuali accuse di maltrattamento e la corretta attribuzione di eventuali colpe”. Si tratta di raccomandazioni che fanno capire quanto elevata sia la preoccupazione del Comitato in relazione al tema delle violenze nei Cpr. È sulle condizioni della detenzione che le conclusioni del Comitato emergono implacabili: “Le condizioni di detenzione osservate in tutti i Cpr visitati al momento della visita del 2024 potrebbero essere considerate simili a quelle esistenti all’interno delle unità di detenzione sotto il regime speciale dell’articolo 41 bis dell’ordinamento penitenziario italiano. Esempi di tali elementi sono i tripli schermi metallici alle finestre, le strutture esterne simili a gabbie e i televisori incassati in scatole metalliche”. Richiamo la massima attenzione del lettore perché le valutazioni di cui sopra non sono chiacchiericcio da bar o da arena politica di quart’ordine, bensì sono valutazioni giuridiche tanto tremende quanto autorevoli, che ci dicono che tutto è fuori controllo nell’istituzione totale dei Cpr. La detenzione amministrativa per come è nata e si è sviluppata in Italia non è più (né probabilmente lo è mai stata fin dal primo giorno dell’apertura delle strutture, avvenuto più di 25 anni fa) una misura temporanea per l’allontanamento coattivo alla quale ricorrere solo in base “al principio di proporzionalità, con riguardo ai mezzi impiegati e agli obiettivi perseguiti (…) e se l’uso di misure meno coercitive è insufficiente” (Direttiva 115/1008/CE), ma un sistema generalizzato equiparabile nelle conseguenze alla più estrema (e per ciò spesso criticata) delle forme di detenzione prevista dall’ordinamento giuridico, che può essere adottata solo in casi assolutamente eccezionali per ripristinare l’ordine e la sicurezza o per impedire il collegamento del detenuto con un’associazione terroristica o eversiva. Come è possibile che una tale aberrazione sia avvenuta su così larga scala e che permanga inossidabile nel tempo? La principale ragione di ciò sta nel contrasto, ad avviso di chi scrive evidente anche se mai emerso, del sistema dei Cpr con l’ordinamento costituzionale, ed in particolare con l’articolo 13 della Costituzione, sotto due profili: il primo è che limitazione della libertà personale nei Cpr è adottata in via generale dall’autorità di polizia e il controllo di legittimità giurisdizionale, oltre ad essere affievolito perché esercitato non dalla magistratura ordinaria, bensì dal giudice di pace, è limitato alla sola convalida del trattenimento, operando così un completo rovesciamento dell’impianto costituzionale che prevede che una misura limitativa della libertà personale di chiunque, cittadino e non, possa essere adottata solo dall’autorità giudiziaria e che solo in casi eccezionali – di necessità ed urgenza – tale decisione può essere assunta dall’autorità di polizia con successiva verifica di legittimità della decisione da parte dell’autorità giudiziaria. Il secondo fondamentale profilo riguarda il tema delle modalità del trattenimento nei Cpr, ovvero la disattesa necessità che sia la legge a definire non solo i casi, ma anche “i modi” della restrizione della libertà. Nei Cpr, fin dalla loro apertura, le modalità del trattenimento sono invece regolate da vacue disposizioni regolamentari (come il Dpr 394/99) o peggio ancora da semplici disposizioni prefettizie e persino da scelte gestionali nell’organizzazione dei centri di detenzione. La diffusa, ma tragicamente errata, idea che la detenzione amministrativa fosse una sorta di detenzione leggera, la cui stringente regolamentazione non fosse dunque necessaria, ha prodotto nell’ultimo quarto di secolo una delle più persistenti e violente istituzioni totali della società contemporanea. Questa macchina non può essere riformata con qualche piccolo intervento normativo ma deve essere spenta per essere sostituita con qualcosa di radicalmente diverso nelle finalità e nell’impostazione, al pari di quanto avvenuto con la chiusura di un’altra istituzione totale: i manicomi. Ed è forse proprio a ciò che fu e a come funzionò quel mondo di violenza che bisogna guardare oggi per capire cosa sono i Cpr; a Palazzo San Gervasio “la delegazione ha osservato la diffusa somministrazione di farmaci psicotropi diluiti in acqua alla popolazione detenuta da parte del personale sanitario senza prescrizione medica o supervisione”. L’abuso dell’utilizzo degli psicofarmaci è un tema oggetto anche del recente rapporto “Cpr: porre fine all’aberrazione” curato dal Tavolo Asilo e Immigrazione nel quale sono evidenziati “servizi medici insufficienti e abuso nella somministrazione di psicofarmaci, la mancanza o l’inadeguatezza di protocolli sanitari che aggravano i problemi di salute dei trattenuti”. Un quadro in linea con quanto era emerso dall’ampia inchiesta giornalistica di Luca Rondi e Lorenzo Figoni confluita nell’appena edito libro Gorgo Cpr (2024, editore Altreconomia). Dopo aver valutato la situazione nei quattro Cpr visitati il Comitato ha concluso che “l’attuale sistema di certificazione da parte dei medici dell’idoneità alla detenzione dovrebbe essere rivisto per garantire che siano coinvolti medici con esperienza e conoscenza delle condizioni di sicurezza”. Come in ogni istituzione totale il tempo degli internati all’interno dei Cpr è come sospeso: il Comitato osserva infatti che “per quanto riguarda il regime di attività offerte ai detenuti nei Cpr visitati (essi) erano di fatto immagazzinati” (il Comitato ha proprio usato il termine inglese “warehoused” (in italiano significa immagazzinati/stoccati). Nelle sue conclusioni il Comitato “raccomanda alle autorità italiane di avviare una seria riflessione sul concetto di Cpr” e “invita le autorità italiane a intraprendere azioni risolute (ndr nel suo testo il Comitato ha sottolineato queste parole) per migliorare l’approccio e la situazione generale dei Cpr alla luce delle raccomandazioni del Comitato”. Il Governo è dunque chiamato a ripensare l’intero sistema dei Cpr. Lo farà?     > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp
December 30, 2024 / Osservatorio Repressione
Anarres del 13 dicembre. La Siria come l’Afganistan? Codice della strada in salsa proibizionista. Ultimo attacco ai migranti…
ll podcast del nostro viaggio del venerdì su Anarres, il pianeta delle utopie concrete. Dalle 11 alle 13 sui 105,250 delle libere frequenze di Blackout. Anche in streaming. Ascolta e diffondi l’audio della puntata: > Anarres del 13 dicembre. La Siria come l’Afganistan? Codice della strada in > salsa proibizionista. Ultimo attacco ai migranti… Dirette, approfondimenti, idee, proposte, appuntamenti: La Siria come l’Afganistan? La repentina caduta del regime baathista in Siria ci ricorda quanto avvenne nell’agosto del 2021 in Afganistan. L’accordo tra Stati Uniti e talebani portò al rapido ritiro degli statunitensi da Kabul e all’affermarsi dei talebani dal “volto umano”, che per qualche tempo hanno finto di voler mantenere qualche libertà alle donne, prima di richiuderle nelle case-prigioni, senza alcun diritto. Oggi gli jihadisti siriani, promossi di colpo dai media al rango di “ribelli” si sono presi buona parte della Siria, mentre le truppe di Assad si sono ritirate quasi senza combattere. Il vero vincitore della guerra mondiale per procura che si è combattuta negli ultimi 13 anni in Sira è la Turchia, che profittando dell’indebolimento di Russia, Iran ed Hezbollah, gli storici alleati di Assad, ha dato il via libera alle truppe jiadiste che ha foraggiato e sostenuto in questi anni. Nel nord della Siria, dove, pur sotto durissimo attacco dell’Esercito Siriano Libero, diretta emanazione della Turchia, le formazioni YPG e provano, non senza aporie, a salvare l’esperienza del confederalismo democratico ed a combattere il ritorno degli Jihadisti. Ne abbiamo parlato con Lollo Il nuovo codice della strada targato Salvini Le nuove norme approvate definitivamente dal Senato il 20 novembre sono entrate in vigore a metà dicembre. Si tratta di una nuova stretta repressiva, con particolare attenzione a telefonini, alcool e sostanze. Ne abbiamo parlato con Robertino Barbieri L’ultima mazzata del governo contro i migranti Un’ulteriore stretta per ONG e diritto di asilo è arrivata travestita da decreto flussi. Il decreto flussi è diventato legge dopo il via libera definitivo al Senato, che lo ha votato con la fiducia imposta dal governo: 99 i sì, 65 i no e 1 astenuto. Il decreto criminalizza ulteriormente le ONG che praticano il soccorso dei migranti in mare: è prevista tra l’altro la confisca definitiva delle navi che fanno soccorso, oltre ad aumentare in maniera importante le sanzioni economiche. Sarà inoltre ridotto da 60 giorni a 10 il termine entro il quale le ONG possono impugnare davanti al Prefetto il provvedimento di fermo amministrativo ottenuto in seguito al salvataggio di persone in mare. Il consiglio superiore della magistratura ha dato parere negativo sul trasferimento della competenza sulle domande di asilo alle corti di appello, ma si tratta di un parere non vincolante. Appuntamenti: (A)distro e SeriRiot riapre mercoledì 8 gennaio dalle 18 alle 20 in corso Palermo 46 (A)distro – libri, giornali, documenti e… tanto altro SeriRiot – serigrafia autoprodotta benefit lotte Vieni a spulciare tra i libri e le riviste, le magliette e i volantini! Sostieni l’autoproduzione e l’informazione libera dallo stato e dal mercato! Informati su lotte e appuntamenti! Contatti: Federazione Anarchica Torinese corso Palermo 46 Riunioni – aperte agli interessati – ogni martedì dalle 20,30 ora siamo in pausa per la fine dell’anno. Ci rivediamo il 7 gennaio. per info scrivete a fai_torino@autistici.org FB @senzafrontiere.to/ Telegram https://t.me/SenzaFrontiere Iscriviti alla nostra newsletter mandando una mail ad: anarres@inventati.org
