
Antigone in Grecia. Dalla pandemia di Covid-19 fino a Tempe
il Rovescio - Saturday, April 19, 2025Cosa c’entra l’incidente ferroviario di Tempe (Larissa, Tessaglia, 28 febbraio 2023), un’orribile strage di Stato cui è seguita un’intensa mobilitazione da parte della popolazione greca, e la gestione autoritaria, militarista e criminale del Covid-19? Ce lo spiegano due antropologi greci, opportunamente introdotti dalla nostra amica antropologa Stefania Consigliere.
Antigone in Grecia: dalla pandemia di Covid-19 sino a Tempe, la verità sepolta dal silenzio di Stato
Eri Samikou e Lázaros Tentomas
Gli anni post-pandemici hanno reso evidente la disturbante continuità nelle strategie politiche: dalla comunicazione propagandistica alle priorità economiche, dalla militarizzazione di ogni piega della vita all’uso sfacciato della necropolitica, dalla criminalizzazione del dissenso alla manomissione del bene pubblico. A livello alto, una linea ininterrotta collega Covid-19, Ucraina e Gaza; a livello medio, essa unisce le politiche vaccinali del blocco atlantico, la corsa al riarmo dell’UE e la soppressione delle ricerche accademiche su disuguaglianza, razzismo e violenza strutturale; ma anche a livello spicciolo, su quella stessa linea inciampiamo ogni volta che sentiamo erosi i margini della vita quotidiana, dei legami di affetto e di senso, dell’autonomia individuale e collettiva. È qui che dobbiamo allenarci per tornare a sentire che niente può giustificare l’abbandono del minimo sindacale che ci rende umani: la cura dei nuovi nati, la cura delle ecologie collettive, il saluto ai morti. In questo articolo, apparso sui siti greci Kosmodromio e Edromos, due antropolog* dell’università di Atene mettono a confronto le politiche pubbliche e sanitarie in risposta a un tragico incidente ferroviario con quelle che, pochissimi anni prima, hanno deciso della vita dell’intera nazione (Stefania Consigliere)
Il 28 febbraio 2023 la Grecia ha vissuto uno dei disastri ferroviari più gravi della sua storia, quando un treno passeggeri si è scontrato frontalmente con un treno merci vicino a Tempe, nella Grecia centrale. La collisione si è verificata poco prima di mezzanotte, sulla tratta Atene-Salonicco e ha causato un grave deragliamento e un enorme incendio che ha avvolto diverse carrozze, portando alla morte orribile di decine di passeggeri.
Le carrozze anteriori sulle quali viaggiavano soprattutto giovani, compresi studenti universitari di ritorno dalle vacanze, hanno subito l’impatto più violento. Ufficialmente, almeno 57 persone sono state registrate come decedute, ma numerosi indizi lasciano supporre che il numero delle vittime sia maggiore. Le indagini hanno rivelato che non si tratta solo del risultato di un errore umano, ma di un crimine di Stato, poiché il Governo e le autorità competenti erano consapevoli delle importanti carenze in materia di sicurezza all’interno del sistema ferroviario greco. Le strutture della rete erano obsolete, e i controlli automatizzati inadeguati, nonostante le ripetute segnalazioni da parte dei ferrovieri. Dopo la tragedia, ci sono state accuse di insabbiamento, poiché dai rapporti è emerso come il sito dell’incidente sia stato rapidamente sepolto dai detriti (probabilmente in presenza di alcuni resti umani ancora sul posto) nel tentativo di eliminare le prove. I sopravvissuti e i familiari delle vittime hanno accusato le autorità di un’assenza di trasparenza nelle procedure di identificazione dei cadaveri, lasciando molte questioni irrisolte.
Nel gennaio 2025, in una dichiarazione ai media, l’avvocato di Maria Karystianou – la presidente dell’Associazione delle Famiglie delle Vittime e dei Sopravvissuti nell’incidente di Tempe, che perse sua figlia nella catastrofe – ha denunciato la mancanza di risposte, da sei mesi, in merito alla «illegittima mancanza di alcuni rapporti medico-legali, al rifiuto di prelevare campioni biologici inclusi i test tossicologici, e alla redazione di rapporti medico-legali quasi identici tra loro che individuano un’unica causa di morte».
Nel dicembre 2024, il giudice istruttore aveva già respinto la richiesta di Panagiotis Aslanidis, il padre di una vittima, che chiedeva l’esumazione del corpo di suo figlio per un’analisi del DNA e la conduzione di esami biochimici a conferma della sua identità.
I corpi delle vittime rimangono al centro delle domande di verità e giustizia. Tuttavia, una rete governativa, mediatica e medico-legale sembra agire orchestrando sistematicamente l’occultamento delle prove.
In un’intervista recente a Libération, Maria Karystianou ha espresso la profonda sfiducia nel sistema giudiziario greco da parte delle famiglie delle vittime: «Non abbiamo più fiducia nella giustizia del nostro Paese». Maria Karystianou ha denunciato la mancanza di trasparenza e l’omissione di prove cruciali, come registrazioni audio e documenti digitali, che avrebbero dovuto essere inclusi nel fascicolo giudiziario. Due anni dopo il disastro, non è stata fornita alcuna risposta alle famiglie in cerca di verità.
