
Sabun, di Alae Al Said
Osservatorio Repressione - Wednesday, March 5, 2025Recensione di Edoardo Todaro al libro ” Sabun” di Alae Al Said
E’ il 2018 quando esce nelle librerie Sabun. Sono passati 7 anni e la situazione in Palestina è decisamente peggiorata, in tutta la Palestina sia a Gaza che in Cisgiordania. La vita quotidiana sotto occupazione è l’ elemento unificante che l’occupazione israeliana vuole debellare. Il destino dei palestinesi è nelle mani dei soldati occupanti. Quanto ci racconta Alae Al Said ci porta a tu per tu non solo con un’economia strozzata dall’occupazione, ma con la realtà contraddistinta da un vero e proprio genocidio.
La distruzione di villaggi, di moschee, di siti storici, la cultura palestinese sotto attacco: un vero e proprio culturicidio, e lo fa attraverso la descrizione del saponificio, del “sabun” il sapone all’olio d’oliva, di Nablus viva ed animata con i suoi vicoli stretti della città vecchia, e di cosa significa che Israele è uno stato per soli ebrei. In questa descrizione non poteva mancare il riferimento ai soprusi dei coloni, di coloro che non sono altro che la parte più retriva e spietata degli ebrei sionisti, quei coloni, visibili dalla collina, che un giorno saranno cacciati via nonostante che la loro presenza metta i palestinesi nella condizione, obbligata, di non lasciare mai, nemmeno temporaneamente, la propria casa vuota che altrimenti diverrà, immediatamente, di proprietà degli occupanti.
Altro aspetto, assolutamente non secondario, che ci descrive Alae è quanto avviene in occasione degli interrogatori che i palestinesi subiscono. La cella d’isolamento per far perdere interesse nei confronti della vita; l’uso dei cani come arma per far parlare; le molestie sessuali compiute dagli aguzzini; il partorire in cella. In questo contesto, cacciare l’occupante senza scendere ad alcun compromesso, liberare la Palestina a costo di morire, è il riferimento che hanno tutti i palestinesi; non potrebbe essere altrimenti quando si è controllati continuamente, si è trattati da inferiori. Ogni giorno ragazzi rapiti ed uccisi, e poi essere cacciati, privati di tutto, cittadini di nessuno stato, non avere una patria a cui fare riferimento che equivale ad essere denudati della dignità. L’intifada, gli attacchi suicidi che divengono motivo di discussione e di conseguenti punti di vista diversi, l’intifada, qualcosa di non governabile, una sollevazione non ragionata nel buio dell’ingiustizia, con la presa di coscienza e l’ evoluzione nella lotta.
Vivere la contraddizione del dover lavorare per il nemico se vuoi sopravvivere. Abbiamo ben presenti le immagini, continue, dei funerali dei martiri che divengono manifestazioni di rabbia e di collera; avvenivano ieri ed avvengono oggi. Israele ha accentuato il suo essere una fabbrica di omicidi di massa riducendo le vittime palestinesi a numeri riferibili a statistiche; ai palestinesi non viene garantito nemmeno il diritto al lutto visto che i corpi degli assassinati non vengono restituiti; i traumi sulla salute mentale sono largamente, e spesso irrimediabilmente, diffusi. Essere a fianco della lotta del popolo palestinese è anche leggere e far conoscere libri come questo, non possiamo girarci dall’altra parte, dire “non lo sapevo”. Non è una questione umanitaria; i palestinesi hanno bisogno della nostra solidarietà e noi dobbiamo sempre avere come riferimento il loro esempio. Un esempio per tutti coloro che non vogliono vivere come schiavi. (da La Città Invisibile)
Alae Al Said, Sabun, Zambon editore, 2019, pp. 272, euro 19
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