December 25, 2024 / Anarres
Il governo colpisce le Ong e nasconde i naufraghi
Verso i porti di sbarco vessatori, su rotte disumane, il governo colpisce le ONG e nasconde i naufraghi di Fulvio Vassallo Paleologo da Adif 1. La chiusura della kermesse di Atreju è stata caratterizzata da un ulteriore violento attacco di Giorgia Meloni ai soccorsi umanitari, con un ministro dell’interno che è arrivato a sostenere che persino la missione Mare Nostrum della Marina militare, dopo le stragi di Lampedusa, ed a sud di Malta, del 3 e dell’11 ottobre 2013, avrebbe alimentato l’immigrazione irregolare. Questo attacco si è pure tradotto nelle norme dell’ultimo Decreto legge 145/2024, convertiro nella legge 187/2024, che tende a penalizzare ulteriormente i soccorsi umanitari, estendendo agli aerei del soccorso civile regole inapplicabili dall’ENAC, per limitarne il raggio di azione, e accelerando le procedure che possono portare alla confisca delle navi e degli aereomobili delle odiate ONG. Perchè di vero e proprio odio si deve parlare se si ascoltano le parole usate contro i soccorsi civili dalla maggioranza di governo e dai suoi esponenti di spicco, davanti al fallimento del modello Albania. Senza neppure un cenno alle vittime, se non per attaccare ancora le ONG, ritenute responsabili persino dei naufragi. Finora, nel 2024, risultano accertati oltre 1600 tra morti e dispersi. Negli ultimi giorni, sulla base delle segnalazioni di Alarme Phone, sembra che almeno 150/160 persone siano scomparse nelle acque internazionali del Mediterraneo centrale. Alla fine di agosto 2024 la stima (minima) dei rifugiati e migranti morti o dispersi nel Mediterraneo ha raggiunto le 1.342 unità, di cui 1.053 nel Mediterraneo centrale. Oggi il rischio di perdere la vita sulla rotta è pari a 1 caso ogni 40 arrivi (era stato di 1 ogni 63 nel 2023). Dunque non è del tutto vero che le misure adottate dal governo abbiano ridotto le vittime delle traversate, pure nel quadro generale di complessivo calo degli arrivi. 2. Quasi tutti i mezzi di informazione italiani hanno ignorato la più recente sequenza di naufragi e di soccorsi in extremis nel Mediterraneo centrale. Mentre i mezzi più piccoli del soccorso civile hanno potuto sbarcare i naufraghi a Lampedusa, anche se già si sta tentando di colpirli assegnando il porto di sbarco più lontano di Porto Empedocle, si è completata la strategia innescata dal Decreto legge Piantedosi del 2 gennaio 2023 (legge 15/2023) per fare fuori le navi umanitarie più grandi, costrette a raggiungere porti vessatori, perchè sempre più lontani, con a bordo qualche decina di persone, pur avendo la possibilità di soccorrerne centinaia. In queste condizioni, dopo una serie di fermi amministrativi e di porti vessatori, MSF ha anunciato il ritiro della Geo Barents dal Mediterraneo centrale, una “resa al governo Meloni”, per i giornali di destra. Mentre la Ocean Viking di SOS Mediterraneè che nello Ionio meridionale aveva effettuato un secondo soccorso assai complesso, in concorso e sotto coordinamento con la Guardia costiera italiana, riceveva l’indicazione di raggiungere il porto di sbarco di Ravenna. Una scelta della destinazione che, considerate le condizioni dei naufraghi e la durata del tragitto, ha deliberatamente esposto persone già duramente provate, ad un vero e proprio trattamento disumano, con particolare riguardo ai più vulnerabili, ai feriti ed ai minori. Le circostanze dei soccorsi, prima a sud di Lampedusa, poi il secondo, nello Ionio meridionale, e le condizioni dei naufraghi, tra cui donne e bambini ancora a bordo di Ocean Viking, in giorni ormai invernali, caratterizzati da temperature rigide e mare agitato, fanno dunque definire non solo la destinazione assegnata di Ravenna come un porto “vessatorio”, ma la stessa rotta che la nave dovrà percorrere in almeno tre giorni di navigazione, come una “rotta disumana”, per le sofferenze alle quali andranno incontro i naufraghi. Che non hanno certo intrapreso la traversata per la presenza, ormai sporadica, di qualche nave delle ONG in acque internazionali a sud di Lampedusa, peraltro distante dalla rotta “turca”, ma che era una scelta obbligata al limite, ed oltre, della disperazione, a causa delle condizioni di crescente violenza e di abusi sistematici alle quali sono esposte tutte le persone migranti in transito non solo in Libia e in Tunisia, ma anche in altri paesi definiti come “sicuri”. 3. Adesso sembra che riprendano ad arrivare anche pescherecci partiti dalla Turchia, una rotta di fuga che impone lunghi gioni di navigazione che nei mesi invernali possono risultare letali per il rischio di ipotermia. Evidentemente gli eventi che si stanno verificando nel vicino oriente ed il ruolo che la Turchia sta giocando in Siria e in Libia, con movimenti forzati di migliaia di profughi, hanno riaperto una rotta che si riteneva chiusa. Mentre si segnalano partenze anche su un’altra rotta che si riteneva chiusa, quella dalla Cirenaica del generale Haftar, sempre più sotto l’influenza russa, dopo il rovesciamento di Assad in Siria. Ma di tutto questo in Italia non si deve parlare e tutto l’orrore dei naufragi, vere e proprie sparizioni forzate, viene coperto dalla propaganda contro i trafficanti. Che poi fanno fortuna proprio sul probizionismo delle migrazioni e sulla mancanza di canali legali di ingresso per i potenziali richiedenti asilo, costretti a pagare i trafficanti e sempre più esposti al rischio della vita. Secondo quanto pubblicato da Sergio Scandura, corrispondente per il Mediterraneo di Radio Radicale, nella giornata di sabato 14 dicembre, 129 Naufraghi: di cui 43 le donne, una incinta, 43 i bambini, incluso un bimbo di mese, a bordo di un piccolo peschereccio di acciaio lungo circa 15 metri, partito dalla Turchia,venivano salvate a 76 miglia nautiche dalle coste calabresi. in condizioni di mare avverso, con una operazione di soccorso congiunta della ONG Ocean Viking e della Guardia Costiera italiana. Come riferisce Il Quotidiano, I naufraghi hanno dichiarato al team di soccorso di essere partiti dalla Turchia 6 giorni prima. Il più giovane sopravvissuto è un bambino di un mese, che viaggiava con la mamma. 2 donne in ipotermia hanno avuto un collasso quando sono arrivate sulla nave, dove sono state trasportate in barella. Nonostante le condizioni dei Naufraghi, e la presenza di numerosi minori, si assisteva ad una ennesima decisione vessatoria del ministro Piantedosi che, per non farli sbarcare in un porto vicino, a Roccella Ionica o a Crotone, e per allontanare per il maggior tempo possibile la Ocean Viking dall’area dei soccorsi, ribadiva l’assegnazione di Ravenna come porto di sbarco (POS). 4. Nelle stesse ore la ONG ResQ People ha operato un soccorso di 63 persone tra la Tunisia e Lampedusa, 50 pakistani, bangladesi, egiziani, partiti da Zuwara (Libia) e soccorsi da motovedette Frontex. In un primo tempo sembravano destinati a sbarcare a Lampedusa, ma poi il Viminale ha ordinato che la nave, che si trovava già a sole 7 miglia dall’isola, dovesse raggiungere il POS (Porto di sbarco) di Porto Empedocle. Una ennesima decisione vessatoria assunta dal Viminale sulla pelle dei naufraghi, considerando le piccole dimensioni della nave soccorritrice e le rigide condizioni meteo, ormai con caratteristiche invernali. Tra Lampedusa a Porto Emedocle in queste condizioni di meteo perturbato, per la piccola imbarcazione di soccorso di ResqPeople e per i naufraghi a bordo ci sono almeno 24 ore di ulteriori sofferenze. Non solo, ma come comunicato dalla stessa organizzazione, dopo il salvataggio dei primi 63 naufraghi, nelle acque internazionali del Mediterraneo centrale, “la ResQ People non è riuscita ad intervenire su una seconda barca in difficoltà. Le autorità tunisine hanno impedito l’ingresso nelle acque territoriali. L’ultimo contatto con le 47 persone che chiedevano aiuto è di ieri sera (sabato) intorno alle 23.30, quando hanno comunicato che una persona aveva perso la vita cadendo in acqua. Dopo il silenzio”. 