Sappiamo ancora ascoltare il cantico dei drogati?

Osservatorio Repressione - Monday, April 14, 2025

Ho licenziato Dio gettato via un amore per costruirmi il vuoto nell’anima e nel cuore, le parole che dico non han più forma né accento si trasformano i suoni in un sordo lamento. Chi mi riparlerà di domani luminosi dove i muti canteranno e taceranno i noiosi? Come potrò dire a mia madre che ho paura? (F. De André)

di Marco Sommariva*

Non posso dire sia vero che tutti coloro che iniziano a fumar le canne finiranno certamente col bucarsi: ho amici miei coetanei che da oltre quarant’anni le fumano e mai è venuto loro in mente di prendere in mano una siringa – c’è chi le fuma insieme al padre ultraottantenne; chi, invece, le fuma in giardino col figlio quasi trentenne, lo stesso che le rulla.

È vero, però, che chi si avvicina alle droghe potrebbe fare una brutta fine; questo, già lo scriveva Jim Carroll in Jim entra nel campo di basket, pubblicato nel 1978 ma scritto nel ’62 quando l’autore, tredicenne, annotava sul suo diario quello che stava vivendo: “Poi ci siamo noialtri ragazzi di strada che cominciamo a cazzeggiare da molto giovani, sui tredici, e crediamo di poter tenere la testa sopra l’acqua e di non prendere l’abitudine. Funziona raramente. Ne sono la riprova io. Così dopo due o tre anni di controllo, finisco nell’ultimo atto: con la scimmia e niente altro da fare che passare tutta la giornata a caccia di droga. In qualunque maniera, va bene tutto, ragazzi. Non ci sono Coste Azzurre e non ci sono mamme ricche da cui correre. Sai quando ci sei dentro definitivamente perché è la volta che svegliandoti la mattina te lo dici chiaro e tondo, senza mezzi termini: Oggi o mi trovo la mia dose o finisco a farmi spaccare il culo ai Tombs, non ci sono cazzi”.

Il fare marchette è una costante di chi ha intrapreso la strada della “brutta fine”: quarant’anni fa, alcuni miei commilitoni se lo andavano a far succhiare in stazione, a Udine, da uomini che potevano essere i loro nonni ma viaggiavano col BMW e tenevano chiuse le maniche delle camicie con gemelli d’oro, non coi bottoni; vent’anni fa, un’amica che s’è fatta per vent’anni di eroina, s’è concessa per un pugno di spiccioli a non sa neanche lei quante persone pur di tirare su la dose quotidiana, anzi, le dosi quotidiane; oggi la figlia di un’amica dorme per terra, sui cartoni, nel Centro Storico di Genova e, oltre a un paio di stupri subiti come “incerti del mestiere”, si fa “spaccare” per cifre che valgono giusto il prezzo di una colazione.

Ma così è, non c’è nulla da fare; scrive in Peggio di un bastardo. L’autobiografia, Charles Mingus: “hai voglia di farti, e stai male, e non c’è nessuno che ti aiuta, e giri come un morto vivente senza quella roba nel braccio che ti alleggerisce il fardello. E ogni volta è sempre più dura e non hai più la forza di volontà e allora ti fai di nuovo. Sei incazzato con te stesso, ti odi perché non ce la fai – vuoi farcela senza la droga ma ti fai da così tanto tempo che hai già un piede nella tomba. Quando ti buchi dimentichi per un po’ ma il tempo dell’oblio si accorcia sempre più e alla fine arrivi a cento milligrammi ogni quattr’ore”.

Come per tutti i Mercati, anche quello della droga si muove, cresce e offre in funzione del consumo, della richiesta; per questo, sono almeno vent’anni che spacciano droga insospettabili commesse di panifici o pizzerie al taglio che, mentre sorridono alle mamme che si portano via due pezzi di una Quattro stagioni, riforniscono i figli di cocaina: “Ho sempre pensato che i narcotici dovrebbero essere legalizzati per evitare tutti i problemi dello spaccio” – questo lo scrive Miles Davis nella sua Miles. L’autobiografia.

Lo stesso libro ci ricorda come la differenza di classe – ergo, disponibilità economica – pesi anche in questo ambiente; forse dovrei scrivere, soprattutto in questo ambiente: “Per la maggior parte di questi quattro o cinque anni in cui sono stato fuori dalla musica, mi sono fatto un casino di cocaina (più o meno cinquecento dollari al giorno a un certo punto) e mi sono scopato tutte le donne che riuscivo a portarmi a casa. Ero anche dipendente da tutta una serie di pillole tipo il Percodan e il Seconal, e bevevo parecchio, Heineken e cognac. Più che altro tiravo coca, ma qualche volta mi iniettavo un mix di coca ed eroina nelle gambe. Si chiama speedball ed è stato quello che ha ammazzato John Belushi. Non uscivo molto spesso e quando lo facevo era per andare in quei locali di Harlem aperti fino a tarda notte dove mi drogavo e vivevo alla giornata”.

