Riceviamo e diffondiamo:
Non ci affidiamo alle amnesie di Nordio! Torniamo in piazza contro il rinnovo
del 41 bis ad Alfredo Cospito!
Da maggio 2022 il compagno anarchico Alfredo Cospito è stato trasferito nel
regime detentivo di 41 bis. Il carcere duro che prevede una socialità
estremamente ristretta, la censura permanente sulla posta e svariati divieti per
l’accesso ai libri. Colloqui previsti rigorosamente per familiari autorizzati,
separati da un vetro divisorio. Un’area di passeggio volta a limitarti lo
sguardo con mura alte fino al cielo e una rete come soffitto. Una pressione
costante dello Stato sul detenuto, i suoi familiari, i suoi avvocati. Un
messaggio unico per tutti coloro che sono costretti a orbitare intorno a questo
universo: quello che succede al 41 bis non può essere comunicato. L’obbiettivo è
distruggere il prigioniero, torturarlo fino al punto di spingerlo alla
collaborazione. Un dogma intoccabile che non viene messo in discussione nemmeno
di fronte alla morte.
Un regime – visto dallo stesso diritto borghese che l’ha creato come
un’eccezione a sé stesso – il cui rinnovo deve per forza essere avallato dal
Ministro della cosiddetta “Grazia e Giustizia”, con decreto motivato in cui si
giustifica la sua proroga. Questo iter amministrativo, suonerebbe come una buona
notizia considerando che il preposto a tale dicastero è Carlo Nordio. Un uomo
affetto da una sbadataggine cronica, preda di amnesie folgoranti che lo portano
a rimpatriare in terra d’origine, con voli di Stato, noti torturatori come il
generale libico Almasri, dimentico, improvvisamente, dei mandati d’arresto
pendenti su di lui da parte di corti internazionali.
Purtroppo la patologia di cui è affetto il ministro risulta oggettivamente
selettiva e colpisce solo quando qualche potente ha qualcosa da perdere. Quindi,
per le sorti detentive del compagno Alfredo Cospito, c’è poco da sperare nella
malattia di Nordio. D’altronde Alfredo non è ricercato per reati di
pluriomicidio su persone in condizione di minorata difesa (detenuti nelle
carceri che il generale amministrava, reclusi principalmente per aver tentato
clandestinamente la fuga dagli orrori e dalla miseria dei luoghi d’origine), non
è accusato di sevizie e stupri, praticati con maggior sadismo su prigionieri
accusati d’ateismo od omosessualità, finalizzati all’estorsione, non è capo di
bande di miliziani al soldo di potere e denaro. Soprattutto, non è accusato di
aver fatto questo e altro al servizio dell’imperialismo italiano, internando e
torturando i rifugiati in nostra vece e combattendo la propria parte di guerra
civile per le fazioni sponsorizzate dal nostro Paese e dall’Eni.
Alfredo è, invece, un anarchico che crede, come credono gli anarchici, che un
po’ di giustizia, differente da quella comunemente chiamata legge, si possa
realmente portare in questo mondo dannato, affetto da logiche di predominio. Per
questo ha rivendicato di aver gambizzato, in una splendida mattina di maggio del
2012, uno tra i massimi dirigenti del nucleare in Italia. Alfredo è un anarchico
e come gli anarchici, come la compagna Anna Beniamino, non si fanno piegare da
uno Stato che prima li accusa e poi li condanna con capi d’imputazione
totalmente sproporzionati, come quello di “strage politica”, rimanendo a testa
alta e, seppur sottoposti a un processo farlocco, ribadendo attraverso
dichiarazioni spontanee la vera natura stragista dello Stato italiano.
Alfredo, quindi, non è un leader e non ricopre ruoli apicali. Gli anarchici capi
e gerarchie non ne hanno. È solo un uomo coerente in un mondo nel quale la
coerenza fa paura.
Per questo Alfredo non godrà delle amnesie selettive dei potenti. Per tirarlo
fuori dal 41 bis serve la nostra determinazione.
Source - il Rovescio
cronache dallo stato di emergenza
Riceviamo e diffondiamo questa presa di posizione dalla manifestazione dello
scorso 13 settembre contro la Leonardo a Ronchi dei Legionari (Ud):
CONTRO LEONARDO, IL SISTEMA-GUERRA E I SUOI SERVI
Non è necessario indossare l’uniforme, la tenuta anti-sommossa e il distintivo
(e/o il borsello) per appartenere allo schieramento degli apparati di controllo
e repressione dello Stato, è sufficiente esercitare una certa funzione
“pubblica” e soprattutto esprimerne insieme la legittimità.
Può bastare un tesserino di giornalista.
Ma cosa fanno questi “professionisti dell’informazione che spesso operano in un
clima di tensione”? Ti piantano in faccia le loro arroganti telecamere e quando
cerchi di spiegare loro che non possono farlo contro la tua volontà e che no
vuol dire no, si appellano alla legge che loro rispetterebbero e continuano
imperterriti a mancarti di rispetto, poi quando la contestazione al loro operato
diventa collettiva, allora si lamentano e invocano conseguenze penali per chi ha
osato contestarli. Ecco, questi difensori della libertà di parola e della
democrazia, svolgono una precisa funzione, quella di servi dello Stato.
E infatti sono sempre pronti a consegnare alla Digos i loro filmatini (alla
faccia della libertà di espressione e di opinione!).
E infatti, anche in occasione di questa mobilitazione contro la Leonardo spa di
Ronchi e in solidarietà con la Resistenza del popolo palestinese contro il
genocidio portato avanti dallo Stato di Israele, mobilitazione auto-organizzata
da parte di varie realtà del territorio riunite nell’Assemblea no Leonardo,
senza partiti, padrini e né padroni, chi intercettano questi campioni
dell’informazione?
Politicanti d’assalto che si fanno largo e per avere il loro momento di
visibilità “radicale” e si permettono valutazioni sulla mobilitazione
confrontandola con quella del dicembre 2023, notabili riformisti, mitomani
provocatori in odor di sionismo. Chiunque pur di non andare al cuore delle
questioni, chiunque pur di sminuire e stigmatizzare le proteste e di mantenere e
difendere lo schifo esistente.
E infatti, a titolo di esempio paradigmatico, che cosa hanno fatto questi
sinceri professionisti, millantatori dell’attività di informare, durante le
stragi nelle carceri italiane dell’8-9 marzo 2020? Naturalmente hanno riportato
solo le versioni dei carcerieri, questo sanno fare i servi del potere e questo
fanno!
Non possiamo non rispondere al comunicato della Rai del Friuli-Venezia Giulia
perché non porre argine alla falsificazione degli avvenimenti si tradurrebbe per
noi in una accettazione delle manipolazioni ai nostri danni e nel consentire al
trionfo della passività sul mondo e siccome non siamo un ammasso di docili pezzi
di carne inerti in attesa di essere macinati per gli spettatori, ci rivoltiamo.
Riportiamo le parole del giornalista inviato di guerra Chris Hedges dal blog
Invicta Palestina:
“I giornalisti occidentali sono complici a pieno titolo del genocidio.
Amplificano le menzogne israeliane che sanno essere menzogne, tradendo i
colleghi palestinesi che vengono calunniati, presi di mira e uccisi da Israele”.
Usigrai, RAI, coordinamento CdR della RAI regionale FVG, hanno manifestato
solidarietà attiva nei confronti degli oltre 250 giornalisti palestinesi uccisi
a Gaza da Israele?
Nella tragedia di Pasolini I Turcs tal Friûl, scritta a ridosso del 1945 e
ispirata alle invasioni turche del ‘500, le persone di una periferia remota e
dimenticata discutono ed elaborano piani di autodifesa di fronte al pericolo
imminente di un’invasione e alla prospettiva di una minaccia concreta al loro
vivere quotidiano. Emergono due atteggiamenti, l’uno rinunciatario e rassegnato,
l’altro combattivo e vitale, destinato a soccombere. Sono personificati nei due
fratelli Colùs, Pauli e Meni, il secondo andrà a combattere e non ritornerà,
come un eroe tragico, e i turchi alla fine risparmieranno misteriosamente il
villaggio.
Partecipare al corteo di Ronchi del 13 settembre ha fatto pensare ai turchi in
duplice senso, nel primo, alla lettera, ovvero nel fatto che nei prossimi mesi
dallo stabilimento Leonardo di Ronchi usciranno droni micidiali concepiti in
Turchia dalla Baykar; nel secondo, più allegorico, ovvero che questo fatto non
viene percepito in loco come un pericolo imminente, come una minaccia concreta
alla comunità, ma si preferisce una pseudo-normalità fatta di quieto vivere.
Allo stesso modo questo atteggiamento di pseudo-normalità si è riproposto anche
in alcune componenti che hanno partecipato al corteo del 13 settembre, quelle
“istituzionali-pacifiste”, che non perdono occasione per prendersi uno spazio di
parola, sottraendolo agli altri. Quello spazio che faticosamente si è cercato di
costruire, con la ricerca e l’agitazione, nei pochi mesi trascorsi da quando è
scaturita, tra i collettivi e le individualità che si sono incontrati, la
proposta di fare qualcosa. Allo stesso modo, cioè con fatica, gli interventi al
microfono e gli slogan lanciati durante il corteo hanno voluto esprimere ai
residenti lo sgomento e la paura, oltre che il merito, oltre a denunciare il
fatto cioè che il tessuto industriale della zona si sta rapidamente rivolgendo
verso il settore difesa e il dual-use1; ma insieme a ciò hanno voluto esprimere
anche una scelta chiara, quella di reagire al fatalismo.
Ci è rimasto impresso un aneddoto di un compagno, molto istruttivo. Ai tempi
delle lotte antimilitariste alla base NATO di Comiso nei primi anni ‘80, il
prefetto di Ragusa lo fece prelevare dalla polizia con altri compagni, si
informò sulle loro intenzioni. Alla risposta che volevano entrare nella base per
distruggerla, il prefetto rispose che “Se venite con la gente, potete farlo, se
siete da soli, non ve lo consiglio”2.
Il prezioso suggerimento, per non soccombere, è quello di prepararsi,
concretamente, con il ragionamento e con l’azione.
Udine 18 settembre 2025
Qualcuno che c’era
1Adriatronics cambia proprietà, salvi trecentotrenta posti di lavoro, “Il
Piccolo”, 12/9/25; Difesa, fra Trieste, Pordenone e Gorizia in “distretto” del
militare, “Tgr Rai Friuli Venezia Giulia”, 31/7/25. Sono solo due esempi
eclatanti.
2A.M.BONANNO, Errico Malatesta e la violenza rivoluzionaria, Trieste, 2023,
pp.51-52
Qui le solite parole vuote di condanna, stavolta da parte di Usigrai, RAI FVG e
compagnia cantante:
https://www.rainews.it/articoli/2025/09/rai-condanna-aggressione-giornalista-tgr-friuli-venezia-giulia-maurizio-mervar-036a3a1b-7173-4a2d-be52-1e4071e36313.html
Riprendiamo da Invicta
Palestina, https://www.invictapalestina.org/archives/58157
Gaza Inc: dove il genocidio è testato in battaglia e pronto per il mercato
GAZA È DIVENTATA LA VETRINA DI TEL AVIV PER LO STERMINIO PRIVATIZZATO, DOVE
AZIENDE TECNOLOGICHE, MERCENARI E FORNITORI DI AIUTI UMANITARI COLLABORANO IN UN
MODELLO SCALABILE DI GENOCIDIO INDUSTRIALE VENDUTO AGLI ALLEATI IN TUTTO IL
MONDO.
Fonte: English version
Di Aymun Moosavi – 12 settembre 2025
Lo Stato di Occupazione Israeliano ha trasformato la sua guerra contro i
palestinesi in un’Industria di Uccisioni privatizzata. Gaza è il luogo in cui
aziende tecnologiche, mercenari e giganti della consulenza orchestrano
sorveglianza, sfollamenti e Uccisioni di Massa a scopo di lucro. Oltre a essere
una Guerra Coloniale, è anche un prototipo per l’esportazione globale di
Sterminio su scala industriale, riconfezionato come innovazione in materia di
sicurezza. Basato sui dati e incentrato sul profitto, questo modello, testato
oggi sui palestinesi, sarà implementato altrove domani. Un numero crescente di
aziende private opera ora come la mano invisibile del Genocidio. I loro servizi
spaziano dall’identificazione di obiettivi per attacchi aerei all’ingegneria
della Carestia e alla facilitazione degli sfollamenti di massa.
Gaza è il luogo dove il genocidio incontra il capitalismo
Dall’inizio degli anni 2000, le compagnie militari private si sono profondamente
insinuate nell’economia bellica. Aziende come Blackwater (ora Academi) e Dyncorp
International hanno segnato un cambiamento fondamentale, assumendo ruoli
tradizionalmente ricoperti dalle forze armate nazionali.
Inizialmente concentrate sulla sicurezza e sulla logistica in Iraq e
Afghanistan, queste aziende hanno ampliato le loro operazioni, fornendo supporto
operativo e agendo come attori chiave nelle zone di guerra di tutto il mondo,
comprese alcune parti dell’Africa, dello Yemen e di Haiti. L’ironia è evidente:
gli Emirati Arabi Uniti sono diventati un nuovo polo per queste compagnie
militari private, che trovano rifugio nello Stato del Golfo, dove i mercenari
ricevono privilegi speciali dalle autorità locali.
Le aziende private si sono evolute da appaltatori distanti ad agenti di guerra
attivi, operando impunemente. Questo ha gettato le basi per il modello attuale,
in cui il personale non militare influenza i risultati politici senza limiti o
regolamentazioni. Un ulteriore livello di supporto proviene dalle organizzazioni
non profit private. Un recente rapporto rivela come organizzazioni statunitensi
come gli Amici Americani della Giudea e della Samaria e gli Amici di Israele
sfruttino il loro status di esenzione fiscale 501(c)(3) per convogliare
donazioni direttamente alle operazioni militari e agli insediamenti israeliani.
Questi gruppi forniscono attrezzature come droni termici, caschi, giubbotti
antiproiettile e corredi di pronto soccorso a unità come la 646a Brigata
Paracadutisti, anche all’interno di Gaza. Oltre alla logistica, sostengono
Progetti di Insediamento, fanno pressioni per l’annessione della Cisgiordania
Occupata, gestiscono campagne educative per promuovere la sovranità israeliana e
supportano gli sforzi militari in Libano contro Hezbollah.
