Source - il Rovescio

cronache dallo stato di emergenza

Non ci affidiamo alle amnesie di Nordio! Manifesto contro il rinnovo del 41-bis ad Alfredo Cospito
Riceviamo e diffondiamo: Non ci affidiamo alle amnesie di Nordio! Torniamo in piazza contro il rinnovo del 41 bis ad Alfredo Cospito! Da maggio 2022 il compagno anarchico Alfredo Cospito è stato trasferito nel regime detentivo di 41 bis. Il carcere duro che prevede una socialità estremamente ristretta, la censura permanente sulla posta e svariati divieti per l’accesso ai libri. Colloqui previsti rigorosamente per familiari autorizzati, separati da un vetro divisorio. Un’area di passeggio volta a limitarti lo sguardo con mura alte fino al cielo e una rete come soffitto. Una pressione costante dello Stato sul detenuto, i suoi familiari, i suoi avvocati. Un messaggio unico per tutti coloro che sono costretti a orbitare intorno a questo universo: quello che succede al 41 bis non può essere comunicato. L’obbiettivo è distruggere il prigioniero, torturarlo fino al punto di spingerlo alla collaborazione. Un dogma intoccabile che non viene messo in discussione nemmeno di fronte alla morte. Un regime – visto dallo stesso diritto borghese che l’ha creato come un’eccezione a sé stesso – il cui rinnovo deve per forza essere avallato dal Ministro della cosiddetta “Grazia e Giustizia”, con decreto motivato in cui si giustifica la sua proroga. Questo iter amministrativo, suonerebbe come una buona notizia considerando che il preposto a tale dicastero è Carlo Nordio. Un uomo affetto da una sbadataggine cronica, preda di amnesie folgoranti che lo portano a rimpatriare in terra d’origine, con voli di Stato, noti torturatori come il generale libico Almasri, dimentico, improvvisamente, dei mandati d’arresto pendenti su di lui da parte di corti internazionali. Purtroppo la patologia di cui è affetto il ministro risulta oggettivamente selettiva e colpisce solo quando qualche potente ha qualcosa da perdere. Quindi, per le sorti detentive del compagno Alfredo Cospito, c’è poco da sperare nella malattia di Nordio. D’altronde Alfredo non è ricercato per reati di pluriomicidio su persone in condizione di minorata difesa (detenuti nelle carceri che il generale amministrava, reclusi principalmente per aver tentato clandestinamente la fuga dagli orrori e dalla miseria dei luoghi d’origine), non è accusato di sevizie e stupri, praticati con maggior sadismo su prigionieri accusati d’ateismo od omosessualità, finalizzati all’estorsione, non è capo di bande di miliziani al soldo di potere e denaro. Soprattutto, non è accusato di aver fatto questo e altro al servizio dell’imperialismo italiano, internando e torturando i rifugiati in nostra vece e combattendo la propria parte di guerra civile per le fazioni sponsorizzate dal nostro Paese e dall’Eni. Alfredo è, invece, un anarchico che crede, come credono gli anarchici, che un po’ di giustizia, differente da quella comunemente chiamata legge, si possa realmente portare in questo mondo dannato, affetto da logiche di predominio. Per questo ha rivendicato di aver gambizzato, in una splendida mattina di maggio del 2012, uno tra i massimi dirigenti del nucleare in Italia. Alfredo è un anarchico e come gli anarchici, come la compagna Anna Beniamino, non si fanno piegare da uno Stato che prima li accusa e poi li condanna con capi d’imputazione totalmente sproporzionati, come quello di “strage politica”, rimanendo a testa alta e, seppur sottoposti a un processo farlocco, ribadendo attraverso dichiarazioni spontanee la vera natura stragista dello Stato italiano. Alfredo, quindi, non è un leader e non ricopre ruoli apicali. Gli anarchici capi e gerarchie non ne hanno. È solo un uomo coerente in un mondo nel quale la coerenza fa paura. Per questo Alfredo non godrà delle amnesie selettive dei potenti. Per tirarlo fuori dal 41 bis serve la nostra determinazione.
Carcere
Materiali
Dalla manifestazione di Ronchi: Contro Leonardo, il sistema-guerra e i suoi servi dell’informazione
Riceviamo e diffondiamo questa presa di posizione dalla manifestazione dello scorso 13 settembre contro la Leonardo a Ronchi dei Legionari (Ud):   CONTRO LEONARDO, IL SISTEMA-GUERRA E I SUOI SERVI Non è necessario indossare l’uniforme, la tenuta anti-sommossa e il distintivo (e/o il borsello) per appartenere allo schieramento degli apparati di controllo e repressione dello Stato, è sufficiente esercitare una certa funzione “pubblica” e soprattutto esprimerne insieme la legittimità. Può bastare un tesserino di giornalista. Ma cosa fanno questi “professionisti dell’informazione che spesso operano in un clima di tensione”? Ti piantano in faccia le loro arroganti telecamere e quando cerchi di spiegare loro che non possono farlo contro la tua volontà e che no vuol dire no, si appellano alla legge che loro rispetterebbero e continuano imperterriti a mancarti di rispetto, poi quando la contestazione al loro operato diventa collettiva, allora si lamentano e invocano conseguenze penali per chi ha osato contestarli. Ecco, questi difensori della libertà di parola e della democrazia, svolgono una precisa funzione, quella di servi dello Stato. E infatti sono sempre pronti a consegnare alla Digos i loro filmatini (alla faccia della libertà di espressione e di opinione!). E infatti, anche in occasione di questa mobilitazione contro la Leonardo spa di Ronchi e in solidarietà con la Resistenza del popolo palestinese contro il genocidio portato avanti dallo Stato di Israele, mobilitazione auto-organizzata da parte di varie realtà del territorio riunite nell’Assemblea no Leonardo, senza partiti, padrini e né padroni, chi intercettano questi campioni dell’informazione? Politicanti d’assalto che si fanno largo e per avere il loro momento di visibilità “radicale” e si permettono valutazioni sulla mobilitazione confrontandola con quella del dicembre 2023, notabili riformisti, mitomani provocatori in odor di sionismo. Chiunque pur di non andare al cuore delle questioni, chiunque pur di sminuire e stigmatizzare le proteste e di mantenere e difendere lo schifo esistente. E infatti, a titolo di esempio paradigmatico, che cosa hanno fatto questi sinceri professionisti, millantatori dell’attività di informare, durante le stragi nelle carceri italiane dell’8-9 marzo 2020? Naturalmente hanno riportato solo le versioni dei carcerieri, questo sanno fare i servi del potere e questo fanno! Non possiamo non rispondere al comunicato della Rai del Friuli-Venezia Giulia perché non porre argine alla falsificazione degli avvenimenti si tradurrebbe per noi in una accettazione delle manipolazioni ai nostri danni e nel consentire al trionfo della passività sul mondo e siccome non siamo un ammasso di docili pezzi di carne inerti in attesa di essere macinati per gli spettatori, ci rivoltiamo. Riportiamo le parole del giornalista inviato di guerra Chris Hedges dal blog Invicta Palestina: “I giornalisti occidentali sono complici a pieno titolo del genocidio. Amplificano le menzogne israeliane che sanno essere menzogne, tradendo