Source - il Rovescio

cronache dallo stato di emergenza

Mohamed Shahin è libero!
Apprendiamo e diffondiamo con gioia che, a seguito di numerose proteste anche fuori Torino, Mohamed Shahin è libero! Si tratta ora di non abbassare la guardia e impedirne anche l’estradizione:  https://www.ilpost.it/2025/12/15/mohamed-shahin-imam-torino-rilasciato-cpr/
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Da Carrara: “Cose vecchie, dell’altro secolo?” Fuori Alfredo Cospito dal 41-bis!
Riceviamo e diffondiamo: Divulghiamo il volantino “Cose vecchie, dell’altro secolo?” incentrato sulla reclusione del compagno Alfredo Cospito in regime di 41 bis. Il testo è stato distribuito a Carrara in occasione dell’inaugurazione della mostra “Anarchici” con 25 opere di Flavio Costantini su compagni e azioni avvenute tra fine Ottocento e primi del Novecento. COSE VECCHIE, DELL’ALTRO SECOLO? Ravachol, Émile Henry, Malatesta, Lucetti, Ferrer sono anarchici che, nella storia, hanno unito pensiero e azione, lottando in prima persona per l’anarchia. Flavio Costantini ha raffigurato alcuni momenti di questa nostra storia e una mostra su di loro trova spazio a Palazzo del Medico. Un centinaio di anni dopo, Alfredo Cospito ha anch’esso deciso di unire pensiero e azione. L’amministratore delegato di Ansaldo Nucleare viene ferito a colpi di pistola a Genova nel 2012. Un messaggio contro i produttori di morte, i responsabili del disastro nucleare che verrà. In seguito, una volta entrato in carcere non ha smesso di lottare, di esprimersi per l’azione diretta e rivoluzionaria. Per questo, dopo quasi 10 anni è stato trasferito in regime di 41 bis, con l’obiettivo di metterlo a tacere. Anche in quel momento ha continuato a lottare, insieme a migliaia di compagni (e non) contro questo regime detentivo e contro l’ergastolo ostativo, portando avanti uno sciopero della fame durato 181 giorni. Dentro e fuori le carceri, è stato sostenuto da una marea di azioni, iniziative, manifestazioni. Con la lotta abbiamo impedito una condanna all’ergastolo e messo i bastoni tra le ruote alla macchina della repressione statale che ci riguarda tutti. In primavera si discuterà del rinnovo di questo regime nei confronti di Alfredo. Nessuno merita di stare in galera, nessuno merita la tortura del 41 bis. Dentro e fuori i confini ci chiamano a raccolta per massacrare e distruggere i “nemici”, come hanno già iniziato a fare in Ucraina, Palestina, Sudan… Carceri, regimi speciali e repressione sono l’orizzonte che lo Stato prospetta a chi vorrà disertare e non rispettare la censura e le più ampie politiche di guerra. Le azioni degli anarchici non sono cose d’altri tempi. Siano esse lontane o vicine, sembrano sospese in un tempo tutto loro, illuminando anche le ingiustizie di oggi. Dall’epoca della propaganda con i fatti fino a oggi, “sono parte di un continuum storico che non sparirà; nonostante ci condannino a decadi di reclusione, e persino se ci uccidessero, ci saranno sempre individui e gruppi di individui che sono disposti a rispondere alla brutalità dello Stato e del capitalismo: ciò è inevitabile” (Francisco Solar, 2023). Contro guerra e repressione, occorrono scelte e azioni chiare come ragioni di vita. Carrara, 13 dicembre 2025 Circolo Culturale Anarchico “Gogliardo Fiaschi” Qui il volantino impaginato, seguito da un elenco sintetico di iniziative del Circolo Culturale Anarchico “Goliardo Fiaschi”: volantino 13 dicembre imp
Stato di emergenza
I.A. BASTA! Appello dei docenti contro l’Intelligenza Artificiale “centralizzata” nelle scuole