5. I politici attualmente al governo stanno operando nei confronti dei soccorsi in mare come se si trattasse di una questione meramente politica e propagandistica, senza tenere in alcuna considerazioni le norme di diritto internazionale, ed il Regolamento europeo Frontex n.656/2014 che le richiama. Come è puntualmente confermato dalle decisioni dei Tribunali, da ultimo il Tribunale di Vibo Valentia, che sospendono o annullano i provvedimenti di fermo amministrativo adottati su indirizzo del Viminale. Il Tribunale di Brindisi, per questi stessi profili, ha persino sottoposto alla Corte costituzionale la questione di legittimità del Decreto Piantedosi (legge n.15 del 2023). Nel mese di giugno del 2023 il Tribunale amministrativo del Lazio aveva deciso su due ricorsi proposti contro l’assegnazione di porti di sbarco “vessatori”, a notevole distanza dall’area nella quale venivano operati i soccorsi da parte di una organizzazione non governativa, legittimando le decisioni del Viminale. Le affermazioni incidentali del TAR Lazio sulla competenza (libica) nei soccorsi in acque internazionali rientranti nella cd. “zona SAR libica” e sulla pretesa competenza primaria dello Stato di bandiera ad indicare il porto di sbarco sicuro, appaiono in netto contrasto con i principi di diritto affermati dalla Corte di Cassazione nella sentenza Rackete n.6626/2020 in materia di soccorsi in mare ed assegnazione di un porto di sbarco. Una materia che ancora oggi è al centro del processo penale nei confronti di Matteo Salvini davanti al Tribunale di Palermo. nel quale il prossimo 20 dicembre si dovrebbe arrivare alla sentenza di primo grado. Secondo Francesca De Vittor, docente di Diritto internazionale all’Università Cattolica di Milano,,“L’assegnazione di porti di sbarco ingiustificatamente lontani contraddice l’idea di cooperazione in buona fede tra gli Stati stabilita dalle Convenzioni internazionali in materia di soccorso in mare”. Secondo l’art.31 della Convenzione di Vienna sul diritto dei Trattati, (Regola generale per l’interpretazione) “Un trattato deve essere interpretato in buona fede in base al senso comune da attribuire ai termini del trattato nel loro contesto ed alla luce dei suo oggetto e del suo scopo”.  Le attività di ricerca e salvataggio (SAR) non rientrano nella “gestione del fenomeno migratorio via mare”, trattandosi di atti dovuti e non di scelte discrezionali o “politiche”, al di fuori dei criteri di proporzionalità e ragionevolezza imposti anche dalla legislazione nazionale in materia di motivazione dei provvedimenti amministrativi. In ogni caso non può assumere rilievo la bandiera della nave soccorritrice, come certa propaganda di governo vorrebbe sostenere. Secondo la Raccomandazione della Commissione europea adottata il 23 settembre 2020 (Raccomandazione (UE) 2020/1365 della Commissione del 23 settembre 2020 sulla cooperazione tra gli Stati membri riguardo alle operazioni condotte da navi possedute o gestite da soggetti privati a fini di attività di ricerca e soccorso) lo Stato di bandiera ha una responsabilità relativa al controllo dei requisiti ai fini della registrazione delle navi, ma in alcun modo questa responsabilità comporta l’assegnazione dell’obbligo di indicare un porto di sbarco sicuro (come si può ricavare, seppure indirettamente, dalla sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea nel caso Sea Watch, C-14/21 del 1° agosto 2022). 6. In base alla Risoluzione MSC.167(78) del 2004, che fissa le Linee guida sul trattamento delle persone soccorse in mare: 6.3 Una nave non dovrebbe essere soggetta a indebiti ritardi, oneri finanziari o altre difficoltà correlate dopo aver prestato assistenza a persone in mare; pertanto gli Stati costieri dovrebbero dare il cambio alla nave non appena possibile. 6.8 I governi e l’RCC responsabile dovrebbero compiere ogni sforzo per ridurre al minimo il tempo in cui i sopravvissuti rimangono a bordo della nave che presta assistenza 6.13 Una nave che presta assistenza non dovrebbe essere considerata un luogo sicuro basandosi unicamente sul fatto che i sopravvissuti non sono più in pericolo immediato a bordo della nave. Una nave che presta assistenza potrebbe non disporre di strutture e attrezzature adeguate per sostenere altre persone a bordo senza mettere in pericolo la propria incolumità o prendersi cura adeguatamente dei sopravvissuti. Anche se la nave è capace di ospitare in modo sicuro i sopravvissuti e può fungere da luogo temporaneo di sicurezza, dovrebbe essere sollevato da questa responsabilità al più presto in quanto è possibile prendere accordi alternativi. 6.15 Le Convenzioni, come modificate, indicano che la consegna in un luogo sicuro dovrebbe tener conto delle circostanze particolari del caso. Tali circostanze possono includere fattori quali la situazione a bordo della nave che presta assistenza, le condizioni sulla scena, le esigenze mediche e la disponibilità di mezzi di trasporto o di altre unità di soccorso. Ogni caso è unico e la selezione di un luogo sicuro potrebbe dover tenere conto di una serie di fattori importanti. 6.20 Qualsiasi operazione e procedura come lo screening e la valutazione dello stato delle persone soccorse che vanno oltre il fornire assistenza alle persone in difficoltà non dovrebbe essere autorizzata a ostacolare la fornitura di tale assistenza o ritardare indebitamente lo sbarco di superstiti della nave o delle navi che prestano assistenza. 7. Secondo l’art. 9 del Regolamento 656/2014/UE, ” Gli Stati membri osservano l’obbligo di prestare assistenza a qualunque natante o persona in pericolo in mare e durante un’operazione marittima assicurano che le rispettive unità partecipanti si attengano a tale obbligo, conforme mente al diritto internazionale e nel rispetto dei diritti fondamentali, indipendentemente dalla cittadinanza o dalla situazione giuridica dell’interessato o dalle circostanze in cui si trova”. Nello stesso Regolamento, l’art.10 prevede che “nel caso di situazioni di ricerca e soccorso di cui all’articolo 9 e fatta salva la responsabilità del centro di coordinamento del soccorso, lo Stato membro ospitante e gli Stati membri partecipanti cooperano con il centro di coordinamento del soccorso competente per individuare un luogo sicuro e, una volta che il centro di coordinamento del soccorso competente abbia determinato tale luogo sicuro, assicurano che lo sbarco delle persone soccorse avvenga in modo rapido ed efficace”. Non si può certo sostenere che l’assegnazione di porti vessatori, che comportano anche tre giorni di navigazioni in condizioni di mare agitato, come nel caso di Ravenna, in Adriatico, o di Marina di Carrara, nel Tirreno, possano tradursi nello sbarco “in modo rapido ed efficace” imposto dal Regolamento europeo n.656/2014, come tale, in base all’art.117 della Costituzione, vincolante tanto per il legislatore nazionale, quanto per le autorità politiche, amministrative e militari coinvolte nella asssegnazione dei porti di sbarco dopo operazioni di soccorso. I giudici civili, penali ed aministrativi sono comunque tenuti nell’applicazione della legge al rispetto del principio gerarchico delle fonti normative (artt.101 e 117 Cost), tenendo conto, con riferimento alle attivita di contrasto dell’immigrazione irregolare (law enforcement), e di ricerca e salvataggio (SAR) in mare, dell’articolo 1158 del Codice della navigazione che riguarda l’ipotesi di omissione di soccorso. I provvedimenti amministrativi, come i fermi che sono adottati nei confronti di navi civili di soccorso non possono contenere motivazioni discriminatorie, apparenti, contraddittorie o che implichino una qualsiasi violazione delle norme cogenti di diritto intternazionale o eurounitario, come i Regolamenti europei. Le finalità di “difesa dei confini”, o di “gestione dei flussi migratori” non possono comportare la disapplicazione delle norme internazionali o euro-unionali sui soccorsi in mare. Se non lo stabiliranno i giudici nazionali, sulle violazioni che ne derivano potrebbero intervenire anche i tribunali internazionali e la Corte di giustizia dell’Unione europea.     > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp
December 16, 2024 / Osservatorio Repressione
Venticinque anni di “Storie da un lager”