i colleghi palestinesi che vengono calunniati, presi di mira e uccisi da Israele”. Usigrai, RAI, coordinamento CdR della RAI regionale FVG, hanno manifestato solidarietà attiva nei confronti degli oltre 250 giornalisti palestinesi uccisi a Gaza da Israele? Nella tragedia di Pasolini I Turcs tal Friûl, scritta a ridosso del 1945 e ispirata alle invasioni turche del ‘500, le persone di una periferia remota e dimenticata discutono ed elaborano piani di autodifesa di fronte al pericolo imminente di un’invasione e alla prospettiva di una minaccia concreta al loro vivere quotidiano. Emergono due atteggiamenti, l’uno rinunciatario e rassegnato, l’altro combattivo e vitale, destinato a soccombere. Sono personificati nei due fratelli Colùs, Pauli e Meni, il secondo andrà a combattere e non ritornerà, come un eroe tragico, e i turchi alla fine risparmieranno misteriosamente il villaggio. Partecipare al corteo di Ronchi del 13 settembre ha fatto pensare ai turchi in duplice senso, nel primo, alla lettera, ovvero nel fatto che nei prossimi mesi dallo stabilimento Leonardo di Ronchi usciranno droni micidiali concepiti in Turchia dalla Baykar; nel secondo, più allegorico, ovvero che questo fatto non viene percepito in loco come un pericolo imminente, come una minaccia concreta alla comunità, ma si preferisce una pseudo-normalità fatta di quieto vivere. Allo stesso modo questo atteggiamento di pseudo-normalità si è riproposto anche in alcune componenti che hanno partecipato al corteo del 13 settembre, quelle “istituzionali-pacifiste”, che non perdono occasione per prendersi uno spazio di parola, sottraendolo agli altri. Quello spazio che faticosamente si è cercato di costruire, con la ricerca e l’agitazione, nei pochi mesi trascorsi da quando è scaturita, tra i collettivi e le individualità che si sono incontrati, la proposta di fare qualcosa. Allo stesso modo, cioè con fatica, gli interventi al microfono e gli slogan lanciati durante il corteo hanno voluto esprimere ai residenti lo sgomento e la paura, oltre che il merito, oltre a denunciare il fatto cioè che il tessuto industriale della zona si sta rapidamente rivolgendo verso il settore difesa e il dual-use1; ma insieme a ciò hanno voluto esprimere anche una scelta chiara, quella di reagire al fatalismo. Ci è rimasto impresso un aneddoto di un compagno, molto istruttivo. Ai tempi delle lotte antimilitariste alla base NATO di Comiso nei primi anni ‘80, il prefetto di Ragusa lo fece prelevare dalla polizia con altri compagni, si informò sulle loro intenzioni. Alla risposta che volevano entrare nella base per distruggerla, il prefetto rispose che “Se venite con la gente, potete farlo, se siete da soli, non ve lo consiglio”2. Il prezioso suggerimento, per non soccombere, è quello di prepararsi, concretamente, con il ragionamento e con l’azione. Udine 18 settembre 2025 Qualcuno che c’era 1Adriatronics cambia proprietà, salvi trecentotrenta posti di lavoro, “Il Piccolo”, 12/9/25; Difesa, fra Trieste, Pordenone e Gorizia in “distretto” del militare, “Tgr Rai Friuli Venezia Giulia”, 31/7/25. Sono solo due esempi eclatanti. 2A.M.BONANNO, Errico Malatesta e la violenza rivoluzionaria, Trieste, 2023, pp.51-52   Qui le solite parole vuote di condanna, stavolta da parte di Usigrai, RAI FVG e compagnia cantante: https://www.rainews.it/articoli/2025/09/rai-condanna-aggressione-giornalista-tgr-friuli-venezia-giulia-maurizio-mervar-036a3a1b-7173-4a2d-be52-1e4071e36313.html  
Rompere le righe
Il Metodo Gaza, appunto
Riprendiamo da Invicta Palestina, https://www.invictapalestina.org/archives/58157 Gaza Inc: dove il genocidio è testato in battaglia e pronto per il mercato GAZA È DIVENTATA LA VETRINA DI TEL AVIV PER LO STERMINIO PRIVATIZZATO, DOVE AZIENDE TECNOLOGICHE, MERCENARI E FORNITORI DI AIUTI UMANITARI COLLABORANO IN UN MODELLO SCALABILE DI GENOCIDIO INDUSTRIALE VENDUTO AGLI ALLEATI IN TUTTO IL MONDO. Fonte: English version Di Aymun Moosavi – 12 settembre 2025 Lo Stato di Occupazione Israeliano ha trasformato la sua guerra contro i palestinesi in un’Industria di Uccisioni privatizzata. Gaza è il luogo in cui aziende tecnologiche, mercenari e giganti della consulenza orchestrano sorveglianza, sfollamenti e Uccisioni di Massa a scopo di lucro. Oltre a essere una Guerra Coloniale, è anche un prototipo per l’esportazione globale di Sterminio su scala industriale, riconfezionato come innovazione in materia di sicurezza. Basato sui dati e incentrato sul profitto, questo modello, testato oggi sui palestinesi, sarà implementato altrove domani. Un numero crescente di aziende private opera ora come la mano invisibile del Genocidio. I loro servizi spaziano dall’identificazione di obiettivi per attacchi aerei all’ingegneria della Carestia e alla facilitazione degli sfollamenti di massa. Gaza è il luogo dove il genocidio incontra il capitalismo Dall’inizio degli anni 2000, le compagnie militari private si sono profondamente insinuate nell’economia bellica. Aziende come Blackwater (ora Academi) e Dyncorp International hanno segnato un cambiamento fondamentale, assumendo ruoli tradizionalmente ricoperti dalle forze armate nazionali. Inizialmente concentrate sulla sicurezza e sulla logistica in Iraq e Afghanistan, queste aziende hanno ampliato le loro operazioni, fornendo supporto operativo e agendo come attori chiave nelle zone di guerra di tutto il mondo, comprese alcune parti dell’Africa, dello Yemen e di Haiti. L’ironia è evidente: gli Emirati Arabi Uniti sono diventati un nuovo polo per queste compagnie militari private, che trovano rifugio nello Stato del Golfo, dove i mercenari ricevono privilegi speciali dalle autorità locali. Le aziende private si sono evolute da appaltatori distanti ad agenti di guerra attivi, operando impunemente. Questo ha gettato le basi per il modello attuale, in cui il personale non militare influenza i risultati politici senza limiti o regolamentazioni. Un ulteriore livello di supporto proviene dalle organizzazioni non profit private. Un recente rapporto rivela come organizzazioni statunitensi come gli Amici Americani della Giudea e della Samaria e gli Amici di Israele sfruttino il loro status di esenzione fiscale 501(c)(3) per convogliare donazioni direttamente alle operazioni militari e agli insediamenti israeliani. Questi gruppi forniscono attrezzature come droni termici, caschi, giubbotti antiproiettile e corredi di pronto soccorso a unità come la 646a Brigata Paracadutisti, anche all’interno di Gaza. Oltre alla logistica, sostengono Progetti di Insediamento, fanno pressioni per l’annessione della Cisgiordania Occupata, gestiscono campagne educative per promuovere la sovranità israeliana e supportano gli sforzi militari in Libano contro Hezbollah. L’emergere dell’Intelligenza Artificiale ha ampliato la gamma di attori di guerra accettabili, aprendo nuove e redditizie opportunità nella sorveglianza e nella raccolta di informazioni. Israele ha abbracciato questo modello, ma lo ha applicato con agghiacciante precisione. La sua Unità d’élite 8200, il