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Siria: bombardamenti turchi alla diga di Tishreen. Decine i morti e feriti
Ancora massacri turchi contro la popolazione del Nord e dell’Est della Siria. Almeno 10 morti civili nei raid turchi contro il presidio popolare sulla Diga di Tishreen, che garantisce l’acqua a milioni di persone nell’Amministrazione autonoma della Siria del nord-est e rappresenta un nodo strategico nell’ambito degli scontri in corso da un mese e mezzo tra Forze siriane democratiche e il sedicente Esercito nazionale siriano. Dal 8 dicembre 2024, la Turchia ha lanciato attacchi contro la regione del Nord e dell’Est della Siria, mirando principalmente alle infrastrutture vitali. Per fermare l’occupazione turca e i suoi mercenari dall’attaccare la diga di Tishreen, dall’8 gennaio, convogli di civili si sono diretti verso la diga  per proteggerla. Tuttavia ciò non ha fermato la Turchia che ha preso di mira direttamente i civili. Finora le forze che difendono il confederalismo democratico in Siria sono riusciti a respingere tutti i tentativi turco-jihadisti di avanzare: in risposta agli attacchi turchi sui civili, stanotte – riferiscono le Sfd – è stata colpita una base dell’occupazione a Zarkan. Numerosi i miliziani rimasti uccisi, mentre la Turchia ha replicato con alcuni raid ed esplosioni a Qamishlo, di fatto la capitale del Rojava confederale. Gli ultimi aggiornati su Radio Onda d’Urto con Tiziano Saccucci dell’Ufficio di Informazione sul Kurdistan in Italia. Ascolta o scarica L’analisi su Radio Onda d’Urto di Murat Cinar, giornalista di origine turca  Ascolta o scarica   > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp
January 17, 2025 / Osservatorio Repressione
In Serbia la polizia ha installato spyware nei cellulari di giornalisti e membri delle Ong
La documentata denuncia di Amnesty International nel report “Una prigione digitale” evidenzia i sistematici abusi delle forze dell’ordine di Belgrado che sorvegliano gli attivisti per reprimere il dissenso e controllare le manifestazioni della società civile. Hanno un ruolo anche aziende legate ad Israele. “Un rischio enorme per coloro che si battono per i diritti umani” di Alessandro Ferrari da Altreconomia La polizia e i servizi segreti della Serbia hanno utilizzato avanzati software di spionaggio per sorvegliare illegalmente giornalisti e attivisti della società civile e reprimere le loro attività. Lo rivela il report di Amnesty International “Una prigione digitale: sorveglianza e soppressione della società civile in Serbia” pubblicato a metà dicembre 2024. Il rapporto documenta come la polizia e l’Agenzia per le informazioni sulla sicurezza (acronimo Bia) abbiano utilizzato almeno tre diversi spyware, ovvero software che raccolgono informazioni da un dispositivo senza il consenso del proprietario, per spiare i cellulari di vari esponenti della società civile. Il report “Una prigione digitale” è basato su approfondite interviste a 13 cittadini direttamente colpiti dalla sorveglianza digitale e sui colloqui con 28 esponenti della società civile, oltre ai risultati delle ricerche forensi eseguite dal laboratorio sulla sicurezza di Amnesty International. Da tutto ciò emerge che le autorità serbe hanno fatto ricorso a tecnologie di controllo e a tattiche di repressione digitale nei confronti di alcuni attivisti, creando perciò nel Paese una sorta di sistema di sorveglianza digitale. È un caso emblematico quello del giornalista indipendente Slaviša Milanov, che nel febbraio 2024 è stato fermato dalla polizia per un controllo stradale di routine vicino alla città di Pirot e poi portato in commissariato. Dopo un breve interrogatorio, nel quale è stato privato del suo cellulare, Milanov viene rilasciato ma nota che il suo dispositivo non funziona correttamente. Pensando ad un tentativo di hackeraggio, il giornalista si rivolge al laboratorio sulla sicurezza di Amnesty International, il quale scopre che il cellulare è stato sbloccato senza il suo consenso tramite un software dell’azienda israeliana Cellebrite. La Cellebrite, una compagnia internazionale di digital intelligence, produce software per governi e aziende private che consentono di sbloccare i cellulari e di raccogliere, analizzare e gestirne i dati digitali. Uno dei prodotti più comuni di quest’azienda è il software Ufed, adoperato da molte forze di polizia per estrarre dati da dispositivi tecnologici, operazioni che però dovrebbero seguire delle precise linee guida per evitare abusi da parte delle autorità. Nel caso di Milanov, invece, la polizia serba non ha chiesto il suo consenso per estrarre dati dal cellulare, né ha fornito alcuna motivazione giuridica. Inoltre, l’analisi del laboratorio sulla sicurezza di Amnesty ha trovato nel telefono del giornalista tracce di uno spyware fino ad allora sconosciuto, ribattezzato NoviSpy, che consente dopo lo sblocco del dispositivo di ottenere dati sensibili e di attivare la fotocamera e il microfono da remoto. Un episodio simile è accaduto a un attivista della Ong Krokodil, organizzazione indipendente e apartitica della società civile, tra le poche ad aver pienamente condannato l’invasione russa dell’Ucraina, e per questo presa di mira dallo Stato serbo che ha espresso vicinanza alla Russia. Amnesty riporta che nell’ottobre 2024 l’attivista è stato convocato presso l’ufficio della Bia a Belgrado per essere interrogato a seguito di un’aggressione da parte di persone d’origine russa contro alcuni membri della Ong. Mentre l’attivista era in un ufficio del ministero dell’Interno alcuni agenti hanno esportato una serie di dati personali dal suo cellulare, rimasto fuori dalla stanza. Accortosi di un malfunzionamento del dispositivo, l’attivista lo ha fatto analizzare dal laboratorio di Amnesty che ha rinvenuto all’interno del dispositivo due spyware che erano in grado di estrapolare dati da remoto mentre il telefono veniva utilizzato. Invece nel novembre 2024 è avvenuto un altro caso in cui il cellulare di un cittadino è stato sbloccato tramite il software UFED e poi infettato con lo spyware NoviSpy. Nikola Ristic, giovane attivista tra gli organizzatori delle proteste anti governative per chiedere giustizia dopo il crollo del tetto della stazione ferroviaria di Novi Sad, è stato fermato dalla polizia a Belgrado prima di una manifestazione. Portato in un commissariato, Ristic viene privato del suo cellulare durante l’interrogatorio durato un paio d’ore. Una volta rilasciato, sospettando un tentativo di hackeraggio, Ristic si rivolge al laboratorio di Amnesty, le cui analisi forensi infatti hanno individuato che durante l’interrogatorio il dispositivo è stato prima sbloccato tramite il software UFED e poi infettato tramite NoviSpy, che permette alla polizia di manipolare il cellulare da remoto anche giorni dopo l’intrusione. Amnesty ha deciso perciò di indagare il sistema di sorveglianza digitale messo in piedi dello Stato serbo, che consiste nell’impiego di almeno tre diverse forme di spyware, tra cui il sistema Pegasus dell’azienda NSO legata al governo israeliano e già oggetto di un’approfondita inchiesta di Amnesty, e nell’utilizzo illegale delle sofisticate tecnologie di Cellebrite. Questi strumenti forniscono alle forze di polizia la capacità di raccogliere dati in modo nascosto, come nel caso degli spyware, anche tramite l’uso illegale e illegittimo dei prodotti dell’azienda Cellebrite, il cui impiego dovrebbe seguire delle normative per tutelare i cittadini. La legislazione serba prevede delle circostanze specifiche in cui le misure di sorveglianza, come l’ascolto segreto delle comunicazioni private da parte della polizia, possano essere legittimamente utilizzate. Tuttavia, Amnesty osserva che l’utilizzo di alcune tecnologie, tra cui spyware e altri strumenti digitali per raccogliere i dati personali, non è al momento pienamente regolamentato dalla legge, lasciando perciò la possibilità che avvengano abusi e illeciti da parte delle forze di sicurezza. Infatti il report sottolinea che le disposizioni che regolano l’applicazione di misure di sorveglianza spesso sono generiche e non forniscono tutele significative per i cittadini. Amnesty evidenzia che negli ultimi anni in Serbia sono avvenute varie proteste antigovernative che hanno generato una risposta sempre più dura da parte dello Stato, tra cui campagne diffamatorie contro le Ong e i media critici, vessazioni giudiziarie nei confronti di attivisti politici, sorveglianza fisica e digitale. Soprattutto è dall’estate del 2024 che le proteste delle società civile si sono intensificate, in particolare contro l’accordo stipulato dalla Serbia con l’Unione europea per l’accesso alle materie prime, legato anche all’apertura di una miniera di litio nella zona della valle di Jadar. Anche a dicembre 2024 sono avvenute importanti manifestazioni contro le autorità, a seguito del crollo in novembre del tetto della stazione ferroviaria di Novi Sad che ha causato 15 morti, per chiedere trasparenza nelle indagini che devono accertare le responsabilità della tragedia. “La nostra indagine rivela come le autorità serbe abbiano utilizzato la tecnologia di sorveglianza e le tattiche di repressione digitale come strumenti di un più ampio controllo statale contro la società civile”, ha dichiarato Dinushika Dissanayake, vicedirettrice di Amnesty International per l’Europa. “Inoltre, evidenzia come i software dell’azienda Cellebrite – ampiamente utilizzati dalla polizia e dai servizi segreti di tutto il mondo, aggiunge Dissanayake – possano rappresentare un rischio enorme per coloro che si battono per i diritti umani, l’ambiente e la libertà di parola, quando vengono utilizzati al di fuori di un rigoroso controllo legale e di supervisione”. > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. 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January 17, 2025 / Osservatorio Repressione