Con i sopravvissuti gravemente feriti e le vittime ancora non identificate – come Erietta Molcho, che risulta ufficialmente scomparsa senza che nessun corpo sia stato ritrovato – la tragedia di Tempe rivela la portata dell’occultamento della verità. Questa situazione illustra le connessioni tra la gestione politica delle crisi e il paternalismo medico-legale: ciò che è stato ereditato dalla narrazione pandemica elaborata durante l’epidemia da Covid-19, la quale ha imposto una verità unica con il pretesto della “protezione” e del “bene comune”.
Rievocando quanto accaduto in quel periodo Martha, una donna che ha perso sua madre durante la pandemia, racconta: «Era un caso grave. Non sarebbe comunque sopravvissuta a causa di un ictus. Ma hanno scritto “Covid-19” – prima “ictus”, poi “Covid-19” – sul certificato di morte. Quindi è stato applicato il protocollo Covid-19. Le pompe funebri mi hanno spiegato che ciò implicava una sacca mortuaria, un doppio involucro, del cellophane e una tuta speciale per coloro che maneggiavano il corpo, con un costo aggiuntivo di 400 euro. Il cimitero, anziché una concessione triennale, ne ha richiesta una settennale. Queste spese erano supplementari. In totale, ho pagato 400 euro in più e quattro anni aggiuntivi di concessione per la tomba. Non ho mai visto mia madre. Da quando l’hanno portata in ospedale, non l’ho mai più vista. Non ci hanno neanche concesso il tempo di un breve elogio funebre. Una sepoltura veloce, questo è tutto. Non sono ancora riuscita a elaborare il lutto».
Anche Aphrodite, un’infermiera di terapia intensiva durante la pandemia di Covid-19, ha raccontato: «Con la mia esperienza professionale, ho capito velocemente che cosa stava accadendo. Ciò che chiamavano “pandemia” non riusciva a convincermi. Stavano classificando come morti per Covid pazienti con gravi patologie preesistenti. Per esempio, pazienti con tumori in fase terminale nei reparti di terapia intensiva Covid, sono stati dichiarati morti di Covid-19. Non era vero. Ho le competenze per capire di che cosa morivano realmente questi pazienti. Molti sono morti a causa di infezioni ospedaliere che provocavano un’insufficienza multiorgano, ma venivano sistematicamente registrati come decessi per Covid-19».
L’ombra della gestione dei morti durante la pandemia di Covid 19 aleggia ancora sulla tragedia di Tempe. Durante la crisi di Covid-19, qualsiasi contestazione dei protocolli medici e delle restrizioni sanitarie veniva sistematicamente etichettata come “complottista”. La stessa dinamica sembra essere oggi applicata a Tempe: le bare sigillate, l’impossibilità di condurre autopsie e le procedure di identificazione dei cadaveri basate esclusivamente sul DNA, impediscono qualsiasi contestazione ufficiale sulle cause dei decessi.
Questa continuità solleva numerosi interrogativi. Nel nostro libro Did We Take Our Lives Back? An Anthropological Study of the (Post)Pandemic Discourse in Greece (Alistou Mnimis Editions, 2023), abbiamo analizzato come la gestione dei decessi legati al Covid-19 abbia instaurato una logica autoritaria di classificazione delle morti. Fino alla fine del 2023, il protocollo funebre in Grecia vietava l’apertura delle bare, impedendo così le autopsie e qualsiasi indagine sulle cause dei decessi.
Pochi giorni dopo il disastro di Tempe, il Ministero della Salute greco ha applicato la stessa logica ai corpi delle vittime, imponendo bare sigillate e un’identificazione da condursi esclusivamente tramite il test del DNA; ha giustificato questa decisione con la volontà di proteggere le famiglie da ulteriori forme di sofferenza. Questa misura ha impedito qualsiasi riesame indipendente sulle cause delle morti.
In Antigone, Sofocle illustra l’importanza della sepoltura come diritto inalienabile, un atto di rispetto verso i morti e una sfida all’arbitrarietà del potere. Dalla pandemia sino al disastro di Tempe, il modello rimane lo stesso: uno Stato che impone bare sigillate, impedisce qualsiasi indagine indipendente e mette a tacere le famiglie in cerca di verità. Ma, come Antigone, esse rifiutano di restare in silenzio. La loro lotta per la verità è un atto di resistenza contro l’oblio e la manipolazione della storia. La dignità dei morti non può essere cancellata per decreto, né la giustizia sepolta sotto le menzogne di Stato.
Questo articolo mira a mettere in luce l’intreccio tra narrazioni ufficiali e realtà nascoste. Rifiutando di accettare le narrazioni imposte, esigendo indagini trasparenti e chiedendo giustizia, la memoria delle vittime viene onorata. È nostro dovere rifiutare l’oblio e interrogare incessantemente ciò che ci viene presentato come una verità assoluta.