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Sardegna: sgomberato il presidio “la rivolta degli ulivi”
Sgombero di polizia in corso questa mattina (20 novembre) a Selargius, nel Cagliaritano, del presidio permanente “La rivolta degli ulivi” sorto per contestare il cavidotto elettrico “Tyrrhenian Link” tra Sardegna e Sicilia. Da mesi un gruppo di attivisti protesta contro gli espropri e in difesa degli ulivi che sorgono nell’area dove Terna s.p.a. vuole invece costruire la futura stazione di conversione elettrica legata al progetto dei cavi sottomarini tra le due isole. Dal presidio “La Rivolta degli ulivi” Radio Onda d’Urto ha sentito Robi Ladu Ascolta o scarica > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp
November 20, 2024 / Osservatorio Repressione
Christian Raimo sospeso per tre mesi dall’insegnamento per aver espresso un opinione
Christian Raimo insegnante e scrittore, è stato sospeso per tre mesi dall’insegnamento, con una decurtazione del 50% dello stipendio, per aver criticato il ministro dell’istruzione Giuseppe Valditara. Il provvedimento disciplinare dell’Ufficio Scolastico Regionale, è stato preso per le critiche di Raimo fatte al ministro del governo, in un dibattito pubblico sulla scuola, alla festa nazionale di Avs. Le studentesse e studenti del liceo Archimede, dove Raimo insegna, hanno deciso di mobilitarsi in difesa del professore: All’ingresso dell’istituto affisso uno striscione con scritto “tre mesi di sospensione per un’opinione“. In questa vicenda si legge con nitidezza tutta la pericolosità della deriva politica reazionaria che stiamo vivendo.   > Critica il ministro Valditara, provvedimento disciplinare per Christian Raimo > La libertà di dissentire è a rischio: solidarietà con Christian Raimo > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp  
November 7, 2024 / Osservatorio Repressione
La privatizzazione della guerra
Un aspetto rilevante  di come la guerra si sia propagata in questi anni non è solo dato dal numero dei conflitti bellici e dall’aumento dei morti civili con l’uso di nuove tecnologie e della intelligenza artificiale, a partire dagli anni novanta è avvenuta una sorta di privatizzazione della guerra con ampio utilizzo di militari di professione al soldo di multinazionali e singoli stati di Federico Giusti Nel corso del tempo, dagli anni novanta in poi, il ricorso a contractors ha rappresentato una via di uscita per affrontare guerre scomode che in seno ai singoli paesi avrebbero creato, utilizzando eserciti regolari, una profonda avversione e per difendere le multinazionali nell’opera di sfruttamento delle risorse depredate nei paesi sottosviluppati. Non è casuale l’accrescimento non solo dei profitti dell’industria securitaria ma anche il diffondersi di sistemi duali nel campo della videosorveglianza dei quali Israele è tra i principali produttori ed esportatori. Gli eserciti privati non sono solo un retaggio della storia medievale ma anche la conferma che l’utilizzo mercantile della violenza istituzionale ha saputo nel tempo adeguarsi ai diversi contesti storici  optando all’occorrenza per molteplici tipologie belliche. Si rende necessaria una analisi diffusa delle numerose aziende di mercenari e dei loro accordi con multinazionali e stati, la esternalizzazione delle funzioni securitarie ha permesso il progressivo ampliamento delle guerre specie laddove ad esempio le compagnie marittime si sono avvalse di contractors per accompagnare navi mercantili nonostante l’Onu vieti espressamente a società private di intervenire nei conflitti o di essere utilizzati contro altri governi. Negli ultimi 40 anni l’agenda neoliberista delle privatizzazioni ha alimentato il ricorso alla guerra e allo stesso tempo gli Stati hanno risparmiato risorse economiche salvando la loro residua credibilità con la delega di interventi militari ad imprese private, esponenti di governo poi, una volta terminati i loro mandati, sono passati alle dirette dipendenze delle multinazionali produttrici di sistemi bellici. In altri casi dirigenti di queste società sono stati chiamati in importanti dicasteri ministeriali Allo stesso tempo c’è stato un vero e proprio esodo di personale formato e addestrato, con elevate competenze verso imprese private favorendo la fuga dal pubblico in cambio di lauti compensi, da qui nasce la volontà dei principali paesi occidentali di riscrivere il sistema delle regole alimentando il ricorso strutturale alla guerra, sia la guerra tradizionale che la guerra affidata a società private     > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp
October 30, 2024 / Osservatorio Repressione
Torino: La polizia è violenta, la procura archivia
La procura di Torino non è solita indagare sulle violenze della polizia nelle piazze e contro i dissenzienti, ma quando è costretta a farlo in seguito a denunce personali archivia. Ha sempre archiviato. E’ vero mancano i codici identificativi degli agenti. Ma evidentemente manca anche la volontà, visto il numero di archiviazioni che da sempre caratterizzano queste inchieste. Le mamme in piazza per il diritto al dissenso si chiede da quale parte sta la procura torinese, perché una parte l’ha scelta Rita Rapisardi da il manifesto «Il codice identificativo è inutile perché l’identificazione di chi ha commesso violazioni è sempre avvenuta», così parlava Matteo Piantedosi in un’intervista a giugno 2023. Ma forse il ministro non sa ciò che avviene in molte delle richieste di archiviazione riguardanti le violenze in piazza contro i manifestanti. Facciamo un passo indietro. È il 5 dicembre 2023, il gruppo studentesco di destra decide di fare volantinaggio al Campus Einaudi a Torino, sede delle facoltà giuridiche. Un’azione annunciata, motivo per cui le forze dell’ordine quel giorno si fanno trovare, a loro difesa, numerose fuori dall’università: tre gruppi da trenta poliziotti l’uno, trenta carabinieri, più vari agenti della Digos. Centotrenta persone a fronte di cento studenti che erano accorsi pacificamente. Strada bloccata, impedimento per studenti e docenti di recarsi nelle aule. Tutto fila liscio. Gli studenti di destra abbandonano l’università e la tensione sembra scendere, quando parte una carica forte da parte della polizia. Due docenti, Alessandra Algostino e Alice Caudurovengono colpite dai manganelli, in testa e sulle spalle, finiscono in ospedale con sette giorni di prognosi. Con loro un’altra manifestante di 26 anni con un braccio rotto che per i medici è guaribile in trenta giorni. Decidono tutte di denunciare lesioni personali e violenza privata. Ora la Procura chiede l’archiviazione: non è possibile identificare gli autori delle violenze. «Mentre mi recavo al campus trovavo uno schieramento di polizia che sbarrava la via, mi sono resa conto che era per un presidio antifascista e mi sono fermata, cercando di fare, insieme alla collega Cauduro, intermediazione con la polizia», racconta Algostino ricordando gli avvenimenti del 27 ottobre 2023, quando gli agenti entrarono all’università durante una conferenza del Fuan e volarono manganellate all’interno dei locali. «Abbiamo parlato con chi dirigeva la piazza, perché le cose si svolgessero in maniera pacifica. Io e la mia collega ci siamo messe in mezzo tenendoci per mano, forse ingenuamente, per fare in modo che non ci fossero cariche. Gli studenti erano dietro di noi». Nelle carte invece si suppone che le due docenti guidassero gli studenti. La carica, che nel gergo delle forze dell’ordine è definita azione di alleggerimento, non è stata ordinata da nessuno, come conferma la procura stessa. In quel momento la dirigente di piazza stava accompagnando gli studenti di destra lontano dal Campus. Ma allora di chi è stata l’iniziativa? Della prima fila degli agenti in antisommossa? Anche questo la procura non lo sa, come non sa chi ha preso le redini della gestione dopo che la dirigente si è allontanata. Eppure tra le prove ci sono quattro filmati, diverse ore di registrazione da cui però non si riesce a capire chi sono i dieci poliziotti in prima fila che hanno usato i manganelli. Nei video inoltre manca il frame che immortala la manifestante 26enne colpita al braccio (fratturato, secondo il referto ospedaliero di quella sera). La carica sarebbe giustificata però, dicono le carte, forse da calci sferrati dagli studenti. I calci non si vedono nei filmati, ma secondo le carte, dall’inclinazione dei busti degli studenti. Per le due docenti la violenza, che quindi c’è, «secondo la richiesta di archiviazione è motivata in due modi: “L’uso legittimo delle armi” e “l’adempimento del dovere”. Per la manifestante si tratta al massimo di un eccesso colposo di uso legittimo delle armi. Motivo per cui chiedono l’archiviazione», spiega Roberto Brizio, avvocato della professoressa Algostino. Ma se le due professoresse non sono state indagate, la manifestante lo è, insieme ad altri 28 studenti antifascisti e un minorenne per resistenza a pubblico ufficiale: avrebbero tirato dei calci mentre subivano la carica della polizia. In sintesi, non è possibile risalire ai responsabili delle violenze di quella sera. E con il ddl sicurezza per queste azioni, docenti e manifestanti pacifici saranno sempre più criminalizzati. > Picchiata dalla polizia insieme ai miei studenti     Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi sostenerci donando il tuo 5×1000  News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp  
October 30, 2024 / Osservatorio Repressione
Notav: sgomberato il presidio di San Giuliano
Questa notte la polizia ha sgomberato lo storico presidio No Tav di San Giuliano in Val di Susa. Copioso il lancio di lacrimogeni anche ad altezza uomo. Nonostante la tenacia dei No Tav il presidio è attualmente nelle mani della polizia. Corrispondenza di Radio Onda Rossa con  un compagno Notav sullo sgombero violento che c’è stato questa notte del presidio a San Giuliano contro l’esproprio dei terreni. Ascolta o Scarica   > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp   L'articolo Notav: sgomberato il presidio di San Giuliano sembra essere il primo su Osservatorio Repressione.
October 7, 2024 / Osservatorio Repressione
UE: la definizione di “potenziali terroristi” apre la porta a un’ampia condivisione di informazioni
Gli Stati membri dell’UE possono ora raccogliere e condividere informazioni sui “potenziali terroristi”. Questa categoria si basa su una nuova definizione informale concordata senza un controllo democratico. Pur sostenendo di prendere di mira coloro che possono impegnarsi in violenza politica, c’è il potenziale per un’applicazione molto più ampia. da statewatch.org Aumentare gli sforzi contro la “radicalizzazione” L’UE e i suoi precursori hanno preso di mira il radicalismo e la “radicalizzazione” per decenni. Questa agenda ha ottenuto una tenuta più ferma nel 2011, quando la Commissione europea ha istituito la rete di sensibilizzazione sulla radicalizzazione. Nel giugno di quest’anno, la Commissione ha lanciato un nuovo “Knowledge Hub” da 60 milioni di euro (pdf) per ampliare ulteriormente l’agenda. L’hub mira a “con collaborare in un modo nuovo a livello di UE per affrontare le sfide poste dalla radicalizzazione”. Più o meno nello stesso periodo, la presidenza del Consiglio belga ha diffuso un documento (pdf) che “sostiene le aree e le iniziative della Presidenza negli ultimi sei mesi nel campo della lotta al terrorismo (TC)”. Si dice che: “Gli Stati membri dovrebbero continuare i loro sforzi per riconoscere e gestire, in una fase precoce, le minacce alla sicurezza pubblica derivanti da individui considerati dalle autorità nazionali di contrasto per costituire una minaccia violenta estremista/terrorismo”. Ciò si baserebbe sulle informazioni su questi individui inseriti nelle banche dati dell’UE, come il sistema d’informazione Schengen o i fascicoli di Europol. Il documento afferma che le informazioni dovrebbero essere inserite “ove possibile e in linea con la legislazione nazionale e dell’UE”. Definizione informale di “potenziale terrorista” Questi piani si basano su una recente “comprensione condivisa” di chi le autorità dell’UE considerano una “potenziale minaccia terroristica o violenta estremista”, un concetto incapsulato