Dopo l’annuncio della tregua a Gaza resta l’inferno
Uccisi in attesa della tregua. Raid israeliani uccidono 87 palestinesi. Il cessate il fuoco rischia di slittare a lunedì di Michele Giorgio da il manifesto I morti si accumulano a Gaza nell’attesa della tregua. I cacciabombardieri israeliani hanno ucciso almeno 87 palestinesi da quando mercoledì sera è stato annunciato in Qatar il cessate il fuoco tra Israele e Hamas che entrerà o dovrebbe entrare in vigore domenica. Almeno 40 persone sono state uccise dall’alba di ieri, tra 21 bambini e 25 donne. UN MASSACRO DI CIVILI di ogni età che pensavano di essere scampati all’offensiva militare e alla fame e che forse speravano di tornare ai loro villaggi e alle loro case, anche se a Gaza la casa pochi sono riusciti a salvarla. La Striscia è una distesa di macerie. Rimuoverle richiederà tempo e finanziamenti generosi, solo dopo potrà partire la ricostruzione. E non sarà più facile rimettere in piedi il sistema sanitario. «Occorreranno più di 3 miliardi per il prossimo anno e mezzo e circa 10 miliardi per i prossimi 5-7 anni», ha previsto il rappresentante dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per i territori palestinesi Rick Peppercorn. Non è detto che i morti di ieri e mercoledì saranno le ultime vittime degli attacchi militari. Per placare i contestatori israeliani dell’accordo di tregua, il governo Netanyahu potrebbe dare via libera alle Forze armate fino all’ultimo minuto prima del cessate il fuoco. Il portavoce militare si è limitato a riferire che uno degli ultimi attacchi ha ucciso un comandante delle unità Nukhba di Hamas, coinvolto nell’attacco del 7 ottobre del 2023 e nella cattura di 250 ostaggi israeliani. MENTRE FILE di camion di aiuti umanitari erano schierate nella città di confine egiziana di El-Arish, in attesa di entrare a Gaza, ieri per diverse ore la tregua è rimasta in bilico. Si è temuto il ripetersi delle situazioni già viste e vissute in passato, con l’accordo di tregua dato per fatto dai mediatori, americani in testa, e poi saltato per le nuove condizioni poste da Israele e Hamas, nella maggior parte dei casi da Benyamin Netanyahu intenzionato a continuare l’offensiva a Gaza. Ieri sera però le cose sembravano essersi messe di nuovo nella direzione giusta. Una fonte di Hamas ha detto al sito d’informazione palestinese Shebakt Quds che sono state superate tutte le controversie. Conferme in quel senso sono venute anche dal ministro israeliano Aryeh Deri e da media locali. Il Segretario di Stato Usa Antony Blinken si è detto fiducioso che l’attuazione del cessate il fuoco a Gaza inizierà domenica. Ieri sera si attendeva l’avvio della riunione del governo Netanyahu, convocata per votare l’accordo, congelata per ore dopo le notizie di complicazioni al tavolo delle trattative a Doha. Nella capitale del Qatar sono rimasti per ore l’inviato speciale dell’Amministrazione Biden, Brett McGurk, e il rappresentante del presidente eletto Donald Trump, Steve Witkoff, assieme ai mediatori egiziani e qatarioti per risolvere l’ultima controversia riguardante l’identità di diversi prigionieri di cui Hamas chiede il rilascio. NETANYAHU ha rinviato la riunione del governo accusando il movimento islamico di aver avanzato richieste dell’ultimo minuto.  «Il governo non si riunirà finché i mediatori non notificheranno a Israele che Hamas ha accettato tutti gli elementi dell’accordo», ha tuonato il primo ministro. Netanyahu due giorni prima aveva ribadito che Israele resterà con i suoi soldati sul Corridoio Filadelfia e non rinuncerà al «diritto di veto» sull’inserimento nella lista di alcuni prigionieri palestinesi di primo piano. Pare certa l’esclusione del popolare detenuto politico Marwan Barghouti, che sconta in carcere cinque ergastoli, dall’elenco degli almeno mille prigionieri che Israele dovrà scarcerare per riavere gli ostaggi. UNA FONTE PALESTINESE  ha spiegato al manifesto che Hamas ha «soltanto» chiesto maggiori garanzie sulla «amnistia israeliana, per evitare che i suoi dirigenti e militanti, vengano di nuovo arrestati una svolta scarcerati, come avvenuto per decine di palestinesi liberati nello scambio con il soldato Gilad Shalit, nel 2011. Tra i nomi dei detenuti più importanti che saranno scarcerati ci sono Nael Barghouti, Alaa Al Bazian, Samer Mahroum, Nidal Zaloum, Ayed Khalil. Ad oggi, 48 prigionieri scarcerati per l’accordo Shalit sono tornati nelle celle israeliane. DOPO LA CONTROVERSIA dell’ultimo minuto esplosa a Doha, l’ala più estremista del governo di destra di Netanyahu ha sperato di bloccare l’accordo malgrado la maggioranza dei ministri sia a favore del cessate il fuoco e lo scambio di ostaggi. A sostegno degli oltranzisti alcune migliaia di militanti di destra e coloni hanno manifestato a Gerusalemme. Il ministro Bezalel Smotrich (Sionismo religioso) ha ribadito che resterà nell’esecutivo soltanto se l’offensiva contro Gaza riprenderà alla fine della prima fase dell’accordo. IL MINISTRO della Sicurezza, Itamar Ben-Gvir (Potere ebraico), ha convocato una conferenza stampa ieri sera per annunciare che si dimetterà dal governo se sarà dato il via libera alla tregua. Netanyahu ha avuto il sesto incontro in due giorni con Smotrich, per promettergli, secondo indiscrezioni, che la guerra non finirà prima che Hamas venga smantellata militarmente e in termini di capacità di governo. Promessa, spiegano alcuni, che contiene un nuovo obiettivo di guerra: distruggere Hamas in Cisgiordania. In ogni caso le dimissioni minacciate dai due ministri non bloccano l’approvazione dell’accordo di tregua prevista domani quando si riunirà il governo. La maggioranza però rischia di frantumarsi e Netanyahu è poco incline a formare un governo di minoranza con l’appoggio esterno dei centristi, perché finirebbe per affidare la sua sopravvivenza politica al rivale ed ex premier Yair Lapid (Yesh Atid).     > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp
January 17, 2025 / Osservatorio Repressione
Cessate il fuoco. A Gaza si torna a respirare
Scoppia la gioia a Gaza per l’annuncio dell’accordo. Ma il cessate il fuoco comincerà solo domenica e al momento continuano gli attacchi e le stragi nella Striscia di Gaza. Trump si attribuisce il merito dell’intesa, le cose si fanno complicate per Netanyahu di Eliana Riva da Pagine Esteri Un giornalista si sfila il casco e il giubbotto antiproiettile mentre in camera, dinanzi a una folla di persone, annuncia ciò che a Gaza attendevano da ore, da mesi: l’accordo è stato raggiunto, il cessate il fuoco finalmente ci sarà. Non ora però. In un post su X (ex Twitter), questo pomeriggio l’Unicef scriveva: “Negli ultimi tre giorni si è registrato un aumento del numero di bambini uccisi nella Striscia di Gaza. Al momento, più di 120 bambini sono stati uccisi a Gaza dall’inizio dell’anno. L’uccisione di bambini deve cessare. Non domani, non la prossima settimana. ADESSO”. > In the past 15 days 120 children have been reported killed in #Gaza. > > This must Stop. Children need a ceasefire NOW. pic.twitter.com/L9AEs3MKpH > > — UNICEF MENA – يونيسف الشرق الأوسط وشمال إفريقيا (@UNICEFmena) January 15, > 2025 La strage di bambini dovrebbe fermarsi alle 12.15 di domenica, dopo 15 mesi di sofferenze inimmaginabili per la popolazione di Gaza. il 7 ottobre 2023 era cominciato con circa 1.200 vittime israeliane in seguito all’attacco di Hamas in Israele e 250 ostaggi portati nella Striscia. La vendetta si è abbattuta su Gaza con violenza indicibile e in 15 mesi ha causato circa 48.000 vittime accertate (nella realtà il bilancio raggiungerebbe almeno i 60.000 morti), 2 milioni di sfollati e una distruzione “da paesaggio lunare”, come l’ha definita un funzionario delle Nazioni Unite. La popolazione di Gaza è scesa in strada già prima dell’annuncio ufficiale. C’era “felicità nell’aria”, raccontavano dal pomeriggio di ieri i giornalisti. Qualcosa che non si provava da più di un anno, emozioni represse, timori, dubbi, disillusione. Tutto è stato spazzato via dai cortei festanti di bandiere sventolate, abbracci di famiglie che si sono ritrovate vive, almeno in parte, speranza di sopravvivenza per i feriti, gli ammalati, per chi ha perso tutto. Eppure, prima e dopo la notizia, le bombe hanno fatto massacri difficili da descrivere. Famiglie intere spazzate via, a pezzi, come fossero calcinacci caduti da un muro. Bambini irriconoscibili. Una strage infinita, che negli ultimi tre giorni si è allargata al crescere delle speranze. C’erano “conti” da chiudere, si doveva colpire il più possibile fin tanto che era possibile. E gli attacchi non si sono fermati con l’annuncio del cessate il fuoco. Continuano tutt’ora. Nella zona di Gaza City, secondo la Protezione civile, i raid si sono intensificati dopo l’annuncio dell’intesa, pronunciato del primo ministro del Qatar. Un attacco israeliano ha colpito un blocco residenziale nella zona di Sheikh Radwan, uccidendo 12 persone e ferendone altre 20. Molti analisti ritengono che i prossimi tre giorni saranno ancora più difficili per la popolazione di Gaza, perché Israele proverà a colpire più che può, prima dell’entrata in vigore del cessate il fuoco, che in base a ciò che sappiamo prevede un accordo in tre fasi. Le prime due, di 42 giorni ciascuna, con un rilascio graduale degli ostaggi da parte di Hamas, a cadenza più o meno settimanale. 