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[2025-04-06] Solidarietà ai prigionieri di Quarto in regime chiuso @ Carcere di Asti
SOLIDARIETÀ AI PRIGIONIERI DI QUARTO IN REGIME CHIUSO Carcere di Asti - Quarto inferiore, 266 (domenica, 6 aprile 10:00) Dalle 10 sotto alle mura del carcere di Quarto, in solidarietà ai prgionieri in regime chiuso. Diventa quindi necessario e urgente portare la nostra solidarietà ai reclusi per sostenere percorsi di lotta comune dentro e fuori. Per rompere il muro di isolamento e silenzio e far sentire alle persone detenute la nostra vicinanza.  Perché nonostante la retorica portata avanti anche in questa città,non esistono carceri "umani" o  riformabili e questo provvedimento che rende ancora più afflittiva una quotidianità già difficile delle persone recluse ci mostra ancora una volta la sua natura strutturalmente violenta.  https://lamicciaasti.noblogs.org/post/2025/03/28/solidarieta-ai-prigionieri-di-quarto-in-regime-chiuso/
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[2025-03-29] Solidarietà ai prigionieri di Quarto in regime chiuso @ Asti Parco della Resistenza
SOLIDARIETÀ AI PRIGIONIERI DI QUARTO IN REGIME CHIUSO Asti Parco della Resistenza - Parco della Resistenza Asti (sabato, 29 marzo 10:00) Punto info, banchetto, distro, chiacchiere Dalle 10 al parchetto, angolo vicino alla piazza del mercato. Per info complete: https://lamicciaasti.noblogs.org/post/2025/03/28/solidarieta-ai-prigionieri-di-quarto-in-regime-chiuso/
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Solidarietà ai prigionieri di Quarto in regime chiuso
Abbiamo ricevuto notizie che nelle ultime settimane nel carcere di Quarto d’Asti è stato introdotto il regime chiuso, una scelta che mira a punire e isolare ancora di più le persone rinchiuse.  La custodia chiusa riduce i tempi di apertura delle celle prevedendo solo 4 ore di passeggio (l’aria) e al massimo altre 4 ore … Leggi tutto "Solidarietà ai prigionieri di Quarto in regime chiuso"
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La formula “più carcere più sicurezza” smentita dall’esperienza e dalle statistiche
Mentre assistiamo desolati alla più clamorosa manifestazione della disperazione nella quale è precipitata l’istituzione carceraria nel nostro Paese e della sua incapacità di intercettare il disagio dei più deboli e dei più fragili, si continua a perseguire l’idea del carcere come rigida risposta contenitiva per il timore di apparire deboli. di La Giunta dell’Unione delle Camere Penali Italiane È necessario ricorrere con urgenza a provvedimenti di clemenza generalizzati per abbattere il sovraffollamento e fare sì che le carceri non siano solo luoghi di contenimento, di sofferenza e di morte, ma i luoghi in cui si costruiscono le condizioni per nuove esistenze nel rispetto dei diritti e della dignità della persona. Mentre il Governo, per far fronte al sovraffollamento carcerario, punta sulla costruzione di “moduli detentivi” prefabbricati, i suicidi conoscono ancora una spaventosa recrudescenza con l’inimmaginabile picco di tre morti in un solo giorno. Mentre assistiamo desolati alla più clamorosa manifestazione della disperazione nella quale è precipitata l’istituzione carceraria nel nostro Paese e della sua incapacità di intercettare il disagio dei più deboli e dei più fragili, si continua a perseguire l’idea del carcere come rigida risposta contenitiva per il timore di apparire deboli. Forte è invece uno Stato capace di modulare la sua risposta alle effettive esigenze del recupero e del reinserimento e in grado di adeguare il numero dei detenuti alle reali e concrete capacità di un trattamento dignitoso, consentendo così di salvaguardare la vita dei ristretti. Debole è quel Governo che sacrifica il più inalienabile dei diritti umani, quello di essere trattati con dignità, solo per il timore di perdere consenso. Privo di lungimiranza è quel Governo che, per dare risposta ad una insicurezza alimentata dalla propaganda, introduce nuovi reati o aggrava le pene di quelli già esistenti, indicando nella risposta repressiva carceraria l’unico orizzonte del diritto. La formula “più carcere più sicurezza” è smentita dall’esperienza e dalle statistiche che dimostrano che solo aprendosi alla società il carcere può avere ancora una funzione, permettendo di abbattere la recidiva. Ma non può essere questo carcere, nel quale il sovraffollamento impedisce ogni forma di trattamento diretto a risocializzare il condannato. Non può essere il carcere dei “moduli detentivi”, la cui sola definizione appare paradigmatica della distanza da quella annunciata volontà di restituire dignità alla detenzione, a rispondere al dettato costituzionale della rieducazione. Non c’è bisogno, infatti, di nuovi contenitori per la disperazione futura dei detenuti, ma di un futuro diverso per la pena. Se da un lato è necessario porre in essere politiche efficaci e lungimiranti, investendo maggiori risorse, si deve con realismo riconoscere che è necessario ricorrere con urgenza a provvedimenti di clemenza generalizzati per abbattere il sovraffollamento e fare sì che le carceri non siano solo luoghi di contenimento, di sofferenza e di morte, ma i luoghi in cui si costruiscono le condizioni per nuove esistenze nel rispetto dei diritti e della dignità della persona. > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp  
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La Polizia penitenziaria mette una cella in piazza