Riprendiamo da http://terraeliberta.noblogs.org: Rilanciamo questo notevole appello della neonata rete di docenti “I.A. Basta!”. In fondo aggiungiamo una nostra nota critica. Da https://iabasta.ghost.io/primo-appello/ PRIMO APPELLO ALLE COMUNITÀ EDUCANTI D’ITALIA A colleghe, colleghi, madri, padri, alle nostre allieve e allievi di ogni colore, genere, orientamento, provenienza. Noi siamo il prodotto di 35 anni di lotte, dalla riforma Berlinguer al taglio di un anno di istruzione tecnica e professionale, in via di realizzazione da parte del Ministro Valditara. Alcune abbandonate, alcune perse, alcune – per fortuna – vinte. Oggi l’intelligenza artificiale, lasciata in mano a una manciata di miliardari, diviene una minaccia esistenziale alla scuola. Oggi, contro questa I.A., diciamo BASTA! Diciamo che la scuola non è una mensa in cui si consumano i “pasti pronti” preparati dal complesso industriale (e militare) assetato di profitti: la scuola è una cucina e, per fortuna, noi sappiamo ancora cucinare. Noi docenti siamo circa novecentomila appassionate e appassionati professionisti che praticano quotidianamente l’unico ingrediente indispensabile per l’apprendimento e l’insegnamento: LA RELAZIONE UMANA. Per questo facciamo appello alle colleghe e ai colleghi umiliati, sottopagati, derubati da leggi che impongono percorsi a ostacoli e falsi corsi di formazione, tenuti in una precarietà illegale e scandalosa da parte di tutti i governi servi delle imprese EdTech che si sono succeduti in questo paese negli ultimi 35 anni. Colleghe e colleghi: quella che vi proponiamo è l’unica strada per non assistere passivamente all’attacco finale alla scuola della Repubblica, da parte di una cricca che non rappresenta altro che i più biechi interessi privati. Sono quelli che vogliono abolire gli organi collegiali, unica grande riforma democratica della scuola che questo paese abbia conosciuto, quelli che vogliono sottomettere la libertà di insegnamento alle fondazioni private per promuovere una scuola che non fa altro che addestrare schiave e schiavi mansueti. Facciamo appello ai genitori: voi ci affidate ogni mattina le vostre figlie e i vostri figli, perché noi forniamo loro strumenti per trovare la propria strada nel mondo. Unitevi a noi per rigettare questi strumenti di asservimento che cercano di rubare loro il futuro. Ragazze, ragazzi: chi ci governa vuole fare di voi ingranaggi passivi della megamacchina del profitto. Ribellatevi a un futuro di alienazione e miseria! L’adozione passiva dell’I.A. centralizzata, che il ministero vuole imporci, lavora a solo vantaggio di chi la possiede. Contro questo progetto, noi insorgiamo, per il rispetto dell’articolo 33: «L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento. La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi». Perché l’adozione di questa I.A. punta a imporci come personalizzare l’insegnamento, controllando ciò che facciamo nelle nostre aule o come dovremmo “aiutare” le allieve e gli allievi più fragili, con sistemi automatici. Noi abbiamo proposto in ogni sede ai vari governi che adottassero piattaforme libere e tecnologie conviviali per la scuola, come ha fatto – tra gli altri – la Francia. Ma le nostre richieste sono arrivate a orecchie sorde, perché non c’è peggior sordità di quella causata dalla corruzione. Insorgiamo per il rispetto dell’articolo 11: «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali». Perché ripudiare la guerra significa anche ripudiare coloro che la rendono tecnicamente possibile, offrendo strumenti di devastazione sempre più terrificanti come fanno Google, Amazon, Meta, Apple, Microsoft, Palantir, OpenAi. Esattamente come, durante la seconda guerra mondiale, aveva fatto IBM con il regime nazista; violando le stesse norme statunitensi che gli vietavano ogni collaborazione. Qualche pennivendolo avrà già pronto l’editoriale di domani: “Luddisti!”, griderà il titolo, a caratteri cubitali. Rivendichiamo l’etichetta, ma facciamo chiarezza! Gli orgogliosi artigiani di Nottingham usavano ed amavano le tecnologie che si integravano con la società e sollevavano i loro martelli solo contro le tecnologie che distruggevano il lavoro e i legami sociali, minacciando di condannarli a morte per fame. I luddisti erano hacker, prima di farsi machine breaker. Così come loro, all’alba della rivoluzione industriale, anche noi oggi pratichiamo il diritto a scegliere. Chiediamo al MIM il rispetto della Costituzione, il ritiro della “sperimentazione” barzelletta, l’apertura di un tavolo di confronto permanente con i collegi docenti di tutte le scuole del paese, ponendo fine a questo stillicidio di “riforme” approvate senza confronto con chi vive la scuola, alla faccia della presupposta “autonomia scolastica”. Allo stesso modo chiediamo l’abolizione degli algoritmi autoritari che rendono il precariato delle nostre colleghe e colleghi l’ennesima forma di schiavismo. A tutte e tutti chiediamo: Primo: di aggiungere il vostro nome in calce a questa pagina e di far firmare almeno altre due persone insieme a voi. L’unione fa la forza: solo facendo crescere le firme e l’opposizione a questa imposizione potremo raggiungere i nostri obiettivi; Secondo: di rifiutarvi di adottare gli strumenti EdTech per l’I.A. in classe. Nello specifico, e in ordine di importanza, a boicottare e disertare: ChatGPT (OpenAi), Grok (Musk), Gemini (Google), Claude (Anthropic), Perplexity e qualsiasi altro basato sullo stesso schema di funzionamento centralizzato; Terzo: di presentare mozioni come questa (o opzioni di minoranza) nei collegi docenti e consigli d’istituto, impegnandovi a boicottare le I.A. centralizzate e partecipare alla sperimentazione dal basso con tecnologie conviviali (I.A. locali e software free e open source, sotto il nostro controllo). Quarto: compilare il questionario che trovate qui per far sentire cosa ha da dire chi la scuola la fa ogni giorno. Noi siamo coscienti che le nostre speranze sono estreme. Il totalitarismo tecnologico ha dichiarato guerra all’umanità alla cerimonia d’insediamento del governo Trump, il 20 gennaio 2025, chiarendo che non si fermerà di fronte a nulla e che – per i miliardari che sperano di imporlo – «la democrazia è incompatibile con la libertà» (P. Thiel). Per costoro la libertà implica essere liberi di fornire a Israele l’intelligence con cui massacrare oltre 70.000 tra donne, uomini e bambini, portando il terrore fin dentro alle mura di ogni casa, come a Gaza. Chiediamo la tua partecipazione diretta, per appoggiare questo piano di lotta per la libertà di insegnamento, per la crescita democratica delle nostre comunità, una lotta per un futuro degno di essere abitato dalle nostre figlie e dai nostri figli. Dichiariamo che non smetteremo di combattere fino a raggiungimento dei nostri obiettivi, riportando il governo della scuola nelle mani di chi la vive e non permettendo che coloro che pretendono governarci la consegnino al totalitarismo digitale. -------------------------------------------------------------------------------- Questo appello ci ha veramente colpiti. Si tratta infatti, almeno in Italia, della prima presa di posizione collettiva da parte di docenti su un tema tabuizzato e reso indiscutibile: l’utilizzo delle tecnologie digitali nell’educazione scolastica. Conoscendo personalmente diverse e diversi insegnanti critici su questo tema, sappiamo quanto una simile presa di posizione sia controcorrente all’interno del mondo della scuola, dove vige un conformismo particolarmente feroce verso tutti i disertori del progresso tecnologico e del regresso umano e sociale che quello comporta. A colpirci positivamente è poi la precisione con cui sono trattati alcuni temi, dal corretto inquadramento storico del movimento luddista al ruolo dell’Intelligenza Artificiale nelle guerre, a partire dal genocidio della popolazione palestinese. Ciò detto, in questo testo vediamo anche alcuni grossi limiti. Se ci sembra tutto sommato “normale” che dei docenti non critichino il ruolo disciplinante e standardizzante della scuola in quanto tale; e se ci appaiono ancora “normali” i riferimenti alla Costituzione e alla “democrazia in pericolo” da parte di chi non ha una visione anarchica e rivoluzionaria come la nostra… a stranirci di più sono i riferimenti a forme di digitale “alternativo”, e addirittura a sistemi di I.A. “locali” e “conviviali”. Ammesso – e non concesso – che questi esistano, come potrebbero funzionare senza nutrirsi di dati, posto che il machine learning (cioè l’”allenamento” della macchina attraverso informazioni di vario tipo) è alla base di ogni forma di I.A.? Forse ci sfugge qualcosa, ma a noi pare evidente che questi sistemi non potrebbero funzionare senza estrarre e immagazzinare informazioni, riproducendo – su basi magari “locali” e open source – il medesimo esproprio di gusti, gesti, percezioni ecc. di cui nessuna I.A. può fare a meno; oppure che questi sistemi sarebbero costretti a nutrirsi di dati forniti dalla I.A. “centralizzata”. Se la limitazione dell’uso dell’I.A. proposta dagli estensori di questo appello porrebbe almeno un freno all’educazione meccanizzata che viene imposta da «una manciata di miliardari», e che trasformerebbe la scuola in una mera fabbrica di automi, il ricorso al digitale “alternativo” non ne porrebbe alcuno all’avanzata del controllo tecnologico. Che dire, poi, dell’estrazione delle materie prime – quelle terre e metalli più o meno “rari” che per essere ricavati necessitano di scavi devastanti e processi di lavorazione altamente inquinanti, energivori e idrovori, e di lavoratori schiavizzati per ricavarli – se non che nessun tipo di apparecchio informatico può farne a meno? Per quale motivo continuare a condannarsi a questo tipo di dipendenza, quando l’umanità oppressa e sfruttata ha bisogno prima di tutto di acqua potabile, cibo sano, aria pulita, cioè… di autonomia comunitaria? Se è vero che i famigerati “luddisti” non distruggevano tutte le macchine, ma solo quelle che venivano impiegate per devastare il tessuto delle comunità locali e imporre la schiavitù industriale, lo è altrettanto che un filatoio meccanico e un computer non sono la stessa cosa – e che la tecnologia informatica non può semplicemente essere “conviviale”. Mentre auguriamo a queste e questi docenti di proseguire nella lotta, e speriamo di incrociare prima o poi le loro strade, li invitiamo a considerare queste semplici riflessioni. Il sistema tecno-industriale (e statale-capitalistico) non si può riformare: lo si può solo rifiutare finché non si ha la forza per distruggerlo.