L’emergere dell’Intelligenza Artificiale ha ampliato la gamma di attori di
guerra accettabili, aprendo nuove e redditizie opportunità nella sorveglianza e
nella raccolta di informazioni. Israele ha abbracciato questo modello, ma lo ha
applicato con agghiacciante precisione. La sua Unità d’élite 8200, il cervello
digitale dello Stato di Occupazione, ha fuso la sorveglianza militare con la
tecnologia aziendale per creare il primo Genocidio al mondo assistito
dall’Intelligenza Artificiale. Strumenti come Lavanda e Vangelo ora analizzano
le comunicazioni palestinesi, utilizzando il riconoscimento dialettale e i
metadati per generare automaticamente Liste di Uccisioni.
Questi strumenti, focalizzati principalmente sui dialetti arabi, sono stati
progettati per monitorare i palestinesi e altre popolazioni di lingua araba.
Aziende come Palantir, Google, Meta e Microsoft Azure avrebbero facilitato
questi progetti, contribuendo allo sviluppo di Lavanda e di altri sistemi di
sorveglianza. Gli Stati del Golfo, in particolare l’Arabia Saudita, investono in
aziende tecnologiche di sorveglianza globale che alimentano la Macchina del
Genocidio.
Con i sistemi di Intelligenza Artificiale che decidono chi vive e chi muore, il
confine tra comando militare e algoritmo aziendale è praticamente svanito.
L’infrastruttura stessa dell’Occupazione israeliana, dalla sorveglianza
all’assassinio, è stata esternalizzata, semplificata e venduta.
Dalle armi testate in battaglia all’Apartheid algoritmico
L’economia israeliana si basa sul capitalismo militarizzato. I suoi 14,8
miliardi di dollari (12,6 miliardi di euro) di vendite di armi solo quest’anno
sono sostenuti da una strategia commerciale tanto cinica quanto efficace:
“Testati in Battaglia” sui palestinesi. Un esempio lampante è l’armamento di
Smartshooter, un’azienda israeliana, fornito dall’esercito britannico da giugno
2023 in un accordo da 4,6 milioni di sterline (5,3 milioni di euro). La
tecnologia di Smartshooter è stata utilizzata dall’unità d’élite Maglan e dalla
Brigata Golani dell’Esercito di Occupazione durante l’assalto a Gaza.
Il giornalista Antony Loewenstein, citato da Declassified UK, ha dichiarato:
“Smartshooter è solo una delle tante aziende israeliane che testano le proprie
attrezzature sui palestinesi occupati. È un’attività altamente redditizia e il
Massacro a Gaza non ne rallenta il commercio. Anzi, sta aumentando a causa
dell’attrazione di molte nazioni verso il modello israeliano di sottomissione e
controllo”.
Oggi, il settore delle armi e quello della tecnologia israeliani sono
indistinguibili. Programmi di sorveglianza, Liste di Uccisioni basate
sull’Intelligenza Artificiale e sistemi di puntamento automatizzati sono
confezionati insieme a fucili e droni. La guerra è diventata un laboratorio per
l’innovazione tecnologica, trasformando Gaza in un laboratorio dove si
perfeziona il Genocidio privatizzato. Questa fusione ha permesso a Tel Aviv di
industrializzare la sua Occupazione, creando un sistema modulare di
sottomissione esportabile a livello globale. Quella che è iniziata come la
militarizzazione della tecnologia si è trasformata in qualcosa di molto più
pericoloso: la tecnologizzazione del Genocidio.
Modello israeliano di genocidio
Il Modello Israeliano di Genocidio ha acquirenti internazionali. Un recente
titolo di Haaretz, “Perché il futuro della difesa israeliana risiede in India”,
ha evidenziato i reciproci vantaggi del partenariato di difesa tra Israele e
India. Per Tel Aviv, riduce la dipendenza dall’Occidente, mentre l’India
acquisisce una certa influenza strategica nell’Asia Occidentale. Tra il 2001 e
il 2021, l’India ha importato tecnologia di difesa israeliana per un valore di
4,2 miliardi di dollari (3,6 miliardi di euro), inclusi droni avanzati e
componenti militari.
Più di recente, l’Europa è diventata il principale acquirente di armi di
Israele, arrivando a rappresentare fino al 54% delle esportazioni totali nel
2024. Sulla scia della Brexit e dell’imprevedibilità dell’amministrazione del
Presidente statunitense Donald Trump, la Gran Bretagna, in particolare, ha
rafforzato il coordinamento della difesa con Israele nel tentativo di
riposizionarsi come attore chiave e rilevante in un ordine multipolare. Secondo
alcune fonti, Londra starebbe preparando un accordo da 2,7 miliardi di dollari
(2,3 miliardi di euro) con Elbit Systems, il più grande produttore di armi
israeliano, per addestrare 60.000 soldati britannici all’anno.
Questo rapporto si è approfondito all’inizio di quest’anno, quando è emerso che
un’accademia militare britannica stava addestrando soldati dell’Esercito di
Occupazione, molti dei quali sono stati implicati in Crimini di Guerra durante i
conflitti di Gaza e del Libano. La stessa Elbit fornisce l’85% dei droni
dell’Esercito di Occupazione ed è stata ripetutamente presa di mira dalla
Palestine Action, un’organizzazione non governativa, per il suo ruolo diretto
nei Crimini di Guerra. Londra non solo ha protetto l’azienda, ma ha anche
intensificato le operazioni congiunte.
La Gran Bretagna produce anche il 15% di tutti i componenti dei caccia F-35.
Questi aerei sono stati utilizzati senza sosta nel Genocidio di Gaza, eppure la
loro produzione continua, confermata dai tribunali britannici nonostante le
proteste. Lungi dall’essere neutrale, la Gran Bretagna è parte integrante
dell’Infrastruttura Genocida di Tel Aviv. L’industria delle armi è ormai
diventata un affare globale, che intreccia difesa, tecnologia e oppressione
sistemica. Il Modello Israeliano di Genocidio, che trae profitto direttamente da
questa intersezione, si è diffuso oltre i suoi confini, con alleati
internazionali complici del suo successo.
Aiuti militari, riprogettazione di Gaza
Gli appaltatori privati sono ormai integrati in ogni livello della Macchina
Bellica israeliana, inclusa la sua cinica manipolazione degli aiuti umanitari.
La Fondazione Umanitaria per Gaza, presumibilmente istituita per facilitare gli
aiuti, è stata smascherata per collusione con le Forze di Occupazione,
archiviazione di informazioni e dispiegamento di società di sicurezza private
con zero credenziali umanitarie. Il ruolo delle aziende private si estende ben
oltre la sorveglianza a distanza, infiltrandosi nei meccanismi degli aiuti
umanitari. La Fondazione Umanitaria per Gaza è stata ripetutamente criticata per
aver violato i principi fondamentali della distribuzione degli aiuti, come
l’imparzialità e l’indipendenza. È stata colta a sparare sulla folla, a
raccogliere informazioni e a collaborare con le autorità israeliane,
esternalizzando al contempo società di sicurezza private come Safe Reach
Solutions e UG Solutions, due società di sicurezza private guidate da personale
privo di competenze umanitarie. Recentemente, è stato scoperto che UG Solutions
aveva reclutato membri di una famigerata banda di motociclisti anti-islamici
dagli Stati Uniti. In totale, 2.465 palestinesi sono stati uccisi e oltre 17.948
feriti mentre attendevano gli aiuti umanitari a Gaza, secondo il Ministero della
Sanità di Gaza.