Per chi ha praticato e ora sta pensando “Non diciamo sciocchezze, ho pippato non so quante volte e son sempre stato benissimo”, riporto un altro estratto dell’autobiografia di Miles Davis: “Cazzo, certe volte dopo aver sniffato e aver mandato giù sette o otto Tuinal davo fuori di matto; pensavo di sentire delle voci e cominciavo a guardare sotto i tappeti, nei termosifoni, sotto i divani. Ero sicuro che ci fosse gente in casa”.

Perché è questo quello che, spesso, succede: l’uso della cocaina quasi mai è l’ultima casella di questo tragico osceno gioco: spesso sfocia in miscele con barbiturati – Tuinal, appunto –, alcolici o altro; sempre più spesso la si scalda insieme a del bicarbonato di sodio per ottenere quel crack che, letteralmente, brucia il cervello e può ridurre una persona a una semi-larva nell’arco di un paio d’anni.

E nonostante le promesse di ogni tossico, tipo quelle riportate nel romanzo In un milione di piccoli pezzi di James Frey – “Non credo in Dio né in alcuna forma di Potere Superiore. Non intendo cedere la mia vita e la mia volontà a niente e a nessuno, e tanto meno a qualcosa in cui non credo. […] Intendo vivere la mia vita. Intendo prendere le cose come vengono e affronterò quello che mi sta davanti nel momento in cui mi sta davanti. Quando l’alcol o la droga o tutt’e due mi staranno davanti, prenderò la decisione di non usarli. Non intendo vivere nel terrore dell’alcol e della droga, non intendo passare il mio tempo seduto a parlare con gente che vive nel terrore delle sostanze. Non intendo essere dipendente da altro che da me stesso” – dicevo… nonostante le promesse di ogni tossico, si finisce invece per trarre conclusioni come quella scritta in La scimmia sulla schiena di William Burroughs: “Sapevo di non voler continuare a prendere droga. Se mi fosse stato possibile prendere una risoluzione definitiva, avrei deciso; non più droga, mai e poi mai; ma quando si arrivava al processo della desensibilizzazione, mi mancava la forza. Mi sentivo pervadere da una sensazione terribile di impotenza vedendo me stesso violare tutti i programmi che avevo studiato, come se non fossi assolutamente capace di dominare le mie azioni”.

Credo molti di voi saranno d’accordo con me e con Chuck Palahniuk che in Soffocare scrive: “Le droghe, la bulimia, l’alcol, il sesso sono solo strumenti per trovare un po’ di pace. Per sfuggire a ciò che conosciamo. A quello che ci insegnano”.

Sfuggire a quello che ci insegnano: Malcolm Braly – mentre è costretto in galera, un posto da cui vogliono scappare anche i secondini – scrive in Ora d’aria: “Quando la cuccetta fu sistemata […] saltò di nuovo al suo posto e riprese il libro. Questa è la mia droga, disse, vivo le vite degli altri”.

Ecco una cosa che ci insegnano, il non leggere; così da non venire a conoscenza delle vite degli altri, in modo che nessuno impari dagli errori altrui e possa vivere diversamente la propria esistenza, con meno dubbi, ansie, magari fino a godere della propria vita. Ci insegnano a non leggere, per esempio, massacrando gli studenti con noiosissime lezioni di letteratura svolte giusto perché il programma le prevede, alla svelta perché gli insegnanti hanno sempre più tempo assorbito dalla burocrazia dell’Istituto, perché… ma cosa ve lo dico a fare? Chiedete ai vostri figli, ai vostri nipoti che ancora frequentano le aule scolastiche.

Sul rapporto tra cultura, libri e droga, cinquant’anni fa aveva detto qualcosa senz’altro meglio di me, anche Pier Paolo Pasolini: “Se vado a Piazza Navona e incontro un drogato che passa ciondolando con aria noiosa e vagamente sinistra, sento in lui i caratteri dell’infelicità e del rifiuto piccolo-borghese: e maledico la misteriosa circostanza che ha costretto, lui singolo, a fumare dell’hascisc invece di leggere un libro”, e ancora: “La droga è sempre un surrogato. E precisamente un surrogato della cultura. […] La droga viene a riempire un vuoto causato appunto dal desiderio di morte e che è dunque un vuoto di cultura”.

Leggere, conoscere, aiuta a sapere dove siamo, a essere padroni di parole e opere, aiuta a capire come va il mondo a non esserne vittima: “Ho capito che per essere liberi dobbiamo sapere dove siamo. Chi è smarrito, chi non ha il senso della realtà, chi ignora come va il mondo non è libero. Non si può essere liberi che con cognizione di causa. Essere liberi non è perdersi e lasciarsi andare senza avere la minima idea di una direzione. È per questo, del resto, che ho sempre provato un’istintiva diffidenza verso qualsiasi tipo di droga. Non capisco il desiderio di alcuni di ubriacarsi, di essere sbronzi. Per essere liberi bisogna essere padroni dei propri atti e non vittime di cause incontrollabili. Bisogna essere realisti, radicati nella realtà, e insieme sognatori, per non rimanere vittime involontarie del mondo reale”. – da Bisogno di libertà di Bjorn Larsson.

