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Naufragio dei bambini, ecco le motivazioni che inchiodano l’Italia
Pubblicata la sentenza d’appello contro i due ufficiali imputati per il “naufragio dei bambini”. L’11 ottobre 2013 morirono oltre 260 persone, 60 i minori. I reati sono prescritti, ma il secondo grado conferma le responsabilità. di Giansandro Merli da il manifesto «L’impostazione giuridica seguita dagli appellanti (…) appare gravemente viziata da una prospettiva per così […]
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Roma: Senza fissa dimora picchiato e arrestato dai carabinieri
Nel quartiere Esquilino di Roma un uomo, senza fissa dimora, è stato fermato, picchiato, preso a calci e pugni e posto in stato di fermo dai carabinieri con l’accusa di resistenza a pubblico ufficiale. Il giorno precedente in un’operazione del comune erano state requisite e buttate coperte e materassi dei senza fissa dimora del quartiere «Nacol stava facendo pipì dietro un albero quando due carabinieri lo hanno afferrato e strattonato, lui si è divincolato e di risposta ha ricevuto un pugno in testa, è stato scaraventato a terra e un carabiniere gli ha dato un calcio. Poi lo hanno caricato violentemente all’interno di una volante». A raccontare i fatti è Tommaso Monni, attivista di Spin Time Labs, che ha assistito direttamente alla scena avvenuta ieri mattina a Roma, in via Statilia. Il protagonista è un uomo senza fissa dimora, di età avanzata, che staziona abitualmente nella zona. «Nacol è un signore con evidenti difficoltà, la maggior parte del tempo è non verbale, ma non è assolutamente violento. Le azioni dei carabinieri mi hanno fatto molta paura», spiega ancora Monni, che ha costruito un rapporto privilegiato con l’uomo insieme ad altri attivisti dello spazio sociale. I PRESENTI hanno registrato la scena chiedendo alle forze dell’ordine dove avrebbero portato Nacol, «ma abbiamo ricevuto solo risposte aggressive che ci intimavano di smettere di riprendere e di allontanarci, accusandoci di star intralciando la giustizia», racconta l’attivista. Dopo l’arresto i presenti sono rimasti sul posto, e hanno chiesto informazioni ad un’altra volante dei carabinieri su quanto sarebbe accaduto all’uomo.«Ci hanno detto che oggi andrà a processo in direttissima per resistenza a pubblico ufficiale, una ragazza è andata alla caserma di Piazza Dante ma non le hanno voluto dire nient’altro». L’operazione si inserisce all’interno di un più ampio quadro di «bonifica anti-clochard» del territorio: il giorno precedente, in tutto il quadrante Esquilino, sono stati requisiti e gettati tutti i materassi e le coperte appartenenti ai senza fissa dimora della zona. Monni, che ha divulgato l’accaduto, ha contattato la Sala Operativa Sociale del comune di Roma chiedendo che venissero distribuite nuove coperte e denunciando l’evento. «Mi hanno risposto che avrebbero monitorato e che la requisizione rientrava in un’operazione pubblica». LA SALA OPERATIVA non ha però confermato al Manifesto che fosse coinvolto il comune. In un’operazione simile, avvenuta qualche mese fa a viale Pretoriano, erano intervenuti Ama e Polizia municipale. «La soluzione al fenomeno dei senza fissa dimora non è buttare via le loro coperte, e soprattutto non riguarda il decoro cittadino ma la sicurezza sociale. Bisognerebbe fornire soluzioni abitative concrete, non esasperare la marginalità», conclude l’attivista. (fonte il manifesto) > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp  
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Il vero modello Caivano è la fabbrica degli operai
La Wbo Italcables festeggia dieci anni come cooperativa. L’azienda che produce cavi d’acciaio era fallita ma l’hanno rimessa in piedi i lavoratori, all’inizio rinunciando a metà stipendio. In un luogo che è diventato il simbolo delle politiche securitarie del governo Meloni, una storia di riscatto reso possibile dalla solidarietà di Luciana Cimino da il manifesto Ha appena festeggiato i dieci anni. Il 23 aprile del 2015 la Wbo Italcables di Caivano si è costituita in cooperativa di lavoratori, rilevando la fabbrica siderurgica in fallimento. Wbo sta per infatti per workers buyout e cioè dipendenti che impegnano i propri risparmi per salvare l’azienda in cui