
Il vero modello Caivano è la fabbrica degli operai
Osservatorio Repressione - Friday, April 25, 2025La Wbo Italcables festeggia dieci anni come cooperativa. L’azienda che produce cavi d’acciaio era fallita ma l’hanno rimessa in piedi i lavoratori, all’inizio rinunciando a metà stipendio. In un luogo che è diventato il simbolo delle politiche securitarie del governo Meloni, una storia di riscatto reso possibile dalla solidarietà
di Luciana Cimino da il manifesto
Ha appena festeggiato i dieci anni. Il 23 aprile del 2015 la Wbo Italcables di Caivano si è costituita in cooperativa di lavoratori, rilevando la fabbrica siderurgica in fallimento. Wbo sta per infatti per workers buyout e cioè dipendenti che impegnano i propri risparmi per salvare l’azienda in cui lavorano. Mentre Italcables si legge come è scritto perché «negli anni ‘60 il fondatore non conosceva la pronuncia corretta in inglese», raccontano oggi gli operai.
Il decennale non è la sola data che festeggiano con le loro famiglie: c’è l’anniversario della prima bobina lavorata, «il 19 settembre, a San Gennaro e non è un caso, abbiamo comprato lo spumante al centro commerciale qui vicino – racconta Gaetano Esposito – un momento che ancora mi commuove». C’è anche la data che ricorda «la copertura della cicatrice». Racconta Luigi Posillipo, che oggi guida il reparto manutenzione, «la macchina principale, al centro dello stabilimento, era stata venduta e per noi i solchi sul pavimento che aveva lasciato rappresentavano una cicatrice.
Dovevamo ricomprarla e metterla nello stesso posto: è stato un traguardo simbolico». E poi il giorno in cui sono tornati a lavorare tutti per l’intera settimana lavorativa. «Non abbiamo fatto alcuna selezione tra i lavoratori – spiega Matteo Potenzieri, presidente della cooperativa – anche se i primi tempi non c’era lavoro per tutti. Una volta partiti con il contratto di solidarietà abbiamo fatto un accordo interno: lavoriamo meno per lavorare tutti.
Abbiamo cominciato con tre giorni a settimana, tagliandoci lo stipendio, poi siamo passati a quattro e ci sembrava già una conquista». Il segno che finalmente potevano tirare un sospiro di sollievo e, guardandosi indietro, dirsi che ne era valsa la pena. La scommessa era di quelle ad alto rischio, «se il progetto fosse andato male non si saremmo potuti tornare in mobilità, anzi, se non fosse rimasto in piedi almeno due anni avremmo dovuto restituire il prestito – spiega il presidente – ci stavamo giocando tutto, anche l’assegno per vivere».
La crisi della Italcables, che produce cavi d’acciaio per cemento armato e trefoli per l’Alta velocità, non era di prodotto ma finanziaria. Le commesse c’erano, l’azienda era stabile e con i conti in ordine, ma non immune alla crisi del 2008. Lo stabilimento siderurgico era stato realizzato dalla Redaelli Tecna a Napoli a inizio ‘900, Gianluca Naldi ha cominciato a lavorare lì a fine anni 70 e oggi è la memoria storica dello stabilimento. E non c’è memoria campana che non si riferisca in qualche modo alla convivenza con il Vesuvio e con i terremoti. «Dopo quello del 23 novembre 1980 che fece danni importanti alla fabbrica, l’azienda decise di trasferirsi su questo terreno, che ora fa parte del distretto industriale di Caivano». A giugno 2008 la Radaelli viene assorbita dalla Companhia Previdente, società portoghese proprietaria anche l’Italcables di Brescia. La materia prima che usa, l’acciaio ad alto tenore di carbonio, è costosissima, per acquistarla servono scorte monetarie adeguate che, quando arriva la crisi dei crediti, le banche non concedono più, mentre per lo stesso motivo fallivano i loro fornitori e i loro clienti. «Era la tempesta perfetta», spiega Potenzieri. Chiude prima lo stabilimento bresciano, dove resta solo la sede operativa, poi, nel 2013 anche quello di Caivano va in liquidazione. «Quell’anno ogni giorno sotto il ministero per l’Industria c’erano manifestazioni con centinaia e centinaia di lavoratori di grandi fabbriche a rischio chiusura, noi eravamo solo 60, chi ci avrebbe ascoltati?». Decidono comunque di presidiare la fabbrica giorno e notte per «evitare che qualcuno rubasse o danneggiasse le macchine e per non dare l’idea ai possibili acquirenti di uno stabilimento in abbandono», spiegano i lavoratori della cooperativa.
Tuttavia le aziende interessate all’acquisto non si palesano: «Chi voleva solo terreno, chi solo i macchinari, si prospettava una vendita a pezzettini e abbiamo capito che non sarebbe arrivato nessun cavaliere bianco a salvarci», racconta ancora il presidente. Potenzieri frequenta la sede dell’Azione cattolica, lì viene a conoscenza delle cooperative dei lavoratori e della Legacoop che le aiuta a nascere. Condivide lo spunto solo con pochi colleghi («non volevamo illudere tutti per una cosa che neanche sapevamo fosse possibile»), poi cominciano «a fare assemblee con chi ci stava – ricorda Luigi – siamo partiti in 67 portando solo una piccola sintesi del progetto, poi man mano abbiamo cominciato a costruirlo insieme».
Alla fine del percorso erano 51: qualcuno era stato assunto altrove, qualcuno aveva maturato la pensione, «qualcuno non se l’è sentita, era una decisione difficile che coinvolgeva le famiglie». «Ci siamo impegnati, abbiamo studiato tutti a fondo per capire come salvare l’azienda, subendo anche lo stigma di essere meridionali, ci dicevano che volevamo vivere di assistenzialismo solo perché avevamo bisogno della proroga della cassa integrazione». Nel 2015, grazie all’aiuto di Banca Etica e LegaCoop, e alla fine di un lungo percorso con le istituzioni, accompagnati dai sindacati, riescono a rilevare la fabbrica. «Quell’anno aspettavo una bambina, è stata una rinascita completa – racconta Luigi – ma è successo perché eravamo una famiglia e avevamo enorme fiducia nei compagni che avevano avuto l’idea». Gli uffici li hanno messi nello stabilimento e non nell’edificio di fronte, «così non c’è separazione, prima davamo il 100 per cento ora il 115 perché abbiamo la responsabilità delle nostre famiglie e di quelle degli altri». «Quando sono entrata nello stabilimento per la prima volta ho avuto un colpo di fulmine – dice oggi Anna Ceprano, presidente di Legacoop Campania- avevano una forte determinazione a riprendersi la dignità del lavoro che gli era stata tolta e c’era una sinergia straordinaria tra colletti bianchi e base operaia».
Le palazzine del Parco Verde si scorgono dalla strada per arrivare alla zona industriale. «È questo il vero modello Caivano – nota Ceprano – quello della centralità del lavoro, della possibilità di riscatto, non quello della militarizzazione delle periferie». In questi 10 anni gli operai della Wbo Italcable non hanno mai smesso di diminuire l’impatto ambientale e migliorare la qualità del prodotto, «stiamo investendo, l’età avanza e noi speriamo di andare in pensione, qualcuno dovrà prendere in mano questo stabilimento e andare avanti per altri 40 anni, speriamo che ci ricordino come persone che qualcosa di buono per gli altri l’hanno fatta». Nei mesi scorsi Matteo Potenzieri è stato candidato a Cavaliere del lavoro dai suoi compagni :«Chi più di lui si merita questo titolo».
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