Il problema chiave risiede nel fatto che le aziende private non sono vincolate
dagli stessi parametri etici delle organizzazioni umanitarie tradizionali.
Questa mancanza di regolamentazione consente loro di funzionare come estensioni
dell’Occupazione, promuovendo gli obiettivi di Israele sotto la maschera di
aiuti con scarsa o nessuna responsabilità. Gli aiuti privatizzati non sono
quindi un dettaglio secondario, ma una componente centrale del Modello di
Genocidio Israeliano, che trasforma gli aiuti umanitari in un ulteriore
Strumento di Occupazione.
Terra bruciata
Il piano “Riviera di Gaza” del Presidente degli Stati Uniti Donald Trump e la
visione di espulsione di massa del Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu
si basano entrambi su una completa rivisitazione di Gaza. Il piano postbellico
di Trump richiede una popolazione disposta a trasformarsi in sudditi di un polo
economico, mentre Netanyahu immagina una terra ripulita dai palestinesi, su cui
poter costruire nuovi insediamenti illegali. A differenza del modello imperiale,
il Modello del Genocidio Israeliano richiede la purificazione di una
popolazione, poiché è più facile, e più efficiente, eliminarla che renderla
servile. Questo rende la privatizzazione di una Gaza postbellica non solo
un’opzione, ma una necessità.
Secondo il Financial Times, il Gruppo di Consulenza di Boston, la società di
consulenza statunitense in parte responsabile della creazione della Fondazione
Umanitaria per Gaza, sarebbe stato incaricato di stimare il costo del
trasferimento di Gaza nell’ambito di un più ampio piano di ricostruzione
postbellica. I rapporti evidenziano anche una maggiore dipendenza dai mercenari
statunitensi per gestire il contesto postbellico e controllare il traffico di
armi, dimostrando come sia il modello imperiale che il Modello Genocida
Israeliano dipendano l’uno dall’altro per sostenersi.
Gli aiuti umanitari sono stati determinanti nella realizzazione di questa
visione. I quattro siti di “distribuzione degli aiuti”, descritti dai funzionari
delle Nazioni Unite come “trappole mortali”, sono diventati zone militarizzate,
costringendo i palestinesi a rifugiarsi in enclave ancora più piccole nel Sud di
Gaza, contribuendo direttamente all’obiettivo di sfollamento di Israele. Questo
non è il futuro della guerra. È il presente. E viene costruito, testato e
venduto a Gaza.
Aymun Moosavi è un’analista politica con un dottorato in Studi sui Conflitti
Internazionali conseguito al King’s College di Londra. Il suo lavoro si
concentra sulla Resistenza e la Liberazione nella Regione dell’Asia Occidentale.
Traduzione a cura di: Beniamino Rocchetto
Diffondiamo:
Juan 30 sett. presidio
Riceviamo e diffondiamo:
Riceviamo e diffondiamo:
Solidarietà con tutti i prigionieri rivoluzionari nel mondo. Sostegno alle lotte
sociali con la lotta rivoluzionaria. Manifesto sull’operazione “Delivery”
dell’11 settembre
Diffondiamo un manifesto sull’operazione repressiva dell’11 settembre 2025,
goffamente chiamata “Delivery”. L’operazione, imbastita dalla DDAA di Firenze e
condotta dalla DIGOS, ha comportato due arresti e sei perquisizioni domiciliari
nei comuni di Carrara, Montignoso, Pisa e Sarzana. Un compagno e una compagna si
trovano agli arresti domiciliari restrittivi (ossia con divieto di comunicazioni
e visite), in quanto indagati per “atto di terrorismo con ordigni micidiali o
esplosivi” (art. 280 bis c. p.) e altri reati connessi, in riferimento
all’azione contro il tribunale di Pisa del 21 febbraio 2023 (rivendicata dal
Gruppo di Solidarietà Rivoluzionaria – Consegne a domicilio, aderente alla
FAI-FRI). Per quanto riguarda l’operazione di polizia, invitiamo a leggere il
testo “Arresti e perquisizioni tra Pisa e le Alpi Apuane in relazione
all’attacco contro il tribunale di Pisa nel 2023”, a firma Un paio di
perquisiti, e i seguenti comunicati in solidarietà da parte di vari spazi,
circoli e collettivi.
Sotto i file pdf e png: il formato consigliato per la stampa del manifesto è
l’A3, ma è eventualmente possibile riprodurlo anche in A4 a mo’ di volantino:
PDF: solidarieta-sostegno-manif-delivery
Questo il testo del manifesto:
SOLIDARIETÀ CON TUTTI I PRIGIONIERI RIVOLUZIONARI NEL MONDO
SOSTEGNO ALLE LOTTE SOCIALI CON LA LOTTA RIVOLUZIONARIA
«Lo Stato, compreso quello democratico, è il più grande pericolo per la vita e
la libertà di tutto il vivente. Permette il fiorire del capitalismo garantendo
la stabilità di cui ha bisogno attraverso il sistema punitivo e repressivo.
Tutto e tutti devono sottostare alle sue regole per la difesa del padronato».
Così scriveva il Gruppo di Solidarietà Rivoluzionaria – Consegne a domicilio nel
comunicato sull’azione contro il tribunale di Pisa del 21 febbraio 2023. Un
piccolo ordigno collocato a ridosso di un ingresso secondario del palazzo di
giustizia. Non innescatosi, l’oggetto veniva successivamente disinnescato dalle
forze di polizia. «Non sappiamo se la deflagrazione sia avvenuta, ma ci teniamo
a sottolineare che quest’azione assume un’importanza non da poco: abbiamo
dimostrato che è possibile avvicinarsi ai palazzi del potere e colpire». In
questi casi è il messaggio ciò che conta.
In quei mesi si manifestava impetuoso un intenso movimento di solidarietà
internazionale contro il 41 bis e l’ergastolo ostativo. Alfredo Cospito si
trovava a oltre 120 giorni di sciopero della fame. Inquisitori e polizia
giudiziaria erano al lavoro per ottenere l’ergastolo per lui e per sbarazzarsi
nel lungo periodo di tanti altri anarchici. In quel contesto si pone quanto
avvenuto a Pisa.
In una realtà sociale dove ci si strappa le vesti per sostenere che l’unico
orizzonte possibile è quello degli Stati, del capitalismo e dei loro spaventosi
massacri, c’è ancora chi si batte per una lotta radicale contro lo sfruttamento,
per il disfattismo contro le guerre dei padroni, per l’autonomia di pensiero e
d’azione dell’individuo contro la società della subordinazione e coercizione
tecnologica, per l’abbattimento di ogni potere politico ed economico in favore
della libertà integrale di ciascuno.