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Roma, 13 dicembre: Carcere e guerra. Incontro con Mansoor Adayfi
Riceviamo e diffondiamo: Carcere e guerra, incontro con Mansoor Adayfi SABATO 13.12 H 19 PARCO DELLE ENERGIE – VIA PRENESTINA 175 – ROMA Mansoor Adyfi è un ex prigioniero del campo di concentramento di Guantánamo, dove è stato detenuto per oltre 14 anni senza che fosse mai formulata nei suoi confronti nessuna accusa. Guantánamo è un carcere di guerra statunitense attivo dal 2002, per la lotta al cosiddetto terrorismo, dove vige un perenne stato di eccezione, si opera in condizioni di extra territorialità ed extra legalità, ed i detenuti subiscono torture, privazioni, e una detenzione arbitraria. Nel 2016 Mansoor Adyfi è stato consegnato alla Serbia e ha iniziato una lotta per costruirsi una nuova vita e per liberarsi dalla classificazione di sospetto terrorista. Oggi è uno scrittore ed avvocato ed è l’autore del libro don’t forget us here, lost and found at Guantánamo. A partire dalla sua esperienza di prigioniero a Guantánamo ha pubblicato articoli, rilasciato interviste, partecipato a documentari, programmi radio e podcast. Mansoor Adayfi è inoltre un attivista di CAGE international, organizzazione che sta supportando Prisoners for Palestine. A dimostrazione della censura in vigore verso chi difende la causa palestinese è stata bloccata la spedizione del suo libro in Italia e gli è stato concesso un visto di soli pochi giorni, motivo per il quale potrà tenere un numero limitato di iniziative. Con questo incontro vogliamo approfondire la conoscenza dei dispositivi contro-insurrezionali usati dagli Stati colonialisti per supportare le loro aggressioni. L’utilizzo di questi strumenti viene sempre giustificato tramite la narrazione della “lotta al terrorismo”. Vediamo, ad esempio, come riguardo alla situazione in Palestina i governi occidentali, mentre non compiono alcun atto concreto contro il genocidio attuato da sionisti, sono sempre pronti a delegittimare la resistenza palestinese e a censurare, criminalizzare, reprimere ogni forma di solidarietà verso il popolo palestinese che vada al di la dell’umanitarismo di facciata. L’accusa di terrorismo è quindi sempre pronta per essere utilizzata contro chi sostiene la Palestina. Noi invece vogliamo ribadire che la liberazione dal colonialismo passa attraverso l’autodeterminazione degli oppressi e quindi tramite la lotta che assume la forma della resistenza. Per noi solidarietà verso la Palestina significa quindi dare legittimità alla resistenza, contrastare ogni forma di collaborazionismo con Israele e smascherare tutta la narrazione mistificatoria a partire appunto da quella della ”war on terror” nata dal Patriot Act del 2001 e diffusasi in tutto il mondo. Dobbiamo inoltre considerare come i dispositivi repressivi sperimentati ed utilizzati nei territori colonizzati possono “tornare indietro” ed essere utilizzati per la repressione all’interno dell’occidente. Basti pensare a quel vero e proprio carcere di guerra che è il 41 bis in Italia (utilizzato anche per la repressione politica) ed alle sue analogie con strutture di tortura e annientamento quali Guantánamo; oppure alla detenzione amministrativa usata tanto contro migliaia di prigionieri palestinesi quanto contro i “senza documenti” nei CPR italiani, oppure ai dispositivi di spionaggio, schedatura e controllo, all’utilizzo dell’intelligenza artificiale come strumento poliziesco e militare, che Israele sviluppa grazie alla collaborazione con le università occidentali, sperimenta contro i palestinesi e poi rivende all’estero. Riteniamo importante quindi conoscere questi dispositivi anche per difendersi qui. In particolare in un periodo in cui si manifestano una crescente crisi economica ed una tendenza alla guerra, alimentata da politiche militariste (vedi l’aumento delle spese militari e il ritorno della leva obbligatoria). In questa situazione la normalizzazione del fronte interno, l’aumento di repressione, controllo e censura, l’attacco agli sfruttati, agli esclusi, ai movimenti di lotta è più che probabile. Riteniamo necessario per le classi sfruttate comprendere questa realtà ed attrezzarci per contrastarla. Nel corso di questo incontro