33 ostaggi tra cui donne, bambini, malati e uomini di età superiore ai 55 anni saranno gradualmente rilasciati nel corso di un periodo di 42 giorni. I detenuti palestinesi rilasciati potrebbero essere fino a 1.650, qualcuno rimarrà nei territori ma quelli con accuse più pesanti saranno mandati all’estero, in Qatar e in Turchia, forse. Qualcuno ha nominato anche l’Egitto. Proprio sul confine egiziano, si parla di un’apertura del valico di Rafah per garantire l’ingresso degli aiuti e l’uscita dei feriti più gravi. In teoria, l’esercito israeliano dovrebbe permettere alla popolazione sfollata, almeno in parte, di ritornare dal sud al nord della Striscia. Molte famiglie sono state separate in questi mesi, chi è fuggito a sud non può fare ritorno nelle proprie case del nord e chi è rimasto a nord ha sofferto la fame estrema e l’assedio, senza possibilità, spesso, di spostarsi verso sud. Dopo 16 giorni dall’inizio dell’accordo, si discuterà della seconda fase, che dovrebbe includere il rilascio di 65 ostaggi israeliani. Come in passato, il problema con il rilascio totale degli ostaggi risiede nel timore, da parte di Hamas, che non potendo più trattare, Israele ricomincerà i suoi attacchi, in una parentesi temporale potenzialmente infinita. A seconda di come l’accordo procederà, se si riuscirà ad accedere alle fasi successive alla prima, Israele dovrebbe ritirarsi in parte dalla Striscia, mantenendo la presenza in una zona cuscinetto che si estenderà circa un chilometro dentro Gaza. Tutto è in forse, tutto è una probabilità. Impossibile, guardando la composizione in fasi successive e incerte del trattato, non rivedere le debolezze dei passati accordi che avrebbero dovuto garantire un riconoscimento dello Stato palestinese ma che non facevano altro che rimandare a un momento successivo la decisione sulle questioni chiave. Quella indecisione ha storicamente prodotto una crescita dell’annessione territoriale da parte dello stato ebraico e pochi o nulli benefici per la parte palestinese, che ha subito negli anni l’erosione di terra, diritti e futuro. Il presidente eletto Donald Trump, che si insedierà il 20 gennaio alla Casa Bianca, si è attribuito il merito dell’accordo. Lo aveva fatto già da settimane. Secondo la lettura del suo entourage, le minacce del tycoon ad Hamas (se non rilascerete gli ostaggi scatenerò l’inferno), avrebbero convinto il movimento islamico ad accettare le condizioni imposte: “Abbiamo un accordo per gli ostaggi in Medio Oriente” ha dichiarato “Saranno rilasciati a breve. Grazie”. L’accordo è importante per gli ostaggi. I più 17.000 bambini ammazzati, più di cento solo dall’inizio del 2025, non meritano neanche una riga all’interno del suo post sul semi-sconosciuto (ai più) Truth Social, dove il miliardario rivolge continui appelli (e ringraziamenti) al mondo. In realtà è non poco probabile che le pressioni più forti da parte del prossimo presidente USA siano state esercitate su Netanyahu. Cominciare il suo mandato con un cessate il fuoco era quello che Trump voleva. Lo aveva dichiarato. Ma nonostante la stima, le necessità reciproche, le affinità, Bibi e Israele hanno dimostrato più volte di perseguire i propri interessi prima di tutto, contro il mondo intero se necessario. È quindi legittimo immaginare che se un accordo, rigettato da Israele per mesi, è stato raggiunto ora, è probabile che ci sia una contropartita e che in questo gioco Trump abbia per lo meno promesso qualcosa. Il pensiero corre subito all’Iran. Il nemico d’Israele e degli Usa (di Donald in particolare) è ferito, gravemente indebolito dalle sconfitte di Hezbollah in Libano, dalla caduta di Assad in Siria, ma non è vinto. Tel Aviv vorrebbe tanto dargli il colpo di grazia. E Teheran già da qualche giorno sta provando a chiarire: “Quello che avete visto non è niente, possiamo ancora attaccarvi”. Domani il Gabinetto israeliano dovrà votare i termini dell’accordo. E solo a quel punto sarà chiaro se le interlocuzioni tra Netanyahu e l’opposizione avranno dato i loro frutti o se le cose si faranno complicate anche per Bibi. Intanto Hamas, a quanto pare, ha dato ordine di fermare le attività militari. Israele non ha fatto lo stesso fino ad ora e con ogni probabilità non vi saranno ordini simili fino a domenica. > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp
January 16, 2025 / Osservatorio Repressione
L’escalation di Erdogan contro il Rojava
La Turchia e le milizie islamiste filo-turche, in particolare l’Esercito nazionale siriano (SNA), stanno sfruttando lo spostamento di potere a Damasco per colpire le aree di autogoverno controllate dai curdi nella Siria settentrionale e orientale. Ankara giustifica queste azioni sostenendo che i gruppi che operano nella regione, in particolare le Unità di difesa popolare curde (YPG), che guidano le Forze democratiche siriane (SDF) a predominanza curda, sono collegate al Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK), che la Turchia considera un’organizzazione terroristica e una minaccia esistenziale alla sicurezza. La recente escalation di attacchi non sorprende, poiché Ankara probabilmente stava aspettando un’opportunità strategica. Mentre tutti gli occhi erano puntati sulle forze guidate da HTS che spazzavano la Siria con Assad in rovina, l’Esercito nazionale siriano (SNA) sostenuto dalla Turchia ha lanciato un attacco alla Siria settentrionale e orientale (NES), sequestrando Shehba e Manbij alle Forze democratiche siriane (SDF). Ora, la Turchia minaccia un’invasione nella città curda di Kobane. Nel frattempo, l’SNA sta tentando di attraversare il fiume Eufrate e di invadere ulteriormente la Siria nord-orientale, con feroci scontri in corso nella campagna di Manbij. Gli islamisti sono avanzati nei territori amministrati attraverso il confederalismo democratico, impegnandosi in feroci scontri con le SDF e hanno preso il controllo di diverse aree sotto il comando dell’SNA. L’amministrazione autonoma del Rojava opera in un quadro che enfatizza la democrazia diretta, l’uguaglianza di genere e l’inclusività etnica, con politiche che prevedono una rappresentanza equa di uomini e donne nelle posizioni amministrative. Le sue strutture politiche sono progettate per includere la rappresentanza di diverse comunità, tra cui curdi, arabi, assiri e turkmeni. Radio Balck Out ha raggiunto telefonicamente Eddi Marcucci, che ha combattuto con le Unità di difesa delle donne (YPJ) in Siria, e le abbiamo chiesto di farci un quadro della situazione in Siria. Ascolta o Scarica Qui, l’intervista a Rohilat Afrin, Comandante in capo delle YPJ.     > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp  
January 15, 2025 / Osservatorio Repressione
Iran: Confermata la condanna a morte per l’attivista curda Pakhshan Azizi
Continua la repressione della dissidenza nella Repubblica islamica. Pena capitale all’attivista curda Pakhshan Azizi confermata dalla Corte suprema di Francesca Luci da il manifesto La cella, la piccola finestrina in alto, il raggio di luce, l’insonnia, l’auto-rimprovero e quel martellio del pensiero, diventeranno un ricordo nella memoria di Cecilia Sala. Il carcere di Evin rimarrà là, imponente, con i suoi abitanti, con le loro storie e dolori, con centinaia di intellettuali, scrittori, giornalisti, artisti e attivisti colpevoli delle loro idee, col grigio del carcere che tenta di sbiadirne i colori. Per loro il dramma si consuma anche dopo la liberazione: rinunciare o rischiare di tornarci. Chi abbandona il paese salva la voce ma porta con sé la ferita del taglio delle radici, che non si rimarginano mai. I molti attivisti e giornalisti iraniani gioiscono insieme all’Italia per la liberazione di Cecilia Sala, ma sanno che la strada per l’affermazione della libertà di parola e di opinione nel loro paese è lunghissima e piena di insidie. Scrivere sull’Iran e sulla Repubblica islamica non è mai stato facile, né per chi risiede nel paese né per chi non si accontenta di rimanere dietro la sua scrivania e osservare il paese da lontano. Per fortuna, nonostante tutto, nel panorama dell’informazione e dell’arte iraniana palpitano numerosi talenti che fanno salti mortali per conservare la loro integrità morale, essere critici e onesti senza cadere nella rete della censura del sistema. Ma alcuni rischiano di non tornare più. Quando Cecilia Sala lasciava il carcere di Evin dopo 21 giorni di prigionia, arrivava la notizia che la Corte suprema aveva confermato la condanna a morte di Pakhshan Azizi, attivista per i diritti delle donne e assistente sociale. Azizi era stata condannata dal Tribunale rivoluzionario di Teheran il 24 luglio con l’accusa di «ribellione armata contro lo Stato» e per il suo coinvolgimento in gruppi di opposizione al regime. L’accusa di appartenenza ai gruppi separatisti curdi o beluci è ripetutamente utilizzata dai tribunali iraniani per non provocare empatia tra la popolazione. Azizi, nata a Mahabad, nell’Iran nord-occidentale, fu arrestata per la prima volta nel 2009 durante una manifestazione di protesta degli studenti curdi dell’Università di Teheran contro l’esecuzione di un prigioniero politico curdo. Dopo quattro mesi di detenzione fu rilasciata su cauzione. All’epoca era una studentessa di scienze sociali presso l’Università Allameh Tabatabai di Teheran. In precedenza aveva collaborato con associazioni non governative attive nel campo sociale e in quello delle problematiche relative alle donne. Nel 2008 faceva parte di un gruppo che conduceva ricerche e studi sul tema della «circoncisione femminile». Insieme a un gruppo di attivisti per i diritti delle donne nel Kurdistan iracheno, e in collaborazione con alcune ong e il governo della regione del Kurdistan, raccoglie informazioni significative su questo tema. Si trasferì nel Kurdistan iracheno dopo aver completato gli studi e iniziò a collaborare con associazioni femminili