lavorano. Mentre Italcables si legge come è scritto perché «negli anni ‘60 il fondatore non conosceva la pronuncia corretta in inglese», raccontano oggi gli operai. Il decennale non è la sola data che festeggiano con le loro famiglie: c’è l’anniversario della prima bobina lavorata, «il 19 settembre, a San Gennaro e non è un caso, abbiamo comprato lo spumante al centro commerciale qui vicino – racconta Gaetano Esposito – un momento che ancora mi commuove». C’è anche la data che ricorda «la copertura della cicatrice». Racconta Luigi Posillipo, che oggi guida il reparto manutenzione, «la macchina principale, al centro dello stabilimento, era stata venduta e per noi i solchi sul pavimento che aveva lasciato rappresentavano una cicatrice. Dovevamo ricomprarla e metterla nello stesso posto: è stato un traguardo simbolico». E poi il giorno in cui sono tornati a lavorare tutti per l’intera settimana lavorativa. «Non abbiamo fatto alcuna selezione tra i lavoratori – spiega Matteo Potenzieri, presidente della cooperativa – anche se i primi tempi non c’era lavoro per tutti. Una volta partiti con il contratto di solidarietà abbiamo fatto un accordo interno: lavoriamo meno per lavorare tutti. Abbiamo cominciato con tre giorni a settimana, tagliandoci lo stipendio, poi siamo passati a quattro e ci sembrava già una conquista». Il segno che finalmente potevano tirare un sospiro di sollievo e, guardandosi indietro, dirsi che ne era valsa la pena. La scommessa era di quelle ad alto rischio, «se il progetto fosse andato male non si saremmo potuti tornare in mobilità, anzi, se non fosse rimasto in piedi almeno due anni avremmo dovuto restituire il prestito – spiega il presidente – ci stavamo giocando tutto, anche l’assegno per vivere». La crisi della Italcables, che produce cavi d’acciaio per cemento armato e trefoli per l’Alta velocità, non era di prodotto ma finanziaria. Le commesse c’erano, l’azienda era stabile e con i conti in ordine, ma non immune alla crisi del 2008. Lo stabilimento siderurgico era stato realizzato dalla Redaelli Tecna a Napoli a inizio ‘900, Gianluca Naldi ha cominciato a lavorare lì a fine anni 70 e oggi è la memoria storica dello stabilimento. E non c’è memoria campana che non si riferisca in qualche modo alla convivenza con il Vesuvio e con i terremoti. «Dopo quello del 23 novembre 1980 che fece danni importanti alla fabbrica, l’azienda decise di trasferirsi su questo terreno, che ora fa parte del distretto industriale di Caivano». A giugno 2008 la Radaelli viene assorbita dalla Companhia Previdente, società portoghese proprietaria anche l’Italcables di Brescia. La materia prima che usa, l’acciaio ad alto tenore di carbonio, è costosissima, per acquistarla servono scorte monetarie adeguate che, quando arriva la crisi dei crediti, le banche non concedono più, mentre per lo stesso motivo fallivano i loro fornitori e i loro clienti. «Era la tempesta perfetta», spiega Potenzieri. Chiude prima lo stabilimento bresciano, dove resta solo la sede operativa, poi, nel 2013 anche quello di Caivano va in liquidazione. «Quell’anno ogni giorno sotto il ministero per l’Industria c’erano manifestazioni con centinaia e centinaia di lavoratori di grandi fabbriche a rischio chiusura, noi eravamo solo 60, chi ci avrebbe ascoltati?». Decidono comunque di presidiare la fabbrica giorno e notte per «evitare che qualcuno rubasse o danneggiasse le macchine e per non dare l’idea ai possibili acquirenti di uno stabilimento in abbandono», spiegano i lavoratori della cooperativa. Tuttavia le aziende interessate all’acquisto non si palesano: «Chi voleva solo terreno, chi solo i macchinari, si prospettava una vendita a pezzettini e abbiamo capito che non sarebbe arrivato nessun cavaliere bianco a salvarci», racconta ancora il presidente. Potenzieri frequenta la sede dell’Azione cattolica, lì viene a conoscenza delle cooperative dei lavoratori e della Legacoop che le aiuta a nascere. Condivide lo spunto solo con pochi colleghi («non volevamo illudere tutti per una cosa che neanche sapevamo fosse possibile»), poi cominciano «a fare assemblee con chi ci stava – ricorda Luigi – siamo partiti in 67 portando solo una piccola sintesi del progetto, poi man mano abbiamo cominciato a costruirlo insieme». Alla fine del percorso erano 51: qualcuno