parleremo dello sciopero delle prigioniere e dei prigionieri di Palestine Action nelle carceri britanniche. Al momento vi sono sette “Prisoners For Palestine” in sciopero della fame, di cui tre ospedalizzati, ed alcuni di loro hanno annunciato di volerlo portare avanti ad oltranza. Altri trentatré prigionieri si uniranno allo sciopero, uno di loro Sean Midddlebrough ha colto l’occasione di un permesso di qualche giorno per darsi alla macchia ed è al momento irrintracciabile, ha rilasciato dichiarazioni con cui rivendica il suo gesto come il rifiuto di essere «un prigioniero di guerra dello Stato d’Israele in una prigione britannica». Fuori dalle carceri ci sono state manifestazioni di solidarietà, mentre proseguono le azioni dirette contro le aziende legate a Elbit Systems (fabbrica che produce droni e sistemi di sorveglianza) di cui gli scioperanti chiedono la chiusura degli stabilimenti nel Regno Unito. Lo sciopero della fame dei detenuti inglesi ha assunto un carattere internazionale, hanno aderito anche Jakhy McCray negli Stati Uniti (recluso per l’incendio di alcuni mezzi della polizia di New York) e Dimitris Chatzivasileiadis prigioniero in Grecia. Hanno fatto arrivare la loro solidarietà i prigionieri palestinesi e Georges Ibrahim Abdallah. In Italia hanno supportato lo sciopero, con varie modalità di protesta, i prigionieri anarchici Luca Dolce (Stecco) – che ha tenuto uno sciopero della fame dal 8 al 29 novembre – , Juan Sorroche e Massimo Passamani. A dimostrazione che Israele è l’avanguardia della repressione e che nello Stato sionista si sviluppano e sperimentano le pratiche e le tecnologie repressive che in seguito si esportano altrove, parleremo anche dello sciopero dei prigionieri comunisti turchi, rinchiusi nelle celle pozzo. Si tratta di cubicoli di cemento, introdotti recentemente in Turchia come forma di isolamento estremo e di tortura psicologica, e che sono lo stesso tipo di cella che da anni Israele utilizza per annientare i prigionieri palestinesi. In questo contesto affronteremo inoltre la questione della repressione che lo Stato italiano sta conducendo – con crescente aggressività – verso i e le palestinesi e le persone solidali con il popolo palestinese. L’Italia è un paese che nella sua politica estera persegue gli interessi delle proprie multinazionali (ENI e LEONARDO). In Asia occidentale ha da tempo abbandonato politiche autonome ed equidistanti per porsi come piattaforma logistica dell’esercito statunitense e spalleggiare i piani espansionistici dei sionisti, anche facendo lo sbirro per Israele. Tra i vari casi di questa attività poliziesca ricordiamo la condanna di Tarek Didri a 4 anni e 8 mesi di carcere, per avere difeso i manifestanti caricati dalla polizia al corteo del 5 ottobre 2024 di Roma; Ahmad Saled, un richiedente asilo di 24 anni rinchiuso da 6 mesi nel carcere di Rossano Calabro, con il capo di accusa di 270 quinquies (il cosiddetto terrorismo della parola introdotto recentemente), questo per dei semplici video che circolano liberamente in rete e in TV che gli sono stati trovati sul telefonino al momento della richiesta di asilo, che contenevano un invito al popolo arabo a mobilitarsi e scendere nelle strade a fianco dei loro fratelli e sorelle palestinesi; Mohamed Shahin, imam della moschea di S. Salvario a Torino, colpito da decreto di espulsione e trattenuto nel CPR di Caltanissetta, per le sue dichiarazioni a sostegno della resistenza palestinese e dell’attacco del 7 ottobre. Tramite questa iniziativa daremo il nostro contributo alla giornata nazionale di mobilitazione in sostegno ad Anan Alì e Mansour. I tre palestinesi sono sotto processo a l’Aquila con l’accusa di terrorismo internazionale, ma per noi sono persone che hanno giustamente difeso la loro terra dal colonialismo. Il loro è un processo farsa, istruito dalle autorità italiane per esaudire la richiesta di Israele di colpire Anan, storico e dichiarato membro della resistenza della Cisgiordania. Nelle ultime udienze abbiamo assistito alla presenza di funzionari dello Stato sionista in sostegno all’accusa, ovvero i tribunali italiani chiamano i responsabili di un genocidio a testimoniare contro chi lotta contro questo genocidio. Questo odioso atto