
Donne nel carcere: 8 marzo di un mondo a metà
Osservatorio Repressione - Saturday, March 8, 2025Le donne recluse nei penitenziari italiani sono il 5% dell’intera popolazione carceraria con loro ci sono oltre 20 bambini detenuti, bambini piccoli che passano tutte le loro giornate dietro a delle sbarre. Per certi versi, una condizione di detenzione peggiore di quella degli uomini.
di Luigi Mollo
Sono circa il 5% dell’intera popolazione detenuta; ma la loro situazione è particolare e, per certi versi, ancora peggiore di quella degli uomini.
Va detto che con loro, oggi, in Italia, ci sono oltre 20 bambini detenuti, bambini piccoli che passano tutte le loro giornate dietro a delle sbarre, senza la figura di un padre, che per anni vivono quasi in simbiosi costante con le loro madri e poi, dopo, da un giorno all’altro, ne vengono totalmente privati e non le vedranno più se non nel caos dei colloqui periodici.
Perché così dice la legge: fino a tre anni le madri possono tenere i loro figli con sé; dopo non possono più.
La presenza femminile in carcere si traduce in qualche residuo terroristico, qualche spacciatrice di borgata, qualche zingara borseggiatrice o ladra di appartamenti, qualche signora che ha ucciso il marito, ultimamente anche qualche donna di mafia e camorra, ma soprattutto qualche tossicodipendente ma pur sempre donne che conservano una grande cura di sé, come per ribadire una normalità, per affermare una individualità, per ricordarsi ogni giorno che ancora si esiste: pettinature, trucco, vestiti, riviste che passate di cella in cella…
E ricette, ricette di cibi che parlano di casa, di nostalgie dell’infanzia, di mondi lontani e diversi; e cibo condiviso, come gesto di accoglienza o di amicizia, che, in un mondo deprivato di ogni cosa, riacquista l’antica connotazione di condivisione e cura amorevole.
Vicino ai fornelli pulsa un mondo di rapporti, di confidenze, di ricordi, mentre si rivivono le proprie abitudini e i piaceri della casa, si cerca di vincere la nostalgia, si tenta di costruire insieme un pezzo di famiglia.
Perché la famiglia è ciò che più manca, quel tessuto di rapporti e di cure di cui da sempre è stata destinata custode: i figli lontani, che non si possono vedere e seguire; ma anche i figli che si vorrebbe avere e che forse non si farà più in tempo.
L’essere rinchiuse in qualche modo diventa sostegno e scambio intenso, attenzione alle piccole gentilezze, lessico comune, racconto intimo e confidenziale, come ogni donna ha sperimentato qualche volta nel corso della vita, quando si è trovata con altre come lei e si è lasciata andare.
Perché la donna, più dell’uomo, anche quella più dura e più provata, desidera parlare, confrontarsi mettendosi in gioco, sempre senza negare né negarsi emozioni e commozioni.
Le donne amano la compagnia, sono curiose delle diversità; e il carcere, col suo mescolamento di storie di vita, di paesi d’origine e di ceti sociali diversi , è un continuo crogiolo aperto alla confidenza e al confronto. Ma per le loro resta un mondo a metà.
Il carcere è un mondo a parte in cui l’umanità è ferita e monca. Così perdiamo tutti da questa lontananza, per ogni parte di sé di cui la società si amputa.
A tutte le donne… A Francesca Vianello professoressa associata di Sociologia del diritto, della devianza e del mutamento sociale presso il Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Applicata (FISPPA) dell’Università degli Studi di Padova, insegnante di Sociologia del diritto e della devianza e Sociologia del carcere. Direttrice del Master interateneo in Criminologia critica e sicurezza sociale delle università di Padova e Bologna, responsabile scientifico di progetti di ricerca europei e nazionali sul tema dell’esecuzione penale, delle condizioni di detenzione e delle alternative al carcere e del Polo Universitario della Casa di Reclusione Due Palazzi di Padova
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