«La possibilità di confliggere con questo sistema di oppressione e sfruttamento
viene arginata attraverso la prevenzione, tenendo d’occhio e inserendo in un
sistema di reinserimento sociale asfissiante chiunque non si adegui, e
attraverso i tribunali quando il pensiero si fa azione». Cosa fare contro un
nemico che spontaneamente non farà mai alcun passo indietro? Una cosa almeno ci
appare chiara. Non ci facciamo imbrogliare dai sostenitori della non-violenza e
del pacifismo. Gli oppressi sono sempre in stato di legittima difesa e la
violenza rivoluzionaria è necessaria, indispensabile per aprire delle
possibilità di liberazione, prefigurando la vita senza più padroni e tribunali
per cui ci battiamo.
L’11 settembre un’operazione repressiva si è dispiegata tra le Alpi Apuane e
Pisa: sei perquisizioni e due arresti domiciliari restrittivi, senza possibilità
di comunicazioni o visite. La richiesta della procura era della custodia
cautelare in carcere. Siamo al fianco di Luigi e Veronica, indagati e arrestati
per l’azione contro il tribunale di Pisa e già inquisiti in una precedente
operazione della polizia di prevenzione contro un quindicinale anarchico.
https://www.corriere.it/cronache/25_settembre_17/new-york-cittadini-spiati-06a42191-de0c-4b95-96df-f00f2bd55xlk.shtml
https://www.lindipendente.online/2025/09/12/la-polonia-schiera-quarantamila-soldati-ai-confini-con-russia-e-bielorussia/
https://www.lindipendente.online/2025/09/18/la-commissione-ue-approva-sanzioni-cosmetiche-contro-israele-niente-contro-armi-e-colonie/
Riprendiamo dal blog del collettivo Terra e Libertà un nuovo opuscolo che
ripercorre i legami storici di IBM con guerra, genocidi e apartheid, con
particolare attenzione al ruolo del colosso statunitense nell’olocausto nazista.
Link al testo sul blog di Terra e Libertà
Scarica l’opuscolo in pdf: ibm_def_lettura, ibm_def_stampa
Diffondiamo un articolo pubblicato sul secondo numero di disfare. Ricordiamo che
è possibile ordinare copie del secondo numero scrivendo a disfare@autistici.org
(al prezzo di 4 euro a copia, 3 euro per i distributori dalle 3 copie in su).
Scarica l’articolo in formato pdf: disfare_2_terrorizzare_e_reprimere
Terrorizzare e reprimere
Per dispiegarsi compiutamente e senza remore di sorta, la forza coercitiva dello
Stato democratico necessita di argomentazioni almeno parzialmente plausibili e
condivisibili da parte della cosiddetta “opinione pubblica”. Queste si basano
spesso sul rovesciamento semantico di determinati concetti, affinché la carica
negativa scaturente dal rovesciamento di tali elementi ricada interamente
sull’individuo o sul gruppo da reprimere. È il caso, ad esempio, del concetto di
“terrorismo”. A dispetto della sua origine, ancora oggi pietrificata nella
stessa radice della parola (terror), esso oggi ha poco a che vedere con
l’imposizione del terrore sulla popolazione, ma sembra piuttosto riguardare il
terrore che gli Stati hanno delle popolazioni e degli individui.
Rovesciamenti semantici
Il termine “terrorismo” venne coniato a partire dall’esperienza del Regime del
Terrore, instauratosi nella Francia del 1793, a forza di teste ghigliottinate
secondo le decisioni del Comitato di Salute Pubblica, organo del governo
giacobino allora in carica. I neologismi francesi terrorisme e terroriser,
creati a partire dal latino terror, iniziano a circolare in Europa proprio col
significato – tuttora attestato nei vocabolari – di «azione del potere politico
di incutere terrore nei confronti dei cittadini, attraverso la costrizione e
l’uso illegittimo, indiscriminato e imprevedibile della forza»[1]. Formalmente
ristretto a un periodo di emergenza, il terrore per sua natura tende ad
eternarsi e a divenire definitivo, senza possibilità di mutamento, con una
crescita esponenziale di eccessi e di atti di barbarie. Si tratta in sostanza di
un sistema tirannico che agisce contro il popolo, spargendo trappole per
insidiare ogni passo del cittadino, introducendo una spia in ogni casa, un
traditore in ogni famiglia, un assassino in ogni tribunale. Questo sistema è
perciò un’arte, «l’arte del terrore», praticata da un potere arbitrario e
fortemente concentrato nelle mani di poche persone. Per questa ragione, il
terrore si attaglia meglio a una monarchia, ma in verità può essere praticato
anche da una repubblica: in questo secondo caso, tuttavia, esso si dimostra ben
peggiore, perché rende il popolo indifferente alla libertà e anzi la fa odiare.
Il risultato consiste comunque ineluttabilmente nel dividere l’intera società in
due classi distinte: una minoranza persecutrice che fa paura e una maggioranza
perseguitata che ha paura. Si delineava così, per la prima volta, una
fondamentale presa d’atto: l’esistenza di una divaricazione tra il fine
dichiarato del terrore, ossia punire talune persone o certi gruppi ritenuti
colpevoli di attentare al regime o alla vita sociale, e il fine vero,
scientemente attuato, quello di controllare, mediante la paura, l’intera
società[2].
L’origine del concetto di terrore e terrorismo, dunque, tradisce chiaramente il
fatto di riferirsi ad un metodo di governo, adottato da un regime politico
costituito, rivolto alla repressione del dissenso e al controllo sociale. È
quindi connaturato allo Stato stesso. Col passare degli anni, un capovolgimento
semantico avvenne con il colonialismo europeo. Le potenze europee si servirono
dello stigma legato all’impiego del termine terrorismo contro quelle popolazioni
asiatiche e africane che provavano a ribellarsi alle politiche coloniali di
sterminio e depredazione delle risorse. In alcuni casi l’accusa di terrorismo
aprì la strada a veri e propri genocidi, come avvenne in Namibia per la
popolazione Herero trucidata dall’esercito tedesco[3]. Dietro a simili azioni,
in cui l’intera popolazione, senza alcuna distinzione tra, ad esempio,
combattenti e civili, veniva colpita, stava la concezione e teorizzazione di una
modalità di conflitto integrale ed assoluto. Una modalità che con la prima
guerra mondiale diventerà prassi. Nel 1914, il generale e teorico militare
tedesco Colmar von der Goltz (all’epoca più letto di Clausewitz), nominato
governatore del Belgio, sostenne con chiarezza la necessità di punire
esemplarmente gli atti ostili «non solo per la colpa ma anche per l’innocenza»,
inaugurando la consuetudine di colpire per chilometri i villaggi e i luoghi
abitati attorno alla zona di un attentato. Sorte analoga spettò ai Mau Mau in
Kenya, massacrati dagli inglesi durante gli anni ’50 del secolo scorso. Col
pretesto della lotta al terrorismo divenne possibile anche in questo caso
legittimare metodi terroristici come i campi di concentramento e l’uso
sistematico dell’elettrochoc. Anche il colonialismo italiano non fu da meno nel
dispensare campi di concentramento, stupri di massa e gas nervino in Africa come
nei Balcani. A tal riguardo, possiamo di sfuggita segnalare il processo del
Tribunale Speciale per la difesa dello Stato tenutosi nel 1940 contro 60
sloveni. Essi erano significativamente accusati di un reato associativo con
finalità terroristiche in quanto partecipanti «ad associazioni tendenti a
commettere attentati contro l’integrità e unità dello stato». Col trascorrere
del tempo, dunque, i diversi Stati europei operarono un progressivo
rovesciamento semantico del concetto di terrorismo, che da metodo di governo
utilizzato verso i governati si trasformava in metodo di lotta adottato dai
governati stessi contro le istituzioni e i suoi funzionari.