Un video della Penitenziaria mostra l’interno di una “stanza di pernottamento” per detenuti: la visita si sofferma sulle suppellettili che i reclusi potrebbero usare come armi improprie e per far dire “guardate che esseri terribili ci stanno dentro”.  Un modo per alzare ancora di più il muro fra il mondo di fuori e il carcere di Errico Novi da il dubbio La Polizia penitenziaria ha messo su un simulacro di cella a piazza del Popolo, e l’ha resa visitabile. In un video, un sovrintendente del Corpo fa virtualmente da Cicerone. Al di là della luce che inonda l’ambiente dal soffitto trasparente, come una bella macchina sportiva, al di là di quest’improbabile suggestione, ci hanno colpito alcuni dettagli. Del tipo: guardate lo sgabbello, prima non era così, non aveva lo schienale, adesso, come vedete, c’è, ma è un problema, perché dallo schienale lo sgabbello può essere afferrato e scaraventato come un’arma. E uno. Poi: vedete i letti a castello? Sono fissati a terra. Perché? Eh, se no i detenuti possono spostarli, metterli davanti alla porta della cella e barricarsi dentro. Ecco perché li abbiamo inchiodati. Insomma: vi facciamo vedere una “stanza di pernottamento”, sì. Ma non perché sappiate quanto ci si sta male dentro, non per favorire un’empatia fra il mondo di dentro e il mondo di fuori. Ma perché sappiate che razza di mostri si annidano dentro un carcere. Così, tanto per fare in modo che quel muro sia ancora più invalicabile. Davvero non comprendiamo quale sia l’intenzione di coloro che hanno un potere sul carcere. Proprio non lo capiamo. Ma che quest’intenzione rischi di tradursi in indifferenza alla tragedia, lo lasciano intuire i tre suicidi delle ultime ventiquattr’ore. > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp
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Carcere: tre suicidi nelle ultime 24 ore. Rivolta nel carcere minorile Beccaria di Milano
Situazione sempre più disastrosa nelle carceri, complice l’indifferenza delle istituzioni. Tre detenuti suicidi nelle ultime 24 ore. Incendio al carcere minorile Beccaria di Milano, scoppia la rivolta Tre nuovi suicidi in carcere in meno di 24 ore: un 48enne ad Avellino, un 30enne a Trieste e un 70enne a Genova Marassi. Salgono così a 8 le persone morte nelle galere italiane in una settimana e a 24 se si guardano i numeri dall’inizio dell’anno. Un trend che supera già in proporzione il record dello scorso anno, l’anno più nero, con 91 suicidi accertati. “La situazione è sempre più disastrosa – commenta Vito Totire, medico e psichiatra, portavoce del Centro di documentazione Francesco Lorusso di Bologna – Si assiste a una fortissima riduzione della aspettativa di vita e delle condizioni di salute, per non parlare del benessere, delle persone recluse. Le persone vengono abbandonate a loro stesse, alla loro solitudine e disperazione e, a questa situazione di disperazione, non corrisponde una capacità di presa in carico, anzi, non c’è né la volontà, né l’intenzione di gestire una presa in carico.” Un’indifferenza istituzionale che, sommata al problema del sovraffollamento e alle molte altre criticità ormai note, per Totire trasformano le carceri italiane nell’espressione concreta del concetto di “istituzione totale”. Oltre ad approfondire le cause e le concause di una situazione che sembra peggiorare giorno dopo giorno, Totire ha inoltre riassunto ai nostri microfoni le osservazioni che come Centro Francesco Lorusso hanno fatto al rapporto del secondo semestre 2024 relativo alle carceri di Bologna, tra cui compare la Dozza, carcere che, secondo il documento “deve essere demolito e l’area deve essere rinaturalizzata e rimboschita”. La lunga intervista di Radio Onda d’Urto a Vito Totire, medico e psichiatra, portavoce del Centro di documentazione Francesco Lorusso di Bologna che, da diversi anni, si occupa di carcere e della necessità di liberarsene. Oggi più che mai. Ascolta o scarica Tentativo di rivolta e incendio lunedì pomeriggio al carcere minorile Beccaria di Milano. Un gruppo di giovani detenuti ha dato fuoco a lenzuola e materassi al secondo piano, asserragliandosi in un’ala del penitenziario di via Calchi Taeggi. Sul posto diversi equipaggi dei vigili del fuoco e gli agenti di polizia e carabinieri.  Dalle prime ricostruzioni, sembra che l’incendio sia stato appiccato da un ragazzo dopo aver saputo del suo prossimo trasferimento. Al Beccaria era presente anche don Gino Rigoldi. Alcuni giovani detenuti hanno poi iniziato a battere con bastoni e mani sulle inferriate delle finestre, lanciando piastrelle e urlando in direzione dei cronisti in strada. Le fiamme sono state domate e la situazione è stata riportata alla normalità. > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp
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Carcere, suicidi senza fine
L’emergenza nelle carceri italiane ha raggiunto livelli mai visti prima, con 19 suicidi in soli due mesi e mezzo, un numero che segna un record negativo di Luigi Mollo “Credo che ognuno di noi sorrida quando si dice che la prigione e il manicomio hanno come obiettivi la riabilitazione dei loro ospiti, in realtà, tanto il manicomio come il carcere servono a confinare le devianze dei poveri, a emarginare chi è già escluso dalla società, le carceri sono contemporanei “manicomi”, non solo in senso “figurato”, dove la malattia mentale e le sue conseguenze sono molto più presente di quanto si pensi.” (Franco Basaglia) Il 2025 si prepara anch’esso a diventare primato per numero di suicidi in carcere. Tre persone private della libertà personale in 72 ore. Dietro ai freddi numeri ci sono vite interrotte dietro a sbarre e muri di cinta, drammi individuali e familiari che colpiscono persone ristrette nella libertà personale dallo Stato, in esecuzione di provvedimenti dell’autorità giudiziaria. C’è allora una riflessione alla quale chi si occupa di giustizia penale, non può sottrarsi. Nel messaggio di fine anno, Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha sottolineato come l’alto numero di suicidi in carcere “è indice di condizioni inammissibili”, dovendo “il rispetto della dignità di ogni persona, dei suoi diritti”, essere garantito “anche per chi si trova in carcere” ma evidentemente ciò non è stato recepito dalla politica che tende a inasprire e a provare piacere vedendo i detenuti “non respirare” a capo voltato per non vedere che le carceri collassano e versano in una situazione di endemico sovraffollamento, nonostante le condanne della Corte di Strasburgo non ha mai tentato seriamente di arginare. Lo Stato non ha volontà alcuna di percorrere la strada più coraggiosa tracciata della dottrina, che sollecita da tempo un “rimpiazzo” della pena carceraria già “sul nascere”, mediante la configurazione di sanzioni edittali non detentive eppure basterebbe la volontà di interessarsi del carcere e che esso non sia solo un immondezzaio sociale dove buttare dentro di tutto e di più, anche perché questo non rieduca. Se non c’è rieducazione, il problema non si risolve ma l’unica risposta del governo sta nell’intenzione di aumentare il numero di posti in carcere. Anzitutto non si spiega quanto tempo servirebbe per costruire nuove carceri. In più, come ha spiegato di recente il presidente di Antigone Patrizio Gonnella, «se anche nei prossimi tre anni il governo riuscisse a dotare la capienza delle carceri di 7.000 nuovi posti, come dichiarato dalla presidente Meloni, avremo comunque, ad oggi, almeno altre 8.000 persone detenute senza un posto regolamentare. A questo si deve aggiungere che le persone detenute sono aumentate di oltre 2.000 unità nell’ultimo anno e di oltre 5.000 unità dal 2022. Se il tasso di crescita fosse questo anche nei prossimi tre anni (cosa tutt’altro che impossibile a fronte delle attuali politiche penali) è prevedibile che i 7.000 nuovi posti andranno ad assorbire i nuovi ingressi, lasciando dunque il sistema penitenziario in una condizione di affollamento cronico e drammatico come quello che si registra oggi, con circa 15.000 persone in più rispetto alla capacità del sistema stesso. I suicidi nelle carceri, in queste condizioni, sono mattanza di Stato destinata a proseguire.       > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp  
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La Consulta: «Almeno quattro ore d’aria per i reclusi al 41bis»
La consulta ritiene illegittima la norma che dimezza il diritto dei detenuti: «Non aumenta la sicurezza». Altri due suicidi in meno di 48 ore di Eleonora Martini da il manifesto Non lasciarli respirare è incostituzionale. Se per il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro togliere idealmente l’aria ai detenuti in regime di 41 bis è «un’intima gioia», come dichiarò qualche tempo fa presentando la nuova auto blindata adibita al trasporto di questo tipo di reclusi, per la Corte costituzionale è invece «illegittimo» concedere loro meno di quattro ore al giorno di permanenza all’aria aperta. La Consulta lo ha stabilito con la sentenza numero 30 depositata ieri tramite la quale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 41bis, comma 2-quater, dell’Ordinamento penitenziario. Pur senza porre «in alcun modo in discussione l’impianto complessivo del regime speciale». Una modalità di detenzione chiamata comunemente, non a caso, di “carcere duro”. LA NORMA CENSURATA dai giudici costituzionali prevedeva «una durata non superiore a due ore al giorno», limite stabilito «in seguito al dimezzamento operato dalla legge 94 del 2009». A sollevare le questioni di legittimità costituzionale era stato il Tribunale di Sorveglianza di Sassari al quale si era rivolto G.B., un detenuto al 41 bis nel locale carcere di Bancali dove gli venivano concesse soltanto due ore d’aria al giorno, mentre l’uomo chiedeva di goderne almeno quattro, come previsto per i detenuti in regime ordinario (articolo10 ord. pen.) e come stabilito nel trattamento di «miglior favore» introdotto dalla riforma del 2018. Il magistrato di sorveglianza di Sassari aveva rifiutato la richiesta e così il Tribunale si è rivolto alla Consulta. Ora, considerando che nel «regime differenziato» del 41 bis il detenuto trascorre le ore d’aria in «un gruppo di persone molto ristretto (non più di quattro, e quindi anche tre o due), opportunamente selezionato dall’amministrazione penitenziaria», la Corte ha ritenuto che il limite massimo di due ore al giorno (a meno di «giustificati motivi» o nel caso di reclusi sottoposti «a sorveglianza particolare») nulla ha a che fare con la finalità rieducativa della pena, né con la necessità di impedire i contatti del carcerato con le organizzazioni criminali di affiliazione. UNA NORMA da censurare, dunque, perché «mentre comprime, in misura ben maggiore del regime ordinario, la possibilità per i detenuti di fruire di luce naturale e di aria, nulla fa guadagnare alla collettività in termini di sicurezza, alla quale viceversa provvede, e deve provvedere, l’accurata selezione del gruppo di socialità, unitamente all’adozione di misure che escludano la possibilità di contatti tra diversi gruppi di socialità». Invece, si legge nella sentenza firmata dai giudici Amoroso e Petitti, «beneficiare di aria e luce all’aperto contribuisce a delineare una condizione di vita penitenziaria che, non solo oggettivamente, ma anche e soprattutto nella percezione dei detenuti, possa essere ritenuta più rispondente al senso di umanità, in conformità alle specifiche raccomandazioni espresse sul punto dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (Cpt)». > La norma censurata nulla fa guadagnare alla collettività in termini di > sicurezza, alla quale viceversa provvede, e deve provvedere, l’accurata > selezione del gruppo di socialità D’ALTRONDE che le condizioni di vita nel carcere di Bancali abbiano superato i limiti della tollerabilità, lo testimonia anche la Garante dei detenuti della Sardegna Irene Testa che visitando ieri la Casa circondariale di Sassari ha trovato «un ragazzo di 20 anni che non mangia dal 14 febbraio e ha perso oltre 15 kg». Non solo: «In una sezione con 16 celle sono presenti 55 detenuti, la maggior parte stipati in quattro per cella. I soffitti sono umidi, le pareti scrostate, le stanze in condizioni igieniche precarie, a volte senza termosifoni o porte nei bagni. Urla continue. Detenuti psichiatrici che parlano da soli, che gridano o che gettano acqua, cibo e detersivo nei corridoi. Tanti stranieri hanno chiesto di poter avere vestiti e scarpe». VA DETTO che non va meglio negli altri istituti penitenziari d’Italia. E nelle ultime 48 ore in particolare a Montorio, Verona, dove in meno di due giorni due detenuti si sono tolti la vita. Portando a 19 il numero dei suicidi in cella dall’inizio dell’anno. Un tema, questo, sul quale l’opposizione ha chiesto ieri al ministro Nordio un’informativa al Senato. Mentre la seduta straordinaria per parlare delle carceri a 360 gradi richiesta dagli stessi partiti del centro sinistra si terrà domani, alla Camera. Sperando che la discussione porti consiglio. > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp
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I dati sugli stranieri nelle carceri raccontano una storia diversa da quella che pensiamo
Dietro i numeri si celano complesse dinamiche sociali, economiche e legali che distorcono la realtà di Anna Toniolo da Facta news Negli ultimi anni, il dibattito sulla criminalità e sull’immigrazione è stato spesso alimentato da quella che sembra un’equazione fin troppo semplice: più stranieri in carcere significa più crimini commessi dagli stranieri. Un elemento che viene spesso interpretato come una prova generica rispetto alla natura criminale delle persone di origine straniera, alimentando discorsi d’odio e narrazioni razziste. E ciò che accade frequentemente nell’arena pubblica è delineare un’associazione diretta tra immigrazione e criminalità. In realtà, per comprendere davvero il fenomeno, è necessario andare oltre i numeri assoluti e analizzare il contesto. Dietro i numeri si celano complesse dinamiche sociali, economiche e legali che distorcono la realtà. Infatti, fattori come le condizioni socio-economiche, la maggiore incidenza di misure cautelari per chi non ha una rete familiare stabile e le differenze nei percorsi giudiziari incidono profondamente sulla composizione della popolazione carceraria. Dati, numeri e percentuali  Secondo i dati del ministero della Giustizia, aggiornati al 31 gennaio 2025, su una popolazione carceraria di 61.916 persone, i detenuti stranieri nelle carceri italiane sono 19.622, circa il 31,6 per cento del totale. Secondo quanto riportato nel “Dossier statistico immigrazione 2024”, redatto dal Centro studi e ricerche IDOS, si tratta di una percentuale che negli ultimi anni è sempre in lieve calo e «sensibilmente più bassa rispetto a 15 anni fa, quando superava il 37 per cento». Il rapporto spiega che, oltre a essere diminuita l’incidenza degli stranieri sulla popolazione carceraria, nello stesso periodo di tempo è calato anche il loro tasso di detenzione. Associazione Antigone, che si occupa di garantire diritti e garanzie nel sistema penale e penitenziario, ha riportato nel suo “Ventesimo rapporto sulle condizioni di detenzione” che negli anni 2008-2013 gli stranieri detenuti non sono mai scesi al di sotto delle 20 mila unità, mentre dal 2014 il numero totale si attesta sempre sotto questa cifra. Inoltre, nello stesso rapporto, Antigone mostra come pur crescendo la popolazione straniera libera, è diminuito il numero di stranieri in carcere. Alla crescita della popolazione straniera residente in Italia, infatti – che è passata dal 6,5 per cento di tutti i residenti nel Paese nel 2009 all’8,2 per cento nel 2014 – ha corrisposto una significativa riduzione del numero di stranieri in carcere, con un calo del loro tasso di detenzione dallo 0,61 per cento allo 0,35 per cento (il tasso di detenzione è calcolato dividendo il numero totale dei detenuti stranieri per il numero totale di stranieri residenti in Italia e moltiplicando per 100). E all’inizio del 2024, benché gli stranieri rappresentassero il 9 per cento della popolazione residente, il loro tasso di detenzione è rimasto allo 0,35 per cento. Guardando a questo dato negli ultimi 15 anni si può notare che è calato di 0,26 punti percentuali, nonostante l’aumento di persone di origine straniera presenti Italia, decostruendo l’equazione di natura razzista che associa in modo indissolubile le persone straniere alla criminalità. Alessio Scandurra, coordinatore dell’osservatorio nazionale sulle condizioni di detenzione degli adulti di Antigone, ha spiegato a Facta che «posto che la presenza in carcere sia indicativa del tasso di criminalità delle persone straniere, quest’ultimo nel tempo è calato tanto» perché se gli stranieri in carcere sono più o meno sempre gli stessi, il numero degli