cervello digitale dello Stato di Occupazione, ha fuso la sorveglianza militare con la tecnologia aziendale per creare il primo Genocidio al mondo assistito dall’Intelligenza Artificiale. Strumenti come Lavanda e Vangelo ora analizzano le comunicazioni palestinesi, utilizzando il riconoscimento dialettale e i metadati per generare automaticamente Liste di Uccisioni. Questi strumenti, focalizzati principalmente sui dialetti arabi, sono stati progettati per monitorare i palestinesi e altre popolazioni di lingua araba. Aziende come Palantir, Google, Meta e Microsoft Azure avrebbero facilitato questi progetti, contribuendo allo sviluppo di Lavanda e di altri sistemi di sorveglianza. Gli Stati del Golfo, in particolare l’Arabia Saudita, investono in aziende tecnologiche di sorveglianza globale che alimentano la Macchina del Genocidio. Con i sistemi di Intelligenza Artificiale che decidono chi vive e chi muore, il confine tra comando militare e algoritmo aziendale è praticamente svanito. L’infrastruttura stessa dell’Occupazione israeliana, dalla sorveglianza all’assassinio, è stata esternalizzata, semplificata e venduta. Dalle armi testate in battaglia all’Apartheid algoritmico L’economia israeliana si basa sul capitalismo militarizzato. I suoi 14,8 miliardi di dollari (12,6 miliardi di euro) di vendite di armi solo quest’anno sono sostenuti da una strategia commerciale tanto cinica quanto efficace: “Testati in Battaglia” sui palestinesi. Un esempio lampante è l’armamento di Smartshooter, un’azienda israeliana, fornito dall’esercito britannico da giugno 2023 in un accordo da 4,6 milioni di sterline (5,3 milioni di euro). La tecnologia di Smartshooter è stata utilizzata dall’unità d’élite Maglan e dalla Brigata Golani dell’Esercito di Occupazione durante l’assalto a Gaza. Il giornalista Antony Loewenstein, citato da Declassified UK, ha dichiarato: “Smartshooter è solo una delle tante aziende israeliane che testano le proprie attrezzature sui palestinesi occupati. È un’attività altamente redditizia e il Massacro a Gaza non ne rallenta il commercio. Anzi, sta aumentando a causa dell’attrazione di molte nazioni verso il modello israeliano di sottomissione e controllo”. Oggi, il settore delle armi e quello della tecnologia israeliani sono indistinguibili. Programmi di sorveglianza, Liste di Uccisioni basate sull’Intelligenza Artificiale e sistemi di puntamento automatizzati sono confezionati insieme a fucili e droni. La guerra è diventata un laboratorio per l’innovazione tecnologica, trasformando Gaza in un laboratorio dove si perfeziona il Genocidio privatizzato. Questa fusione ha permesso a Tel Aviv di industrializzare la sua Occupazione, creando un sistema modulare di sottomissione esportabile a livello globale. Quella che è iniziata come la militarizzazione della tecnologia si è trasformata in qualcosa di molto più pericoloso: la tecnologizzazione del Genocidio. Modello israeliano di genocidio Il Modello Israeliano di Genocidio ha acquirenti internazionali. Un recente titolo di Haaretz, “Perché il futuro della difesa israeliana risiede in India”, ha evidenziato i reciproci vantaggi del partenariato di difesa tra Israele e India. Per Tel Aviv, riduce la dipendenza dall’Occidente, mentre l’India acquisisce una certa influenza strategica nell’Asia Occidentale. Tra il 2001 e il 2021, l’India ha importato tecnologia di difesa israeliana per un valore di 4,2 miliardi di dollari (3,6 miliardi di euro), inclusi droni avanzati e componenti militari. Più di recente, l’Europa è diventata il principale acquirente di armi di Israele, arrivando a rappresentare fino al 54% delle esportazioni totali nel 2024. Sulla scia della Brexit e dell’imprevedibilità dell’amministrazione del Presidente statunitense Donald Trump, la Gran Bretagna, in particolare, ha rafforzato il coordinamento della difesa con Israele nel tentativo di riposizionarsi come attore chiave e rilevante in un ordine multipolare. Secondo alcune fonti, Londra starebbe preparando un accordo da 2,7 miliardi di dollari (2,3 miliardi di euro) con Elbit Systems, il più grande produttore di armi israeliano, per addestrare 60.000 soldati britannici all’anno. Questo rapporto si è approfondito all’inizio di quest’anno, quando è emerso che un’accademia militare britannica stava addestrando soldati dell’Esercito di Occupazione, molti dei quali sono stati implicati in Crimini di Guerra durante i conflitti di Gaza e del Libano. La stessa Elbit fornisce l’85% dei droni dell’Esercito di Occupazione ed è stata ripetutamente presa di mira dalla Palestine Action, un’organizzazione non governativa, per il suo ruolo diretto nei Crimini di Guerra. Londra non solo ha protetto l’azienda, ma ha anche intensificato le operazioni congiunte. La Gran Bretagna produce anche il 15% di tutti i componenti dei caccia F-35. Questi aerei sono stati utilizzati senza sosta nel Genocidio di Gaza, eppure la loro produzione continua, confermata dai tribunali britannici nonostante le proteste. Lungi dall’essere neutrale, la Gran Bretagna è parte integrante dell’Infrastruttura Genocida di Tel Aviv. L’industria delle armi è ormai diventata un affare globale, che intreccia difesa, tecnologia e oppressione sistemica. Il Modello Israeliano di Genocidio, che trae profitto direttamente da questa intersezione, si è diffuso oltre i suoi confini, con alleati internazionali complici del suo successo. Aiuti militari, riprogettazione di Gaza Gli appaltatori privati sono ormai integrati in ogni livello della Macchina Bellica israeliana, inclusa la sua cinica manipolazione degli aiuti umanitari. La Fondazione Umanitaria per Gaza, presumibilmente istituita per facilitare gli aiuti, è stata smascherata per collusione con le Forze di Occupazione, archiviazione di informazioni e dispiegamento di società di sicurezza private con zero credenziali umanitarie. Il ruolo delle aziende private si estende ben oltre la sorveglianza a distanza, infiltrandosi nei meccanismi degli aiuti umanitari. La Fondazione Umanitaria per Gaza è stata ripetutamente criticata per aver violato i principi fondamentali della distribuzione degli aiuti, come l’imparzialità e l’indipendenza. È stata colta a sparare sulla folla, a raccogliere informazioni e a collaborare con le autorità israeliane, esternalizzando al contempo società di sicurezza private come Safe Reach Solutions e UG Solutions, due società di sicurezza private guidate da personale privo di competenze umanitarie. Recentemente, è stato scoperto che UG Solutions aveva reclutato membri di una famigerata banda di motociclisti anti-islamici dagli Stati Uniti. In totale, 2.465 palestinesi sono stati uccisi e oltre 17.948 feriti mentre attendevano gli aiuti umanitari a Gaza, secondo il Ministero della Sanità di Gaza. Il problema chiave risiede nel fatto che le aziende private non sono vincolate dagli stessi parametri etici delle organizzazioni umanitarie tradizionali. Questa mancanza di regolamentazione consente loro di funzionare come estensioni dell’Occupazione, promuovendo gli obiettivi di