Ne rappresenta un emblematico esempio la definizione adottata dalla Convenzione
per la prevenzione e repressione del terrorismo, elaborata a Ginevra nel 1937,
secondo cui sono terroristici: «i fatti criminali diretti contro uno Stato e i
cui fini o la cui natura è atta a provocare il terrore presso determinate
personalità, gruppi di persone o il pubblico». Dal terrore generalizzato della
popolazione, sotteso alla nozione primigenia di terrorismo, allo spavento di
qualche personaggio c’è evidentemente un abisso, eppure in questa definizione il
terrore di determinate personalità e quello del pubblico sono considerati
equivalenti. È poi particolarmente significativo che tale definizione sia stata
coniata proprio nel medesimo anno in cui la cittadina basca di Guernica fu
sottoposta a un bombardamento a tappeto a opera dello squadrone volontario
Condor della Luftwaffe (l’aviazione tedesca), supportato dall’aviazione
legionaria italiana. La stampa mondiale diede da subito grande risalto
all’accaduto, sottolineando il carattere terroristico dell’azione bellica
condotta a sostegno delle forze franchiste in lotta contro i repubblicani, in
piena guerra civile spagnola. Il corrispondente del New York Times, George
Steer, mise l’accento proprio sull’intento deliberato di colpire la popolazione
inerme. Scopo dell’azione era «la demoralizzazione della popolazione civile e la
distruzione della culla del popolo basco». Con una simile azione, preceduta da
un analogo raid distruttivo contro la vicina cittadina di Durango ad opera
dell’aviazione legionaria italiana, si inaugurava l’epoca dei bombardamenti a
tappeto contro la popolazione civile, una manifestazione di quella che lo stesso
Steer aveva chiamato la «guerra moderna»: un modo di pensare l’attività bellica
come evento totale. Una volta superata una concezione limitata della guerra come
combattimento regolato fra opposte forze armate e una volta annullata la
distinzione classica fra militari e civili – inevitabile corollario del graduale
imporsi, a partire dagli inizi dell’Ottocento, dell’idea di Nazione – si faceva
del nemico un’entità unica, da colpire in modo indiscriminato, con tutti i mezzi
possibili[4].
Nonostante il progressivo rovesciamento semantico operato a livello
istituzionale, l’originaria concezione del termine terrorismo riusciva comunque
a mantenere talvolta una certa persistenza, senza dubbio in conseguenza del
succedersi di determinati eventi e processi storici, come ad esempio il fenomeno
della decolonizzazione sviluppatosi in Africa durante gli anni ’60 del
Novecento[5].
Tutelare la tranquillità dei pubblici poteri
Nei paesi dell’Europa Occidentale, ed in Italia in particolare, sarà nel corso
degli anni ’70 ed ’80 del Novecento che si compirà il deciso e definitivo
rovesciamento semantico del concetto di terrorismo, con lo scopo di contrastare,
da parte dell’ordine statale, l’insorgenza politica e sociale interna
sviluppatasi in quel medesimo periodo. A partire da tale data, terrorista sarà
sempre e solo chi svolge un’attività finalizzata ad un cambiamento radicale
dell’ordine costituito, cioè tende all’eversione dello Stato. Inoltre, sarà
sempre durante gli anni ’80 che il ribaltato concetto di terrorismo assurgerà
come nuovo termine chiave del lessico politico statale. Infatti, con l’elezione
nel 1981 alla presidenza degli Stati Uniti di Ronald Reagan, riprese decisamente
vigore, proseguendo nel solco già tracciato da precedenti amministrazioni,
l’iniziativa politico-ideologica antisovietica, sostenuta dalla tendenza ad
accrescere fortemente il budget militare e ad attaccare ideologicamente l’URSS
proprio mediante la denuncia del terrorismo come merce sovietica, strumento
d’aggressione ai danni del «mondo libero»[6]. La sottocommissione del Senato sui
problemi del terrorismo e della sicurezza fu un organo fondamentale nel processo
di reificazione del terrorismo, e cioè nella produzione di discorsi finalizzati
alla costruzione di un oggetto a sé stante, ridotto a essenza, dotato di una
propria peculiare autonomia dalla politica e dalla guerra. Nella retorica di
quella sottocommissione, e più in generale della nuova amministrazione, il
terrorismo andava concepito come un fenomeno guidato dall’alto, che promanava da
Stati sponsor che lo stesso Reagan, con un termine destinato ad essere più volte
ripreso in seguito, chiamò Stati canaglia.
Nell’alimentare il processo di autonomia discorsiva della tematica del
terrorismo, un ulteriore punto di svolta sul piano concettuale si ebbe nel 1986
con la pubblicazione del libro Il Terrorismo. Come l’Occidente può vincere,
edito da Benjamin Netanyahu e contenente gli atti di una seconda conferenza
organizzata dal Jonathan Institute di Gerusalemme, cinque anni dopo la prima.
Nella sua introduzione Netanyahu descriveva la situazione politica mondiale come
una lotta in corso tra civiltà e barbarie: nella comunità internazionale –
osservava – c’è un sufficiente consenso circa il ruolo di URSS e OLP nel
supporto al terrorismo internazionale e anche una discreta sensibilità rispetto
al pericolo incarnato dalla Repubblica islamica dell’Iran, ma ciò che manca è
una risposta comune ai terroristi e ai loro sponsor, a causa di un’insufficiente
concettualizzazione del fenomeno. È assurdo – egli affermava – paragonare un
atto terroristico con le perdite di civili in guerra: queste ultime sono
prodotte da atti casuali e involontari, laddove invece nel caso dei terroristi
si tratta di «scelte volute e calcolate». I terroristi di conseguenza non sono
guerriglieri, soldati irregolari che combattono contro forze nemiche molto
superiori, ma impuniti che attaccano obiettivi indifesi.
Fu Edward Said a intuire immediatamente la portata del mutamento concettuale e
d’impostazione contenuto in quelle tesi. Per Said, la definizione di Netanyahu
dipendeva da un assioma a priori: «Noi non siamo mai terroristi; sono loro, i
mussulmani e i comunisti che lo sono […] non importa che cosa abbiano fatto;
loro lo sono e lo saranno sempre». Questa nuova visione tendeva ad obliterare la
storia e la stessa temporalità, nel tentativo di «creare un nemico
essenzializzato, isolato dal tempo, dalla causalità, dalle azioni compiute in
precedenza e quindi a disegnarlo come ontologicamente e gratuitamente
interessato a scatenare il caos». Netanyahu – osservava Said – combatte una
battaglia basata su una visione del mondo che stabilisce che certi fini
ideologici e religiosi richiedano determinati mezzi, tali da comportare lo
sgretolamento di ogni inibizione morale. La giustificazione spuria di combattere
il terrorismo legittima cioè ogni atto di violenza commesso in suo nome. Non si
trattava di un mero dibattito fra intellettuali: nel 1984, al momento della
rielezione di Reagan, il segretario di Stato George Shultz aveva tenuto un
discorso alla sinagoga newyorkese di Park Avenue, incentrato sulla lotta al
terrorismo, in cui aveva proclamato che il tempo della difesa passiva era
finito. Quello che occorreva adesso era un’attiva capacità di colpire per primi
e anche di esercitare pronte ritorsioni, rispondendo agli attacchi terroristici
con la flessibilità necessaria, in una varietà di modalità belliche, scegliendo
luoghi e tempi in cui attaccare. Forte di questa tesi, la seconda
amministrazione Reagan adottò il terrorismo così inteso come nuovo nemico
globale e lo considerò un incentivo per giustificare il terrore come arma di
reazione.