stranieri fuori dal carcere è aumentato, e questo «significa che la proporzione è scesa». Secondo Scandurra questo, entro certi limiti, è un fatto normale in quanto mano a mano che i processi migratori si consolidano e quindi le persone che vivono in Italia hanno sempre più famiglie e reti di riferimento, «tendono a comportarsi come il resto della popolazione, quindi i tassi di delittuosità calano». Equazioni fuorvianti e fattori di distorsione Eppure, nonostante i dati mostrino come non esista un’emergenza criminalità legata alle persone immigrate, ci sono ancora molti contenuti che circolano sui social network che mettono a confronto il numero di persone di origine straniera in carcere e la loro percentuale rispetto al totale della popolazione residente in Italia, provando a dimostrare la loro elevata incidenza. In realtà si tratta di un’equazione fuorviante per diversi motivi. Secondo Marcello Maneri, professore di sociologia dei processi comunicativi all’università degli Studi Milano-Bicocca, sentito da Facta, ci sono una serie di fattori di distorsione che fanno in modo che gli stranieri siano molto sovra rappresentati nella popolazione carceraria, ma questo in realtà non dice niente rispetto a un loro eventuale comportamento criminale intrinseco. Maneri ha raccontato a Facta, infatti, che questa narrazione circola da molto tempo e ci sono una serie di fattori che spiegano perché, in realtà, si tratti di un parallelismo scorretto e discriminatorio. Per misurare la criminalità «il dato del carcere è il più sbagliato da utilizzare» ha chiarito Maneri.«Se venissero considerati i dati sulle condanne, ad esempio, avremmo già un iter giudiziario e l’accertamento della commissione del reato», mentre quando si guardano ai dati delle presenze in carcere si fa riferimento anche a una serie di persone che sono detenute in attesa di giudizio, «persone pescate dalla rete del controllo penale di cui, però, non è comprovato alcun tipo di reato» ha aggiunto il professore. Infatti, nonostante il numero di detenuti in attesa di giudizio sia diminuito negli anni, secondo i dati del ministero della Giustizia, al 28 febbraio 2025 i detenuti che avevano ricevuto una condanna non ancora definitiva erano 5.802, di cui 2.029 stranieri, cioè circa il 10 per cento del totale dei detenuti stranieri (ovvero 19.622). I detenuti in attesa del primo giudizio erano, invece, 9.395, di cui 3.469 stranieri, cioè quasi il 18 per cento del totale di questo gruppo di persone recluse. Inoltre, secondo Marcello Maneri, un altro dei fattori che influenza i numeri sugli stranieri in carcere riguarda il fatto che esiste un numero non quantificabile di stranieri che si trovano sul territorio senza una regolare posizione amministrativa e che, di conseguenza, non risultano censiti. «Nelle carceri sono presenti molte persone in condizioni di irregolarità» ha chiarito Maneri, «ma le persone in condizioni di irregolarità non sono conteggiate nella percentuale straniera della popolazione italiana». Questo, secondo il professore, altera i numeri utilizzati per giustificare la narrazione secondo cui gli stranieri sarebbero più criminali degli italiani, in quanto «c’è un numeratore che considera tutte le persone in carcere, includendo anche coloro che sono in condizione di irregolarità, e un denominatore che invece non include le persone in queste condizioni nel totale delle persone straniere in Italia» e questo dà inevitabilmente un rapporto sproporzionato rispetto alla realtà. Secondo il “Ventesimo rapporto sulle condizioni di detenzione” di associazione Antigone, si tratta di una percentuale intorno al 10 per cento rispetto al totale delle presenze regolari. Tipologia di reati e accesso alle misure alternative alla detenzione Un altro elemento da tenere in considerazione, quando si guarda alle persone straniere in carcere, è la tipologia di reato per cui si trovano detenute. «Se si guarda i reati per cui le persone straniere sono in carcere» ha chiarito Alessio Scandurra di associazione Antigone, «si vede che mediamente queste persone sono in carcere per reati meno gravi e per pene più brevi». Secondo i dati del ministero della Giustizia datati al 31 dicembre 2024, infatti, gli stranieri rappresentano il 28,6 per cento dei detenuti detenuti per violazione della normativa sulle droghe, il 18,7 per cento di quelle detenute per delitti contro l’ordine pubblico, il 31,7 per delitti contro la persona e il 29,3 per delitti contro il patrimonio, cioè quei crimini che danneggiano o violano il diritto di proprietà di una persona, sottraendo, distruggendo o compromettendo beni materiali o economici come furto, rapina o estorsione. La percentuale di stranieri, invece, è molto bassa quando si parla di reati più gravi come l’associazione di stampo mafioso in cui rappresentano circa il 2,4 per cento. Secondo Marcello Maneri, per decostruire la dicotomia secondo cui le persone straniere sarebbero intrinsecamente più criminali, è importante considerare anche che «gli stranieri possono essere incarcerati per reati che le persone con cittadinanza italiana generalmente non commettono, i cosiddetti crimini legati all’immigrazione». Al 31 dicembre 2024, infatti, più del 91 per cento dei detenuti condannati per reati legati alla “legge stranieri” erano, appunto, di origine straniera. Con questi reati si fa riferimento a violazioni delle normative italiane che regolano la presenza, il soggiorno e i diritti degli stranieri sul territorio nazionale. In particolare, fanno riferimento al “Testo Unico sull’Immigrazione” (D.lgs. 286/1998) e ad altre leggi