nel documento dal termine tedesco Geforder. Le autorità tedesche hanno introdotto la frase e il tema dei “potenziali terroristi” nelle istituzioni dell’UE. Il comitato per la sicurezza interna del Consiglio (COSI) ha approvato questa “intesa condivisa” nel maggio di quest’anno (pdf). Inquadrandolo come una “intesa condivisa”, COSI ha evitato le riforme legali. Ciò avrebbe richiesto lunghi negoziati, nonché un’opportunità di controllo democratico. Il documento che espone la definizione (pdf) rileva: I criteri sono strettamente non vincolanti e non incidono sui meccanismi e sulle procedure esistenti già stabiliti a livello europeo e nazionale. Il loro obiettivo è quello di promuovere l’inserimento di tali persone nelle banche dati europee e nei sistemi di informazione da parte degli Stati membri soggetti ai requisiti giuridici che disciplinano tali sistemi.” Come riportato in precedenza da Statewatch, i criteri consistono in tre punti. 1. Una “soglia minima di materialità”. Ciò richiede “informazioni oggettive e verificabili che suggeriscono che un reato, o un futuro reato, ha un certo grado di gravità”. 2. Un “criterio indicativo di base”. Ciò richiede “informazioni oggettive e verificabili” che portano alla convinzione che l’individuo in questione “in futuro commetterà, faciliterà, sosterrà o si impegnerà in reati estremisti terroristici o violenti”. 3. Una serie di “criteri ausiliari indicativi”. Ciò potrebbe essere coinvolgimento in reati di terrorismo, condividere contenuti terroristici online o essere oggetto di un divieto di ingresso dell’UE. L’iniziativa del Consiglio giunge contemporaneamente all’introduzione da parte dell’UE di nuovi sistemi di informazione e di un mandato aggiornato di Europol. Questi sviluppi amplieranno in modo massiccio la raccolta di informazioni dell’UE sugli individui “rischiosi”. Attraverso questa “intesa condivisa”, il Consiglio dell’UE ha creato spazio per una nuova pratica informale. Permetterà probabilmente la raccolta e la condivisione di dati su molte più persone rispetto a coloro che sono coinvolti nel terrorismo e nella violenza. Gli effetti sui richiedenti asilo e sui rifugiati Il documento della Presidenza belga delinea le categorie di persone che questa nuova pratica può riguardare. Questi includono richiedenti asilo e rifugiati, nonché attivisti per il clima e l’ambiente. Il documento rileva il numero “limitato” di richiedenti asilo e rifugiati coinvolti nel terrorismo e nella violenza, ma la nuova iniziativa si aggiunge ad altri che li inquadrano come sospetti. Come riportato da Statewatch a marzo, questo include un piano di condivisione dell’intelligence ampliato introdotto dalla presidenza belga. Ciò mira a “rafforzare la cooperazione e lo scambio di informazioni tra le autorità di immigrazione e di asilo e tra le autorità di TC [antiterrorismo]”, probabilmente saranno agenzie di polizia e di intelligence. Lo giustificano come una risposta agli “attacchi terroristici in Europa” che hanno “innesto un dibattito su come prevenire meglio gli attacchi futuri”. Gli effetti sugli attivisti per il clima e l’ambiente L’interesse dell’UE per la “radicalizzazione” si rivolge anche agli attivisti per il clima e l’ambiente. Il recente documento della Presidenza belga afferma: L’attivismo climatico è in aumento, insieme a una maggiore volontà di usare la violenza, segnando un passaggio dall’attivismo ambientale all’estremismo ambientale (enfasi in originale). A sostegno di ciò, il documento si riferisce a un rapporto del coordinatore antiterrorismo dell’UE, che presumibilmente ha esaminato “il ruolo che le preoccupazioni per il cambiamento climatico e l’ambiente svolgono nelle ideologie e nelle narrazioni di estremisti violenti e terroristi nell’UE”. Tuttavia, il rapporto stesso ha detto che era in gran parte speculativo: “Il potenziale del terrorismo e dell’estremismo violento legato all’ambiente e al cambiamento climatico è in questo momento limitato, ma potrebbe diventare più significativo nei prossimi anni”. Il documento della presidenza belga ha incluso una nota simile sul numero “limitato” di richiedenti asilo e rifugiati coinvolti nel terrorismo e nella violenza. Tuttavia, entrambi i gruppi rimangono obiettivi dell’agenda dell’UE contro la “radicalizzazione”. Il relatore speciale delle Nazioni Unite sui difensori dell’ambiente nell’ambito della convenzione di Aarhus ha emesso un avvertimento che: “La fusione di un pacifico attivismo climatico con la radicalizzazione e il terrorismo può aumentare la polarizzazione etichettando erroneamente gli attivisti come radicali e banalizzando il terrorismo”. Le dure condanne sono state emesse ai manifestanti pacifici sul clima sia dagli Stati membri dell’UE che dal Regno Unito. Quest’ultima rimane strettamente legata alle strutture di polizia dell’UE attraverso la sua cooperazione con Europol. Ad esempio, alla fine di agosto, Climate Rights International ha riferito: Un tribunale tedesco ha condannato il 65enne Winfried Lorenz a 22 mesi di carcere senza libertà condizionale, per il suo coinvolgimento in una protesta sul clima che ha bloccato una strada. Si ritiene che sia la pena più lunga mai imposta a Berlino contro un attivista sul clima. La documentazione * Controterrorismo: sfide attuali e iniziative e attività della Presidenza nell’area (Consiglio del Consiglio. 10406/24, LIMITE, 3 giugno 2024, pdf) * Una comprensione condivisa di quando una persona dovrebbe essere considerata come una potenziale minaccia terroristica o violenta estremista (“Gef-hrder”) (doc del Consiglio. 9988/24, LIMITE, 22 maggio 2024, pdf) * Esito dei lavori del Comitato permanente per la cooperazione operativa in materia di sicurezza interna (COSI) (Consiglio). 10752/24, 27 giugno 2024, pdf)   Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi sostenerci donando il tuo 5×1000  News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp   L'articolo UE: la definizione di “potenziali terroristi” apre la porta a un’ampia condivisione di informazioni sembra essere il primo su Osservatorio Repressione.
October 3, 2024 / Osservatorio Repressione
Egitto: Fine della condanna, ma Alaa Abdel Fattah resta in carcere
“La custodia cautelare non conta”: le autorità egiziane violano la loro stessa legge e aumentano la pena dell’attivista di due anni. La madre Laila Soueif inizia lo sciopero della fame, le sorelle si rivolgono a Londra. Alaa Abdel Fattah resterà in carcere. di Francesco De Lellis da il manifesto Pur avendo concluso i cinque anni di condanna che scontava dal 29 settembre del 2019, domenica scorsa allo scadere della pena non è stato rilasciato. Sentori di questo esito si erano avuti già nei giorni precedenti dal suo avvocato, Khaled Ali, il quale ha spiegato che – contrariamente a quanto previsto dalla legge egiziana – i due anni di custodia cautelare in attesa di processo non sarebbero stati considerati nel computo, facendo così slittare al gennaio 2027 il compimento dei cinque anni (considerati a partire dal momento del verdetto finale). È “una grave ingiustizia, persino più grave della terribile ingiustizia di averlo incarcerato”, ha detto la madre di Alaa, Laila Soueif, matematica e attivista. “Ancora una volta, le autorità egiziane hanno violato le loro stesse leggi per perseguitare mio figlio. A questo punto lo considero un sequestro, oltre che una detenzione illegittima”. Alaa ha scontato una condanna per “adesione a gruppo terroristico” e “diffusione di notizie false che minacciano la sicurezza dello stato”. Ma tutto il processo si basa su un semplice post sui social riguardante la morte per tortura di un detenuto. La sua, come per altri prigionieri politici, rischia di diventare una condanna con “fine pena mai”. Non è inusuale che allo scadere dei termini di una sentenza le autorità giudiziarie tirino fuori dal cappello un nuovo procedimento, prolungando così arbitrariamente la detenzione. Alaa Abdel Fattah, programmatore, blogger e attivista, è una delle icone della rivolta di massa che nel 2011 ha rovesciato Mubarak e del movimento rivoluzionario egiziano. E per questo ha passato la maggior parte degli ultimi tredici anni (l’età di suo figlio Khaled) in carcere. Arrestato già nel 2011 e poi nel 2014, Alaa era stato (si fa per dire) rilasciato nel 2019 con una sorta di libertà vigilata che gli imponeva di trascorrere 12 ore al giorno – dalle 18 alle 6 del mattino – in una stazione di polizia. Nel settembre di quell’anno però, in concomitanza con un’inedita ondata di proteste, è stato nuovamente incarcerato, con un nuovo processo a carico. “Sono in carcere perché chi è al potere vuole fare di noi un esempio. E allora cerchiamo di essere un esempio, ma alle nostre condizioni”, scriveva Alaa nel 2017. Prima con la scrittura, le lettere, il contrabbando di libri in carcere, poi con il suo stesso corpo, Alaa ha dimostrato di non poter essere schiacciato. Nel 2022 ha iniziato uno sciopero della fame durato sette mesi, che si è intensificato il 6 novembre di quell’anno quando proprio in Egitto, a Sharm el-Sheikh, si inaugurava la Cop27 sul clima, catalizzando l’attenzione del vertice sulla situazione dei diritti umani nel paese. Allora, a un passo dalla morte, Alaa è stato soccorso dai suoi compagni di cella e poi, privo di coscienza, alimentato in modo coatto. La famiglia ne chiede l’immediato rilascio, anche in ragione della sua cittadinanza britannica, ed elenca tutta una serie di misure che il governo inglese potrebbe immediatamente mettere in campo per fare pressioni sull’Egitto, ad esempio condizionando il finanziamento da 400 milioni di dollari che il Cairo riceverà dal Regno unito, o aggiornando i consigli di viaggio per i turisti. Nonostante i buoni rapporti tra i due Paesi, finora non è mai stato concesso alle autorità consolari britanniche di visitare Alaa in carcere. Ieri le sue sorelle, Mona e Sanaa Seif (attiviste passate dalle carceri egiziane) avrebbero dovuto essere ricevute dal laburista David Lammy, attuale segretario agli esteri, che nei suoi anni all’opposizione si è speso molto per il caso di Alaa, ma da quando è al governo sembra aver relegato in secondo piano la questione. Al momento in cui scriviamo non si hanno notizie dell’esito dell’incontro. “L’incolumità e il rispetto dei suoi diritti sono una responsabilità congiunta di entrambi gli Stati”, ha scritto la madre. 59 organizzazioni egiziane e internazionali hanno firmato a settembre un appello per la sua liberazione. E ora Laila Soueif, 68 anni, ha annunciato di aver intrapreso uno sciopero della fame a oltranza, fino alla liberazione di Alaa, per “denunciare il crimine commesso contro di lui e la complicità del governo britannico”. > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp   L'articolo Egitto: Fine della condanna, ma Alaa Abdel Fattah resta in carcere sembra essere il primo su Osservatorio Repressione.
October 3, 2024 / Osservatorio Repressione
Nonostante il divieto della questura confermata la manifestazione del 5 ottobre a Roma
La Questura di Roma ha notificato formale divieto agli organizzatori delle manifestazioni per la Palestina in programma per il prossimo 5 ottobre nella Capitale. La notifica del provvedimento di divieto delle manifestazioni è stata rilasciata ieri ai vari organizzatori dei cortei. Secondo la Questura le manifestazioni convocate per il 5 ottobre sarebbero state due. Una convocata dalle Comunità Palestinesi d’Italia, l’altra convocata da Unione Democratica Arabo Palestinese, Giovani Palestinesi d’Italia, e Associazione dei Palestinesi in Italia. Il fermo della Questura risultava però già nell’aria, dopo che il Ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, aveva dichiarato di stare “valutando” il blocco delle dimostrazioni per evitare che si verificassero “celebrazioni dell’eccidio”. “La prescrizione da parte della Questura di Roma è un divieto politico” hanno dichiarato, in un comunicato social, i Giovani Palestinesi d’Italia, tra gli organizzatori di uno dei cortei. Manifestare il 5 ottobre “Scendere in piazza il 5 ottobre è  un atto minimo di disobbedienza, contro Israele e i suoi crimini, contro la NATO che ci ha portati nel barato della guerra, contro il Governo Meloni, prima che sia troppo tardi, prima che non esistano più le libertà fondamentali” continua il comunicato che rilancia la data e la stessa iniziativa “scendiamo comunque in piazza. Non un passo indietro”. Ai microfoni di Radio Onda d’Urto, Laila di Giovani Palestinesi d’Italia Ascolta o scarica Di seguito il comunicato diffuso da Giovani Palestinesi d’Italia: “La questura di Roma ha vietato formalmente ogni manifestazione prevista il 5 ottobre a Roma, coerentemente con le dichiarazioni del ministro Piantedosi. La prescrizione da parte della questura di Roma è un divieto politico, come si evince dalle motivazioni espresse da parte delle autorità. Ancora una volta il governo italiano, forte della sua complicità con “Israele”, utilizza gli strumenti della repressione per mettere a tacere ogni forma di solidarietà nei confronti del popolo palestinese. Dietro alla questione dell’ “ordine pubblico” si cela invece la volontà politica di censurare la nostra mobilitazione in un clima di repressione politica mai visto prima. Dopo il divieto del 27 gennaio e le ripetute violenze da parte delle forze dell’ordine durante le manifestazioni in solidarietà al popolo palestinese, questo divieto ribadisce la posizione del governo italiano ad un anno dall’inizio del genocidio. La gravità di questo provvedimento è inaudita. Dopo un anno di Genocidio in Palestina, mentre assistiamo al massacro in Libano, è il movimento italiano di solidarietà alla Palestina ad essere colpevole. Dopo più di 42mila vittime in Palestina e 600 in 3 giorni di attacchi indiscriminati in Libano, è la nostra resistenza il colpevole. È il movimento di solidarietà con la Palestina, non i macellai di Tel Aviv, quello da fermare, solo perché diciamo: è giusto resistere al colonialismo e all’oppressione. A questo punto il problema non è solo “Israele”, che da 76 anni porta avanti coerentemente il progetto coloniale sionista. La democrazia è malata e sta fallendo, e il problema è l’Italia, che arma e protegge il regime genocidario, mentre cerca di reprimere chi si oppone alla guerra. Questo divieto non è altro che il preludio dello stato di guerra che entrerà in vigore con il ddl 1660, il nuovo decreto sicurezza del Governo Meloni, messo a punto per reprimere brutalmente qualsiasi forma di protesta e di dissenso, come nel nostro caso. Un precedente pericoloso per chiunque si batte per il diritto alla libertà di manifestazione e di espressione. Scendere in piazza il 5 ottobre è  un atto minimo di disobbedienza, contro “Israele” e i suoi crimini, contro la NATO che ci ha portati nel barato della guerra, contro il Governo Meloni, prima che sia troppo tardi, prima che non esistano più le libertà fondamentali. Contro l’accanimento nei confronti del nostro popolo e di tutte le nostre forme di resistenza al colonialismo che ci priva di vivere la nostra terra e le nostre famiglie da più di un secolo e che oggi colpisce ancora una volta, i nostri fratelli libanesi. Scendiamo in piazza, non ci renderanno complici della protezione e impunità di “Israele”. Il 5 ottobre in piazza denunceremo a voce alta l’illegittimità dell’intoccabile alleato italiano e ricorderemo i nostri martiri palestinesi e libanesi.”     > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp L'articolo Nonostante il divieto della questura confermata la manifestazione del 5 ottobre a Roma sembra essere il primo su Osservatorio Repressione.
September 26, 2024 / Osservatorio Repressione
La Cassazione annulla l’accusa di terrorismo per Luigi Spera
La Corte di Cassazione ha fatto cadere l’accusa di attentato terroristico per Luigi Spera, annullando l’ordinanza del Tribunale del riesame di Palermo, che aveva qualificato il reato attribuito a Luigi non come semplice incendio ma come attentato incendiario terroristico. Luigi, sulla base di quella valutazione, è stato detenuto finora nella prigione di Alessandria in regime […] L'articolo La Cassazione annulla l’accusa di terrorismo per Luigi Spera sembra essere il primo su Osservatorio Repressione.
September 13, 2024 / Osservatorio Repressione