India: Naxaliti ultimo atto?

Osservatorio Repressione - Wednesday, April 2, 2025

Decimati dalla controguerriglia e dalle defezioni, i maoisti indiani – dopo oltre mezzo secolo – sembrano – se non a rischio estinzione – comunque in grande difficoltà. Sempre pessima poi la situazione per gli adivasi. Indifesi, il classico “vaso di coccio”, esposti a discriminazioni e strumentalizzazioni da ogni lato.

di Gianni Sartori

Risale al 1967 la nascita nel villaggio di Naxalbari (distretto di Darjeeling, Bengala occidentale) del movimento naxalita ( maoista). Sopravvissuto per oltre mezzo secolo, attualmente sembra essere in grandi difficoltà. Forse è ancora prematuro decretarne la fine, ma gli ultimi eventi sembrano andare in tale direzione.

Il 30 marzo una cinquantina di maoisti, compresi quadri superiori della guerriglia, si sono arresi alle forze di sicurezza (polizia di Stato, Guardia di riserva di distretto-DRG, Forze speciali- STF, unità d’élite COBRA del CRPF) nel distretto di Bijapur .

Determinante il fatto che negli ultimi tre mesi ben 134 militanti, di cui 118 appartenenti alla divisione Bastar, siano stati uccisi in Chhattisgarh. Inoltre sembra funzionare l’istituzione di taglie cospicue e di premi (“buonuscita” ?) per chi abbandona le armi e diserta.

Nel frattempo le forze di sicurezza continuano a braccare i superstiti. Anche il giorno prima, 29 marzo, altri 18 guerriglieri (compreso il comandante Jagdish – Budhra) erano stati abbattuti nei distretti di Sukma e di Bijapur (Chhattisgarh) dai paramilitari della Guardia di riserva del distretto (DRG che ha avuto due feriti) e dalla Forza di polizia centrale di riserva (CRPF). Tra i caduti 11 donne.

Jagdish (su cui pendeva una taglia di 2,5 milioni di rupie) era considerato ideatore e responsabile dell’attacco nella valle di Jhiram del 2013 in cui avevano perso la vita 25 appartenenti alle forze di sicurezza e alcuni esponenti politici del Congresso (come Nand Kumar Patel).

Sempre alla fine di marzo nel Chhattisgarh era stato ucciso dalla DRG un altro comandante maoista, Sudhir (conosciuto anche come Sudhakar, Murli, Ankesarapu…). Dirigente del Comitato di zona di Dandakaranya del PCI(M), originario dell’Andhra Pradesh e in attività dalla fine del secolo scorso. Era anche responsabile di una MOPOS (Scuola politica mobile) incaricata della formazione dei quadri. Nella stessa circostanza venivano uccisi Mannu Barsa e Pandru Atra, originari di Bhairamgarh (nel Bijapur).

Era andata ancora peggio qualche giorno prima quando una trentina di maoisti riuniti nelle foreste del distretto di Bijapur venivano eliminati, dopo essere stati circondati, dalle Forze di sicurezza delle frontiere (BSF) e dalla DRG.

Ovviamente non è detto che tutti i morti ammazzati in quanto “maoisti” lo siano poi veramente.

La guerra – va detto – è anche (o soprattutto) contro i tribali.

Vedi il caso del 9 marzo quando le Forze di sicurezza dello Stato del Madhya Pradesh annunciavano l’uccisione di un “naxalita” nel distretto di Mandlaet. In realtà Hiran Singh Partha (38 anni, padre di cinque figli) apparteneva alla comunità tribale Baiga e non aveva nessun coinvolgimento nella guerriglia.

Ma forse per il movimento naxalita è molto più preoccupante il diffondersi delle defezioni.

Stando alle cifre fornite dal governo indiano, nel 2024 sarebbero almeno 792 i maoisti che si sono arresi nella sola regione del Bastar.

Tra le misure risultate più efficaci, le ricompense introdotte nel Chhattisgarh per i disertori (50mila rupie, una casa, un pezzo di terra e in molti casi la cancellazione dei reati di cui sono accusati). Oltre al prezzo delle armi eventualmente consegnate: ben 25mila rupie per un rudimentale EEI (dispositivo esplosivo improvvisato).

Oltre ai cospicui indenizzi previsti per i congiunti dei collaborazionisti (informatori, infiltrati…) che perdono la vita nello svolgimento di tale attività. Recentemente raddoppiati (per incoraggiare le delazioni) a oltre un milione di rupie per famiglia.

Fermo restando che alla fine, a conti fatti, a rimetterci ulteriormente saranno sempre e comunque gli indifesi adivasi.

 “Tirati per la giacca” da una parte e dall’altra. Talvolta convertiri al cristianesimo forse più per ragioni di sopravvivenza (per sfuggire alle discriminazioni, alla logica delle caste) che per convinzione.

Se mi passate l’analogia, come i bogomili bosniaci che – accusati di eresia – migrarono in blocco nell’islam (XVI sec.). Sfangandosela, diversamente dai catari (poracci!).

E comunque destinati – gli adivasi – a subire angherie e prepotenze dai gruppi maggioritari e dominanti

Come in questi giorni (31 marzo) quando i fondamentalisti indù di Bajrang Dal, (ala giovanile del Vishva Hindu Parishad) hanno attaccato un gruppo di pellegrini, in maggioranza tribali (adivasi) convertiti, nei pressi della Holy Trinity Church di Jabalpur.

 

 

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