connesse e includono, ad esempio, ingresso e soggiorno illegale nel Paese, favoreggiamento all’immigrazione clandestina, falsa dichiarazione o uso di documenti falsi. Inoltre, sempre guardando ai dati forniti dal ministero della Giustizia datati al 31 dicembre 2024, si può notare come i detenuti stranieri siano generalmente condannati per pene più brevi e solo una minima parte riceva condanne che vanno oltre i 20 anni o addirittura l’ergastolo. Solo il 7,5 per cento degli ergastolani è di origine straniera, e al contrario lo è quasi la metà dei detenuti condannati a meno di un anno, cioè il 45,5 per cento del totale e il 42,6 per cento dei detenuti condannati a un periodo di detenzione che va da uno a due anni. La tipologia di reati per cui sono accusate la maggior parte delle persone straniere e la durata delle pene a loro comminate apre un altro tema importante che riguarda il minore accesso di questa categoria di persone alle misure alternative al carcere. Elemento che aumenta la loro presenza in carcere rispetto a persone con cittadinanza italiana e influenza i dati sulle presenze in carcere. Come ha chiarito associazione Antigone nel suo “Ventesimo rapporto sulle condizioni di detenzione”, il fatto che la percentuale di persone straniere tra i detenuti condannati a pene brevi è un segno del loro minore accesso alle misure alternative alla detenzione, rispetto agli italiani. Con il termine “misure alternative o di comunità” si intendono sanzioni e misure che permettono alla persona condannata di restare nella società, ma con alcune limitazioni alla sua libertà come, ad esempio, l’affidamento in prova al servizio sociale, la detenzione domiciliare e la semilibertà. Secondo i dati più aggiornati del ministero di Giustizia, nel 2024 i soggetti in carico agli Uffici di esecuzione penale esterna erano per il 76,9 per cento italiani e solo per il 20,4 per cento stranieri, nonostante questi ultimi fossero il il 45,5 per cento del totale dei detenuti condannati a meno di un anno di carcere. Questi dati, comparati con l’incidenza dei detenuti stranieri (31,6 per cento), sono indice di un loro minore accesso alle misure alternative alla detenzione rispetto agli italiani. Si tratta di un aspetto cruciale che influenza la presenza di detenuti stranieri in carcere e che, se non preso in considerazione, può essere fuorviante nella lettura dei numeri sulle presenze negli istituti penitenziari italiani. Ornella Fiore, avvocata e socia dell’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (Asgi) ha spiegato a Facta che per le persone straniere «c’è un problema enorme legato all’esistenza di posti in cui stare in misura alternativa alla detenzione per i detenuti definitivi e per chi è in misura cautelare». In poche parole «è chiaro che se una persona non ha una casa, questo riduce di molto le alternative». In più, ha chiarito ancora Fiore, se una persona non ha il permesso di soggiorno, le opzioni sono ancora meno e anche un dormitorio diventa difficile come scelta per le misure alternative. «Ci sono cittadini italiani che commettono reati che determinano un allarme sociale significativo», ha continuato l’avvocata, «ma che in carcere non vanno, anche solo perché hanno una casa» e possono, di conseguenza, scontare la pena in un luogo diverso dal carcere. Questo significa che a prescindere dalla gravità del reato, più si adottano misure contenitive, più cresce la sovrarappresentazione degli stranieri, visto che per gli italiani resta più facile accedere a percorsi alternativi alle restrizioni del sistema penale. Oltre a questo, secondo Marcello Maneri, un altro fattore che influenza l’accesso alle misure alternative al carcere è la valutazione del livello di «pericolosità sociale». Secondo il professore, in Italia si vive da circa trent’anni in un clima di allarme sulla criminalità straniera e questo influenza la percezione rispetto al livello di pericolosità sociale delle persone di origine straniera, a cui viene, dunque, consentito meno l’accesso a questo tipo di misure. Anche l’aspetto demografico è importante  Un aspetto cruciale da considerare nei dati sulla popolazione straniera in carcere è la questione demografica. Come ha spiegato Alessio Scandurra di Antigone, «la popolazione detenuta in Italia è composta in larghissima maggioranza da uomini, giovani ma non giovanissimi, provenienti soprattutto dalle aree più povere del Paese». La popolazione carceraria è formata principalmente da giovani uomini in condizioni di povertà, un profilo più comune tra i migranti rispetto alla popolazione generale. Di conseguenza, il tasso di criminalità degli stranieri con queste caratteristiche potrebbe non essere molto diverso da quello degli italiani con lo stesso profilo. Tuttavia, il confronto con la popolazione italiana è distorto: mentre quest’ultima è più variegata per età e condizioni economiche, la popolazione straniera residente in Italia è composta in gran parte da giovani uomini, la categoria più rappresentata nelle carceri. «Stiamo confrontando due popolazioni con profili demografici diversi», ha sottolineato Marcello Maneri, «e quindi con una diversa probabilità di commettere reati e finire in carcere». La situazione dei minori stranieri Se la sovrarappresentazione in carcere degli stranieri adulti è elevata, la situazione è ancora più accentuata quando si parla di minori stranieri detenuti negli Istituti penali per minorenni (IPM). Come ha riportato il “Dossier Statistico Immigrazione” redatto dal Centro studi e ricerche IDOS, sebbene tra tutte le persone con meno di 25 anni residenti