Sono passati 25 anni dal rogo nel “Centro di permanenza temporanea” (CPT) Serraino Vulpitta di Trapani, in cui persero la vita sei persone detenute in attesa di espulsione. Già allora le condizioni di vita nei centri di detenzione amministrativa aperti in Italia dopo la legge Turco-Napolitano del 1998 erano disumane, e prima di quel rogo a nulla erano valse le denunce sugli abusi sistematici commessi all’interno di una struttura che al momento della sua apertura qualcuno aveva definito come un “hotel a cinque stelle”. Come si continuano a definire i centri di accoglienza/detenzione aperti in Albania. Le modalità di trattenimento rimangono ancora oggi al di fuori di qualsiasi previsione di legge, affidate soltanto alla discrezionalità delle forze di polizia ed ai regolamenti interni stabiliti dal Viminale. Ripubblichiamo qui un dossier sul centro di detenzione “Serraino Vulpitta” di Trapani ricordando il valoroso impegno dei volontari che lo hanno redatto,Valeria Bertolino e Sergio Serraino, e tutte quelle persone che sono state vittime di un sistema detentivo che nel tempo non è mutato, chi pagando con la vita, altri con ferite nel corpo e nell’animo che non si potevano più rimarginare. Anche allora i governi negavano l’evidenza, l’inutilità della detenzione amministrativa per garantire effettività alle espulsioni, e la disumanizzazione che si infliggeva a chi finiva rinchiuso in strutture che già allora si caratterizzavano per la totale privazione della libertà personale, al di fuori delle garanzie dei diritti fondamentali previste anche dalla nostra Costituzione, e per il diffuso ricorso a trattamenti farmacologici forzati, come ancora oggi si denuncia nel più recente rapporto del Comitato per la prevenzione della tortura (CPT) del Consiglio d’Europa. che ha potuto visitare solo alcuni centri per i rimpatri (CPR) aperti in Italia (vedi sotto) (Fulvio Vassallo Paleologo) di Valeria Bertolino e Sergio Serraino da Adif ***************************************************** Riceviamo da Sergio Serraino, operatore sociale Buongiorno, ho letto in questi giorni vari articoli sul report del TAI sui CPR. Ieri è uscito invece il report del comitato contro la tortura del consiglio europeo. Ormai ne esce quasi uno al mese di report/inchieste sui centri di detenzione amministrativa italiani, per fortuna. In allegato trovate due edizioni , del 2002 e 2003, del libro bianco sull’allora CPT di Trapani, dove denunciavamo l’orrore di questi centri, e già allora la questione della “terapia” (trovate riferimenti a pag. 23, 39 nell’introduzione al secondo libro bianco, 40 43, 45), e della violenza insita in questi centri. Sono le storie della detenzione delle persone che incontravamo ogni settimana nel centro, all’interno del quale entravamo come realtà indipendente, il Coordinamento per la pace di Trapani, con autorizzazione ottenuta in seguito alla strage del 29 dicembre del 1999 e al processo che allora era in corso. Vent’anni fa denunciavo le stesse identiche cose. “Addirittura lager” ci dicevano… quindi immaginate la soddisfazione, ma al contempo la rabbia, che proviamo ogni volta che viene pubblicato un report o una inchiesta su questi centri. E non dimentichiamo mai che sono stati istituiti con la legge Turco-Napolitano, chiamati allora con un eufemismo “centri di permanenza temporanea ed assistenza” , goffo stratagemma semantico che lasciava trapelare cattiva coscienza o imbarazzo politico, come scriveva tanti anni fa Annamaria Rivera.  E non saranno  i proclami lanciati quando sono all’opposizione a farci dimenticare più di 20 anni di storia di questi centri. Trovo inoltre assurdo parlare di diritti umani da rispettare dentro questi centri, solo perché già la logica del rimpatrio è di per sè disumana. Albert Einstein riferendosi alla guerra, diceva “non si può umanizzare, si può solamente abolire,” questa  affermazione perentoria per quanto mi riguarda vale anche per questi centri. Vanno aboliti! E continuando con le citazioni, Hannah Arendt nel 1951 scriveva: “Nessun paradosso della politica contemporanea è più pervasa di amara ironia del divario tra gli sforzi di sinceri idealisti, che insistono tenacemente a considerare ‘inalienabili’ diritti umani in realtà goduti soltanto dai cittadini dei paesi più prosperi e civili, e la situazione degli individui privi di diritti, che è costantemente peggiorata, sino a fare del campo di internamento la soluzione corrente del problema della residenza delle displaced persons”. Mi sono sempre amaramente riconosciuto in quelle parole… Sergio Serraino  COORDINAMENTO PER LA PACE – TRAPANI – 2002-2003 “STORIE DA UN LAGER” a cura di VALERIA BERTOLINO SERGIO SERRAINO -------------------------------------------------------------------------------- A cura di Valeria Bertolino e Sergio Serraino del Coordinamento per la pace di Trapani STORIE DA UN LAGER: UN LIBRO BIANCO SUL CPT “SERRAINO VULPITTA” DI TRAPANI 16 Aprile 2003 Il Centro di permanenza temporanea di Trapani é il primo ad essere aperto in Italia e viene inaugurato nel luglio del 1998 nei locali della Casa di Riposo per Anziani “Rosa Serraino Vulpitta” alla presenza del capo della polizia Masone e del sottosegretario agli interni Sinisi. Viene celebrato come “il fiore all’occhiello” del Ministero degli Interni. Da subito però si verificano rivolte, tentativi di fuga, episodi di autolesionismo da parte degli immigrati trattenuti. Il clima é di continua, altissima tensione. Nella notte fra il 28 e il 29 dicembre del 1999, dopo l’ennesimo tentativo di fuga, uno degli immigrati appicca il fuoco ad alcuni materassi in una camerata. E’ l’inferno. Nel rogo muoiono bruciati vivi tre giovani tunisini, altri tre moriranno in ospedale a causa delle ustioni riportate: Rabah, Nashreddine, Jamel, Ramsi, Lofti e Nasim. Nel mese di gennaio, viene presentato un esposto alla magistratura in cui si denunciano le condizioni di sicurezza inaccettabili e le carenze strutturali del centro: mancano le uscite di sicurezza, i corridoi sono troppo stretti per permettere il deflusso in caso di emergenza, gli estintori sono in numero insufficiente. L’indagine che scaturisce dall’esposto porta nel luglio del 2000 al sequestro del centro da parte dell’autorita’ giudiziaria; il prefetto di Trapani Cerenzia riceve un avviso di garanzia per omissione di atti d’ufficio ed omicidio colposo plurimo. Il Ministero degli Interni si rivolge al Tribunale del riesame che, nel settembre dello stesso anno, dispone il dissequestro del centro, non entrando però nel merito dell’inchiesta sul rogo ma rilevando soltanto come i lavori di ristrutturazione fatti in seguito ne rendano accettabili le condizioni di sicurezza all’interno. La Procura di Trapani ricorre alla Corte di Cassazione, il “Serraino – Vulpitta” riapre ufficialmente il 15 novembre 2000. L’inchiesta si conclude con il rinvio a giudizio dell’ormai ex prefetto di Trapani per omissione di atti d’ufficio, omicidio colposo plurimo, lesioni colpose nei confronti degli agenti di polizia rimasti feriti nel rogo, omessa cautela per non aver predisposto le misure di sicurezza necessarie ed il piano antincendio. Attualmente il processo é in corso. Dal 2000 la gestione del Vulpitta é affidata alla cooperativa “Insieme” di Castelvetrano. Direttore del centro, nominato con decreto dal prefetto Cerenzia, é il cav. Giacomo Mancuso, già responsabile del centro di accoglienza Badia Grande della Caritas di Trapani. Dopo il rogo il Ministero degli Interni ha fissato in 54 unità il numero massimo di trattenuti al Vulpitta; tale limite però viene spesso ampiamente superato. Il Vulpitta dopo le ristrutturazioni, assomiglia sempre più ad un carcere. La cosa che colpisce di più é la presenza di sbarre dovunque. Si accede al centro da via Tunisi. L’ingresso é sorvegliato da un agente di polizia. Per entrare nell’edificio bisogna attraversare un campetto di calcio, circondato da una alta e spessa rete di protezione. Al piano terra ci sono gli uffici del personale della Questura, del direttore del centro ed un magazzino, al 1° piano c’é il centro di identificazione, un corridoio e alcune stanze. Spesso é vuoto, qualche volta ci sono gli immigrati appena sbarcati in qualche parte della provincia che non hanno trovato posto al piano di sopra, in attesa di essere fotosegnalati e smistati in altri centri; possono rimanere lì anche per giorni; in questo caso dormono a terra sopra delle coperte. Quando ciò si verifica, quasi sempre il cancello e la porta anti – incendio che danno sul corridoio vengono chiuse. Al 2° piano c’é il centro di trattenimento, diviso in due settori; il primo sottoposto alla vigilanza della polizia, il secondo a quella dei carabinieri, collegati fra loro da un ballatoio esterno, di solito nel settore dei carabinieri vengono trattenuti i tossicodipendenti e coloro che provengono dal carcere. I poliziotti, a differenza dei carabinieri, sono armati. Le celle danno tutte sul ballatoio, alle sbarre dei cancelli delle celle ci sono sempre appesi ad asciugare i vestiti che gli stessi immigrati lavano. Gli unici spazi in cui i trattenuti possono stare, oltre alle celle, sono i corridoi interni, anche questi chiusi da un cancello. Le celle misurano circa cinque metri per cinque. Quando il centro e’ sovraffollato vi vengono sistemate anche dieci brandine. C’é anche una cella di isolamento per chi si agita troppo o per chi non vuole dormire con gli altri perche’ ha paura. Le lenzuola sono di carta. I trattenuti possono uscire all’esterno solamente nell’ora d’aria per giocare a calcio, a gruppi di otto, provenienti tutti dallo stesso settore per evitare pericolose “alleanze”, scortati da un numero pari o addirittura superiore di agenti. All’arrivo al Vulpitta viene consegnato loro un borsone con una camicia e un paio di pantaloni o una tuta, delle scarpe di tela tipo tennis, dei capi di biancheria intima. Ogni dieci giorni i trattenuti ricevono una scheda telefonica da 5 euro a testa