era stato assunto altrove, qualcuno aveva maturato la pensione, «qualcuno non se l’è sentita, era una decisione difficile che coinvolgeva le famiglie». «Ci siamo impegnati, abbiamo studiato tutti a fondo per capire come salvare l’azienda, subendo anche lo stigma di essere meridionali, ci dicevano che volevamo vivere di assistenzialismo solo perché avevamo bisogno della proroga della cassa integrazione». Nel 2015, grazie all’aiuto di Banca Etica e LegaCoop, e alla fine di un lungo percorso con le istituzioni, accompagnati dai sindacati, riescono a rilevare la fabbrica. «Quell’anno aspettavo una bambina, è stata una rinascita completa – racconta Luigi – ma è successo perché eravamo una famiglia e avevamo enorme fiducia nei compagni che avevano avuto l’idea». Gli uffici li hanno messi nello stabilimento e non nell’edificio di fronte, «così non c’è separazione, prima davamo il 100 per cento ora il 115 perché abbiamo la responsabilità delle nostre famiglie e di quelle degli altri». «Quando sono entrata nello stabilimento per la prima volta ho avuto un colpo di fulmine – dice oggi Anna Ceprano, presidente di Legacoop Campania- avevano una forte determinazione a riprendersi la dignità del lavoro che gli era stata tolta e c’era una sinergia straordinaria tra colletti bianchi e base operaia». Le palazzine del Parco Verde si scorgono dalla strada per arrivare alla zona industriale. «È questo il vero modello Caivano – nota Ceprano – quello della centralità del lavoro, della possibilità di riscatto, non quello della militarizzazione delle periferie». In questi 10 anni gli operai della Wbo Italcable non hanno mai smesso di diminuire l’impatto ambientale e migliorare la qualità del prodotto, «stiamo investendo, l’età avanza e noi speriamo di andare in pensione, qualcuno dovrà prendere in mano questo stabilimento e andare avanti per altri 40 anni, speriamo che ci ricordino come persone che qualcosa di buono per gli altri l’hanno fatta». Nei mesi scorsi Matteo Potenzieri è stato candidato a Cavaliere del lavoro dai suoi compagni :«Chi più di lui si merita questo titolo». > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp
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Abusi in divisa: “Malapolizia”, la prima mappatura online delle morti per mano delle forze dell’ordine
Quante sono, in Italia, le persone morte durante fermi, controlli o altre operazioni condotte dalle forze dell’ordine? Al netto dei casi più eclatanti, è difficile dirlo perché, a differenza di altri paesi europei, in Italia le autorità si sono sempre rifiutate di rendere disponibili questi dati. Per provare a far luce sulla situazione, “colmare il vuoto istituzionale sul tema e favorire un dibattito a proposito degli abusi in divisa”, il giornalista Luigi Mastrodonato ha ideato Malapolizia, la prima mappatura online dei decessi occorsi in Italia durante le operazioni condotte delle forze dell’ordine. Una mappatura, in continuo aggiornamento, che in molti paesi dell’Unione europea è già realtà, anche in rispetto alle prescrizioni dell’Onu. “Dal 2000 a oggi sono circa 70 i decessi rilevati – scrive sui propri profili social Mastrodonato –  un numero enorme in confronto alle poche storie diventate di dominio pubblico, come quelle di Stefano Cucchi e Federico Aldrovandi. Molti dei decessi riguardano persone di origine straniera, sintomo del problema già più volte denunciato anche a livello internazionale della profilazione razziale delle forze dell’ordine italiane”. Il progetto – che si basa sull’analisi di articoli di giornale, battaglie legali e mobilitazioni sociali – coinvolge realtà e associazioni che si occupano da tempo di abusi in divisa, ma lascia volutamente da parte le morti sospette nelle carceri, offrendo uno strumento di analisi specifica “proprio mentre aumenta la stretta repressiva dell’attuale governo”. Ai microfoni di Radio Onda d’Urto, Luigi Mastrodonato, giornalista esperto di carcere e abusi di potere, collaboratore di Internazionale e altre testate, nonché ideatore di Malapolizia Ascolta o scarica > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp  
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Processo Askatasuna: cade l’associazione a delinquere. una vittoria per le lotte sociali e per chi resiste in questo paese!