coinvolte nelle attività sociali. Nell’autunno del 2014 si recò nel nord della Siria, nella città di Qamishli, per prestare aiuto nei campi dei rifugiati, assistendo donne e bambini traumatizzati. Nell’estate del 2023, dopo circa dieci anni, tornò in Iran per incontrare la sua famiglia. La mattina del 5 agosto fu arrestata insieme al padre e a altri due membri della sua famiglia. Fu sottoposta a interrogatori presso l’intelligence detention center prima di essere trasferita al reparto 209 della prigione di Evin e successivamente al reparto femminile. In una sua lettera pubblicata dai media Kurdpa riferì che le avevano legato le mani dietro la schiena e le avevano puntato un’arma alla testa. Nessuna delle obiezioni sollevate riguardo al suo caso ha ricevuto attenzione dalla Corte suprema, scrive l’avvocato dell’attivista Reisiian: «La Corte non ha preso in considerazione che le sue attività nel nord della Siria, nei campi dei rifugiati di Shengal e in altri campi dei rifugiati della guerra contro Isis, sono state azioni pacifiche, senza alcun aspetto politico, finalizzate ad aiutare le vittime degli attacchi di Isis», conclude l’avvocato. Il premio Nobel per la pace Narges Mohammadi, in congedo per malattia dal carcere di Evin, ha scritto sul suo account Instagram: «Con l’esecuzione di una “donna prigioniera politica” il regime vuole punire il movimento di Donna, Vita, Libertà. Gli iraniani, i sostenitori della libertà in tutto il mondo, le organizzazioni internazionali per i diritti umani e le Nazioni unite devono unirsi contro la politica delle esecuzioni. È nostro dovere non rimanere in silenzio». > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp  
January 10, 2025 / Osservatorio Repressione
Bulgaria: «Arrestati per avere salvato vite umane»
Migranti, tre insegnanti fermati in Bulgaria, «arrestati per avere salvato vite umane» Il comunicato di Collettivo Rotte Balcaniche di Collettivo Rotte Balcaniche La Polizia di frontiera bulgara impedisce il soccorso di tre migranti minorenni in pericolo di vita. I corpi, abbandonati nei boschi tra la neve e in parte mangiati dagli animali, sono stati recuperati dal Collettivo Rotte Balcaniche e da No Name Kitchen diverso tempo dopo. La Polizia di frontiera bulgara ha abbandonato nei boschi tre minorenni egiziani, Ali (15), Samir (16) e Yasser (17), di cui erano state ripetutamente segnalate le condizioni critiche: l’omissione di soccorso da parte delle forze dell’ordine e i continui ostacoli alle operazioni di salvataggio degli e delle attiviste hanno portato alla loro morte. Nelle prime ore del mattino del 27 dicembre, le squadre di soccorso del Collettivo Rotte Balcaniche e di No Name Kitchen (NNK) hanno ricevuto le segnalazioni di tre minorenni soli e a rischio immediato di morte, probabilmente per ipotermia, vicino alla città di Burgas, nel sud-est della Bulgaria. I video che accompagnavano le segnalazioni mostravano due di loro sdraiati, privi di sensi, sulla neve. È stato chiamato il numero di emergenza 112 numerose volte, chiedendo assistenza immediata. Le squadre di soccorso hanno subito cercato di raggiungere a loro volta le persone al più presto, ben sapendo per esperienza che la Polizia di frontiera è solita omettere il soccorso delle persone in movimento o respingerle in Turchia (pratica definita pushback e dichiarata illegale da tutti i trattati internazionali, specie se nei confronti di minori non accompagnati). Gli e le attiviste sono state tuttavia bloccate più volte dalle pattuglie della Polizia di frontiera e per questo non sono riuscite a raggiungere i minori. Hanno quindi esortato la polizia a farlo ma sono state minacciate e brutalmente allontanate. Il 28 dicembre, le squadre di soccorso sono riuscite finalmente a raggiungere i luoghi delle prime due segnalazioni, condivise il giorno prima con il 112, e hanno trovato due adolescenti morti. Uno era coperto di neve, l’altro era sdraiato con la testa in una pozzanghera. Il 29 dicembre, gli e le attiviste sono quindi andate nell’ultima posizione ricevuta. Non solo hanno trovato il terzo corpo, ma parti di esso erano lacerate: un piede e la testa erano stati mangiati dagli animali. Mentre il primo corpo è stato trovato a 20 metri dalla posizione segnalata alle autorità, gli ultimi due corpi sono stati trovati alle precise coordinate GPS fornite al 112 ed erano chiaramente visibili lungo il sentiero. Sulle risposte delle autorità sembrano esserci due sole spiegazioni possibili: o hanno visto e abbandonato le persone moribonde dopo averle trovate, oppure non hanno mai raggiunto le loro posizioni, pur avendo chiare indicazioni. Distinte impronte di stivali militari sulla neve intorno a uno dei corpi – poi cancellate quando la Polizia di frontiera ha dovuto recuperare il corpo – suggeriscono che degli agenti erano presenti nelle ore precedenti, ma non hanno soccorso la persona, forse quando poteva ancora essere salvata. Sebbene su scala minore, le autorità sono state violente anche verso gli e le attiviste: oltre a numerose intimidazioni, la Polizia di frontiera ha costretto una squadra a camminare al gelo di notte per ore, ha ordinato a un soccorritore di trasportare a mano uno dei corpi senza vita, e altri ad essere trasportati nel bagagliaio dell’auto della polizia. Pratiche in linea con quanto avviene da tempo e di cui il Collettivo Rotte Balcaniche è testimone dall’estate del 2023. Omissioni di soccorso nei confronti di persone che richiedono assistenza medica urgente, respingimenti in Turchia di persone in gravi condizioni mediche, morti e una repressione sempre più dura nei confronti di chi porta la propria solidarietà. Solo pochi giorni prima, dopo aver soccorso tre persone, quattro soccorritori del Collettivo Rotte Balcaniche erano stati messi in detenzione per l’intera notte in una stanza fatiscente e senza materassi in una caserma, e lo stesso è avvenuto il 29 dicembre ad alcuni componenti di NNK, la quinta volta a partire da settembre. Le politiche migratorie europee stanno trasformando le frontiere di terra e di mare in veri e propri tritacarne autorizzati, che mettono le persone in pericolo e poi ne omettono il soccorso, rendendosi di fatto dirette responsabili della loro morte. Queste politiche hanno ucciso Ali, Samir e Yasser, così come decine di migliaia di individui alle frontiere europee negli ultimi vent’anni, e ne uccideranno molti altri se non verranno fermate. Non sono fallimenti delle politiche, ma le politiche stesse. Come premio per tutto ciò, alla Bulgaria è stato appena concesso l’accesso all’area Schengen.     > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp  
January 7, 2025 / Osservatorio Repressione
USA: Detenuto pestato a morte in un carcere a New York da 3 poliziotti
Detenuto muore dopo essere stato ammanettato e picchiato dagli agenti in un carcere di New York È il 9 dicembre scorso e il pestaggio viene ripreso da una bodycam. Il giorno dopo l’uomo, detenuto appena arrivato penitenziario di Marcy, è morto. La procuratrice generale di New York, Laetitia James, ha pubblicato le immagini di un uomo picchiato a morte dagli agenti in una prigione di New York. Robert Brooks, 43 anni, è stato dichiarato morto il 10 dicembre, la mattina successiva all’aggressione nel penitenziario di Marcy, nella contea di Oneida. Il filmato mostra gli agenti che colpiscono ripetutamente Brooks al volto e all’inguine mentre è ammanettato su un tavolo medico. Mentre uno degli agenti usa una scarpa per colpire Brooks allo stomaco, un altro lo tira su per il collo e lo fa cadere di nuovo sul tavolo. Gli agenti gli tolgono la camicia e i pantaloni mentre giace immobile e insanguinato sul tavolo. Almeno 14 agenti coinvolti nell’aggressione rischiano il licenziamento, secondo quanto dichiarato dalla governatrice di New York Kathy Hochul, che si è detta “indignata e inorridita” dai video dell’”omicidio senza senso”. James ha dichiarato che il suo ufficio sta indagando sull’uso della forza che ha portato al decesso, ma non ha detto se gli agenti coinvolti nel pestaggio dovranno affrontare accuse penali. “Questi video sono scioccanti e inquietanti e consiglio a tutti di prestare la dovuta attenzione prima di scegliere di guardarli”, ha dichiarato. Brooks stava scontando una condanna a 12 anni di carcere per aggressione di primo grado dal 2017, secondo il dipartimento. Era arrivato al Marcy Correctional Facility solo poche ore prima del pestaggio, dopo essere stato trasferito da un altro carcere statale, hanno detto i funzionari. In una dichiarazione, il presidente dell’Associazione degli sceriffi dello Stato di New York, Craig DuMond, si è detto “scioccato, come tutte le persone di buonsenso, dalle azioni” degli agenti penitenziari. “Nessun essere umano dovrebbe essere trattato in questo modo”, ha aggiunto. L’inchiesta sarà condotta da Ryan Paparella, ex agente carcerario, secondo il quale al momento non ci sono motivazioni chiare per l’attacco.  “Brooks è stato picchiato violentemente da un gruppo di agenti il cui compito era tenerlo al sicuro. Meritava di vivere e tutti coloro che vivono nel penitenziario di Marcy meritano di sapere di non dover vivere nella paura di violenza per mano del personale carcerario“, ha osservato Elizabeth Mazur, legale della famiglia del detenuto morto. L’associazione in difesa dei diritti civili New York Civil Liberties osserva come “il pestaggio mortale di Brooks non è un incidente isolato. Piuttosto evidenzia una cultura di violenza e mancanza di responsabilità per gli illeciti da parte degli agenti penitenziari“. N.B. Il video pubblicato dall’ANSA è solo parte, meno cruenta, di un video molto più lungo, tratto dalle bodycam dei poliziotti, che mostra le violenze. > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp
December 29, 2024 / Osservatorio Repressione
Ofer, il campo di tortura dove spariscono i gazawi
“Le mie mani sono paralizzate dalle torture”: i cittadini di Gaza rivelano gli orrori del campo di Ofer I detenuti della nuova struttura israeliana subiscono abusi continui, dalle percosse alle scosse elettriche, fino alle continue manette e alle malattie della pelle. Pubblichiamo l’inchiesta realizzata dalla rivista israelo-palestinese +972mag A febbraio Rami è stato arrestato dall’esercito israeliano all’ospedale Al-Shifa di Gaza. Il 42enne palestinese è stato portato nel famigerato centro di detenzione di Sde Teiman, dove, come migliaia di gazawi detenuti, ha subito gravi abusi da parte delle guardie. Ma è stato presto trasferito. «Pensavo di essere riportato a Gaza, ma mi sono ritrovato in un’altra prigione», ha raccontato a +972 e Local Call. Quella prigione era il campo di Ofer, struttura militare che Israele ha aperto durante la guerra in corso per detenere i prigionieri di Gaza, situata tra Gerusalemme e Ramallah, nella Cisgiordania occupata. Rami ha definito la struttura brutale quanto Sde Teiman: «Sono stato duramente torturato. Siamo stati costretti a inginocchiarci con le mani legate dall’alba fino a mezzanotte. Le guardie ci picchiavano su ogni parte del corpo. Mi hanno dato scosse elettriche ogni due giorni». Un trattamento che non era eccezionale: «Tutti i detenuti di Ofer sono stati torturati, picchiati e umiliati. Ricevevamo cibo solo una volta al giorno». Il 24 marzo, dopo settimane di detenzione in queste condizioni, Rami è stato rilasciato a Gaza; non sono state formulate accuse contro di lui. +972 e Local Call hanno ottenuto le testimonianze di 19 palestinesi, alcuni dei quali ancora detenuti e che hanno parlato attraverso gli avvocati del gruppo israeliano per i diritti umani HaMoked, e altri che sono stati precedentemente detenuti nel campo di Ofer e rilasciati a Gaza. Hanno rivelato condizioni «simili e in alcuni casi identiche» a quelle di Sde Teiman, come ha spiegato l’avvocata Nadine Abu Arafeh di HaMoked. I PALESTINESI a Ofer riferiscono di essere ammanettati e in alcuni casi incatenati per i piedi per 24 ore al giorno – anche mentre dormono, mangiano e vanno in bagno – con l’eccezione di una breve doccia concessa al massimo una volta a settimana. Raccontano anche di aver subito regolarmente percosse da parte delle guardie – in un caso fino alla morte – oltre a continue umiliazioni, estremo sovraffollamento e mancanza di igiene di base. I gazawi detenuti nel campo di Ofer, adiacente all’omonima prigione di lunga data, sono tra i detenuti palestinesi che Israele classifica come «combattenti illegali». In quanto tali, sono sottoposti a una procedura legale molto breve: di solito un’udienza di tre minuti via Zoom, in cui vengono accusati di «sostenere il terrorismo» e a seguito della quale la loro detenzione viene prorogata per altri sei mesi o fino alla «fine della guerra». > Uno dei giovani detenuti con noi è stato ucciso durante il rilascio: lo hanno > colpito alla testa ed è morto immediatamente Secondo HaMoked, 1.772 «combattenti illegali» sono detenuti nelle carceri israeliane sotto la giurisdizione dell’Israel Prison Service (Ips) a partire dal dicembre 2024. Sebbene l’esercito non abbia rivelato il numero esatto di detenuti nel campo di Ofer, le stime suggeriscono che a centinaia siano attualmente detenuti lì. Inizialmente gli avvocati dei detenuti palestinesi si aspettavano che il campo di Ofer servisse come struttura di transito temporaneo, prima del trasferimento nella prigione di Ofer o in altre prigioni civili supervisionate dall’Ips. Sebbene l’Ips si sia recentemente vantato di aver inasprito le condizioni dei detenuti palestinesi, gli avvocati speravano che il maggiore controllo delle prigioni civili potesse portare a condizioni di vita un po’ più umane. Tuttavia, nonostante le affermazioni dell’esercito israeliano secondo cui i detenuti sono «destinati a essere trasferiti all’Ips», HaMoked continua a incontrare detenuti nel campo di Ofer dal maggio 2024. A maggio, in seguito alle crescenti rivelazioni di gravi abusi contro i detenuti di Sde Teiman – tra cui casi di morte e persino di stupro – un gruppo di cinque organizzazioni israeliane per i diritti umani ha presentato una petizione all’Alta Corte di Giustizia, sostenendo che le condizioni della struttura violavano la legge israeliana vigente. Alla fine, la Corte si è schierata con i firmatari e a settembre ha stabilito che «la detenzione di individui nella struttura di Sde Teiman o in qualsiasi altra struttura di detenzione deve essere conforme ai requisiti di legge». Sebbene il tribunale non abbia ordinato la chiusura di Sde Teiman, la struttura è stata gradualmente trasformata in un campo di transito. Negli ultimi mesi i detenuti palestinesi sono stati semplicemente controllati a Sde Teiman prima di essere rimandati a Gaza o trasferiti al campo di Ofer. Ma gli abusi non sono cessati: sono solo stati trasferiti. «Le testimonianze dei detenuti che sono stati o sono ancora detenuti nel campo di Ofer indicano che lo Stato sta ignorando la recente sentenza dell’Alta Corte sulle condizioni di detenzione nella struttura di Sde Teiman», ha spiegato Abu Arafeh. SECONDO un palestinese detenuto a Sde Teiman e poi trasferito a Ofer, la principale differenza tra le due strutture è che a Ofer i detenuti possono stare in piedi nelle loro celle, mentre a Sde Teiman erano costretti a inginocchiarsi tutto il giorno. Un altro detenuto che ha parlato con HaMoked ha detto che il principale «miglioramento» a Ofer rispetto a Sde Teiman è che «c’è un Corano in cella e ci è permesso pregare». Una differenza cruciale è che, se Sde Teiman ha ricevuto una certa attenzione internazionale, si sa molto poco di quel che accade a Ofer: non ha ottenuto quasi nessuna copertura dai media internazionali. Rafiq, un 59enne del nord di Gaza, è stato arrestato nel novembre 2023. Dopo aver trascorso una settimana a Sde Teiman, è stato trasferito a Ofer. «Abbiamo subito tutti lo stesso livello di torture, umiliazioni e insulti – ha raccontato a +972 e Local Call – Ci hanno trattato come se non avremmo mai più rivisto le nostre famiglie a Gaza. Pensavo che sarei uscito di prigione morto». «Uno dei giovani detenuti con noi è stato ucciso durante il rilascio: (i soldati) lo hanno colpito alla testa ed è morto immediatamente – ha continuato – Durante la detenzione ho perso 43 chili a causa della mancanza di cibo. L’unico conforto che avevo era pensare alla mia famiglia, mi aiutava a dissociarmi dalla realtà della prigionia». Dopo aver trascorso circa un mese a Ofer, Rafiq è stato rilasciato a Gaza, ma ha continuato a soffrire per la sua esperienza lì. «Le mie mani sono paralizzate a causa delle torture e prendo pesanti farmaci psichiatrici. Cammino per decine di chilometri ogni giorno per sfinirmi e poter dormire. Ho perso la vita a causa di quella detenzione». Sulla base delle testimonianze fornite ad HaMoked, Abu Arafeh ha spiegato che i detenuti del campo di Ofer sopportano «condizioni dure, ben lontane dagli standard minimi richiesti per soddisfare le loro esigenze di base. Ciò indica violazioni dei loro diritti di detenuti e di esseri umani, creando l’impressione che, in molti casi, queste condizioni equivalgano alla tortura». > Le mie mani sono paralizzate a causa delle torture e prendo pesanti farmaci > psichiatrici. Cammino per decine di chilometri ogni giorno per sfinirmi e > poter dormire Tutti i detenuti che sono stati recentemente trattenuti a Ofer, tranne due, hanno descritto di essere tenuti in manette all’interno delle loro celle. Un detenuto di 28 anni ha detto che le mani dei detenuti vengono liberate solo «per mezz’ora alla settimana, per fare una doccia» e un altro ha riferito che essere ammanettato 24 ore al giorno gli ha fatto sentire le mani «insensibili». UN 48ENNE padre di tre figli, arrestato nel marzo 2024 nella sua casa di Gaza City, ha detto che i soldati israeliani gli hanno detto: «Sappiamo che non hai alcun legame con il 7 ottobre, ma sappiamo che hai informazioni su Hamas e sui suoi agenti». È stato trasferito al campo di Ofer, dove è rimasto ammanettato «tutto il giorno e la notte». Secondo le testimonianze, umiliazioni e violenze fanno parte della vita quotidiana a Ofer, con le guardie che picchiano i detenuti per puro divertimento. Un prigioniero di 23 anni ha testimoniato che, rispetto a Sde Teiman, «nella stanza ci è permesso stare in piedi», ma «ogni volta che mi sposto da una sezione all’altra, mi picchiano». «Ogni volta che le guardie attraversano il corridoio, i detenuti devono sdraiarsi a faccia in giù sul pavimento e chi non si adegua viene punito e picchiato sulle mani – ha detto un detenuto di 32 anni – Gli agenti ci maledicono tutto il giorno». Molti detenuti hanno parlato di cibo scarso e inadeguato, con pasti giornalieri identici che consistono in quattro fette di pane bianco con un cucchiaino di marmellata, formaggio o cioccolato spalmabile, senza alcuna fonte di proteine. «A volte c’è del labneh o del formaggio, a volte una piccola quantità di tonno – ha raccontato un detenuto – A parte questo, non c’è nulla: niente uova, carne o pollo». «Il cibo arriva in condizioni terribili – ha detto un detenuto attualmente in carcere a Ofer – Al mattino riceviamo tre fette di pane, una con un po’ di marmellata. Prima ne ricevevamo cinque, ma di recente la quantità è stata ridotta. Oltre al pane, ogni persona riceve un pomodoro». Un detenuto gazawi di 32 anni, arrestato all’ospedale Al-Shifa, ha testimoniato che «tutti i prigionieri hanno perso 20-30 chili». I