e ogni settimana un pacchetto di sigarette. I rimpatri vengono effettuati il lunedì e il giovedì; nel mese di agosto anche il sabato; gli immigrati vengono prelevati dal centro e condotti con i mezzi della polizia al porto di Trapani per essere imbarcati sulla nave per Tunisi. Esiste un progetto, gia’ approvato dal Ministero degli interni, per la realizzazione a Trapani in contrada Milo di un altro CPT con una capienza di 200 posti e di un centro di identificazione per 500 immigrati, la cosiddetta “cittadella dell’accoglienza” (definizione del sottosegretario D’Alì). (a cura del Coordinamento per la pace di Trapani) La situazione processuale alla vigilia della sentenza sul rogo del ’99 Intro: le Storie del Vulpitta La situazione processuale alla vigilia della sentenza sul rogo del ’99 Intro: le Storie del Vulpitta TYSON, 30 anni, albanese. CHOCKRI, 28 anni, tunisino. LARBI, 24 anni, tunisino AURELIAN, 27 anni, rumeno MOLAN, STEBAN, KUMARA e gli altri, vengono dallo Sri Lanka. NANAYAKKARA, 30 anni, viene dallo Sri Lanka; dall’89 vive a Palermo. SALEM, 32 anni, algerino. NICU, 40 anni, rumeno BOUBAKER, 42 anni, tunisino. DANIEL, MICHEL, ISLAM, ALI e gli altri, sono eritrei, etiopici, somali. SADOK, 35 anni, tunisino. IMED, 20 anni, algerino. MOUSSA, MOHAMMED, ISSA, DENNIS, BENSON, JIBRILE E OMAR, MOKTAR, 42 anni, marocchino. STEFANIA e le altre. KHALIFA, 35 anni, tunisino. SATWINDER, JANSWINDER e i due GURDIP, hanno fra i 20 e i 25 anni, sono indiani. ANDREJ, circa 40 anni, rumeno LI MU SONG, cinese, ambulante, preso a Bari, al Vulpitta dal 19 aprile 2002. CHIZOBA, 24 anni, nigeriano HAJI, 31 anni, tunisino MOHAMED, tunisino. AHMED, 55 anni, tunisino ALI, tunisino, proviene dal carcere di Castelvetrano TAREK, 30 anni, algerino SAMIR, 36 anni, tunisino MUHEUDDIN, 23 anni, del Bangladesh MOHAMED ALI, circa 30 anni, tunisino NEJII, 25 anni, tunisino KAMEL, 24 anni, algerino YOUSSEF, MOHAMMED, HASEN, KARIM e gli altri. MOUSTAFA’ MOKTAR, HAMID, FARID, algerini NACEUR, 36 anni, tunisino YOUSSEF, 20 anni, Palestinese FATHI e MAJDI, tunisini, di 15 e 16 anni. SALEM, 31 anni, tunisino. MOURAD, 20 anni tunisino   > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp
December 15, 2024 / Osservatorio Repressione
Report del Comitato europeo per la prevenzione della tortura sulle visite ispettive ai Cpr
Il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle cure o punimenti inumani o degradanti (CPT) ha pubblicato  il rapporto sulla sua visita in Italia ai centri per il rimpatrio dei migranti nell’aprile 2024, insieme alla risposta delle autorità italiane. La visita si è concentrata sul trattamento e sulle condizioni di detenzione di cittadini stranieri detenuti in quattro, centri pre-rimozione chiusi (Centri di per permanenza il rimpatrio o CPR) a Milano, Gradisca, Potenza e Roma. Il CPT ha trovato diversi casi di presunti maltrattamenti fisici e uso eccessivo della forza da parte di agenti di polizia di cittadini stranieri detenuti nei CPR visitati, di solito a seguito di un disturbo o di atto di vandalismo nei centri. Il rapporto evidenzia l’assenza di un monitoraggio rigoroso e indipendente di tali interventi da parte della polizia e la mancanza di una registrazione accurata delle lesioni subite da persone detenute o di qualsiasi valutazione in relazione alla loro origine. Il Comitato critica anche la pratica diffusa della somministrazione di psicofarmaci non prescritti diluiti in acqua a cittadini stranieri, come documentato al CPR di Potenza. La pratica di trasportare cittadini stranieri a una RCP mentre è ammanettata in un veicolo della polizia senza essere offerto cibo e acqua durante i viaggi di diverse ore dovrebbe essere rivista. Più in generale, il Comitato è molto critico nei confronti della disposizione fisica e della progettazione delle RCP e in particolare dell’ambiente carcerario, che potrebbe essere considerato simile a quelli osservati dal Comitato nelle unità di detenzione che ospitano i prigionieri in regime speciale. Esempi di tali elementi includono schermi a tre metalli su finestre e strutture esterne simili a gabbie. Altre carenze individuate riguardano la scarsa qualità degli alimenti forniti alle persone detenute e la carenza di scorte di articoli da toletta. In termini di regime di attività offerte, i cittadini stranieri sono stati effettivamente immagazzinati nei CPR, con gli appaltatori CPR interessati che investono solo sforzi minimi per offrire alcune attività di natura mirata. Le pertinenti specifiche d’appalto (Capitolato) non erano state rispettate e il CPT ha osservato che erano state aperte diverse indagini penali contro la gestione di vari RCP. Il CPT ha avuto la netta impressione che l’alto tasso di eventi critici e violenza registrati all’interno dei CPR sia stata una conseguenza diretta delle restrizioni di sicurezza sproporzionate, della mancanza di valutazioni dei rischi individuali di cittadini stranieri e del fatto che le persone detenute non sono state in effetti fornite con nulla per occupare il loro tempo. Il Comitato auspica l’introduzione di una serie completa di attività mirate, in particolare alla luce dell’estensione del periodo di detenzione fino a un massimo di 18 mesi. In relazione alla fornitura di assistenza sanitaria, l’attuale sistema di medici di medicina generale che certifica una persona in quanto i diritti di detenzione in una RCP dovrebbe essere riesaminato, per garantire che siano coinvolti medici con esperienza precedente e conoscenza delle condizioni in un ambiente sicuro. Il CPT ritiene inoltre che lo screening medico delle persone detenute al momento della loro ammissione dovrebbe essere migliorato. L’attuale approccio in cui varie forze dell’ordine, in particolare i gruppi antisommossa e di intervento, forniscono la supervisione della custodia all’interno dei CPR su base rotazionale non è appropriato. Secondo il CPT, vi è la necessità di creare un corpo dedicato di funzionari di detenzione che siano adeguatamente formati nelle sfide specifiche della supervisione delle persone collocate nei centri di detenzione per immigrati, in particolare per quanto riguarda le capacità interpersonali e la capacità di riconoscere i sintomi di possibili reazioni da stress. Per quanto riguarda le garanzie giuridiche offerte alle persone soggette a un RCP, il CPT raccomanda di migliorare l’accesso a un avvocato. Inoltre, i cittadini stranieri detenuti nei cosiddetti locali – aree di detenzione presso la sede della polizia nazionale (Questure) nei porti, negli aeroporti e nei valichi di frontiera – dovrebbero essere concessi le garanzie necessarie come le informazioni sui loro diritti, l’accesso a un avvocato e la notifica della loro detenzione a un terzo. La relazione conclude che le conclusioni del CPT, in particolare in relazione alle pessime condizioni materiali, all’assenza di un regime di attività, all’approccio sproporzionato in materia di sicurezza, alla qualità variabile dell’assistenza sanitaria e alla mancanza di trasparenza della gestione dei CPR da parte di appaltatori privati, mettono in discussione l’applicazione di tale modello da parte dell’Italia in un contesto extraterritoriale, come ad esempio in Albania. Nella loro risposta, le autorità italiane forniscono informazioni dettagliate sul funzionamento degli sforzi extraterritoriali per detenere i migranti nei centri sul territorio albanese, con particolare riferimento alla valutazione della loro vulnerabilità. Inoltre, le autorità italiane indicano che i casi di maltrattamento fisico descritti nella relazione non sono stati oggetto di indagini penali e che diverse ispezioni sono state effettuate dalle autorità sanitarie presso il CPR Potenza in relazione alla pratica di presunta diffusa sovra-medicazione delle persone detenute. Informazioni dettagliate sono fornite anche sulla progettazione e la struttura delle RCP e alcuni elementi carcerari e di sicurezza sono giustificate alla luce dell’elevato tasso di vandalismo da parte della popolazione detenuta. La risposta contiene anche informazioni sulle ispezioni effettuate dal Ministero dell’Interno presso vari RCP per verificare gli standard delle condizioni materiali e dei livelli di personale. Infine, si fa riferimento alla pubblicazione di nuove valutazioni d’appalto (Capitolato) per la gestione dei CPR. * Leggi il report (solo in inglese) * Leggi il riassunto esecutivo (in inglese, in italiano) * Leggi la risposta (in inglese, in italiano) * Il CPT e l’Italia       > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp
December 13, 2024 / Osservatorio Repressione
Unione Europea: UE: nuova legge per garantire la criminalizzazione della solidarietà