in Italia gli stranieri rappresentino l’8 per cento, al 15 giugno 2024 quelli in carico dei servizi di giustizia minorile rappresentavano il 23 per cento del totale e, dei 555 ragazzi detenuti negli IPM, quelli di origine straniera erano 266, cioè il 48 per cento. Questo succede in particolare perché, come ha spiegato l’avvocata Ornella Fiore, «se sei un minore straniero non accompagnato spesso non hai una famiglia o una casa di riferimento, allora vieni messo in carcere o in comunità». Su questo punto, però, l’avvocata ha sottolineato come il numero delle comunità nell’ambito penale non siano molto numerose in Italia e «anche quando viene disposta la scarcerazione, molto spesso i ragazzi si trovano a dover aspettare settimane o addirittura mesi prima che il trasferimento sia possibile». Anche se si ha un provvedimento in tasca che ne dispone la scarcerazione, questa non può avvenire perché non c’è spazio nella comunità di accoglienza. Secondo Alessio Scandurra «il paradosso del sistema della giustizia minorile riguarda proprio il fatto che in carcere non va necessariamente chi ha commesso il reato più grave, ma chi ha la situazione sociale di provenienza più fragile, per cui è più difficile inserirlo nei percorsi alternativi alla detenzione». Secondo quanto riportato in un rapporto di associazione Antigone, al 1° gennaio 2023, in Italia c’erano circa 1 milione di minori e giovani adulti stranieri regolarmente soggiornanti (fino ai 24 anni), pari all’8 per cento della popolazione totale in quella fascia d’età, a fronte di 12 milioni di italiani. Tuttavia, i dati della giustizia minorile mostrano una loro sovrarappresentazione: nel 2022, gli Uffici di servizio sociale per i minorenni (Usmm) hanno preso in carico 21.551 giovani, di cui 4.737 stranieri, cioè il 22 per cento. Nei carceri minorili, questa sproporzione è ancora più evidente: all’inizio del 2023, su 385 giovani detenuti, 193 erano stranieri, oltre la metà. Nel 2023, il totale di giovani stranieri seguiti dagli Usmm è stato 1.627 (21,5 per cento delle 7.556 prese in carico). Al 31 dicembre 2023, la percentuale di stranieri in carico agli Usmm era del 22,4 per cento, confermando un trend costante negli ultimi 15 anni, che diventa più marcato nelle misure detentive. Sempre secondo Antigone, analizzando i provvedimenti di messa alla prova, una misura aperta e di successo nel sistema minorile, nel 2023 ne sono stati adottati 6.592, ma solo il 20 per cento ha riguardato giovani stranieri. Per le misure cautelari meno afflittive, cioè permanenza in casa e prescrizioni, la quota di stranieri è stata del 28,4 per cento, mentre sono stati più frequentemente destinatari della custodia cautelare in carcere. Nei Centri di Prima Accoglienza (CPA), strutture di primo ingresso per minori fermati o arrestati, nel 2023 ci sono stati 852 ingressi, di cui 407 di stranieri (47,8 per cento). Anche nelle dimissioni dai CPA emerge una differenza significativa: gli stranieri erano il 25,6 per cento di chi è stato posto in permanenza in casa, il 41,3 per cento di chi è stato collocato in comunità e ben il 66,7 per cento di chi è stato inviato in carcere in custodia cautelare. In sintesi, più la misura è restrittiva, maggiore è la percentuale di giovani stranieri coinvolti. Oltre i numeri: i fattori sociali che influenzano le statistiche  Oltre a dati, numeri e percentuali, comunque, alla presenza delle persone straniere in carcere contribuiscono anche alcuni fattori sociali. Secondo l’avvocata Ornella Fiore a livello politico in Italia si è investito nell’irregolarità delle persone, il che significa investire sull’insicurezza di quelle stesse persone, nel contesto in cui vivono. A livello pratico questo significa che «se vengono messi dei limiti al riconoscimento delle protezioni internazionali, o all’accesso alla questura per fare la richiesta d’asilo, per esempio» molte persone non riescono ad accedere a condizioni di regolarità e sono sicuramente più vulnerabili rispetto alla possibilità che qualcuno possa approfittare della loro situazione e coinvolgerle in comportamenti illegali. Al contrario «se si investisse sulla regolarità delle persone, potrebbero cambiare  molte dinamiche» ha continuato Fiore, «perché per esempio se una persona ha un permesso di soggiorno e può lavorare, può avere un contratto d’affitto, e può avere in modo regolare una serie di cose, allora probabilmente sarà meno esposta a determinati comportamenti illegali». Inoltre, quando si guarda ai numeri delle persone straniere in carcere, non si può non considerare la dinamica della profilazione razziale, che consiste nel prendere di mira individui o gruppi specifici di persone in base alle loro caratteristiche e senza un motivo giustificato, come avevamo spiegato anche in questo articolo pubblicato su Facta. In Italia, il 71 per cento della popolazione immigrata o afrodiscendente ritiene di esserne stata vittima almeno una volta. Nel luglio 2023, l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) aveva chiesto al Comitato delle Nazioni Unite per l’eliminazione delle discriminazioni razziali (Cerd) di raccomandare all’Italia misure efficaci contro la profilazione razziale. Il 31 agosto, il Cerd aveva accolto questa richiesta, invitando il governo italiano ad adottare interventi necessari per rispettare la Convenzione contro le discriminazioni razziali. Il 22 ottobre 2024, la Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza (Ecri) ha pubblicato il suo sesto rapporto sulle raccomandazioni all’Italia in materia di diritti umani. Nel documento si denuncia la persistenza