detenuti hanno anche riferito che le celle sono estremamente sovraffollate e che molti soffrono di malattie della pelle a causa delle scarse condizioni igieniche. Un padre di due figli di 28 anni, arrestato nel marzo 2024, sempre allo Shifa, ha raccontato che 16 persone sono state rinchiuse in una cella progettata per 12. «Gli altri non hanno il materassino, quindi facciamo i turni», ha spiegato. Chi non ha un letto è costretto a dormire su materassi spessi due centimetri posti sul pavimento della cella. «Una volta a settimana possiamo cambiarci la biancheria intima e fare la doccia con acqua fredda – ha aggiunto – I vestiti non vengono cambiati. Ogni una o due settimane, ci viene dato un solo rotolo di carta igienica per tutti i detenuti. Il sapone viene fornito solo durante la doccia». A OFER non c’è un servizio di lavanderia, i detenuti sono costretti a lavare l’unico capo di abbigliamento a loro assegnato – una tuta grigia che alcuni indossano da quattro mesi – nel lavandino o nel bagno della cella. Le docce sono consentite una volta ogni una o tre settimane, secondo alcune testimonianze, durante le quali i detenuti possono ricevere un nuovo paio di mutande. «Quando c’erano casi di scabbia in cella, potevamo fare la doccia una volta alla settimana – ha raccontato un prigioniero che si trova nel campo di Ofer da aprile – Ma dopo la guarigione, siamo tornati alla terribile routine. Non ci sono spazzolini da denti e il sapone in cella è disponibile solo qualche volta». Un prigioniero di Gaza City ha testimoniato di essere stato lasciato ammanettato quando andava in bagno e di non avere il permesso di pulirsi. Per le docce, ha detto, vengono concessi «meno di tre minuti», aggiungendo che ha dovuto fare il bagno usando «un detergente per pulire i pavimenti». È inquietante che alcuni dei detenuti abbiano scoperto di essere rinchiusi nel campo di Ofer solo negli incontri con gli avvocati di HaMoked, settimane o addirittura mesi dopo essere arrivati nella struttura. > Non ci sono né fogli né penne, non possiamo presentare reclami. La situazione > non migliora. Sogno di vedere la luce del sole, anche solo una volta Un padre di quattro figli di 66 anni, arrestato a casa sua a Rafah nel maggio 2024, è stato portato a Sde Teiman e poi a Ofer. «Solo (dalla fine di ottobre) so di essere a Ofer – ha detto al suo avvocato – Ho avuto un’udienza via Zoom. Mi hanno detto che sono detenuto fino alla fine della guerra, accusato di essere affiliato a un’organizzazione terroristica. Sono un insegnante, non sono legato ad Hamas o ad attività ostili contro Israele». Per i detenuti, l’incontro con un avvocato può essere l’unica opportunità di uscire dalla cella. «Non ci sono né fogli né penne, quindi non possiamo presentare reclami – ha osservato un detenuto, arrestato a Khan Younis a febbraio – Cerchiamo di fare richieste attraverso lo shawish (un prigioniero di lingua ebraica incaricato di tenere i contatti con le guardie), ma la situazione non migliora. Sogno di vedere la luce del sole, anche solo una volta». Ma le visite degli avvocati hanno anche un costo elevato, per tutti. Un 26enne ha testimoniato che, quando un avvocato incontra un detenuto, tutti gli altri nella cella vengono fatti uscire e incatenati, bendati e costretti a sdraiarsi per tutta la durata della visita. «Prego che non vengano a farci visita – ha detto – È l’incubo di tutti i detenuti». IN RISPOSTA alle richieste di informazioni per questo articolo, un portavoce dell’esercito israeliano ha affermato che «i detenuti nel centro di detenzione militare di Ofer sono quelli che sono stati trovati coinvolti in attività terroristiche e che sono stati sottoposti a una revisione giudiziaria condotta davanti a un giudice della Corte distrettuale». Il portavoce ha respinto «le affermazioni di abusi sistematici sui detenuti, anche attraverso la violenza o la tortura» a Ofer, osservando che gli abusi sono «contro la legge e gli ordini dell’Idf» e che la struttura è «regolarmente filmata ed è sotto la supervisione dei comandanti». Il portavoce ha anche affermato, contrariamente alle testimonianze, che i detenuti a Ofer ricevono coperte, un materasso, prodotti per l’igiene, vestiti, tre pasti al giorno e «cure mediche adeguate». Mentre «la maggior parte dei detenuti non è tenuta in manette», ha aggiunto il portavoce, in alcuni casi «viene presa una decisione individuale di ammanettare un detenuto, in modo da non impedirgli di mangiare, fare la doccia o usare il bagno». > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp
December 28, 2024 / Osservatorio Repressione
L’eclisse degli Stati Uniti
Un Paese distopico. Gli Stati Uniti sono un luogo spaventoso. Se Donald Trump mantiene le sue promesse, diventerà un luogo spaventoso di Marco Sommariva da Carmilla Il Fatto Quotidiano riporta che Eva Longoria, l’ex stella della serie TV cult Desperate Housewives che aveva partecipato attivamente alla campagna elettorale per i Democratici e Kamala Harris, profondamente delusa dalla vittoria di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti d’America, ha preso la decisione drastica di lasciare gli Usa. In un’intervista ha dichiarato: “La parte scioccante non è tanto che abbia vinto. Il fatto è che un criminale condannato che sputa così tanto odio possa occupare l’ufficio più importante del Paese”. E ancora: “Gli Stati Uniti sono un luogo spaventoso. Se Donald Trump mantiene le sue promesse, diventerà un luogo spaventoso. […] Sento che questo capitolo della mia vita è finito. Sono privilegiata, posso scappare e andare da un’altra parte. La maggior parte degli americani non è così fortunata e si ritrova in questo Paese distopico. Per loro provo ansia e tristezza”. Questo voler fuggire da un paese distopico mi ha ricordato l’inizio di Eclipse, romanzo pubblicato negli Stati Uniti nel 1985, il primo dell’omonima trilogia cyberpunk scritta John Shirley che proseguirà con Azione al crepuscolo (1900) e terminerà con La maschera sul sole (1990), tutti pubblicati su Urania. L’universo descritto in Eclipse è ambientato nel XXI secolo, racconta un’Unione Sovietica che ha invaso l’Europa occidentale e, a proposito del fuggire di cui sopra, nei primi capitoli riporta: “Tutto ciò cui riuscivo a pensare era di pararmi il culo, di tornare negli Stati Uniti. Ma non riuscii a trovare un volo per fuori Londra; erano tutti limitati a uso governativo. O cancellati. Tutti volevano andarsene dalla fottuta Europa. Mai sentito parlare della guerra del Vietnam? Bene, allora sai come, quando l’esercito americano si spinse verso sud, ci fu questa frenetica corsa per uscire da Saigon con qualsiasi mezzo possibile… E lo stesso accadde in tutto il continente, nelle grandi città…”. Cos’era accaduto esattamente nel romanzo? Era successo che l’esercito sovietico era apparso dal nulla, “che nessuno era riuscito a capire come avessero potuto riunire così tante truppe lungo il confine senza insospettire la Nato. […] La Nato aveva avvistato qualche paracadute, ma i Sovietici avevano detto che si trattava dell’invio di medicinali per via di qualche epidemia. Poi, di colpo, le fottute truppe erano lì…”. Anche in questo caso, quanto accade realmente in Europa nel febbraio del 2022 s’avvicina molto alla narrazione di Shirley: all’epoca, l’Occidente temeva un bluff di Putin quando dichiarava che le truppe russe al confine ucraino erano lì per delle esercitazioni e che sarebbero rientrate alle loro basi. Una volta si diceva che la narrazione fantascientifica era nata e s’era sviluppata in Occidente col presupposto d’ipotizzare quali scenari avrebbero potuto scaturire dalle nuove scoperte scientifiche, ragionando anche sugli impatti che queste potevano avere sulla società e sulle persone. Sono anni, invece, che s’è insinuato un sospetto, quello che si segua la fantascienza – libri, fumetti, film, serie TV, videogiochi, eccetera – per trarre spunti, ispirazioni, suggerimenti su cosa fare e come, tipo il cane robot (da guardia) che si aggira per il resort della proprietà di Mar-a-Lago di Donald Trump, impiegato per rafforzare le misure di sicurezza a protezione del neoeletto presidente: come non pensare ai cani robot di uno degli episodi di Black Mirror 4  (Metalhead) e, soprattutto, ai cani robot di Fahrenheit 451 di Ray Bradbury, programmati per individuare e colpire i nemici, ossia i possessori di libri e i luoghi dove questi sono contenuti? Di esempi del genere se ne potrebbero fare a decine, a iniziare dalla decisione presa in Kuwait d’introdurre un’identità digitale elettronica giustificando la scelta come un aiuto ai cittadini per accedere ai servizi digitali della pubblica amministrazione senza, però, dare la possibilità alle persone di scegliere se aderire o meno a questa cessione dei dati sensibili allo Stato, andando a penalizzare chi si è rifiutato bloccando a tutti loro, 35 mila persone, l’accesso al proprio conto corrente né di trasferire denaro.  