Israele sotto la maschera di aiuti con scarsa o nessuna responsabilità. Gli aiuti privatizzati non sono quindi un dettaglio secondario, ma una componente centrale del Modello di Genocidio Israeliano, che trasforma gli aiuti umanitari in un ulteriore Strumento di Occupazione. Terra bruciata Il piano “Riviera di Gaza” del Presidente degli Stati Uniti Donald Trump e la visione di espulsione di massa del Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu si basano entrambi su una completa rivisitazione di Gaza. Il piano postbellico di Trump richiede una popolazione disposta a trasformarsi in sudditi di un polo economico, mentre Netanyahu immagina una terra ripulita dai palestinesi, su cui poter costruire nuovi insediamenti illegali. A differenza del modello imperiale, il Modello del Genocidio Israeliano richiede la purificazione di una popolazione, poiché è più facile, e più efficiente, eliminarla che renderla servile. Questo rende la privatizzazione di una Gaza postbellica non solo un’opzione, ma una necessità. Secondo il Financial Times, il Gruppo di Consulenza di Boston, la società di consulenza statunitense in parte responsabile della creazione della Fondazione Umanitaria per Gaza, sarebbe stato incaricato di stimare il costo del trasferimento di Gaza nell’ambito di un più ampio piano di ricostruzione postbellica. I rapporti evidenziano anche una maggiore dipendenza dai mercenari statunitensi per gestire il contesto postbellico e controllare il traffico di armi, dimostrando come sia il modello imperiale che il Modello Genocida Israeliano dipendano l’uno dall’altro per sostenersi. Gli aiuti umanitari sono stati determinanti nella realizzazione di questa visione. I quattro siti di “distribuzione degli aiuti”, descritti dai funzionari delle Nazioni Unite come “trappole mortali”, sono diventati zone militarizzate, costringendo i palestinesi a rifugiarsi in enclave ancora più piccole nel Sud di Gaza, contribuendo direttamente all’obiettivo di sfollamento di Israele. Questo non è il futuro della guerra. È il presente. E viene costruito, testato e venduto a Gaza. Aymun Moosavi è un’analista politica con un dottorato in Studi sui Conflitti Internazionali conseguito al King’s College di Londra. Il suo lavoro si concentra sulla Resistenza e la Liberazione nella Regione dell’Asia Occidentale. Traduzione a cura di: Beniamino Rocchetto
Contributi
Solidarietà con tutti i prigionieri rivoluzionari del mondo – Manifesto in solidarietà agli arrestati dell’Operazione “Delivery”
Riceviamo e diffondiamo: Solidarietà con tutti i prigionieri rivoluzionari nel mondo. Sostegno alle lotte sociali con la lotta rivoluzionaria. Manifesto sull’operazione “Delivery” dell’11 settembre Diffondiamo un manifesto sull’operazione repressiva dell’11 settembre 2025, goffamente chiamata “Delivery”. L’operazione, imbastita dalla DDAA di Firenze e condotta dalla DIGOS, ha comportato due arresti e sei perquisizioni domiciliari nei comuni di Carrara, Montignoso, Pisa e Sarzana. Un compagno e una compagna si trovano agli arresti domiciliari restrittivi (ossia con divieto di comunicazioni e visite), in quanto indagati per “atto di terrorismo con ordigni micidiali o esplosivi” (art. 280 bis c. p.) e altri reati connessi, in riferimento all’azione contro il tribunale di Pisa del 21 febbraio 2023 (rivendicata dal Gruppo di Solidarietà Rivoluzionaria – Consegne a domicilio, aderente alla FAI-FRI). Per quanto riguarda l’operazione di polizia, invitiamo a leggere il testo “Arresti e perquisizioni tra Pisa e le Alpi Apuane in relazione all’attacco contro il tribunale di Pisa nel 2023”, a firma Un paio di perquisiti, e i seguenti comunicati in solidarietà da parte di vari spazi, circoli e collettivi. Sotto i file pdf e png: il formato consigliato per la stampa del manifesto è l’A3, ma è eventualmente possibile riprodurlo anche in A4 a mo’ di volantino: PDF: solidarieta-sostegno-manif-delivery Questo il testo del manifesto: SOLIDARIETÀ CON TUTTI I PRIGIONIERI RIVOLUZIONARI NEL MONDO SOSTEGNO ALLE LOTTE SOCIALI CON LA LOTTA RIVOLUZIONARIA «Lo Stato, compreso quello democratico, è il più grande pericolo per la vita e la libertà di tutto il vivente. Permette il fiorire del capitalismo garantendo la stabilità di cui ha bisogno attraverso il sistema punitivo e repressivo. Tutto e tutti devono sottostare alle sue regole per la difesa del padronato». Così scriveva il Gruppo di Solidarietà Rivoluzionaria – Consegne a domicilio nel comunicato sull’azione contro il tribunale di Pisa del 21 febbraio 2023. Un piccolo ordigno collocato a ridosso di un ingresso secondario del palazzo di giustizia. Non innescatosi, l’oggetto veniva successivamente disinnescato dalle forze di polizia. «Non sappiamo se la deflagrazione sia avvenuta, ma ci teniamo a sottolineare che quest’azione assume un’importanza non da poco: abbiamo dimostrato che è possibile avvicinarsi ai palazzi del potere e colpire». In questi casi è il messaggio ciò che conta. In quei mesi si manifestava impetuoso un intenso movimento di solidarietà internazionale contro il 41 bis e l’ergastolo ostativo. Alfredo Cospito si trovava a oltre 120 giorni di sciopero della fame. Inquisitori e polizia giudiziaria erano al lavoro per ottenere l’ergastolo per lui e per sbarazzarsi nel lungo periodo di tanti altri anarchici. In quel contesto si pone quanto avvenuto a Pisa. In una realtà sociale dove ci si strappa le vesti per sostenere che l’unico orizzonte possibile è quello degli Stati, del capitalismo e dei loro spaventosi massacri, c’è ancora chi si batte per una lotta radicale contro lo sfruttamento, per il disfattismo contro le guerre dei padroni, per l’autonomia di pensiero e d’azione dell’individuo contro la società della subordinazione e coercizione tecnologica, per l’abbattimento di ogni potere politico ed economico in favore della libertà integrale di ciascuno. «La possibilità di confliggere con questo sistema di oppressione e sfruttamento viene arginata attraverso la prevenzione, tenendo d’occhio e inserendo in un sistema di reinserimento sociale asfissiante chiunque non si adegui, e attraverso i tribunali quando il pensiero si fa azione». Cosa fare contro un nemico che spontaneamente non farà mai alcun passo indietro? Una cosa almeno ci appare chiara. Non ci facciamo imbrogliare dai sostenitori della non-violenza e del pacifismo. Gli oppressi sono sempre in stato di legittima difesa e la violenza rivoluzionaria è necessaria, indispensabile per aprire delle possibilità di liberazione, prefigurando la vita senza più padroni e tribunali per cui ci battiamo. L’11 settembre un’operazione repressiva si è dispiegata tra le Alpi Apuane e Pisa: sei perquisizioni e due arresti domiciliari restrittivi, senza possibilità di comunicazioni o visite. La richiesta della procura era della custodia cautelare in carcere. Siamo al fianco di Luigi e Veronica, indagati e arrestati per l’azione contro il tribunale di Pisa e già inquisiti in una precedente operazione della polizia di prevenzione contro un quindicinale anarchico.