di servilismo è ben rappresentato dalla dichiarazione, rilasciata in videoconferenza dal carcere di alta sicurezza di Melfi, da Anan: “È successo in passato, e mi sono trovato di fronte a testimoni israeliani, ma era in un tribunale militare israeliano, di fronte alla giustizia militare all’interno di Israele. Ma non mi aspettavo, né attendevo, di dovermi trovare ancora una volta ad ascoltare la testimonianza dell’esercito israeliano che occupa la nostra terra e che pratica la pulizia etnica contro il nostro popolo palestinese, e che il loro Primo Ministro, condannato dalla Corte Internazionale come criminale di guerra, fosse un testimone contro di me in un tribunale italiano. Non so più se mi trovo in un tribunale Israeliano e se vengo processato in base alla legge militare israeliana, e se il pubblico ministero sia israeliano o lavori per conto di Israele. Sarà forse un processo militare israeliano, Israele ha davvero così tanta influenza in Italia?” Si è inoltre tenuta la requisitoria della pubblico ministero la quale, nonostante nel dibattimento non sia mai riuscita a dimostrare nulla delle accuse rivolte ai tre, ha richiesto pesanti condanne, 12 anni per Anan, 9 per Alì, 7 per Mansour. Di fatto queste pesanti pene sono quelle che richiede il codice per le accuse loro rivolte, la questione che si pone è che queste accuse sono infondate. Va inoltre ricordato che in Italia esistono le leggi antiterrorismo (ad esempio l’art. 270 bis ed i suoi derivati) che permettono di infliggere pesanti pene a partire da accuse fumose ed aleatorie, l’Italia in fatto di repressione politica non ha nulla da invidiare a nessuno. Il processo farsa dell’Aquila, è la dimostrazione dell’asservimento della magistratura italiana agli assassini israeliani e della complicità del governo italiano con il genocidio in corso in Asia occidentale. Difendere la Palestina significa anche difendere i Palestinesi in Europa colpiti dalla longa manus di Israele e sostenere il diritto dei palestinesi a difendere la loro terra con i mezzi necessari. Il 13 dicembre si terrà una giornata nazionale di mobilitazione diffusa in solidarietà con Anan, Alì e Mansour. Il 19 Dicembre si terrà al tribunale di l’Aquila un’importante udienza del processo ad Anan, Alì e Mansour. In questà data parlerà la difesa e potrebbe essere emessa la sentenza. Invitiamo da ora tutte e tutti i solidali a partecipare al presidio che si terrà a partire dalle ore 9.30 al tribunale de L’Aquila in via 20 settembre 66.
Iniziative
Stato di emergenza
Pisa, 12 dicembre: Apericena e proiezione di “To kill a war machine”
Riceviamo e diffondiamo: 12/12, ore 18:00 Apericena e proiezione del documentario: TO KILL A WAR MACHINE GARAGE ANARCHICO, Chiassetto S. Ubaldesca 44, Zona San Martino / Pisa Il proseguimento del genocidio del popolo palestinese dimostra che l’indignazione non basta a cambiare le cose. Davanti a questa evidenza donne e uomini decidono di passare alle vie di fatto, per provare a fermare la macchina bellica attaccando padroni israeliani su suolo britannico, opponendo così il proprio spirito di solidarietà alle leggi dello stato. Documentario su Palestine Action, gruppo britannico nato per smantellare l’industria bellica che arma Israele. Ha preso di mira, attraverso l’azione diretta, l’israeliana Elbit Systems, azienda produttrice di droni da guerra e l’italiana Leonardo, avanguardia nostrana in questo settore.  L’ha fatto con blocchi, occupazioni e sabotaggi, portando alla chiusura di alcuni stabilimenti di produzione, colpendo l’indotto a essa legata e portando al disinvestimento da parte di alcune banche. L’efficacia materiale delle loro azioni ha portato il governo britannico ad applicare contro di loro le leggi antiterrorismo. Attualmente sono 33 i prigionieri di Palestine Action rinchiusi nelle carceri britanniche in attesa di un processo, senza la possibilità di uscire su cauzione, con censura della posta. Dal 2 novembre alcuni di essi hanno iniziato uno sciopero della fame per ottenere la fine di queste condizioni detentive oltre alla chiusura di Elbit Systems. Solidarietà con loro e con tutti i prigionieri che a livello internazionale hanno aderito e stanno aderendo allo sciopero. Terrorista è lo stato.