Sul piano istituzionale e formale, sarà poi la risoluzione del parlamento
europeo del 30 gennaio 1997 ad adottare ufficialmente una definizione di
terrorismo in linea con il già menzionato rovesciamento semantico[7]. Inoltre,
nell’indeterminatezza di quali atti concreti siano terroristici, è il movente
ideologico che diventa fondamentale. Non è un caso che l’elenco delle
motivazioni terroristiche segua un ordine crescente di psicologizzazione:
aspirazioni separatistiche, concezioni ideologiche estremiste, fanatismo,
moventi irrazionali e soggettivi. In un crescendo esponenziale, all’indomani
dell’attentato alle Torri Gemelle di New York dell’11 settembre 2001, l’Unione
Europea ha avvertito l’esigenza di elaborare una disciplina sul terrorismo che
imponesse maggiori obblighi agli Stati membri. Veniva così adottata la decisione
quadro 2002/475/GAI (Consiglio Giustizia e Affari Interni dell’UE). Tale
decisione quadro verrà recepita, ed anzi aggravata nella sua valenza repressiva,
dal codice penale italiano con l’introduzione, avvenuta nel 2005, all’indomani
degli attentati alla metropolitana di Londra, dell’art. 270 sexies. Anche questa
definizione si orienta verso la sostanziale tutela dei pubblici poteri. Per la
prima volta però essi sono tutelati non solo da un loro potenziale rovesciamento
rivoluzionario, ma addirittura da possibili influenze e controversie temporanee
su questioni specifiche. In ultima analisi, anche una vertenza sindacale, uno
sciopero, potrebbe essere considerato come un atto terroristico contro l’ordine
costituito.
Il diritto internazionale, svalutando progressivamente l’elemento del terrore,
ha oggi due pesi e due misure per il terrorismo non statale e per quello
statale. Nel primo caso si può essere considerati terroristi persino a
prescindere dall’elemento del terrore, poiché si valorizza la finalità di
destabilizzazione del sistema politico statale o di contrasto di una sua
specifica decisione. Nel secondo caso, il terrore ingenerato manu militari nella
popolazione, attraverso ad esempio un bombardamento aereo di una città, non
basta da solo a qualificare come terrorista uno Stato, perché bisogna dimostrare
che tale stato di terrore fosse il movente principale dell’azione militare[8], e
non un semplice effetto collaterale di tale azione, ancorché previsto e voluto.
Al di fuori dello Stato, il nulla
Il rovesciamento semantico del concetto di terrorismo ha quindi provocato anche
il concomitante rovesciamento del termine indiscriminato. Se infatti
originariamente era lo Stato che terrorizzava l’intera popolazione di un
territorio attraverso atti violenti indiscriminati in vista di un fine politico
o ideologico, ora questi atti vengono addossati ad una parte, grande o piccola,
della popolazione stessa nei riguardi dello Stato. In tal modo, lo Stato prende
il posto della popolazione, sicché gli atti violenti indiscriminati risulteranno
quelli diretti contro gli apparati istituzionali. Dietro ad un tale
rovesciamento emerge l’assunto che la società sia un tutto organico e
monolitico, ed essa coincida necessariamente con lo Stato. Si va ben oltre
l’assolutezza del potere statale rispetto al corpo sociale, giungendo fino
all’assorbimento ed all’assimilazione del corpo sociale nello Stato. In base a
questo assunto, lo Stato diviene principio di intelligibilità di ciò che è, ma
anche di ciò che deve essere. Lo Stato diviene fondamentalmente l’idea
regolatrice di quella forma di pensiero, di riflessione, di calcolo e di
intervento che prende il nome di politica: la politica come mathesis, come forma
razionale dell’arte di governo.
Per edificare e rendere evidente la razionalità e necessità dello Stato, gli si
crea un mito fondante, gli si inventa una tradizione. Sarà il giusnaturalismo a
fornirgliela, nel corso del XVII secolo, proprio in quello stesso arco di tempo
in cui si andava sviluppando ed imponendo nelle scienze una filosofia
meccanicistica[9]. Poco importa che una simile teorizzazione non abbia alcunché
di reale, relativamente alla ipotizzata condizione dello stato di natura, e che
un tale mito fondante non si sia mai verificato in alcun luogo ed in alcun
tempo. La sua rilevanza sta nel fatto che ha avuto – ed ha – la forza di
modificare e modellare la realtà stessa, imprimendo e trasmettendo valori e
costumi funzionali a concetti asimmetrici quali quelli di obbedienza e
dipendenza, su cui lo Stato basa la sua ragion d’essere. In tal modo, un
regicidio, o una qualsiasi azione contro delle personalità o delle strutture
istituzionali, non sarà più diretta a terrorizzare unicamente i regnanti e le
classi dominanti, come sarebbe nelle intenzioni di chi auspica un cambiamento
radicale dell’ordine sociale, bensì potrà essere ascritta quale atto
terroristico indiscriminato, in quanto regnanti e classi dominanti rappresentano
e coincidono con l’intera società. Addirittura, come abbiamo già avuto modo di
vedere, anche una controversia su una questione specifica, tendente ad esprimere
dissenso verso particolari atti riguardanti la sfera economica, politica,
sociale e ambientale, come ad esempio una vertenza sindacale o l’opposizione ad
un progetto infrastrutturale, potranno essere considerati come atti
terroristici, perché tendenti a modificare l’ordine costituito intrinsecamente
immodificabile.
D’altro canto, quale logica conseguenza dell’idea della necessità ed
immutabilità dell’ordinamento statale, un bombardamento a tappeto su un
territorio densamente popolato attuato da uno Stato (ogni riferimento al
genocidio che si sta realizzando nella striscia di Gaza non è per niente
casuale), non sarà considerato un atto terroristico indiscriminato, bensì una
legittima e mirata azione di guerra. Un’azione chirurgica, come da alcuni
decenni va tanto di moda designare i bombardamenti aerei sulle città,
terminologia e concetto che tende a celare e porre in secondo piano i cosiddetti
effetti collaterali, ossia i previsti e voluti massacri di civili, senza i quali
non sarebbe possibile pervenire al reale e principale obiettivo desiderato:
abbattere il morale della popolazione, ossia, ancora una volta, seminare il
terrore.