La prossima settimana, una nuova legge dell’UE sulla criminalizzazione del traffico di migranti sarà esaminata dal Consiglio “Giustizia e affari interni). Il Consiglio dovrebbe approvare la sua posizione di negoziati con il Parlamento europeo. La legge esistente è stata criticata per non essere riuscita a prevenire la criminalizzazione della migrazione e gli atti di solidarietà con migranti e rifugiati. Il nuovo testo sembra rischiare di peggiorare la situazione. di Inés Marco, attivista e ricercatore sulla migrazione  da Statewatch Nota: questa analisi si basa principalmente sulla versione del testo del Consiglio del 22 novembre 2024. Una versione successiva, datata 29 novembre, è stata resa pubblica, con solo piccole modifiche rispetto al predecessore. Pacchetto dei facilitatori La proposta di legge sostituirà le norme del 2002, note come pacchetto di facilitatori, che stabiliscono sanzioni per facilitare l’ingresso, il transito o il soggiorno non autorizzati nell’UE. Le regole sono state ampiamente criticate negli ultimi anni per non aver impedito la criminalizzazione in corso dei migranti, delle loro famiglie e degli attivisti e delle organizzazioni che li sostengono. La posizione del Consiglio sulla nuova legge (22 novembre, pdf) non risponde alle richieste di eccezioni chiare e obbligatorie all’azione penale per atti di umanitarismo e solidarietà. Al contrario, può rendere tali procedimenti più probabili. L’approvazione da parte del Consiglio GAI nella riunione del 13 dicembre, a seguito della quale sarà utilizzato dal Consiglio nei negoziati “triloghi” con il Parlamento europeo. Armonizzazione minima Un cambiamento chiave nel più recente progetto del Consiglio è l’enfasi che la legge richiede solo una “armonizzazione minima” tra i sistemi giuridici degli Stati membri dell’UE. Ciò significa che gli Stati membri “sono liberi di adottare o mantenere una legislazione che prevedano un’incriminazione più ampia di quella stabilita nella presente direttiva”, afferma il testo. Sebbene ciò sia sempre il caso delle direttive, che non si applicano direttamente nei sistemi giuridici degli Stati membri e impongono alle leggi nazionali di recepirli, l’accento posto sulla possibilità di “incriminazione più ampia” dà il via libera alle autorità nazionali che cercano di ampliare il campo di applicazione della criminalizzazione. Benefici finanziari o materiali Nella proposta della Commissione, facilitare l’ingresso, il transito o il soggiorno non autorizzati nel territorio dell’UE sarebbe un reato solo se l’autore del reato ricevesse “servizio finanziario o materiale”. Le precedenti bozze del Consiglio rimossero questa formulazione, ma la versione più recente la riporta indietro, restringendo i confini del reato e in linea di principio escludendo atti con un motivo altruistico. Tuttavia, la definizione (in finzione nell’articolo 3) non include solo i casi in cui un beneficio è stato ricevuto direttamente. Esso copre anche i casi in cui: “… la persona che effettua la condotta richiede, riceve o accetta, direttamente o indirettamente, un beneficio finanziario o materiale, o una promessa di ciò, o esegue il comportamento al fine di ottenere tale beneficio.” La definizione del reato nella posizione del Consiglio recita ora: “Gli Stati membri provvedono affinché un cittadino di un paese terzo che assista intenzionalmente un cittadino di un paese terzo ad entrare, o a rimanere nel territorio di qualsiasi Stato membro in violazione del pertinente diritto dell’Unione o delle leggi dello Stato membro interessato al giorno dell’ingresso, del transito e del soggiorno di cittadini di paesi terzi costituisca un reato qualora la persona che effettua la condotta richieda, riceva o accetta, direttamente o indirettamente, un beneficio finanziario o materiale, o ne svolge un’azione. Il progetto del Consiglio aggiunge anche due nuovi considerando, che rendono esplicito che gli Stati membri possono adottare una definizione più ampia del reato di facilitazione nella loro legislazione nazionale, cioè possono escludere il requisito di “vantaggi finanziari o materiali”. Il considerando 6 Ciò lascia impregiudicato il modo in cui gli Stati membri si occupano nel loro diritto nazionale con comportamenti di facilitazione per i quali un beneficio finanziario o sostanziale o promesso non è un elemento costitutivo del reato. Il considerando 6a Tuttavia, poiché la presente direttiva è uno strumento di armonizzazione minima, gli Stati membri sono liberi di criminalizzare tale comportamento quando non è stato fornito alcun beneficio finanziario o altro materiale. Mentre da un lato gli Stati non sarebbero obbligati a perseguire gli atti considerati come facilitazione che sono stati effettuati a causa di motivi altruistici, la proposta del Consiglio non impone alcun limite alla capacità degli Stati membri di criminalizzare, indipendentemente dalle motivazioni o dal contesto dell’azione. Esenzioni flessibili per le persone in movimento Il diritto internazionale esclude esplicitamente i migranti punitivi “per il fatto di essere stati oggetto di condotta” che viene criminalizzato. Ciò si è riflesso nella proposta della Commissione e nei precedenti progetti del Consiglio, che hanno dichiarato: “I cittadini di paesi terzi non dovrebbero diventare penalmente responsabili di essere stati soggetti a … reati”. La posizione del Consiglio ora la menziona solo brevemente, in uno dei considerando. Un considerando distinto consente agli Stati membri di definire la portata dell’esenzione in relazione al diritto nazionale: “Il considerando 7a. Fatte salve le norme di diritto nazionale relative all’ingresso non autorizzato nel territorio dello Stato membro interessato, i cittadini di paesi terzi non dovrebbero diventare penalmente responsabili del solo fatto di essere stati oggetto di reato di agevolare l’ingresso, il transito non autorizzato o il soggiorno nel territorio di qualsiasi Stato membro.” Clausola umanitaria e bisogni fondamentali La proposta della Commissione non includeva una clausola umanitaria nella parte operativa del testo, mentre il progetto del Consiglio ha fatto circolare nel maggio suggeriva una clausola umanitaria obbligatoria. Ciò sarebbe stato incluso accanto ad altre definizioni nell’articolo 3, per “fornire maggiore chiarezza e certezza giuridica sulla distinzione tra facilitazione della migrazione irregolare e assistenza umanitaria”, ha affermato il progetto del Consiglio. Tuttavia, vi è stato evidentemente disaccordo su questo punto, con un documento del Consiglio (pdf) che rileva che “una maggioranza degli Stati membri in prima linea sembrava a favore della gestione delle eccezioni basate sul diritto umanitario, sui bisogni umani di base e sul salvataggio in mare nell’ambito della competenza nazionale”. Cioè, tali eccezioni non dovrebbero essere coperte dal diritto dell’UE. Ciò è stato risolto includendo la clausola umanitaria in un considerando, che non è vincolante: Il considerando 7 Nessuna disposizione della presente direttiva dovrebbe essere intesa come criminalizzare, da un lato, l’assistenza fornita ai familiari e, per l’altro, l’assistenza umanitaria o il sostegno dei bisogni umani fondamentali forniti ai cittadini di paesi terzi in ottemperanza agli obblighi di legge, compresi, se del caso, il diritto internazionale. Una nota nel documento afferma che il presente considerando “dovrebbe essere letto alla luce del considerando 6 bis, il che sottolinea che la presente direttiva è uno strumento di armonizzazione minima: gli Stati membri sono liberi di adottare o mantenere una legislazione che prevedano un’incriminazione più ampia di quanto stabilito nella presente direttiva”. La posizione del Consiglio continua ad indicare (nel considerando 4) che: “… nulla nella presente direttiva dovrebbe pregiudicare i diritti, gli obblighi e le responsabilità degli Stati membri e delle persone che forniscono assistenza ai cittadini di paesi terzi, per motivi umanitari o volti a soddisfare i loro bisogni umani fondamentali, ai sensi del diritto internazionale”..” Tuttavia, una definizione più ampia di ciò che “bisorieve di base” non è più caratterizzata dal testo della definizione. Le versioni precedenti hanno detto: ““Incontrare i bisogni di base di una persona significa che i loro bisogni, come il cibo, l’igiene personale e  un luogo di permanenza, sono soddisfatti in modo che la loro salute fisica o mentale non sia compromessa, o non siano messi in uno stato di degrado incompatibile con la dignità .umana”. I membri della famiglia Come nel caso delle esenzioni per le persone in movimento, le esenzioni per le loro famiglie appaiono solo brevemente nei considerando e sono diverse dal testo diffuso nel mese di maggio. In primo luogo, invece di affermare che “l’assistenza fornita a un familiare stretto per soddisfare i loro bisogni umani di base non dovrebbe essere criminalizzata”, afferma il considerando: “Nulla di questa direttiva dovrebbe essere intesa come richiesta alla criminalizzazione dell’assistenza fornita ai familiari stretti”. Una mano dà: la comprensione dell’”assistenza” si amplia rimuovendo il riferimento ai “bisossi di base”. L’altro toglie: il divieto di criminalizzare questa assistenza è indebolito attraverso l’affermazione che non è obbligatorio criminalizzare (semplicemente