Stato di emergenza
Materiali
Terrorizzare e reprimere (da disfare 2)
Diffondiamo un articolo pubblicato sul secondo numero di disfare. Ricordiamo che è possibile ordinare copie del secondo numero scrivendo a disfare@autistici.org (al prezzo di 4 euro a copia, 3 euro per i distributori dalle 3 copie in su). Scarica l’articolo in formato pdf: disfare_2_terrorizzare_e_reprimere Terrorizzare e reprimere Per dispiegarsi compiutamente e senza remore di sorta, la forza coercitiva dello Stato democratico necessita di argomentazioni almeno parzialmente plausibili e condivisibili da parte della cosiddetta “opinione pubblica”. Queste si basano spesso sul rovesciamento semantico di determinati concetti, affinché la carica negativa scaturente dal rovesciamento di tali elementi ricada interamente sull’individuo o sul gruppo da reprimere. È il caso, ad esempio, del concetto di “terrorismo”. A dispetto della sua origine, ancora oggi pietrificata nella stessa radice della parola (terror), esso oggi ha poco a che vedere con l’imposizione del terrore sulla popolazione, ma sembra piuttosto riguardare il terrore che gli Stati hanno delle popolazioni e degli individui. Rovesciamenti semantici Il termine “terrorismo” venne coniato a partire dall’esperienza del Regime del Terrore, instauratosi nella Francia del 1793, a forza di teste ghigliottinate secondo le decisioni del Comitato di Salute Pubblica, organo del governo giacobino allora in carica. I neologismi francesi terrorisme e terroriser, creati a partire dal latino terror, iniziano a circolare in Europa proprio col significato – tuttora attestato nei vocabolari – di «azione del potere politico di incutere terrore nei confronti dei cittadini, attraverso la costrizione e l’uso illegittimo, indiscriminato e imprevedibile della forza»[1].   Formalmente ristretto a un periodo di emergenza, il terrore per sua natura tende ad eternarsi e a divenire definitivo, senza possibilità di mutamento, con una crescita esponenziale di eccessi e di atti di barbarie. Si tratta in sostanza di un sistema tirannico che agisce contro il popolo, spargendo trappole per insidiare ogni passo del cittadino, introducendo una spia in ogni casa, un traditore in ogni famiglia, un assassino in ogni tribunale. Questo sistema è perciò un’arte, «l’arte del terrore», praticata da un potere arbitrario e fortemente concentrato nelle mani di poche persone. Per questa ragione, il terrore si attaglia meglio a una monarchia, ma in verità può essere praticato anche da una repubblica: in questo secondo caso, tuttavia, esso si dimostra ben peggiore, perché rende il popolo indifferente alla libertà e anzi la fa odiare. Il risultato consiste comunque ineluttabilmente nel dividere l’intera società in due classi distinte: una minoranza persecutrice che fa paura e una maggioranza perseguitata che ha paura. Si delineava così, per la prima volta, una fondamentale presa d’atto: l’esistenza di una divaricazione tra il fine dichiarato del terrore, ossia punire talune persone o certi gruppi ritenuti colpevoli di attentare al regime o alla vita sociale, e il fine vero, scientemente attuato, quello di controllare, mediante la paura, l’intera società[2]. L’origine del concetto di terrore e terrorismo, dunque, tradisce chiaramente il fatto di riferirsi ad un metodo di governo, adottato da un regime politico costituito, rivolto alla repressione del dissenso e al controllo sociale. È quindi connaturato allo Stato stesso. Col passare degli anni, un capovolgimento semantico avvenne con il colonialismo europeo. Le potenze europee si servirono dello stigma legato all’impiego del termine terrorismo contro quelle popolazioni asiatiche e africane che provavano a ribellarsi alle politiche coloniali di sterminio e depredazione delle risorse. In alcuni casi l’accusa di terrorismo aprì la strada a veri e propri genocidi, come avvenne in Namibia per la popolazione Herero trucidata dall’esercito tedesco[3]. Dietro a simili azioni, in cui l’intera popolazione, senza alcuna distinzione tra, ad esempio, combattenti e civili, veniva colpita, stava la concezione e teorizzazione di una modalità di conflitto integrale ed assoluto. Una modalità che con la prima guerra mondiale diventerà prassi. Nel 1914, il generale e teorico militare tedesco Colmar von der Goltz (all’epoca più letto di Clausewitz), nominato governatore del Belgio, sostenne con chiarezza la necessità di punire esemplarmente gli atti ostili «non solo per la colpa ma anche per l’innocenza», inaugurando la consuetudine di colpire per chilometri i villaggi e i luoghi abitati attorno alla zona di un attentato. Sorte analoga spettò ai Mau Mau in Kenya, massacrati dagli inglesi durante gli anni ’50 del secolo scorso. Col pretesto della lotta al terrorismo divenne possibile anche in questo caso legittimare metodi terroristici come i campi di concentramento e l’uso sistematico dell’elettrochoc. Anche il colonialismo italiano non fu da meno nel dispensare campi di concentramento, stupri di massa e gas nervino in Africa come nei Balcani. A tal riguardo, possiamo di sfuggita segnalare il processo del Tribunale Speciale per la difesa dello Stato tenutosi nel 1940 contro 60 sloveni. Essi erano significativamente accusati di un reato associativo con finalità terroristiche in quanto partecipanti «ad associazioni tendenti a commettere attentati contro l’integrità e unità dello stato». Col trascorrere del tempo, dunque, i diversi Stati europei operarono un progressivo rovesciamento semantico del concetto di terrorismo, che da metodo di governo utilizzato verso i governati si trasformava in metodo di lotta adottato dai governati stessi contro le istituzioni e i suoi funzionari. Ne rappresenta un emblematico esempio la definizione adottata dalla Convenzione per la prevenzione e repressione del terrorismo, elaborata a Ginevra nel 1937, secondo cui sono terroristici: «i fatti criminali diretti contro uno Stato e i cui fini o la cui natura è atta a provocare il terrore presso determinate personalità, gruppi di persone o il pubblico». Dal terrore generalizzato della popolazione, sotteso alla nozione primigenia di terrorismo, allo spavento di qualche personaggio c’è evidentemente un abisso, eppure in questa definizione il terrore di determinate personalità e quello del pubblico sono considerati equivalenti. È poi particolarmente significativo che tale definizione sia stata coniata proprio nel medesimo anno in cui la cittadina basca di Guernica fu sottoposta a un bombardamento a tappeto a opera dello squadrone volontario