Iniziative
Chi devasta è lo Stato, chi saccheggia è il capitale. Sull’operazione “Ipogeo” in Sicilia
Riceviamo e diffondiamo: CHI DEVASTA È LO STATO, CHI SACCHEGGIA È IL CAPITALE All’alba di giovedì 20 novembre è scattata l’operazione Ipogeo orchestrata dalla Procura di Catania, con perquisizioni a Catania, Palermo, Messina, Siracusa e Bari. Per tre delle sedici compagnx inquisitx è stata disposta la detenzione in carcere come misura cautelare. I fatti contestati riguardano quanto accaduto durante il corteo di Catania dello scorso 17 maggio contro il Decreto Sicurezza. Interruzione di pubblico servizio, imbrattamento, lesioni personali, rapina e devastazione e saccheggio, queste le principali accuse che la Procura muove ai sedici compagnx. Il recupero di devastazione e saccheggio, reato introdotto nel ventennio fascista con il Codice Rocco e rispolverato e sdoganato dal G8 di Genova in poi, è del tutto strategico. La sua estrema ambiguità ne permette l’applicazione nei contesti più disparati facendone deterrente perfetto per cortei e manifestazioni che non intendono rientrare nei recinti della concertazione, che non si accontentano di mere passeggiate e anzi esprimono nelle strade un saldo antagonismo politico. Inoltre, la severità delle pene (dagli otto ai quindici anni) che questo reato prevede lo rende strumento ideale per terrorizzare e reprimere la conflittualità. A rendere il quadro ancora più tetro contribuisce l’uso diffuso del dispositivo del concorso in reato, anch’esso largamente elargito a buona parte delle compagnx inquisitx nell’Operazione Ipogeo. Si tratta di un articolo del Codice penale che colpisce chi si ritiene concorrere materialmente o moralmente al reato contestato, prevedendo la stessa pena di questo. Per la Questura e la stampa è stata l’ennesima occasione per rivomitare all’opinione pubblica la solita retorica dei buoni e dei cattivi. Ci ripetono che chi mette in campo pratiche che eccedono il recinto della legalità è un infiltratx che inquina le lotte giuste, quelle ben perimetrate dei sinceri democratici, e va quindi isolatx. Il corteo al centro dell’operazione, che ha attraversato Catania passando sotto il carcere di Piazza Lanza, si opponeva al Decreto Sicurezza, l’ennesimo strumento con cui Stato e padroni si armano nella guerra interna contro oppresse e sfruttati. Il cosiddetto Decreto Sicurezza, divenuto legge a giugno, con il suo nauseabondo insieme di nuovi reati e aggravanti prevede sempre più carcere per gli esclusx e per chi si ribella allo stato di cose presenti. Contro queste misure le compagnx arrestatx e inquisitx si sono oppostx e per questo sono statx colpitx dalla repressione. È fondamentale ora non lasciarlx solx mostrando vicinanza, supporto e solidarietà. Dove il livello dello scontro si abbassa, la repressione ha campo libero. Di fronte alla stretta repressiva l’unico modo che abbiamo per resistere non è piegarci alle regole della controparte, ma dare forza e nutrire le nostre pratiche reagendo all’isolamento. Anche le recenti piazze in solidarietà alla resistenza del popolo palestinese lo hanno dimostrato: non accettare le limitazioni imposte dal nuovo Decreto Sicurezza rende più difficile allo Stato e ai suoi gendarmi applicarne il contenuto. L’UNICO INFILTRATO È LO STATO! ADESSO E SEMPRE SOLIDARIETÀ! BAK, LUIGI E ALE LIBERX! Per il supporto ai compagni scrivi a vumsec@canaglie.net
Stato di emergenza