Processo Askatasuna. Alle 15.15 è arrivata la sentenza di primo grado: caduta per tutti 16 gli imputati l’accusa di associazione a delinquere“ perché il fatto non sussiste”. Condanne invece per le singole condotte e ipotesi: sono 18 su 28  ed alcune molto pesanti. Il commento a caldo a Radio Onda d’Urto dell’avvocato Claudio Novaro legale degli imputati e imputate Ascolta o scarica e di Ermelinda del Movimento No TavAscolta o scarica seguiranno aggiornamenti   > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp
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Una volta si tiravano i sabot
Émile Pouget ci spiega che, grazie al sabotaggio, il lavoratore dispone di un’arma di resistenza efficace per tener testa allo sfruttatore di Marco Sommariva* È da fine anno scorso che, spesso, mi torna in mente una mia vecchia lettura: Il sabotaggio di Émile Pouget. Per sabotaggio s’intende un’azione volta a ostacolare o ritardare la realizzazione di un progetto o l’effettuazione di un’attività; è un termine che risale alla rivoluzione industriale, a quando i tessitori licenziati danneggiavano i telai a vapore, gettando negli ingranaggi i loro zoccoli di legno, i sabot, appunto. La lettura mi è tornata in mente quando, per esempio, il 20 dicembre dello scorso anno ho letto su L’indipendente che il nuovo Ddl Sicurezza 1660 che il governo italiano aveva fatto approvare alla Camera, restringeva “il diritto a manifestare e a esprimersi pacificamente”; oppure quando, lo scorso gennaio, il Fatto Quotidiano titolava “Il chiodo, il vento e ora l’ombra del sabotaggio: tutte le giustificazioni di Salvini e Fs per tre mesi di guasti alla linea e ritardi dei treni” un pezzo  in cui, fra le altre cose, si scriveva che “Trenitalia rompe gli indugi e presenta un esposto superando a destra qualsiasi spiegazione fornita finora: orari e tipologie di guasti fanno pensare a circostanze altamente sospette”; oppure quando, giorni fa, la rivista Jacobin parlava della mobilitazione di lavoratori e lavoratrici che, il 17 marzo scorso, “hanno organizzato il loro primo sciopero nazionale, particolarmente riuscito. Una lotta atipica, non si vedono molti dipendenti delle catene librarie scendere in piazza contro l’azienda. Anche perché il settore non è particolarmente in forma, i libri hanno un andamento fluttuante ma da qualche anno, dopo il Covid, hanno iniziato a segnare una discesa costante”, uno sciopero nato “per ottenere 1,50 euro di aumento del buono pasto”. Mi fermo qui ma avrei altri articoli, episodi che, negli ultimi mesi, mi hanno riportato alla mente lo scritto di Pouget. Mi fermo qui e vi racconto qualcosa di questo volumetto edito nel 1913 – Il sabotaggio, appunto – opera di uno dei militanti anarchici più rappresentativi del movimento operaio francese, colui che per primo definì l’idea di sabotaggio, un concetto che, sin dal 1897, la Confédération Générale du Travail definirà “ufficialmente” un metodo di lotta sindacale. Pouget ci spiega che, grazie al sabotaggio, il lavoratore è in grado di resistere, non è più alla mercé del capitale, dispone di un’arma di resistenza efficace per tener testa allo sfruttatore: “Con il “boicottaggio” e il suo indispensabile complemento, il “sabotaggio”, disponiamo di un’arma di resistenza efficace che, in attesa del giorno in cui i lavoratori saranno abbastanza forti da emanciparsi completamente, ci consentirà di tenere testa allo sfruttamento di cui siamo vittime. I capitalisti lo devono sapere: il lavoratore rispetterà la macchina solo quando questa sarà diventata per lui un’amica che riduce il lavoro, anziché essere come oggi la nemica, la ruba-pane, l’ammazza-lavoratori”. Il militante anarchico ci ricorda che “la minaccia del sabotaggio spesso può dare risultati altrettanto utili del sabotaggio stesso”, auspica che “il sabotaggio entri a far parte dell’arsenale delle armi di lotta dei proletari contro i capitalisti, allo stesso titolo dello sciopero, e che l’orientamento del movimento sociale abbia sempre più la tendenza all’“azione diretta” degli individui e una maggiore consapevolezza della loro personalità” e ha una certezza, quella che “tutto andrebbe a meraviglia nel mondo capitalistico se gli operai avessero la stessa incoscienza delle macchine di ferro e di acciaio di cui sono i servi e se, come queste, avessero a mo’ di cuore e di cervello una semplice caldaia a vapore o