Un po’ quello che succede alle donne nel mondo distopico immaginato da Margaret Atwood ne Il racconto dell’ancella, pubblicato nel 1985. Le similitudini tra la realtà e la trilogia di Shirley sono numerose, dall’utilizzo dei droni che sorvegliano le città – “Era un uccello di metallo. Aveva ali meccaniche, viscere elettroniche e una telecamera nel capo. Ma aveva la forma di un tordo, e più o meno le stesse dimensioni. Le sue ali battevano freneticamente come quelle di un colibrì mentre attraversava in volo la città, inondata e in rovina. […] Sul ventre del pennuto era visibile una fila di numeri di serie. In realtà si trattava di un apparecchio di sorveglianza […]” – alla presenza di una Rete che ci foraggia di canali televisivi e notizie, e che viene ascoltata e seguita come una religione – “La Rete Amica, dio di tutta la Rete elettronica. La Rete dà la Tv e le notizie… dà credito, che si traduce in cibo e riparo. Pregate la Rete Amica e i computer della compagnia elettrica perderanno la vostra bolletta, regalandovi un mese extra prima di tagliarvi i fili della luce; pregate la Rete Amica e l’Interbanca compirà un errore a vostro favore, attribuendovi cinquecento dollari che non dovreste avere. Per poi dimenticarsene. Pregate la Rete Amica e il computer della polizia perderà i dati dei vostri precedenti”. Se riteneste quanto sopra non particolarmente brillante o profetico, leggete cosa scrive Shirley in Eclipse, circa la Colonia, una “cosa” costruita con asteroidi e frammenti di roccia su cui vivono diecimila persone, orbitante intorno alla Terra – “Vista dall’esterno, la Colonia, lunga dieci chilometri, appariva come una specie di cilindro che avesse inghiottito qualcosa di grosso e lo stesse digerendo come fanno i serpenti boa. Il rigonfiamento che mostrava nel centro era una sfera del diametro di circa due chilometri, il cui concavo interno rappresentava la principale zona residenziale della Colonia” – e poi date un’occhiata all’articolo pubblicato l’8 settembre 2024 da Il Sole 24 Ore, in cui Elon Musk si pone come traguardo anche quello di consentire al genere umano di “non avere più tutte le nostre uova, letteralmente e metabolicamente, su un unico pianeta”. Elon Musk mi richiama alla mente uno dei personaggi di quest’opera di Shirley: Rick Crandall il Sorridente – proprio così, “il Sorridente”. Ora, provate a leggere il prossimo estratto e vedete voi se vi viene in mente qualcuno: “Negli anni ’90, nonostante il declino economico degli Stati Uniti, tutti i paesi non-socialisti e non-islamici erano andati americanizzandosi sempre di più. Verso la fine del decennio, ogni paese in cui vivesse una classe borghese o piccolo-borghese disponeva di una sua televisione. E fra esse proliferavano le trasmissioni via satellite di canali americani. In ogni paese industrializzato esistevano canali in lingua inglese: l’inglese aveva acquistato via via sempre maggiore importanza. I valori e le attrattive della vita americana si fecero sempre più presenti nelle società del terzo mondo. E uno dei pilastri di tale pensiero era la rinata cristianità. E i sempre più numerosi predicatori propagandavano in lingua spagnola, portoghese, swahili e così via, l’importanza dei valori e dei comportamenti cari agli Stati Uniti. Ogni televisione del terzo mondo trasmetteva un programma presentato da un tipo chiamato Rick Crandall il Sorridente. Costui era uno fra i più giovani ministri fondamentalisti d’America. […] Ma in realtà, Crandall era un reclutatore. Approfittava della sua fama internazionale o ricorreva alla corruzione per arrivare ai personaggi politici più importanti, a coloro che si collocavano ai margini del governo e ai loro oppositori. Legandoli a una nuova sezione dell’Alleanza detta Loggia Antiterrorismo. La quale, in realtà, era una copertura. Era in realtà la sezione di reclutamento dell’esercito della Seconda Alleanza”. La Seconda Alleanza – nel romanzo è abbreviato in SA, proprio come il reparto paramilitare costituito da Hitler nel 1921 a difesa dei comizi del Partito Nazista – è un esercito capace di schierare solo che in Europa mezzo milione di soldati, una compagnia di sicurezza privata fondata da Predinger “un milionario americano categoricamente conservatore. Tanto quant’è possibile esserlo senza venire rinchiusi in un manicomio”, costituita da mercenari razzisti e spietati, guidata dal telepredicatore Rick Crandall, appunto. Questa forza di polizia internazionale privata, ispirata da valori di stampo religioso cristiano, ha evidenti connotati di estrema destra: “Fottuti Yankee che si masturbano con quei fottuti nazisti. Hanno deciso di reclutarli perché pensano che sia “o così o il comunismo”. E i fascisti hanno fatto grandi promesse di ottimi affari commerciali”. Caso strano, questo corpo privato, l’SA, diventa presto un gruppo armato antiterroristico che permette al suo fondatore, Predinger, di esprimere le sue simpatie politiche: “Va da sé che l’Alleanza concentrò la sua azione sul terrorismo di sinistra, ignorando quello delle destre. Mise una gran quantità di persone sotto sorveglianza […] l’Sa assassinò alcuni leader radicali da essa ritenuti alleati con i terroristi. Il più delle volte, però, le persone colpite erano proprio quei moderati che riuscivano a tenere a bada le frange più estremiste. Può anche darsi che l’abbiano fatto deliberatamente, sapendo che quando gli estremisti si fossero fatti avanti per riempire quel vuoto, il mondo impaurito avrebbe tollerato, se non addirittura richiesto, l’intervento dell’Sa. Così crebbe sia di responsabilità che di contatti, e con questi ultimi vennero anche potere e influenza. E, naturalmente, questo credito veniva aumentato dal sapiente uso del denaro operato da Predinger”. Insomma, non so voi, ma a me sembra che i due personaggi costruiti da Shirley – Predinger e Crandall – siano molto attuali: “Politicamente, il credo fondamentale dell’SA è semplicemente il fascismo. E qui non parliamo di fascisti come uno sbarbatello di sinistra potrebbe chiamare “fascista” qualsiasi guerrafondaio, rendendo il termine un mero dispregiativo. Parliamo della vera e propria essenza del fascismo. Predinger e Crandall sono entrambi profondi ammiratori del fascismo classico e della demagogia razzista, Hitler e Mussolini compresi”. Ci tengo a ricordare che Biden e, più volte, Kamala Harris hanno definito “fascista” il prossimo presidente americano Trump , e che Elon Musk è un padrone che ha proibito ai propri dipendenti negli Usa di organizzarsi in sindacato, così come Henry Ford – ammiratore di Mussolini e Hitler – famoso per la sua politica antisindacale esercitata nelle sue fabbriche. Ammesso la crescente influenza di Musk su Trump non faccia saltare il banco, alcuni collaboratori del neoeletto presidente potrebbero preoccupare come certi personaggi di Shirley. Proviamo a conoscerne meglio alcuni. Iniziamo da Pete Hegset, il signore coi tatuaggi di estrema destra. Come Crandall, anche Pete Hegseth – l’uomo scelto da Trump come futuro capo del Pentagono, un Dipartimento che governa un milione e 300 mila soldati, e 750 mila civili – è un personaggio televisivo e, come Crandall, non ama la diversità etnica: “dagli schermi di Fox, Hegseth si è scagliato in tante occasioni contro gli ideologhi che avrebbero distrutto l’esercito a colpi di programmi che incentivano la diversità etnica, razziale, di genere tra i militari. Hegseth è contrario all’accesso tra i militari delle persone transgender e alla partecipazione delle donne a operazioni di combattimento (deciso durante l’amministrazione Obama)”. Soprattutto il tema delle donne nell’esercito è sembrato appassionarlo – ovviamente in negativo. “Le donne non dovrebbero far parte dei corpi di combattimento”, ha spiegato Hegseth, “sono coloro che danno la vita. Non coloro che la tolgono. Conosco un sacco di fantastiche donne soldato. Solo che non dovrebbero stare nel mio battaglione di fanteria. Complicano tutto. E complicare le cose in una situazione di combattimento significa perdite sicure”. Proseguiamo con il fervente antiabortista Matt Gaetz. Nonostante Trump sappia che questo suo fedelissimo, assediato dagli scandali sessuali e dalle notizie che circolano relative all’abuso di droghe, non abbia molte chance di ottenere il via libera dal Senato, ha deciso di proporlo come futuro capo del dipartimento di Giustizia; ossia, lo stesso dipartimento che ha incriminato Gaetz per traffico sessuale con minorenni: “È in particolare la nomina di Gaetz, sotto inchiesta alla Camera per questioni etiche dopo che il dipartimento di Giustizia (che ora dovrà guidare) l’ha indagato senza incriminarlo per traffico sessuale con minorenni, che sta creando il maggiore shock ed oltraggio al Congresso, anche tra i senatori repubblicani che dovranno confermarlo. I repubblicani avranno una maggioranza tra i 52 e i 53 seggi, quindi anche un piccolo gruppo di oppositori potrebbe creare dei problemi alla conferma del deputato. Gaetz, 42 anni, è stato indagato dai procuratori federali per accuse di sfruttamento sessuale di una 17enne. L’inchiesta federale si è chiusa senza incriminazioni, ma ora è la commissione Etica della Camera ad indagare sulle accuse di natura sessuale e uso illecito di droga. Al centro delle accuse i viaggi che Gaetz avrebbe fatto alle Bahamas con escort pagate per viaggiare con lui, cosa che viola la legge federale, tra le quali anche una minorenne. Accuse sempre negate dal repubblicano che in questi anni si è imposto come una figura divisiva anche all’interno del partito repubblicano, soprattutto per essere stato alla guida del gruppo di trumpiani di estrema destra che fecero cadere lo Speaker Kevin McCarthy e precipitare la Camera nel caos”. Quindi, nell’ottobre del 2023 Matt Gaetz “è stato alla guida del gruppo di trumpiani di estrema destra che fecero cadere lo speaker Kevin McCarthy e precipitare la Camera nel caos”: qualcosa di inedito per la politica americana – è stata la prima volta nella storia degli Stati Uniti che la Camera dei Rappresentanti ha rimosso dall’incarico il suo presidente. Pete Hegseth e Matt Gaetz – personaggi di destra con discreta idiosincrasia verso il mondo femminile – Elon Musk e Donald Trump… sarà mica per questo che, dopo soli tre giorni dall’elezione del nuovo presidente degli Stati Uniti, sono tantissimi i lettori americani che hanno acquistato romanzi distopici? In una sola settimana, Il racconto dell’ancella ha scalato quattrocento posizioni nella