No Expo 2015: dieci anni dopo avevamo ragione noi

Osservatorio Repressione - Thursday, May 1, 2025

Milano, No Expo 2015  molto più di una lotta

di Laboratorio Politico Off Topic

Numeri

In questi giorni le cronache mainstream celebrano il decennale di Expo2015, magnificando il ruolo fondamentale avuto per il rilancio di Milano come metropoli globale e lo sviluppo dell’attuale modello di città, ricordando al tempo stesso il “grande pericolo” scampato il Primo Maggio 2015 quando i No Expo “presero in ostaggio la città”.. A sostegno di queste affermazioni si elencano dati, dal loro punto di vista emblematici, del “rinascimento meneghino”: aumento esponenziale del turismo, incremento significativo dei prezzi per i soggiorni alberghieri, incremento quasi del 50% del numero di bar e ristoranti, aumento considerevole delle offerte di alloggi di lusso (che siano case in vendita o appartamenti per affitti a breve), flussi senza precedenti di investimenti immobiliari dall’estero.

Omettono invece di raccontare quelli che descrivono l’immagine più reale dello stato della città:

  • Expo 2015 S.p.A., a fronte dei finanziamenti pubblici ricevuti per 2.318,7 milioni di euro, ha restituito al pubblico 874 milioni generando, quindi, un debito di 1.445 milioni di Euro (come abbiamo raccontato a suo tempo, quando vennero pubblicati i bilanci);
  • il grande evento green ha dato il via a un nuovo capitolo della cementificazione meneghina e alla deregolamentazione dell’edilizia, con il conseguente disastroso aumento di consumo di suolo, nella vicenda emblematica dell’ex Area Expo che, nonostante fosse stata sottoposta a referendum civico nel 2011 con oltre il 95% di voti favorevoli alla sua trasformazione in area verde a Esposizione conclusa, ospiterà a breve il polo MIND;
  • non meglio è andata sul fronte reddito e lavoro: la povertà ha raggiunto il picco degli ultimi 10 anni, i redditi si sono polarizzati radicalmente, mentre tra il 2018 e il 2023 almeno 400.000 persone hanno lasciato Milano a fronte di 500.000 nuovi abitanti a reddito più alto, in particolare nei quartieri periferici storicamente a reddito più basso i cui abitanti sono dovuti emigrare verso lidi più lontani in fuga dallo scoppio del costo della vita. Mentre sul tema eventi, grazie anche all’accordo dei Sindacati confederali, Expo ha di fatto sdoganato l’utilizzo massiccio del volontariato per le imprese e nel settore culturale

Sono proprio questi numeri a farci dire che, senza alcun dubbio, avevamo ragione noi.

Avevamo ragione noi che, ancora durante la sindacatura Moratti, quando Expo2015 era solo nella fase di candidatura, sostenevamo che una  città a misura di grandi, medi, piccoli eventi (come oggi è diventata Milano) sarebbe stata una città che si sarebbe sviluppata contro i propri abitanti, i loro bisogni primari, che avrebbe espulso a colpi di gentrificazione le classi popolari e gli stessi lavoratori che mandano avanti l’economia della metropoli. Avevamo ragione noi a dire che Expo2015 sarebbe stato il propulsore della privatizzazione della città pubblica a favore degli appetiti di immobiliaristi e fondi d’investimento, che  i Piani di Governo del Territorio favorivano senza soluzione di continuità. Avevamo ragione noi a parlare di “debito, cemento, precarietà” come matrice per identificare l’impatto che grandi eventi e grandi opere hanno sui territori che li subiscono e di Expo2015 come dispositivo per avviare una nuova governance urbana.

L’ultimo movimento unitario del Movimento

Abbiamo animato e attraversato il percorso No Expo da subito, anzi possiamo affermare che il Comitato da cui poi è nata l’Assemblea e la Rete è stato il contesto di formazione del nostro collettivo/laboratorio politico. Abbiamo speso anni a costruire l’ambito collettivo dell’Attitudine No Expo, girato il Paese e l’Europa, scritto contributi e fatto subvertising di famosi giochi (do you remember Expopolis?), con il solo obiettivo di costruire un fronte ampio di lotta e resistenza alle dinamiche che il grande evento voleva imporre alle nostre vite. Abbiamo smontato cantieri nei parchi della periferia ovest, laddove le ruspe targate Expo volevano sperperare 90 mln di fondi pubblici per l’inutile e nemmeno troppo estetica “Via d’Acqua”, fermando lo scempio ambientale nella cintura di parchi dell’Ovest milanese e lo spreco economico. Abbiamo provato con uno dei primi Climate Camp in Italia a salvare i terreni agricoli di Cascina Merlata e dell’est Milano da speculazioni immobiliari e autostrade inutili. E tornando indietro nel tempo rifaremmo tutto e forse di più.

Rifaremmo anche la No Expo Mayday del Primo maggio 2015: una delle più importanti manifestazioni di massa dell’ultimo decennio a Milano, criminalizzata per qualche vetrina rotta, qualche auto bruciata e tante scritte sui muri. Ma serviva il “nemico pubblico” e l’occasione era ghiotta per detrattori di varia specie per infangare la legittimità di un percorso che aveva ancora tanto da dire e fare. Se quel giorno sbagliammo fu nel non capire che c’era una rabbia della generazione precaria che andava al di là della nostra voglia di una Mayday che fosse un punto di partenza e non di arrivo.

Ma il movimento No Expo non è morto per la repressione, quanto per una questione squisitamente politica che ci interroga tuttora.. A decretarne la fine, infatti, è stata la mancanza di volontà della grossa parte non antagonista, associativa, cooperativa, civica, che in 8 anni di lotta eravamo riusciti ad aggregare su parole d’ordine radicali e di rottura rispetto alle logiche di Expo, di continuare a stare fuori dal circuito cooptativo che Pisapia aveva apparecchiato e alla cui tavola si sarebbero invece fatti servire – proprio da quei soggetti – Beppe Sala e i soggetti privati, nativi e globali, che avrebbero divorato la città. Ma è stata anche la nostra incapacità, della componente radicale e anticapitalista, di mantenersi coesa e tenere aperta un’opzione politica di rifiuto del “modello Milano”, in nome del diritto alla città, tale da consolidare e far crescere consenso nei suoi confronti. E tutti gli espulsi dalla metropoli post-Expo e pre-Olimpiadi sanno quanto ce ne sarebbe stato bisogno. Di fronte a tutto questo, non possiamo che sorridere amaramente di fronte a chi riduce tutto al fuoco di paglia esploso 10 anni fa, come uno stereotipo e un luogo comune tutto nostro, del “movimento” milanese, fatto proprio anche dall* compagn* più giovani che quegli anni non li hanno vissuti spesso. Ci sembra più una scusa per giustificare uno sfaldamento che non abbiamo saputo fermare e l’isolamento delle collettività venuto successivamente. Perché la stagione No Expo è stata anche questo: l’ultima esperienza politica unitaria vissuta a Milano a livello di movimento.

In ogni caso nessun rimorso

Oggi, a dieci anni di distanza, con una città sempre più cara per il costo della vita e degli affitti, sempre più esclusiva ed escludente, con un modello di sviluppo (immobiliare) finito sotto indagini giudiziarie e con il nuovo grande evento inutile alle porte, le Olimpiadi 2026, le parole d’ordine e le analisi critiche della stagione No Expo non solo sono attuali, ma trovano conferma nei fatti. E ci fa piacere che tante persone, che dieci anni fa prendevano le distanze dai “pericolosi antagonisti” che rovinavano l’immagine di Milano nel mondo, persino qualche Spugnetta del giorno dopo ne siamo sicur*, si stiano timidamente accorgendo della tossicità del “modello Milano” e della sua insostenibilità per fasce sempre più ampie di abitanti. Nel frattempo di “Salvare il Pianeta – Energia per la vita”, come voleva il titolo di Expo2015, non si parla più se non nei goffi e sempre meno credibili tentativi di greenwashing e socialwashing del Sindaco Sala; il cibo è diventato food, spesso junk, per turisti ricchi; il consumo di suolo continua inarrestato e le Olimpiadi 2026 hanno la stessa funzione che ebbe Expo2015: alimentare la macchina predatoria e garantire flussi turistici e, soprattutto, di investimenti immobiliari per un altro lustro, a spese delle città pubblica, della sostenibilità ambientale, delle fasce lavoratrici e del precariato, ma ormai anche di quello che si definiva orgogliosamente “ceto medio”.

Per questo oggi, Primo Maggio 2025, siamo ancora orgogliosamente No Expo e, invitando tutta la nostra comunità politica e la città a ricordarsi degli aspetti progressivi di quella fondamentale stagione di lotta politica, a testa alta possiamo dire: in ogni caso nessun rimorso.

Sui disordini di Milano

Dopo il corteo del 1 Maggio, riflettiamo per non cadere nella dicotomia tra “buoni o cattivi”.

 

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