di violenza sistemica e profilazione razziale da parte delle forze dell’ordine, che colpiscono soprattutto persone di etnia Rom e persone nere di origine africana. L’Ecri ha invitato l’Italia a svolgere un’indagine indipendente per esaminare e contrastare queste pratiche discriminatorie. A causa della diffusione di questa pratica «le persone appartenenti a minoranze che sono visivamente riconoscibili, sono più facilmente profilate dalle polizie» ha commentato Marcello Maneri, aggiungendo che «i reati commessi in strada, legati principalmente ai mercati illegali — come il traffico di sostanze stupefacenti o la prostituzione — sono più facilmente individuabili dalle forze dell’ordine». Di conseguenza, conclude il professore, questi reati sono oggetto di una maggiore attività di controllo e intervento, «aumentando così la probabilità che chi li commette venga arrestato e incarcerato». È chiaro quindi che i dati, i numeri e le statistiche sulle persone straniere detenute nelle carceri italiane raccontano una storia complessa, che non può essere ridotta a equazioni semplicistiche o letture affrettate. Dietro ogni cifra si nascondono dinamiche sociali, economiche e giuridiche che richiedono un’analisi approfondita e contestualizzata. Ignorare questi fattori significa rischiare di alimentare narrazioni distorte, che contribuiscono a rafforzare stereotipi e pregiudizi. Affrontare il tema con superficialità, limitandosi a statistiche decontestualizzate, non solo è inaccurato, ma anche irresponsabile e discriminante. > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. 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Donne nel carcere: 8 marzo di un mondo a metà
Le donne recluse nei penitenziari italiani sono il 5% dell’intera popolazione carceraria con loro ci sono oltre 20 bambini detenuti, bambini piccoli che passano tutte le loro giornate dietro a delle sbarre. Per certi versi, una condizione di detenzione peggiore di quella degli uomini. di Luigi Mollo Sono circa il 5% dell’intera popolazione detenuta; ma la loro situazione è particolare e, per certi versi, ancora peggiore di quella degli uomini. Va detto che con loro, oggi, in Italia, ci sono oltre 20 bambini detenuti, bambini piccoli che passano tutte le loro giornate dietro a delle sbarre, senza la figura di un padre, che per anni vivono quasi in simbiosi costante con le loro madri e poi, dopo, da un giorno all’altro, ne vengono totalmente privati e non le vedranno più se non nel caos dei colloqui periodici. Perché così dice la legge: fino a tre anni le madri possono tenere i loro figli con sé; dopo non possono più. La presenza femminile in carcere si traduce in qualche residuo terroristico, qualche spacciatrice di borgata, qualche zingara borseggiatrice o ladra di appartamenti, qualche signora che ha ucciso il marito, ultimamente anche qualche donna di mafia e camorra, ma soprattutto qualche tossicodipendente ma pur sempre donne che conservano una grande cura di sé, come per ribadire una normalità, per affermare una individualità, per ricordarsi ogni giorno che ancora si esiste: pettinature, trucco, vestiti, riviste che passate di cella in cella… E ricette, ricette di cibi che parlano di casa, di nostalgie dell’infanzia, di mondi lontani e diversi; e cibo condiviso, come gesto di accoglienza o di amicizia, che, in un mondo deprivato di ogni cosa, riacquista l’antica connotazione di condivisione e cura amorevole. Vicino ai fornelli pulsa un mondo di rapporti, di confidenze, di ricordi, mentre si rivivono le proprie abitudini e i piaceri della casa, si cerca di vincere la nostalgia, si tenta di costruire insieme un pezzo di famiglia. Perché la famiglia è ciò che più manca, quel tessuto di rapporti e di cure di cui da sempre è stata destinata custode: i figli lontani, che non si possono vedere e seguire; ma anche i figli che si vorrebbe avere e che forse non si farà più in tempo. L’essere rinchiuse in qualche modo diventa sostegno e scambio intenso, attenzione alle piccole gentilezze, lessico comune, racconto intimo e confidenziale, come ogni donna ha sperimentato qualche volta nel corso della vita, quando si è trovata con altre come lei e si è lasciata andare. Perché la donna, più dell’uomo, anche quella più dura e più provata, desidera parlare, confrontarsi mettendosi in gioco, sempre senza negare né negarsi emozioni e commozioni. Le donne amano la compagnia, sono curiose delle diversità; e il carcere, col suo mescolamento di storie di vita, di paesi d’origine e di ceti sociali diversi , è un continuo crogiolo aperto alla confidenza e al confronto. Ma per le loro resta un mondo a metà. Il carcere è un mondo a parte in cui l’umanità è ferita e monca. Così perdiamo tutti da questa lontananza, per ogni parte di sé di cui la società si amputa.   A tutte le donne… A Francesca Vianello professoressa associata di Sociologia del diritto, della devianza e del mutamento sociale presso il Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Applicata (FISPPA) dell’Università degli Studi di Padova, insegnante di Sociologia del diritto e della devianza e Sociologia del carcere. Direttrice del Master interateneo in Criminologia critica e sicurezza sociale delle università di Padova e Bologna, responsabile scientifico di progetti di ricerca europei e nazionali sul tema dell’esecuzione penale, delle condizioni di detenzione e delle alternative al carcere e del Polo Universitario della Casa di Reclusione Due Palazzi di Padova     > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp
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