US Amazon Best Sellers chart di Amazon, arrivando a essere il terzo libro più venduto sulla piattaforma – al sedicesimo, invece, 1984 di George Orwell. Nel romanzo di Atwood è descritto un mondo devastato dalle radiazioni atomiche, dove gli Stati Uniti sono diventati uno stato totalitario, basato sul controllo del corpo femminile; la voce narrante è quella di una ragazza che, prima del cambiamento, conduceva una vita normale – lavorava in una redazione, conviveva col suo compagno e, insieme, crescevano una figlia – e che, dopo, viene allontanata dalla famiglia e costretta a diventare un’ancella, perdendo così anche il diritto ad avere un nome: “Era così che si viveva allora? Vivevamo di abitudini. Come tutti, la più parte del tempo. Qualsiasi cosa accade rientra sempre nelle abitudini. Anche questo, ora, è un vivere di abitudini. Vivevamo, come al solito, ignorando. Ignorare non è come non sapere, ti ci devi mettere di buona volontà. Nulla muta istantaneamente: in una vasca da bagno che si riscaldi gradatamente moriresti bollito senza nemmeno accorgertene. C’erano notizie sui giornali, certi giornali, cadaveri dentro rogge o nei boschi, percossi a morte o mutilati, manomessi, così si diceva, ma si trattava di altre donne, e gli uomini che commettevano simili cose erano altri uomini. Non erano gli uomini che conoscevamo. Le storie dei giornali erano come sogni per noi, brutti sogni sognati da altri. Che cose orribili, dicevamo, e lo erano, ma erano orribili senza essere credibili. Erano troppo melodrammatiche, avevano una dimensione che non era la dimensione della nostra vita. Noi eravamo la gente di cui non si parlava sui giornali. Vivevamo nei vuoti spazi bianchi ai margini dei fogli e questo ci dava più libertà. Vivevamo negli interstizi tra le storie altrui”. Credo sia molto importante essere consapevoli del fatto che “nulla muta istantaneamente” e che, appunto, in una vasca da bagno che si riscalda gradatamente si morirebbe bolliti senza nemmeno accorgercene; forse questo aumento delle vendite è dovuto all’aver percepito sulla propria pelle, l’alzarsi della temperatura dell’acqua – o del brodo? – in cui gli statunitensi, e non solo loro, sono immersi. A proposito di donne e della prossima amministrazione, Trump ha deciso di assegnare la guida del dipartimento dell’Istruzione a Linda McMahon, ex Ceo della famosa compagnia di wrestling World Wrestling Entertainment (Wwe), scatenando le critiche dell’Associazione nazionale dell’istruzione, secondo cui The Donald “mostra di non essere interessato al futuro degli studenti” visto che, a parer loro, la McMahon non è qualificata “e il suo unico obiettivo è eliminare il dipartimento e togliere risorse alle scuole pubbliche”. Togliere risorse alle scuole pubbliche; ossia, penalizzare gli strati sociali più bassi: sempre gli stessi ci finiscono in mezzo, i più bisognosi. Anche in Eclipse non va granché bene agl’indigenti: la Colonia che avrebbe dovuto essere in grado di fornire lavoro e alloggio alle persone degli strati sociali più bassi, e quindi doveva essere qualcosa di estremamente positivo e umanitario, si rivela essere un fallimento: “una volta quassù [i più bisognosi] si sono ritrovati a vivere in dormitori sovraffollati e dall’aria malsana; una casa ben peggiore di quella che si erano lasciati dietro”. In Eclipse non va granché bene neppure agl’immigrati. Durante il Congresso Europeo della Nuova Destra, “con la stessa freddezza di un cuoco intento a commentare una ricetta”, il leader del Front Nationale francese dice: “…l’inevitabilità del conflitto fra culture le cui radici storiche affondano in terreni fondamentalmente diversi, come quelle europee e mediorientali, non può venire ignorata. Le buone intenzioni di coloro i quali cercano di riconciliare i fondamentalisti islamici con gli Europei non può che far aumentare l’attrito delle divergenze sociali. Perché in realtà le divergenze sociali sono inevitabili. Gli immigrati provenienti da mondi estranei al nostro hanno inquinato le nostre acque culturali. È da sciocchi ritenere che si possa mai arrivare a convivere armoniosamente nello stesso paese. È ingenuo e poco realistico. E questa ingenuità costa tempo, denaro e… sì, anche vite umane. Bisogna affrontare la realtà: alcune razze non potranno mai andare d’accordo con altre! La risposta è semplice: espulsione. Non dipende da noi se saremo costretti a usare la violenza per mettere in pratica questa che è l’unica soluzione al problema dell’immigrazione. Vitalità culturale e purezza razziale sono sinonimi…”. Un po’ come scriveva Michel Houellebecq in Sottomissione: “Bisognava arrendersi all’evidenza: giunta a un livello di decomposizione ripugnante, l’Europa occidentale non era più in grado di salvare se stessa […]. Il massiccio arrivo di popolazioni immigrate fedeli a una cultura tradizionale ancora modellata sulle gerarchie naturali, sulla sottomissione della donna e sul rispetto dovuto agli anziani, costituiva un’occasione storica per il riarmo morale e familiare dell’Europa, creava la possibilità di una nuova età dell’oro per il Vecchio Continente. Quelle popolazioni erano in certi casi cristiane; ma più spesso, bisognava riconoscerlo, erano musulmane”. Il problema dell’immigrazione: cos’ha idea di fare Trump, per risolverlo? Annuncia il ritorno dell’intransigente Tom Homan alla guida dell’Agenzia responsabile per il controllo delle frontiere e dell’immigrazione, l’Immigration and Customs Enforcement (Ice) degli Stati Uniti: “Conosco Tom da molto tempo e non c’è nessuno più bravo di lui nel sorvegliare e controllare i nostri confini, [sarà responsabile di] tutte le deportazioni di immigrati clandestini nel loro Paese di origine”. In pratica, il tycoon dà un volto alla promessa fatta, quella di attuare la più grande operazione di deportazione di immigrati clandestini nella storia degli Stati Uniti. Personalmente, son rimasto impressionato da quanto dichiarato da Homan durante un’intervista rilasciata a Fox News, in cui afferma che i militari non rastrelleranno e arresteranno illegalmente gli immigrati nel paese e che l’Ice si muoverà per attuare i piani di Trump in maniera umana: “Quando andremo là fuori, sapremo chi stiamo cercando. Molto probabilmente sappiamo dove saranno e tutto sarà fatto in modo umano”. Sbaglierò, ma questo attuare una deportazione in modo umano mi ha ricordato lo scopo umanitario che, in Eclipse, ha portato gli strati sociali più bassi a essere “deportati” sulla Colonia; tra l’altro, temo di sapere dove, “molto probabilmente”, Homan e l’Ice troveranno chi stanno cercando: in dormitori sovraffollati e dall’aria malsana. L’immagine dei dormitori fa tornare a Il racconto dell’ancella, il romanzo distopico già citato, dove le Zie sono le guardiane del rigore morale delle donne e le ancelle – uniche femmine ancora in grado di procreare dopo la catastrofe – vivono così: “Si dormiva in quella che un tempo era la palestra. […] Avevamo lenzuola di flanella leggera, come i bambini, e vecchie coperte di quelle in dotazione all’esercito, ancora con la scritta U.S. Ripiegavamo i nostri abiti per bene e li riponevamo sugli sgabelli ai piedi del letto. Le luci venivano abbassate ma non spente. Zia Sara e Zia Elisabetta vigilavano, camminando avanti e indietro; avevano dei pungoli elettrici di quelli che si usano per il bestiame agganciati a delle cinghie che pendevano dalle loro cinture di cuoio. Niente pistole, però, neanche a loro venivano affidate le pistole. Le pistole erano per le guardie, scelte a questo scopo tra gli Angeli. Alle guardie non era permesso entrare nella casa se non vi erano chiamate, e a noi non era permesso uscirne, tranne che per le nostre passeggiate, due volte al giorno, due per due, attorno al campo di calcio che adesso era cintato da una rete metallica bordata di filo spinato. Gli Angeli stavano dall’altra parte, voltati di schiena verso di noi. Erano oggetto di paura per noi, ma anche di qualcos’altro. Se solo ci avessero guardato. Se solo avessimo potuto parlare con loro. Si sarebbe potuto stabilire uno scambio, pensavamo, un accordo, un baratto. Avevamo ancora il nostro corpo. Erano queste le nostre fantasie. Avevamo imparato a sussurrare quasi impercettibilmente. Nella semioscurità potevamo allungare le braccia, quando le Zie non guardavano, e toccarci le mani attraverso lo spazio tra un letto e l’altro. Leggevamo il movimento delle labbra, con le teste posate sul cuscino, girate di lato, osservando l’una la bocca dell’altra. In questo modo ci eravamo scambiate i nostri nomi, di letto in letto: Alma. Janine. Dolores. Moira. June”. Prima di perdermi, e magari non ritrovarmi più, in questo ginepraio dove spesso confondo quale sia la realtà e quale la finzione distopica, soprattutto, dove spesso mi sembra che la finzione distopica sia più accettabile di tante realtà, chiudo con l’ennesimo spaventoso intreccio tra quello che ci sta intorno e l’opera di Shirley. Ricordate la Seconda Alleanza descritta in Eclipse, la forza di polizia internazionale privata che diventa presto un gruppo armato antiterroristico? Bene. Pete Hegseth, la personalità Tv di estrema destra scelta da Trump quale futuro capo del Pentagono, non s’è battuto soltanto contro inchieste su militari Usa accusati di gravi crimini di guerra in Irak, ha preso le parti anche di squadre paramilitari private che avevano in appalto mansioni di sicurezza, come fece nel 2017, quando definì il massacro di diciassette civili inermi e innocenti in una piazza di Baghdad da parte di guardie dell’allora società Blackwater, come “un altro giorno di lavoro in Irak”. > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp
December 27, 2024 / Osservatorio Repressione