una dinamo”. Pouget riporta un episodio accaduto nel 1908 a Beaford, nell’Indiana (Stati Uniti), che la dice lunga su come l’essere umano può reagire ai soprusi e alle ingiustizie, se si mantiene lucido, se non si lascia addomesticare dai media, anestetizzare dai Social: “[…] un centinaio di operai ai quali avevano appena comunicato che era stata imposta loro una riduzione di salario che ammontava a una dozzina di centesimi l’ora. Senza profferire parola, si recarono in una vicina officina e fecero rifilare i loro badili di due pollici e mezzo. Dopodiché, se ne tornarono al cantiere e risposero al padrone: A paga ridotta, badili ridotti!” Più o meno nello stesso periodo, a Lione “gli addetti ai tram […], per rendere impossibile la circolazione delle vetture con crumiri come conducenti, colavano cemento negli scambi delle rotaie”. Ci sono casi in cui non val la pena ridurre la quantità del prodotto, ma la qualità: “[…] quelli che lavorano a cottimo, se rallentassero la loro produzione, sarebbero le prime vittime della loro stessa rivolta passiva, perché saboterebbero il loro stesso salario. Devono quindi ricorrere ad altri mezzi e devono preoccuparsi di ridurre la qualità e non la quantità del loro prodotto”. Se si tace, si resta passivi di fronte a falsificazioni, sofisticazioni, inganni, menzogne, furti e truffe che costituiscono la trama della società capitalistica, saremmo complici: “È ben certo […] che tante fortune si sono costruite solo grazie al silenzio sulle piraterie padronali mantenuto dagli sfruttati che vi hanno collaborato. Senza il loro mutismo, sarebbe stato difficile, se non impossibile, per gli sfruttatori condurre in porto i loro affari; se ci sono riusciti, se la clientela è caduta nelle loro reti, se i loro profitti sono aumentati a valanga, è grazie al silenzio dei loro salariati”. È necessaria, quindi, la pratica dell’aprir bocca; ci racconta Émile Pouget: “[…] alla pratica dell’“aprire bocca” […] hanno deciso di ricorrere gli impiegati delle società bancarie e della Borsa. In un’assemblea generale […] il loro sindacato ha deciso di adottare un ordine del giorno in cui si minacciava che, se i padroni avessero fatto orecchio da mercante di fronte alle rivendicazioni avanzate, si sarebbe infranto il silenzio professionale, rivelando al pubblico quanto accadeva in quelle tane di ladri che sono le società finanziarie”. Sia chiaro che “il sabotaggio operaio si ispira a princìpi generali e altruistici: è un mezzo di difesa e di protezione contro le estorsioni padronali; è l’arma del diseredato che lotta per la propria esistenza e quella della sua famiglia; mira a migliorare le condizioni sociali delle masse operaie e a liberarle dallo sfruttamento che le soffoca e schiaccia”. Non va dimenticata un’altra pratica spesso sottovalutata, che andrebbe attuata più spesso, l’ostruzionismo: “L’“ostruzionismo” è una tecnica di sabotaggio a rovescio, consistente nell’applicare scrupolosamente i regolamenti, nello svolgere ciascuno la mansione assegnatagli con sapiente lentezza e un’attenzione esagerata”. Questa azione diretta proclama “il senso e l’orientamento dello sforzo che compie la classe operaia nell’assalto che essa conduce, senza tregua, contro il capitalismo” – il virgolettato è un estratto da L’action directe, un testo di Pouget pubblicato nel 1910. Anche se, al giorno d’oggi, lasciare tutta questa responsabilità alla sola classe operaia ha il sapore di un’ingiustizia. Sempre da L’action directe: “L’azione diretta è un concetto di una tale chiarezza, di una limpidezza così evidente, che essa si definisce e si spiega già con la sua enunciazione. Essa significa che la classe operaia, in reazione costante contro l’ambiente attuale, non si aspetta alcunché dagli uomini, dai poteri o dalle forze che le sono esterne, ma che essa crea le proprie condizioni di lotta e trova in se stessa i propri mezzi di azione”. Giustamente, potrebbe essere che qualcuno si stia domandando cosa c’entra questa specie di riassunto de Il sabotaggio e quest’ultimi estratti con gli articoli da me citati a inizio pezzo. Mi credete se vi dico che non ricordo più i corto circuiti che hanno collegato il tutto? Sarà l’età. Fate vobis.   *scrittore sul sito  www.marcosommariva.com tutte le sue pubblicazioni     > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp  
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