Condor della Luftwaffe (l’aviazione tedesca), supportato dall’aviazione legionaria italiana. La stampa mondiale diede da subito grande risalto all’accaduto, sottolineando il carattere terroristico dell’azione bellica condotta a sostegno delle forze franchiste in lotta contro i repubblicani, in piena guerra civile spagnola. Il corrispondente del New York Times, George Steer, mise l’accento proprio sull’intento deliberato di colpire la popolazione inerme. Scopo dell’azione era «la demoralizzazione della popolazione civile e la distruzione della culla del popolo basco». Con una simile azione, preceduta da un analogo raid distruttivo contro la vicina cittadina di Durango ad opera dell’aviazione legionaria italiana, si inaugurava l’epoca dei bombardamenti a tappeto contro la popolazione civile, una manifestazione di quella che lo stesso Steer aveva chiamato la «guerra moderna»: un modo di pensare l’attività bellica come evento totale. Una volta superata una concezione limitata della guerra come combattimento regolato fra opposte forze armate e una volta annullata la distinzione classica fra militari e civili – inevitabile corollario del graduale imporsi, a partire dagli inizi dell’Ottocento, dell’idea di Nazione – si faceva del nemico un’entità unica, da colpire in modo indiscriminato, con tutti i mezzi possibili[4]. Nonostante il progressivo rovesciamento semantico operato a livello istituzionale, l’originaria concezione del termine terrorismo riusciva comunque a mantenere talvolta una certa persistenza, senza dubbio in conseguenza del succedersi di determinati eventi e processi storici, come ad esempio il fenomeno della decolonizzazione sviluppatosi in Africa durante gli anni ’60 del Novecento[5]. Tutelare la tranquillità dei pubblici poteri Nei paesi dell’Europa Occidentale, ed in Italia in particolare, sarà nel corso degli anni ’70 ed ’80 del Novecento che si compirà il deciso e definitivo rovesciamento semantico del concetto di terrorismo, con lo scopo di contrastare, da parte dell’ordine statale, l’insorgenza politica e sociale interna sviluppatasi in quel medesimo periodo. A partire da tale data, terrorista sarà sempre e solo chi svolge un’attività finalizzata ad un cambiamento radicale dell’ordine costituito, cioè tende all’eversione dello Stato. Inoltre, sarà sempre durante gli anni ’80 che il ribaltato concetto di terrorismo assurgerà come nuovo termine chiave del lessico politico statale. Infatti, con l’elezione nel 1981 alla presidenza degli Stati Uniti di Ronald Reagan, riprese decisamente vigore, proseguendo nel solco già tracciato da precedenti amministrazioni, l’iniziativa politico-ideologica antisovietica, sostenuta dalla tendenza ad accrescere fortemente il budget militare e ad attaccare ideologicamente l’URSS proprio mediante la denuncia del terrorismo come merce sovietica, strumento d’aggressione ai danni del «mondo libero»[6]. La sottocommissione del Senato sui problemi del terrorismo e della sicurezza fu un organo fondamentale nel processo di reificazione del terrorismo, e cioè nella produzione di discorsi finalizzati alla costruzione di un oggetto a sé stante, ridotto a essenza, dotato di una propria peculiare autonomia dalla politica e dalla guerra. Nella retorica di quella sottocommissione, e più in generale della nuova amministrazione, il terrorismo andava concepito come un fenomeno guidato dall’alto, che promanava da Stati sponsor che lo stesso Reagan, con un termine destinato ad essere più volte ripreso in seguito, chiamò Stati canaglia. Nell’alimentare il processo di autonomia discorsiva della tematica del terrorismo, un ulteriore punto di svolta sul piano concettuale si ebbe nel 1986 con la pubblicazione del libro Il Terrorismo. Come l’Occidente può vincere, edito da Benjamin Netanyahu e contenente gli atti di una seconda conferenza organizzata dal Jonathan Institute di Gerusalemme, cinque anni dopo la prima. Nella sua introduzione Netanyahu descriveva la situazione politica mondiale come una lotta in corso tra civiltà e barbarie: nella comunità internazionale – osservava – c’è un sufficiente consenso circa il ruolo di URSS e OLP nel supporto al terrorismo internazionale e anche una discreta sensibilità rispetto al pericolo incarnato dalla Repubblica islamica dell’Iran, ma ciò che manca è una risposta comune ai terroristi e ai loro sponsor, a causa di un’insufficiente concettualizzazione del fenomeno. È assurdo – egli affermava – paragonare un atto terroristico con le perdite di civili in guerra: queste ultime sono prodotte da atti casuali e involontari, laddove invece nel caso dei terroristi si tratta di «scelte volute e calcolate». I terroristi di conseguenza non sono guerriglieri, soldati irregolari che combattono contro forze nemiche molto superiori, ma impuniti che attaccano obiettivi indifesi. Fu Edward Said a intuire immediatamente la portata del mutamento concettuale e d’impostazione contenuto in quelle tesi. Per Said, la definizione di Netanyahu dipendeva da un assioma a priori: «Noi non siamo mai terroristi; sono loro, i mussulmani e i comunisti che lo sono […] non importa che cosa abbiano fatto; loro lo sono e lo saranno sempre». Questa nuova visione tendeva ad obliterare la storia e la stessa temporalità, nel tentativo di «creare un nemico essenzializzato, isolato dal tempo, dalla causalità, dalle azioni compiute in precedenza e quindi a disegnarlo come ontologicamente e gratuitamente interessato a scatenare il caos». Netanyahu – osservava Said – combatte una battaglia basata su una visione del mondo che stabilisce che certi fini ideologici e religiosi richiedano determinati mezzi, tali da comportare lo sgretolamento di ogni inibizione morale. La giustificazione spuria di combattere il terrorismo legittima cioè ogni atto di violenza commesso in suo nome. Non si trattava di un mero dibattito fra intellettuali: nel 1984, al momento della rielezione di Reagan, il segretario di Stato George Shultz aveva tenuto un discorso alla sinagoga newyorkese di Park Avenue, incentrato sulla lotta al terrorismo, in cui aveva proclamato che il tempo della difesa passiva era finito. Quello che occorreva adesso era un’attiva capacità di colpire per primi e anche di esercitare pronte ritorsioni, rispondendo agli attacchi terroristici con la flessibilità necessaria, in una varietà di modalità belliche, scegliendo luoghi e tempi in cui attaccare. Forte di questa tesi, la seconda amministrazione Reagan adottò il terrorismo così inteso come nuovo nemico globale e lo considerò un incentivo per giustificare il terrore come arma di reazione. Sul piano istituzionale e formale, sarà poi la risoluzione del parlamento europeo del 30 gennaio 1997 ad adottare ufficialmente una definizione di terrorismo in linea con il già menzionato rovesciamento semantico[7].  