Bisogna, però, fare molta attenzione a quali droghe si sta facendo riferimento; Kurt Vonnegut, per esempio, in Un uomo senza patria ci parla di crisi di astinenza per una sostanza che nessuno oserebbe definire stupefacente: “Vi posso dire la verità? In fondo non siamo al telegiornale, no? E allora ecco qual è la verità, secondo me: noi siamo tutti drogati di combustibili fossili, ma ci rifiutiamo di ammetterlo. E come tanti tossici che stanno per entrare in crisi di astinenza, i capi dei nostri governi stanno commettendo crimini atroci pur di ottenere quel poco che rimane della sostanza da cui siamo dipendenti”.

Altra droga troppo spesso sottovalutata, ci viene additata nell’imperdibile libretto – solo per le dimensioni, sia chiaro – L’anarchia spiegata a mia figlia di Pippo Gurrieri: “La religione è una droga perché addormenta le coscienze, alimenta gerarchie divine e terrene, mantiene gli esseri umani nella soggezione e nella superstizione, quindi nell’ignoranza e nella subalternità”.

Anche Voltaire, in Pot-pourri, ha qualcosa da dire riguardo l’argomento: “Vorreste che adottassi un Essere eterno, infinito e immutabile, a cui sia piaciuto, in non so quale tempo, creare dal nulla cose che cambiano in continuazione, e fare dei ragni per sventrare delle mosche? Vorreste che dicessi […] che Dio ci ha dato orecchie per avere fede, perché la fede viene per udito dire? No, no, non crederò affatto a ciarlatani che hanno venduto a caro prezzo le loro droghe a degli imbecilli; […] nulla esiste né può esistere, eccetto la natura; […] in una parola, non credo che alla natura”.

Sulla droga s’è scritto un po’ di tutto. Da Burroughs, sempre ne La scimmia sulla schiena, che sconsiglia la guida di un’auto se si è fumato marijuana – “Una cosa ancora a proposito della marijuana. Chi si trova sotto l’influenza dell’“erba” non è assolutamente in grado di guidare l’automobile. La marijuana altera il senso del tempo e di conseguenza il senso dei rapporti spaziali. Una volta, a Nuova Orleans, dovetti fermarmi al margine della strada e aspettare che l’effetto della droga fosse passato; non riuscivo a stabilire la distanza di alcun oggetto né a capire quale fosse il momento giusto per frenare agli incroci” – a Bukowski che, in Storie di ordinaria follia, si pone una domanda che potrebbe anche far sorridere: “Tutti abbiamo udito la donnetta che dice: “oh, è terribile quel che fanno questi giovani a se stessi, secondo me la droga è una cosa tremenda.” poi tu la guardi, la donna che parla in questo modo: è senza occhi, senza denti, senza cervello, senz’anima, senza culo, né bocca, né calore umano, né spirito, niente, solo un bastone, e ti chiedi come avran fatto a ridurla in quello stato i tè con i pasticcini e la chiesa”.

Non solo s’è scritto un po’ di tutto, sulla droga s’è anche detto un po’ di tutto. E riguardo l’uso della cocaina che, per quanto riguarda la mia esperienza personale, quasi mai è l’ultima casella di questo tragico osceno gioco e spesso si finisce per consumarla insieme a barbiturati, alcolici o altro, vi scrivo cosa mi ha raccontato un famoso psichiatra che aveva seguito un fatto di cronaca che, anni fa, fece molto scalpore, di cui se ne occupò a lungo l’informazione mainstream.

Molto brevemente. L’episodio vede due persone organizzare un festino a base di cocaina e alcol e convincere una terza a partecipare, la stessa che verrà ritrovata morta il giorno dopo – “massacrata a coltellate e a colpi di martello” –, all’interno dell’appartamento dove i tre s’erano riuniti. Lo psichiatra mi ha raccontato che chi ha preso la vittima a martellate, ha confessato d’essersi ritrovato a un certo punto in un cartone animato, trasformato lui stesso in un personaggio tipo Paperino o Braccio di Ferro, e d’aver sferrato colpi contro qualcuno che poteva essere Paperon de’ Paperoni o Bluto, d’essere finito come in una dimensione parallela dove a ogni martellata corrispondeva un bernoccolo che usciva dall’avversario con la stessa velocità con cui rientrava, per poi svegliarsi la mattina dopo nella consueta dimensione, col martello insanguinato in mano e un cadavere accanto.

Non sono mai riuscito a capire quand’è che si smette di ridere davanti ai cartoni animati e quand’è che s’inizia a ridursi in condizioni tali da non essere più in grado di dire alla propria madre che si ha paura, da non essere più in grado addirittura di proferir parola, sia perché questa ha perso forma e accento nelle nebbie della droga, sia perché sono troppe le orecchie impreparate ad ascoltarla; soprattutto, non sono mai riuscito a capire cosa succede esattamente fra un “quand’è” e l’altro.

Eppure, sono certo la risposta sia nel cantico di ogni drogato: dovrò ascoltarlo meglio.

*scrittore sul sito  www.marcosommariva.com tutte le sue pubblicazioni

 

 

Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi sostenerci donando il tuo 5×1000 

News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp