A un funerale, ricordiamolo, si va in scena

Osservatorio Repressione - Monday, April 28, 2025

Si può rinunciare a un tale palcoscenico in questo nostro mondo fondato sull’immagine? Il famoso “No, tu no!” di Jannacci è la risposta classica dell’emarginazione a prescindere: può questa arrivare a escluderti anche da un funerale?

di Marco Sommariva*

Faith è il titolo del terzo album del gruppo inglese The Cure; pubblicato nel 1981, è stato la colonna sonora dei miei diciott’anni insieme a Closer dei Joy Division.

Di Faith ho il vinile acquistato all’epoca e un cd comprato qualche anno fa così da poter ascoltare il disco anche in auto e stamattina, mentre dagli altoparlanti della macchina mi arrivavano le note del pezzo The funeral party che non so quante migliaia di volte mi son goduto in vita mia, son stato folgorato dal passaggio “I heard a song and turned away”, ossia “Ho sentito una canzone e mi sono voltato”.

Son stato folgorato perché, poco prima di far partire The funeral party, l’autoradio era sintonizzata su una stazione che trasmetteva il brano Vengo anch’io, no tu no di Fiorentini, Fo e Jannacci, cantata da quest’ultimo.

Vengo anch’io, no tu no è un meraviglioso pezzo di fine anni Sessanta che diede voce agli esclusi, che parla di quella parte di umanità relegata sempre ai margini di qualsiasi sfera – sociale, politica, famigliare, eccetera – raccontando di un uomo che viene continuamente respinto da tutti e tutto, perfino dal suo stesso funerale: “Si potrebbe andare tutti quanti al tuo funerale/Vengo anch’io?/No, tu no”.

“No, tu no!” pare essere la risposta classica dell’emarginazione a prescindere.

Ecco cosa dovevo fare stamattina: voltarmi dopo aver sentito la canzone Vengo anch’io, no tu no. Ma non voltarmi da un’altra parte – questa è materia per pavidi, per miserabili –, bensì voltarmi indietro per guardare al passato.

E così la mente ha iniziato a guardare indietro chiedendosi se davvero può esser successo che qualcuno è stato escluso dal proprio funerale e la risposta è stata tanto rapida quanto semplice: sì, la persona deceduta in mare o in terre lontane non può, di certo, ricevere un trattamento funebre in presenza. Ma si sa la mente umana com’è fatta, un attimo prima si pone un quesito e l’attimo dopo già si arrovella su un altro, e così la domanda seguente è stata se, più in generale, qualcuno può essere escluso da qualsivoglia funerale ed eventualmente come questo potrebbe avvenire – tranquilli, non finirò col parlare delle esequie di papa Bergoglio.

Mentre cercavo le risposte alle due domande, mi son ricordato di un passaggio de La villeggiatura di Mussolini di Silverio Corvisieri in cui si fa cenno al prezzo che si rischia di pagare partecipando a certi funerali: “Furono in molti a pagare a caro prezzo la partecipazione ai funerali di antifascisti. A Muggia, nel settembre del 1937, alle esequie di un giovane che era stato ucciso dai fascisti, ci fu una “oggettiva” manifestazione ostile al regime: la reazione scattò con immediatezza dapprima disturbando la cerimonia funebre e poi condannando diciotto persone, di cui undici erano donne, a cinque anni di confino”.

Quando capì che non sarebbe vissuto a lungo, mio padre compilò per ben due volte un corposo elenco dettagliato di nomi e cognomi – in alcuni casi geniali soprannomi o nomignoli da morir dal ridere – di chi non voleva “vedere” al suo funerale; personalmente, non feci nulla perché queste persone non si presentassero: era un problema loro venire o no dopo essersi totalmente disinteressate del decorso della malattia del mio Vecchio.

In effetti, quella del veto del morto, magari messo per iscritto come aveva fatto mio padre, potrebbe essere una possibile soluzione per provare a far sì che gli indesiderati restino a casa.

Un’altra cosa interessante sui funerali l’ha scritta Charles Bukowski nel libro Il sole bacia i belli: “La maggior parte della gente è morta ancora prima di essere seppellita, ecco perché i funerali sono così tristi”. E come dargli torto? Non avete mai la sensazione d’essere circondati da zombi, oltretutto privi di quella simpatia che, solitamente, queste creature possiedono nei film o nei fumetti?

Altra possibile soluzione perché gli indesiderati non si presentino a un funerale, sarebbe quella di non celebrarlo proprio, magari evitando anche i manifesti funebri; so di gente che è arrivata anche a questo.

Che poi, diciamocela tutta, non partecipando a certi funerali eviteremmo di farci del nervoso, specie quando il prete nomina il morto senza neanche lontanamente sapere chi fosse e cos’avesse fatto in vita sua; leggete qui, cosa scrive Miles Davis in Miles. L’autobiografia: “La morte di Jimi [Hendrix] mi fece davvero incazzare perché era così giovane e aveva così tanto tempo davanti a sé. Decisi di andare al funerale a Seattle, anche se avevo sempre odiato andare ai funerali. Il funerale fu così brutto che dissi a me stesso che sarebbe stato l’ultimo a cui andavo, e così è stato. Il prete bianco non conosceva nemmeno il nome di Jimi e continuava a pronunciarlo male chiamandolo una volta così, una volta cosà. Era imbarazzante. In più non sapeva nemmeno chi fosse Jimi, niente di quello che aveva fatto”.

Ma cosa fare per evitare la presenza degli indesiderati, se uno non volesse rinunciare al funerale? Intanto che ci penso, grazie al Cinema ho trovato la risposta alla domanda circa il perché non si riesce a rinunciare a questo rito. È stato Gep – o Jep?, o Jap? – Gambardella, personaggio interpretato da Toni Servillo nel film La grande bellezza di Paolo Sorrentino, a chiarirmi le idee: “Molti pensano che un funerale sia un evento casuale, privo di regole. Non è così. Il funerale è l’appuntamento mondano par excellence. A un funerale, non bisogna mai dimenticarlo, si va in scena. […] Con pazienza, si attende che i parenti si liberino dalla calca. E, una volta accertatisi che tutta la platea si sia seduta, solo a quel punto si possono fare le condoglianze. In questa maniera tutti ti possono vedere. Si prendono le mani del sofferente, si avvolgono le proprie sulle sue braccia. Si sussurra qualcosa all’orecchio, una frase sicura, detta con autorevolezza. Per esempio: “Nei prossimi giorni, quando ci sarà il vuoto, sappi che puoi contare sempre su di me”. Il pubblico si chiederà: “Ma che sta dicenne Gep Gambardella?”. […] È permesso raccogliersi in un angolo da soli, come… a meditare sul proprio dolore. A questo punto, però, è richiesta un’ulteriore abilità. Il luogo scelto deve essere allo stesso tempo isolato, ma ben visibile al pubblico. Inoltre, una buona recita è tale quando è scevra da qualsiasi ridondanza. Dunque, è regola fondamentale: a un funerale non bisogna mai piangere, perché non bisogna rubare la scena al dolore dei parenti. Questo non è consentito… perché immorale”.

Ecco la risposta: a un funerale si va in scena, e si può rinunciare a un tale palcoscenico in questo nostro mondo fondato sull’immagine? Difficile. Molto difficile, quasi impossibile – tranquilli, non finirò col parlare delle esequie di papa Bergoglio.

E visto che di scena si tratta, solo gli attori – consumati o alle prime armi non importa – possono partecipare, ossia coloro che sono una persona dentro ma sono capaci di manifestarne una o più fuori; insomma, non è esattamente il posto adatto a chi, abitualmente, si presenta così com’è, genuinamente, senza calcoli.

Speriamo che questi attori da funerale abbiano ascoltato Due giornate fiorentine di Roberto Vecchioni, specie questo passaggio: “mi son pure travestito […] Ma il naso a palla e gli occhiali con la corda/Mi segavano in due la parte che ricorda/E sono esperimenti questi da non più tentare/Perché andando a svestirmi per tornar normale/Non seppi più che togliermi di vero e di finto/E confusi me stesso con la barba al mento”.

Sia chiaro, siamo ben lontani da travestimenti tipo quello di Jack London che, nel 1902, mentre altri autori suoi contemporanei si limitano a cantare ciecamente le glorie dell’impero Britannico, si traveste da marinaio e s’addentra nell’East End di Londra calandosi nella più disastrata delle realtà sociali, dormendo nelle baracche, frequentando prostitute, poveri e ogni genere di umanità rifiutato dalla città “alta” – esperienza che gli permetterà di scrivere l’imperdibile Il popolo degli abissi, una specie di trattato sociologico.

Siamo distanti anche dal travestimento dei regnanti che fingono d’essere poveri, raccontatoci in Fontamara da Ignazio Silone: “Si torna alla vecchia legge […] quando tra le capanne dei cafoni e la reggia non c’erano le caserme, le sottoprefetture, le prefetture di ora, e i regnanti, una volta all’anno, si travestivano da poveri e andavano per le fiere ad ascoltare le doglianze dei poveri. Poi vennero le elezioni e i regnanti perdettero di vista la povera gente” – tranquilli, non finirò col parlare delle esequie di papa Bergoglio.

Il travestimento degli attori che vanno in scena secondo Gambardella, lo immagino come qualcosa di subdolo e schifoso, come quei porci che camminano a fianco a noi, siedono alla scrivania accanto alla nostra, spesso abbiamo anche in famiglia, che non si riconoscono facilmente – a volte, quando ti riesce, è ormai troppo tardi – proprio perché travestiti da professori universitari progressisti, figli dei fiori, manager illuminati, vecchi comunisti, cattolici praticanti o ingenui artisti che viaggiano sognando la loro infanzia, come scrive Henrik Stangerup nel suo romanzo L’uomo che voleva essere colpevole: “Era arrivata una nuova generazione che affermava di essere l’unica autenticamente rivoluzionaria: la rivoluzione non usava più le armi dei fiori gettati alla polizia e la provocazione dei pantaloni calati, ora si parlava di bombe molotov, di patate con le lamette, di caccia ai porci. Ma i porci erano dappertutto: erano porci i poliziotti, i politici e gli uomini d’affari. E poi c’erano porci che non si vedevano, che si travestivano da professori universitari progressisti, da figli dei fiori e da ingenui artisti che viaggiavano sognando la loro infanzia. La paranoia cominciò ad avere il sopravvento e tutti avevano paura di tutti. La tensione quotidiana di essere sempre all’avanguardia era diventata come una colite cronica. […] erano arrivati senza accorgersi al punto di non poter fare a meno di gridare “fascista” anche a qualsiasi posteggiatore per la strada. […] Non c’era più né dialogo né dibattito”.

Credo che dialogo e dibattito tendano da tempo allo zero anche a causa dei troppi travestimenti, delle troppe falsità che, e qui bisognerebbe dirlo a chi ne fa largo uso, si riconoscono facilmente: “È difficile sapere cosa sia la verità, ma a volte è molto facile riconoscere una falsità” – Pensieri di un uomo curioso di Albert Einstein.

Ma le molte falsità nascono anche dalla necessità di tanti, di fuggire da verità incomprensibili: “La gente, che comunque ama più una falsità chiara che una verità incomprensibile, ulula la propria gratitudine” – Barnum di Alessandro Baricco.

Preferirei il niente a tutti questi travestimenti, queste falsità ma poi, mi chiedo, di cosa scriverei: “Flaubert voleva scrivere un romanzo sul niente, non c’è riuscito. Ci posso riuscire io?” – sì, è ancora lui, il Gambardella di Sorrentino.

E allora, meglio di niente, v’invito tutti quanti al mio funerale. Venga chi vuole: né ora né mai perderò tempo a stilare liste di buoni e cattivi, perché la più consistente scoperta che ho fatto pochi giorni dopo aver compiuto sessant’anni, è che non posso più perder tempo a far cose che non mi va di fare, come incensare tutti i grandi miserabili trucchi – travestimenti e falsità – che, a differenza delle spoglie umane, non si seppelliscono mai.

Tornando a bomba… cosa fare per evitare la presenza degli indesiderati, se uno non riuscisse proprio a rinunciare alla grande messa in scena del funerale, al sommo spettacolo? Si potrebbe non spargere troppo la voce, chiedere di fare altrettanto a chi sicuramente parteciperà e, infine, incrociare le dita sperando che gli indesiderati non vedano alcun manifesto funebre o, nel caso, non salti loro in testa di farsi vedere; sarebbe un modo di fare parecchio vigliacco, degno di un Re d’Italia, ma decisamente in linea col popolino che siamo diventati.

Dite che col mio modo di scrivere, con questo modo di fare così… come dire?… libero?, libertario?, mi sto scavando la fossa con le mie stesse mani? Bene!, significa che mi sto portando avanti col lavoro.

Dite di fare attenzione perché non c’è neppure un cane nei miei paraggi, che sono totalmente solo? Ammesso sia così, questo è normale: la libertà, spesso, implica la solitudine, spesso gli altri non si sentono invitati alla festa della libertà che una persona sta mettendo in atto, questo è il punto. E quindi, per questo, si rimane soli, perché quando si è liberi spesso si fa diventare goffo il prossimo. E il prossimo sopporta molte cose, ma non di essere goffo.

E con la speranza che il mio funerale sia bizzarro come quello raccontato da William Faulkner in Mentre morivo – un viaggio folle della mia bara, con accanto soltanto la mia compagna e mio figlio che tiene le redini del cavallo, su un carretto sgangherato, tra inondazioni, fienili in fiamme e il volteggiare di avvoltoi che accompagnano speranzosi il mezzo malconcio –, partecipato come quello del cantautore e dissidente Vladimir Vysotsky, figura di culto dell’Unione Sovietica, a cui parteciparono spontaneamente centinaia di migliaia di persone – una processione dietro il feretro lunga nove chilometri! – sfidando la dittatura comunista che non sopportava quell’artista portavoce di un popolo insofferente alla rigidità del regime, e straziante come quello di Giuseppe Manzini, papà della Gianna autrice di Ritratto in piedi, che farà dire a uno dei suoi amici “è stato un funerale di una povertà e di una purezza e di un silenzio veramente strazianti”, dicevo… con queste mie speranze, mi porgo le mie più sentite condoglianze.

Per il finale mi faccio aiutare dal già citato Gambardella.

Tranquilli, finisce sempre così, con la morte. Prima, però, c’è stata la Vita, nascosta sotto il bla bla bla bla bla. È tutto sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore: il silenzio e il sentimento, l’emozione e la paura, gli sparuti incostanti sprazzi di bellezza, e poi lo squallore disgraziato e l’Uomo miserabile. Tutto sepolto dalla coperta dell’imbarazzo dello stare al mondo – bla bla bla bla. Altrove c’è l’Altrove. Io non mi occupo dell’Altrove. Dunque, che questo articolo abbia fine. In fondo è solo un trucco. Sì, è solo un trucco. Un altro grande miserabile trucco.

Visto che non vi ho parlato delle esequie di papa Bergoglio?

 

*scrittore sul sito  www.marcosommariva.com tutte le sue pubblicazioni

 

 

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