Inoltre, nell’indeterminatezza di quali atti concreti siano terroristici, è il movente ideologico che diventa fondamentale. Non è un caso che l’elenco delle motivazioni terroristiche segua un ordine crescente di psicologizzazione: aspirazioni separatistiche, concezioni ideologiche estremiste, fanatismo, moventi irrazionali e soggettivi. In un crescendo esponenziale, all’indomani dell’attentato alle Torri Gemelle di New York dell’11 settembre 2001, l’Unione Europea ha avvertito l’esigenza di elaborare una disciplina sul terrorismo che imponesse maggiori obblighi agli Stati membri. Veniva così adottata la decisione quadro 2002/475/GAI (Consiglio Giustizia e Affari Interni dell’UE). Tale decisione quadro verrà recepita, ed anzi aggravata nella sua valenza repressiva, dal codice penale italiano con l’introduzione, avvenuta nel 2005, all’indomani degli attentati alla metropolitana di Londra, dell’art. 270 sexies. Anche questa definizione si orienta verso la sostanziale tutela dei pubblici poteri. Per la prima volta però essi sono tutelati non solo da un loro potenziale rovesciamento rivoluzionario, ma addirittura da possibili influenze e controversie temporanee su questioni specifiche. In ultima analisi, anche una vertenza sindacale, uno sciopero, potrebbe essere considerato come un atto terroristico contro l’ordine costituito. Il diritto internazionale, svalutando progressivamente l’elemento del terrore, ha oggi due pesi e due misure per il terrorismo non statale e per quello statale. Nel primo caso si può essere considerati terroristi persino a prescindere dall’elemento del terrore, poiché si valorizza la finalità di destabilizzazione del sistema politico statale o di contrasto di una sua specifica decisione. Nel secondo caso, il terrore ingenerato manu militari nella popolazione, attraverso ad esempio un bombardamento aereo di una città, non basta da solo a qualificare come terrorista uno Stato, perché bisogna dimostrare che tale stato di terrore fosse il movente principale dell’azione militare[8], e non un semplice effetto collaterale di tale azione, ancorché previsto e voluto. Al di fuori dello Stato, il nulla Il rovesciamento semantico del concetto di terrorismo ha quindi provocato anche il concomitante rovesciamento del termine indiscriminato. Se infatti originariamente era lo Stato che terrorizzava l’intera popolazione di un territorio attraverso atti violenti indiscriminati in vista di un fine politico o ideologico, ora questi atti vengono addossati ad una parte, grande o piccola, della popolazione stessa nei riguardi dello Stato. In tal modo, lo Stato prende il posto della popolazione, sicché gli atti violenti indiscriminati risulteranno quelli diretti contro gli apparati istituzionali. Dietro ad un tale rovesciamento emerge l’assunto che la società sia un tutto organico e monolitico, ed essa coincida necessariamente con lo Stato. Si va ben oltre l’assolutezza del potere statale rispetto al corpo sociale, giungendo fino all’assorbimento ed all’assimilazione del corpo sociale nello Stato. In base a questo assunto, lo Stato diviene principio di intelligibilità di ciò che è, ma anche di ciò che deve essere. Lo Stato diviene fondamentalmente l’idea regolatrice di quella forma di pensiero, di riflessione, di calcolo e di intervento che prende il nome di politica: la politica come mathesis, come forma razionale dell’arte di governo. Per edificare e rendere evidente la razionalità e necessità dello Stato, gli si crea un mito fondante, gli si inventa una tradizione. Sarà il giusnaturalismo a fornirgliela, nel corso del XVII secolo, proprio in quello stesso arco di tempo in cui si andava sviluppando ed imponendo nelle scienze una filosofia meccanicistica[9]. Poco importa che una simile teorizzazione non abbia alcunché di reale, relativamente alla ipotizzata condizione dello stato di natura, e che un tale mito fondante non si sia mai verificato in alcun luogo ed in alcun tempo. La sua rilevanza sta nel fatto che ha avuto – ed ha – la forza di modificare e modellare la realtà stessa, imprimendo e trasmettendo valori e costumi funzionali a concetti asimmetrici quali quelli di obbedienza e dipendenza, su cui lo Stato basa la sua ragion d’essere. In tal modo, un regicidio, o una qualsiasi azione contro delle personalità o delle strutture istituzionali, non sarà più diretta a terrorizzare unicamente i regnanti e le classi dominanti, come sarebbe nelle intenzioni di chi auspica un cambiamento radicale dell’ordine sociale, bensì potrà essere ascritta quale atto terroristico indiscriminato, in quanto regnanti e classi dominanti rappresentano e coincidono con l’intera società. Addirittura, come abbiamo già avuto modo di vedere, anche una controversia su una questione specifica, tendente ad esprimere dissenso verso particolari atti riguardanti la sfera economica, politica, sociale e ambientale, come ad esempio una vertenza sindacale o l’opposizione ad un progetto infrastrutturale, potranno essere considerati come atti terroristici, perché tendenti a modificare l’ordine costituito intrinsecamente immodificabile.   D’altro canto, quale logica conseguenza dell’idea della necessità ed immutabilità dell’ordinamento statale, un bombardamento a tappeto su un territorio densamente popolato attuato da uno Stato (ogni riferimento al genocidio che si sta realizzando nella striscia di Gaza non è per niente casuale), non sarà considerato un atto terroristico indiscriminato, bensì una legittima e mirata azione di guerra. Un’azione chirurgica, come da alcuni decenni va tanto di moda designare i bombardamenti aerei sulle città, terminologia e concetto che tende a celare e porre in secondo piano i cosiddetti effetti collaterali, ossia i previsti e voluti massacri di civili, senza i quali non sarebbe possibile pervenire al reale e principale obiettivo desiderato: abbattere il morale della popolazione, ossia, ancora una volta, seminare il terrore. Nonostante tutti i rovesciamenti semantici descritti, in definitiva quella statale è la forma archetipica di terrorismo. Il terrorismo è insomma prevalentemente una pratica di governo. E ciò è sostanzialmente dovuto al fatto – come efficacemente dimostra il politologo tedesco Ekkehart Krippendorff nell’opera Lo Stato e la guerra – che lo