Nonostante tutti i rovesciamenti semantici descritti, in definitiva quella
statale è la forma archetipica di terrorismo. Il terrorismo è insomma
prevalentemente una pratica di governo. E ciò è sostanzialmente dovuto al fatto
– come efficacemente dimostra il politologo tedesco Ekkehart Krippendorff
nell’opera Lo Stato e la guerra – che lo Stato, soprattutto a partire da quello
formatosi nell’era moderna (XVII secolo) e nelle sue successive declinazioni
quali lo Stato di diritto, lo Stato costituzionale, ecc., è intrinsecamente
legato alla guerra, è essenzialmente uno Stato militare, e le guerre che esso ha
continuamente condotto non sono un fatto secondario, bensì fanno parte della sua
vera essenza. L’apparato militare e coercitivo, strumento di guerra sia esterna
che interna, è la quintessenza dello Stato. Senza tale apparato, lo Stato
perderebbe la sua ragion d’essere. Non è un caso che nel 1919 il sociologo Max
Weber, nel saggio La politica come vocazione, abbia descritto lo Stato come il
detentore del monopolio della violenza. E questa violenza può e deve essere
esercitata sia all’esterno che all’interno del territorio posto sotto il suo
controllo, quindi anche – e aggiungerei soprattutto – contro i propri governati,
siano essi definiti come cittadini, sudditi, schiavi, prigionieri, ecc. Per
garantire la propria sicurezza, lo Stato ha bisogno di effettuare ed organizzare
una sempre più capillare opera di disciplinamento dei propri cittadini al suo
volere, per giungere a quell’acritico consenso generale essenziale ad ogni
ordine costituito. Sorvegliare e punire, come direbbe Michel Foucault,
attualmente declinato nel più consono ed effettivo terrorizzare e reprimere.
Tiravento
[1] Fu il deputato montagnardo Jean-Lambert Tallien, protagonista della caduta
di Robespierre, nonostante fosse stato un suo funzionario incaricato dal governo
giacobino della repressione a Bordeaux, in un importante discorso tenuto alla
Convenzione l’11 Fruttidoro (28 agosto 1794), un mese dopo il 9 Termidoro (26
luglio 1794), a svolgere una prima analisi critica del terrore inteso non come
espressione di un’unica volontà individuale, malefica e mostruosa, ma come un
vero e proprio sistema di governo. Nel suo intervento Tallien (il cui discorso
era stato scritto per lui da Pierre-Louis Roederer, un giurista, economista e
politico moderato) asseriva che il terrore non era il prodotto dell’azione
violenta di una folla in preda alle emozioni, bensì il calcolo deliberato di un
governo assoluto, autocratico, che non rende conto a nessuno dei suoi atti e che
minaccia sistematicamente il popolo.
[2] La spirale di violenza e di paura, una volta innescata, diviene dunque
pervasiva e non risparmia nessuno, neppure i membri dell’apparato repressivo, i
quali diventano essi stessi prigionieri del meccanismo, consapevoli che la paura
che instillano può in ogni momento rivolgersi contro di loro, e raggiungerli.
[3] Il Generale Lothar von Trotha, responsabile del genocidio, commesso fra il
1904 e il 1907, scrisse: «Io credo che la nazione come tale (gli Herero) debba
essere annientata, o, se questo non è possibile con misure tattiche, debba
essere espulsa dalla regione con mezzi operativi ed un ulteriore trattamento
specifico.[…] L’esercizio della violenza fracasserà il terrorismo e, anche se
con raccapriccio, fu ed è la mia politica. Distruggo le tribù africane con
spargimento di sangue e di soldi. Solo seguendo questa pulizia può emergere
qualcosa di nuovo, che resterà».
[4] Il terreno di coltura di una tale concezione era stata la prima guerra
mondiale, ma senza dubbio essa affondava le sue radici in periodi antecedenti,
soprattutto nell’esperienza coloniale tardo ottocentesca, come si è già avuto
modo di accennare. Durante la guerra civile americana, in particolare, si era
realizzata una sorta di circolarità fra i metodi usati dall’esercito
statunitense per sconfiggere il blocco degli Stati confederati e quelli adottati
per piegare la resistenza delle popolazioni “indiane” all’occupazione delle
proprie terre da parte dei coloni.
[5] In una risoluzione dell’Assemblea Generale dell’ONU del 18 dicembre 1972 si
ribadiva solennemente «la legittimità dei movimenti di liberazione nazionale»,
condannando «gli atti di terrorismo statale, compiuti dai regimi coloniali,
razzisti e stranieri». Ed il Comitato speciale per il terrorismo internazionale,
costituito con la suddetta risoluzione, affermava poi che «il terrorismo
individuale è effetto di quello statale, costituendo una risposta violenta della
popolazione civile alla politica statale di oppressione».
[6] Tesi condivisa dal circolo più stretto dei consiglieri del presidente
statunitense, tra cui vi erano esponenti di punta di una nuova generazione di
politici conservatori, come Donald Rumsfeld, Dick Cheney e Paul Wolfowitz,
capace di orientare la politica estera americana nell’epoca di Reagan e che poi
sarebbe divenuta egemone al tempo delle presidenze dei Bush.
[7] Questi rappresentanti dei governi occidentali, sentendosi in fondo
autorizzati dal crollo dell’Unione Sovietica a teorizzare la fine delle
ideologie non capitalistiche e il conseguente esaurirsi della possibilità e
legittimità di qualsivoglia prospettiva rivoluzionaria di cambiamento, in tale
risoluzione affermavano che «costituisce atto di terrorismo ogni delitto
commesso da singoli individui o gruppi attraverso la violenza o la minaccia
della stessa e rivolto contro un paese, le sue istituzioni, la sua popolazione
in generale o contro specifici individui, il quale, motivato da aspirazioni
separatistiche, da concezioni ideologiche estremiste o dal fanatismo, o ispirato
a moventi irrazionali e soggettivi, mira a sottomettere i poteri pubblici,
alcuni individui o gruppi sociali o, più in generale, l’opinione pubblica ad un
clima di terrore». In ultima analisi, in una simile risoluzione, grazie ad un
intenzionale mescolamento di elementi originari ed attuali della nozione di
terrorismo, la tranquillità tutelata è unicamente quella dei poteri pubblici.
[8] Infatti, secondo i Protocolli Aggiuntivi del 1977 alle Convenzioni di
Ginevra del 12 agosto 1949 relative alla protezione delle vittime dei conflitti
armati internazionali e non, sono vietati soltanto «gli atti di violenza o le
minacce di violenza il cui fine principale sia di diffondere il terrore tra la
popolazione civile».
[9] In particolare, ciò si attuerà attraverso le riflessioni di Thomas Hobbes,
lo Stato diviene fonte del diritto e della morale, il suo potere è indivisibile
e congloba in sé anche l’autorità religiosa. Lo Stato è quindi il migliore dei
mondi possibili, anzi è l’unico mondo possibile, è la ratio unica ed assoluta
della civiltà, senza di esso gli esseri umani vivrebbero nell’insicurezza
continua, in una situazione di guerra permanente.
Rendiamo disponibile una versione impaginata dell’articolo Dal Metodo Giacarta
al Metodo Gaza, incoraggiandone riproduzione e distribuzione:
Dal Metodo Giacarta al Metodo Gaza pieghevole
https://www.lindipendente.online/2025/09/16/claudio-citro-41-anni-e-il-terzo-ucciso-in-un-mese-dal-taser-della-polizia-italiana/