che gli Stati membri potrebbero criminalizzare tale comportamento se lo desiderano). Inoltre, il testo del Consiglio non presenta più l’obbligo per gli Stati di tener conto delle “le diverse circostanze particolari della dipendenza e della particolare attenzione da prestare all’interesse superiore dei minori”. Sante per le persone fisiche Le sanzioni per le persone fisiche stabilite nella posizione del Consiglio sono massime minime, ossia nel documento del 29 novembre, gli Stati membri devono garantire che gli atti indicati di seguito siano punibili con “un termine massimo di reclusione di almeno [x] anni”. Ciò significa che gli Stati membri possono imporre sanzioni massime più elevate, facilitando una maggiore criminalizzazione. Il criminale difenc e Pena massima minima per le persone fisiche riconosciute colpevoli (anni di reclusione)   La proposta della Commissione Posizione del Consiglio 2024 Posizione del Consiglio 20 novembre 2024 Facilitazione di ingresso, transito o residenza non autorizzata (senza beneficio finanziario o materiale) – Es. 1 – Es. Facilitazione di ingresso, transito o residenza non autorizzata (con beneficio finanziario o materiale) Il terzo Il terzo Il terzo Le circostanze di aggravamento Impegnati nell’ambito di un’organizzazione criminale 10 8 8 Mettendo in pericolo la vita dei cittadini di paesi terzi soggetti al reato Impegnati per violenza grave nei confronti dei cittadini di paesi terzi soggetti al reato Quando i cittadini di paesi terzi sottoposti al reato erano particolarmente vulnerabili (ad esempio i minori non accompagnati) Causando la morte 15 anni 10 10 --------------------------------------------------------------------------------   Nota: Questo articolo è stato modificato per aggiungere ulteriore chiarezza nella sottosezione finale, per spiegare che le sanzioni stabilite sono “massime minime”. La documentazione * 15916/24 / 1: Approccio generale proposto (22 novembre 2024, pdf) * REV 1: Approccio generale proposto per la revisione (29 novembre 2024, pdf) * 14633/24 : Testo riveduto dalla Presidenza a seguito della riunione COPEN del 9 ottobre 2024 e delle riunioni bilaterali del 14, 15 e 16 ottobre 2024 (21 ottobre 2024, pdf) * 14609/24: proposta e osservazioni degli Stati membri e degli Stati associati di Schengen (18 ottobre 2024, pdf) * 14385/24 : Testo riveduto dalla Presidenza dopo la riunione COPEN del 9 ottobre 2024 (11 ottobre 2024, pdf) * 13799/24 13799: Documento di discussione della presidenza con un testo riveduto (2 ottobre 2024, pdf) * ADD 1 * ORI-R1         > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp
December 11, 2024 / Osservatorio Repressione
Chiudere tutti i Cpr
L’appello del Tavolo asilo e immigrazione. In occasione della Giornata mondiale per i diritti umani del 10 dicembre, oltre 40 organizzazioni della società civile chiedono la chiusura dei Centri di permanenza per il rimpatrio. In un dettagliato rapporto danno conto delle visite svolte nelle strutture da cui sono emerse gravi violazioni dei diritti delle persone rinchiuse. Intanto, il governo italiano è in ritardo nel processo di implementazione del nuovo Patto per le migrazioni e l’asilo di Luca Rondi da altreconomia “I Cpr vanno chiusi”. Senza mezze misure le oltre quaranta organizzazioni della società civile del Tavolo nazionale asilo e immigrazione (Tai) chiedono la fine dei Centri di permanenza per il rimpatrio. Lo fanno dalla sede nazionale della Cgil di Roma in occasione della Giornata mondiale per i diritti umani del 10 dicembre, presentando il report “Cpr d’Italia: porre fine all’aberrazione” che dà conto degli accessi effettuati il 15 aprile 2024 in otto centri, ma più in generale, fa il punto sullo stato di salute della detenzione amministrativa in Italia. “La situazione nelle strutture è apparsa particolarmente problematica -spiega Filippo Miraglia, responsabile nazionale immigrazione dell’Arci-. Queste criticità denunciano una gestione sistematicamente carente dei Cpr, che non solo compromette la tutela dei diritti fondamentali dei trattenuti, ma rende anche impossibile un monitoraggio indipendente e trasparente, ostacolando ogni tentativo di miglioramento”. Come già emerso in oltre vent’anni di inchieste, denunce e rapporti -l’abbiamo raccontato anche nel nostro saggio “Gorgo Cpr“- le visite agli otto Cpr hanno confermato che le condizioni di trattenimento sono caratterizzate da sovraffollamento delle unità di alloggio, isolamento alternato e mancanza di privacy, qualità dei pasti scadente e dannosa, condizioni igienico-sanitarie critiche, mancanza di protocolli di collaborazione con enti sanitari e associazioni di volontariato, carenza di personale specializzato quale mediatori culturali, psicologi e personale sanitario. “Questi fattori evidenziano un clima di degrado e abbandono -aggiunge Miraglia- che colpisce i trattenuti con gravi ripercussioni sulla loro salute fisica e mentale, così come il personale dei centri”. Il tutto a dei prezzi esorbitanti. Secondo lo studio “Trattenuti” di ActionAid e dell’Università di Bari riportato nel Rapporto, tra il 2018 e il 2023, il sistema ha comportato un costo di quasi 93 milioni di euro, di cui il 64% destinato agli enti gestori. Il costo medio annuo di una struttura si aggira sui 1,65 milioni di euro, con una spesa media per trattenuto di oltre 25mila euro l’anno. “Inoltre, secondo lo stesso studio, il sistema è inefficace -spiega Gianfranco Schiavone, presidente del Consorzio italiano per i rifugiati (Ics)- dai dati raccolti nel periodo 2014-2023, a fronte di 279.231 provvedimenti di allontanamento emessi, i rimpatri effettivi dai Cpr rappresentano una percentuale minima, raramente superiore al 10%. Sebbene dal 2018 al 2023 la media dei rimpatri rispetto agli ingressi nelle strutture sia del 47,6%, tale dato è fortemente distorto dalla prevalenza di cittadini tunisini, che costituiscono quasi il 70% dei rimpatriati grazie agli accordi bilaterali con la Tunisia. Per le altre nazionalità, la percentuale di rimpatri scende sotto l’8%”. Il tema della tutela della salute delle persone rinchiuse si è di nuovo rivelato estremamente critico. “Le delegazioni hanno registrato condizioni sanitarie precarie, con servizi medici insufficienti e abuso nella somministrazione di psicofarmaci e la mancanza o l’inadeguatezza di protocolli sanitari che aggravano i problemi di salute dei trattenuti -aggiunge Schiavone-. Le pessime condizioni fisiche e mentali dei trattenuti nei Cpr sono correlate a numerosi episodi di suicidio e autolesionismo riportati in vari centri”. Tutte queste criticità portano il Tai a sottolineare come ciò che connota questi luoghi “non è un’inefficienza gestionale bensì un’aberrazione strutturale costituita da un sistema di compressione delle libertà dell’individuo le cui finalità reali risultano del tutto diverse da quelle pubblicamente dichiarate”. Ed è per questo motivo che secondo Miraglia “il primo e più importante risultato di questo lavoro congiunto tra la società civile e i rappresentanti politici, che registriamo con favore, è quello di far emergere i problemi strutturali della detenzione amministrativa e portare i partiti dell’opposizione sulle nostre posizioni, per la chiusura della stagione del diritto speciale dello straniero”. Alla presentazione del rapporto il 10 dicembre erano presenti diversi parlamentari e senatori dell’opposizione, da Alleanza Verdi e Sinistra a Più Europa, fino a una nutrita delegazione del Partito Democratico. In questo contesto incide poi il nuovo Patto per le migrazioni e l’asilo adottato dal Parlamento europeo nell’aprile 2024. Le nuove regole comunitarie, infatti, rischiano di tradursi in un ulteriore incremento dell’uso della detenzione amministrativa con la trasformazione dello “straordinario” in “ordinario”: “Le procedure di frontiera e le procedure accelerate -che implicano un esame rapido e sommario delle richieste di asilo, basato principalmente sulla provenienza geografica e non sulla storia individuale, contrariamente a quanto stabilito dal diritto di asilo- diventano obbligatorie in molte circostanze”, scrivono gli autori del report. Nell’attesa dell’esito della richiesta di protezione internazionale le persone dovranno “rimanere a disposizione” delle autorità per massimo 12 settimane in centri che sorgeranno vicino ai punti di sbarco ma non necessariamente solo in quelle zone. Il legislatore non fa esplicito riferimento alla detenzione ma i rischi che questo poi succeda nei fatti è elevatissimo. “Il meccanismo dello screening e quello della procedura accelerata -scrive il Tai- rischiano di trasformare i sistemi di accoglienza degli Stati in sistemi di detenzione, istituzionalizzando un modello già sperimentato in modo fallimentare nelle isole greche”. Resta poi il nodo del numero dei posti, sul quale è utile fare riferimento alla simulazione proposta dalla ricercatrice Daniela Movileanu per il Forum per cambiare l’ordine delle cose. Nel 2023, ad esempio, secondo le nuove regole del Patto, il totale delle persone finite in procedura di frontiera sarebbe stato pari a circa 94mila a fronte di 2.938 posti disponibili nei Cpr e negli hotspot. “L’Italia dovrebbe aumentare la propria capacità detentiva di oltre dieci volte quella attuale”, si legge nel rapporto. Il Governo Meloni avrebbe dovuto presentare entro il 12 dicembre 2024 il “Piano di implementazione” del Patto europeo. Non succederà, i tempi saranno più lunghi. Lo ha confermato il 9 dicembre il prefetto Laura Lega a capo del dipartimento Libertà civili e immigrazione che ha incontrato alcuni esponenti della società civile, promotori della “Roadmap per il diritto d’asilo e la libertà di movimento”. “Abbiamo avuto la conferma che non sono state previste azioni consultive, come invece richiesto dal Parlamento, per la stesura del piano di implementazione -spiega Giovanna Cavallo, del Forum cambiare l’ordine delle cose (qui il comunicato stampa completo)-. Nell’incontro purtroppo non sono state illustrate le bozze del programma in via di elaborazione. Questa mancanza di trasparenza e confronto è preoccupante e abbiamo chiesto con determinazione l’apertura di percorsi di confronto concreto sulle azioni che il governo dovrà intraprendere”.     > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp
December 10, 2024 / Osservatorio Repressione
Nuova stretta per ong e persone in movimento. Approvato il “decreto flussi che non si occupa di flussi”
Il decreto flussi è diventato legge dopo il via libera definitivo al Senato, che lo ha votato mercoledì sera con la fiducia imposta dal governo: 99 i sì, 65 i no e 1 astenuto. Nel contempo si è dimessa dalla magistratura la giudice Iolanda Apostolico, finita nell’autunno di un anno fa al centro delle polemiche e degli attacchi del governo, poiché colpevole di aver disapplicato per prima il decreto Cutro, in particolare, le disposizioni in merito alla possibilità di detenere i richiedenti asilo. Laura Marmorale, presidente di Mediterranea Saving Humans, ha definito il nuovo decreto approvato dal Senato “un’altra beffa, un altro inganno, un’altra violenta aggressione alla solidarietà e al soccorso civile”. Infatti il decreto criminalizza ulteriormente le ONG che praticano il soccorso dei migranti in mare: è prevista tra l’altro la confisca definitiva delle navi che fanno soccorso, oltre ad aumentare in maniera importante le sanzioni economiche. Sarà inoltre ridotto da 60 giorni a 10 il termine entro il quale le ONG possono impugnare davanti al Prefetto il provvedimento di fermo amministrativo ottenuto in seguito al salvataggio di persone in mare. Siamo di fronte ancora una volta, dice Marmorale, ad “un attacco diretto alle organizzazioni del soccorso civile in tutte le loro forme” e che vuole “silenziare gli occhi e le orecchie del mar Mediterraneo”, dato che i governi hanno scelto di non esserci: così si impone anche alle organizzazioni le stessa scelta politica. “Una legge disumana e di propaganda” che se la prende anche con i ricongiungimenti familiari: sarà necessario soggiornare in Italia due anni per poterli richiedere; precedentemente era sufficiente un anno. Il provvedimento è anche invasivo della privacy delle persone migranti, poiché autorizza i questori a disporre l’accesso immediato a smartphones e altri dispositivi elettronici in caso di impossibilità ad accertare l’identità delle persone. Nel testo viene anche aggiornata la lista dei paesi ritenuti sicuri dall’Italia: in tutto sono diciannove, tra cui figurano il Marocco, l’Egitto, il Bangladesh, paesi che invece per l’Unione Europea sicuri non sono. Altro punto rilevante e molto dibattuto del decreto riguarda la convalida del trattenimento dei richiedenti asilo, che passa dalle sezioni specializzate dei tribunali alle Corti d’appello. Secondo il Consiglio Superiore della Magistratura si tratta di un cambiamento particolarmente impattante che rischia di “pregiudicare il raggiungimento degli obiettivi fissati per il settore giustizia del PNRR” e che senz’altro aumenterà notevolmente la mole di lavoro degli uffici giudiziari, allungando inevitabilmente i tempi dei procedimenti civili. Tante le misure ma assente qualunque provvedimento utile a regolare davvero i flussi migratori: per questo la presidente di Mediterranea ha parlato di “un decreto flussi che non si occupa di flussi migratori, non li tutela e non si occupa di percorsi legali e sicuri di migrazione”. Ai microfoni di Radio Onda d’Urto il commento di Laura Marmorale, presidente di Mediterranea Saving Humans. Ascolta o scarica > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp  
December 5, 2024 / Osservatorio Repressione
Tirana: proteste contro i cpr. «Accordo illegale, resistenza globale»
Due giorni di manifestazioni Italiani con gruppi locali contro l’esternalizzazione delle frontiere: «Rama ci svende». Alcune centinaia di persone, prevalentemente italiane e albanesi  hanno contestato l’accordo Meloni-Rama che prevede il trasferimento collettivo e coatto di richiedenti asilo verso il Cpr (Centro di permanenza per il rimpatrio) di Gjadër attraverso un breve passaggio all’hotspot di Shëngjin. di Elisa Brunelli da il manifesto «L’accordo è illegale, la resistenza è globale». Questo il coro che ha accompagnato le mobilitazioni di domenica e ieri in Albania, promosse dal Network against migrant detention. La rete transnazionale, nata i mesi scorsi durante un’assemblea al centro sociale Labàs di Bologna, coinvolge attivisti e collettivi da diverse parti d’Europa, con un ruolo di primo piano giocato dai gruppi albanesi, che accusano l’accordo tra i due paesi di alimentare la stessa criminalizzazione che i migranti albanesi hanno subito (e continuano a subire) in tutta Europa. Erano una decina, il 16 ottobre scorso, a radunarsi di fronte l’hotspot di Shenjin, per protestare contro l’arrivo della nave della marina militare italiana Libra con i primi migranti da Egitto e Bangladesh. Questa volta, grazie alla nutrita presenza italiana, compreso il fumettista Zerocalcare e altre delegazioni europee, sono tornati in più di 200. «La vostra presenza ci dà la forza per continuare a lottare e dà speranza a chi, ogni giorno, viene rinchiuso nei centri di detenzione» ha sottolineato Edison, del collettivo albanese Mesdhe, rivolgendosi agli attivisti italiani. «Siamo noi l’amicizia storica italo-albanese, non la partnership ai vertici tra Rama e Meloni che ha alzato l’asticella dell’orrore delle politiche migratorie» ha rimarcato Nicoletta di Melting Pot Europa, mentre la manifestazione si spostava lungo la spiaggia di Shenjin, dove è stata creata con dei teli un’enorme scritta «Stop lager». «L’accordo è sospeso in attesa della Corte di Giustizia Europea, ma non sarà la sua pronuncia a fermare queste politiche – ha aggiunto l’attivista -. Il protocollo Italia-Albania è una sperimentazione del Patto europeo su migrazioni e asilo, basato su detenzione ed esternalizzazione delle frontiere». La protesta del network si è poi spostata al Cpr di Gjader. A presidiarlo è la Polizia albanese, mentre quella italiana si intravede a malapena tra le altissime sbarre. «Non dimenticheremo mai che quella stessa maggioranza che oggi compone il governo Meloni, fino a ieri tappezzava Milano con i manifesti “un voto alla Lega, un albanese di meno”» ha denunciato al megafono il consigliere comunale di Bologna, Detjon Begaj, originario di Valona. Proprio in quelle ore dall’Italia, arrivava la reazione della vice capogruppo di Fdi alla Camera, Augusta Montaruli, che ha invocato controlli di Polizia per gli attivisti di ritorno in Italia. Dichiarazioni, quelle di Montaruli «che riassumono il clima intimidatorio e repressivo del governo come dimostra il ddl Sicurezza» hanno ribadito gli attivisti, rilanciando la manifestazione nazionale del 14 dicembre a Roma. Ieri le iniziative sono ripartite da Tirana. In centinaia hanno dato vita a un corteo nel cuore della città. Dopo aver toccato il palazzo del governo, dove gli attivisti albanesi hanno accusato Edi Rama di «svendere il proprio territorio all’Italia mentre migliaia di cittadini vengono rinchiusi e deportati dai centri di tutta Europa», il corteo è proseguito fino alla sede della Europe House, istituzione finanziata dall’Ue per aumentare la propria visibilità in Albania. Khaled, Khaydar, Ahmed, Youssef, Hassan: sono i nomi pronunciati da Zeno, attivista del collettivo Rotte Balcaniche, per ricordare alcuni giovani morti tra i boschi della Bulgaria. «Se riconosciamo le morti del sistema dei confini, dobbiamo riconoscerne i responsabili, diretti e indiretti. E i responsabili – ha indicato – stanno in palazzi come questo, che sventolano alta la bandiera Ue». Tappa finale all’ambasciata italiana, dove i manifestanti hanno intonato Bella Ciao: «Questo luogo lavora per difendere gli interessi italiani in Albania. Gli interessi di chi occupa e militarizza i territori, ma anche degli imprenditori». > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp  
December 3, 2024 / Osservatorio Repressione