Stato, soprattutto a partire da quello formatosi nell’era moderna (XVII secolo) e nelle sue successive declinazioni quali lo Stato di diritto, lo Stato costituzionale, ecc., è intrinsecamente legato alla guerra, è essenzialmente uno Stato militare, e le guerre che esso ha continuamente condotto non sono un fatto secondario, bensì fanno parte della sua vera essenza. L’apparato militare e coercitivo, strumento di guerra sia esterna che interna, è la quintessenza dello Stato. Senza tale apparato, lo Stato perderebbe la sua ragion d’essere. Non è un caso che nel 1919 il sociologo Max Weber, nel saggio La politica come vocazione, abbia descritto lo Stato come il detentore del monopolio della violenza. E questa violenza può e deve essere esercitata sia all’esterno che all’interno del territorio posto sotto il suo controllo, quindi anche – e aggiungerei soprattutto – contro i propri governati, siano essi definiti come cittadini, sudditi, schiavi, prigionieri, ecc. Per garantire la propria sicurezza, lo Stato ha bisogno di effettuare ed organizzare una sempre più capillare opera di disciplinamento dei propri cittadini al suo volere, per giungere a quell’acritico consenso generale essenziale ad ogni ordine costituito. Sorvegliare e punire, come direbbe Michel Foucault, attualmente declinato nel più consono ed effettivo terrorizzare e reprimere. Tiravento [1] Fu il deputato montagnardo Jean-Lambert Tallien, protagonista della caduta di Robespierre, nonostante fosse stato un suo funzionario incaricato dal governo giacobino della repressione a Bordeaux, in un importante discorso tenuto alla Convenzione l’11 Fruttidoro (28 agosto 1794), un mese dopo il 9 Termidoro (26 luglio 1794), a svolgere una prima analisi critica del terrore inteso non come espressione di un’unica volontà individuale, malefica e mostruosa, ma come un vero e proprio sistema di governo. Nel suo intervento Tallien (il cui discorso era stato scritto per lui da Pierre-Louis Roederer, un giurista, economista e politico moderato) asseriva che il terrore non era il prodotto dell’azione violenta di una folla in preda alle emozioni, bensì il calcolo deliberato di un governo assoluto, autocratico, che non rende conto a nessuno dei suoi atti e che minaccia sistematicamente il popolo. [2] La spirale di violenza e di paura, una volta innescata, diviene dunque pervasiva e non risparmia nessuno, neppure i membri dell’apparato repressivo, i quali diventano essi stessi prigionieri del meccanismo, consapevoli che la paura che instillano può in ogni momento rivolgersi contro di loro, e raggiungerli. [3] Il Generale Lothar von Trotha, responsabile del genocidio, commesso fra il 1904 e il 1907, scrisse: «Io credo che la nazione come tale (gli Herero) debba essere annientata, o, se questo non è possibile con misure tattiche, debba essere espulsa dalla regione con mezzi operativi ed un ulteriore trattamento specifico.[…] L’esercizio della violenza fracasserà il terrorismo e, anche se con raccapriccio, fu ed è la mia politica. Distruggo le tribù africane con spargimento di sangue e di soldi. Solo seguendo questa pulizia può emergere qualcosa di nuovo, che resterà». [4] Il terreno di coltura di una tale concezione era stata la prima guerra mondiale, ma senza dubbio essa affondava le sue radici in periodi antecedenti, soprattutto nell’esperienza coloniale tardo ottocentesca, come si è già avuto modo di accennare. Durante la guerra civile americana, in particolare, si era realizzata una sorta di circolarità fra i metodi usati dall’esercito statunitense per sconfiggere il blocco degli Stati confederati e quelli adottati per piegare la resistenza delle popolazioni “indiane” all’occupazione delle proprie terre da parte dei coloni. [5] In una risoluzione dell’Assemblea Generale dell’ONU del 18 dicembre 1972 si ribadiva solennemente «la legittimità dei movimenti di liberazione nazionale», condannando «gli atti di terrorismo statale, compiuti dai regimi coloniali, razzisti e stranieri». Ed il Comitato speciale per il terrorismo internazionale, costituito con la suddetta risoluzione, affermava poi che «il terrorismo individuale è effetto di quello statale, costituendo una risposta violenta della popolazione civile alla politica statale di oppressione». [6] Tesi condivisa dal circolo più stretto dei consiglieri del presidente statunitense, tra cui vi erano esponenti di punta di una nuova generazione di politici conservatori, come Donald Rumsfeld, Dick Cheney e Paul Wolfowitz, capace di orientare la politica estera americana nell’epoca di Reagan e che poi sarebbe divenuta egemone al tempo delle presidenze dei Bush. [7] Questi rappresentanti dei governi occidentali, sentendosi in fondo autorizzati dal crollo dell’Unione Sovietica a teorizzare la fine delle ideologie non capitalistiche e il conseguente esaurirsi della possibilità e legittimità di qualsivoglia prospettiva rivoluzionaria di cambiamento, in tale risoluzione affermavano che «costituisce atto di terrorismo ogni delitto commesso da singoli individui o gruppi attraverso la violenza o la minaccia della stessa e rivolto contro un paese, le sue istituzioni, la sua popolazione in generale o contro specifici individui, il quale, motivato da aspirazioni separatistiche, da concezioni ideologiche estremiste o dal fanatismo, o ispirato a moventi irrazionali e soggettivi, mira a sottomettere i poteri pubblici, alcuni individui o gruppi sociali o, più in generale, l’opinione pubblica ad un clima di terrore». In ultima analisi, in una simile risoluzione, grazie ad un intenzionale mescolamento di elementi originari ed attuali della nozione di terrorismo, la tranquillità tutelata è unicamente quella dei poteri pubblici. [8] Infatti, secondo i Protocolli Aggiuntivi del 1977 alle Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949 relative alla protezione delle vittime dei conflitti armati internazionali e non, sono vietati soltanto «gli atti di violenza o le minacce di violenza il cui fine principale sia di diffondere il terrore tra la popolazione civile». [9] In particolare, ciò si attuerà attraverso le riflessioni di Thomas Hobbes, lo Stato diviene fonte del diritto e della morale, il suo potere è indivisibile e congloba in sé anche l’autorità religiosa. Lo Stato è quindi il migliore dei mondi possibili, anzi è l’unico mondo possibile, è la ratio unica ed assoluta della civiltà, senza di esso gli esseri umani vivrebbero nell’insicurezza continua, in una situazione di guerra permanente.  
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