Tag - lotte sociali

Revoca immediata dei fogli di via – Tiziano libero subito!
Questo appello nasce a seguito della manifestazione del 5 ottobre scorso quando più di 10.000 persone hanno violato i divieti del governo e della questura di Roma per manifestare la loro solidarietà alla resistenza palestinese e al popolo libanese, e per lottare contro la guerra e contro l’approvazione del DDL 1660, il nuovo “pacchetto sicurezza”. Questo, nonostante il clima di criminalizzazione e di terrore creato dal governo e le misure adottate dalla questura di Roma per provare, invano, a scoraggiare qualunque forma di partecipazione alla giornata. Il 5 ottobre la questura di Roma ha fatto un uso sistematico della repressione preventiva, un meccanismo che si va sempre più consolidando ed estendendo: percorsi obbligati in modo da impedire di raggiungere i palazzi del potere; controlli, perquisizioni e identificazioni ai caselli autostradali; militarizzazione delle aree circostanti la piazza del concentramento. In cifre: 1600 identificazioni, 200 persone allontanate dalla città, 51 delle quali colpite da fogli di via, tre denunciati a piede libero, il fermo ed il successivo arresto di Tiziano, ora ai domiciliari in attesa che cominci il processo nei suoi confronti. La manifestazione del 5 è stata, perciò, la prova preliminare del nuovo pacchetto sicurezza a firma Piantedosi-Nordio-Crosetto: si è provato a mettere a tacere ogni voce di dissenso e di protesta. Con i venti di guerra che soffiano impetuosi, la situazione non farà altro che peggiorare con i governi occidentali che hanno la necessità di silenziare le lotte sociali per compattare il fronte interno. Con il DDL 1660 l’esecutivo Meloni prepara un salto di qualità nella repressione di tutte le lotte, operaie, sociali, ecologiste, a cominciare dalle proteste contro la sempre più marcata tendenza alla guerra e all’instaurazione di un’economia di guerra, e di una disciplina da stato di guerra nei luoghi di lavoro, nelle scuole, nella società. Dobbiamo reagire con forza a questo corso repressivo, come abbiamo fatto non accettando il divieto di manifestare il 5 ottobre. Non possiamo, poi, accettare che il foglio di via diventa qualcosa di normale: i 51 comminati dalla questura di Roma a persone che “presumibilmente” si trovavano in città per commettere atti illeciti, essendo interessati/e da procedimenti in corso per iniziative di lotta e per manifestazioni, trasforma la presunzione di innocenza in presunzione di colpa. Né possiamo accettare altre misure preventive come gli obblighi di firma comminati a chi lotta contro la guerra, com’è accaduto a Napoli a chi manifestava contro il sostegno della RAI al genocidio sionista in Palestina, e com’è avvenuto a Luigi Spera, tuttora in carcere con l’accusa di aver partecipato ad un’azione dimostrativa contro la Leonardo, fiore all’occhiello dell’industria bellica italiano, che fa profitti miliardari grazie all’guerra. Rispetto a tutto ciò è necessaria una presa di parola collettiva, con una campagna di sostegno e solidarietà ai colpiti dalle misure repressive del 5 ottobre, per la revoca dei 51 fogli di via e, soprattutto, per la liberazione immediata di Tiziano, ora agli arresti domiciliari e che il 14 novembre affronterà la prima udienza del processo a suo carico. Criminale non è chi lotta contro la guerra, ma chi contribuisce con ogni mezzo al genocidio in Palestina e fomenta gli scenari bellici in allargamento in tutto il mondo. La presa di parola non riguarda soltanto noi che facciamo parte della Rete: deve coinvolgere tutta quella parte della società, i lavoratori anzitutto, ma anche i giuristi e le giuriste autenticamente democratici, gli artisti e le artiste sensibili al rifiuto dell’oppressione, gli operatori dell’informazione non allineati, che avvertono il doppio grande pericolo che incombe su tutti/e: lo stato di polizia, la guerra alle porte! Libere e liberi di lottare contro la guerra e contro lo stato di polizia! Revoca di tutti i fogli di via e gli obblighi di firma! Libertà immediata per Tiziano! Fermiamo il DDL 1660! Rete Liberi/e di lottare – Fermiamo insieme il DDL 1660  fermiamoidecretisicurezza@gmail.com
November 11, 2024 / Osservatorio Repressione
La sicurezza come fiera della forca
Il ddl sicurezza è un pericoloso tentativo di rafforzare i dispositivi di disciplinamento sociale, limitare il dissenso e potenziare gli strumenti repressivi. Intervista all’avvocato Francesco Romeo di Francesco Ferri da DINAMOpress Se dovesse essere approvato definitivamente, il disegno di legge in tema di sicurezza determinerebbe un deciso salto di qualità nella costruzione di una società governata dalla disciplina per via del suo contenuto oltremodo allarmante. Di pari passo con l’iter parlamentare, le ultime settimane sono state caratterizzate da intense mobilitazioni, in moltissimi territori: segno di quanto questa ipotesi di nuova normativa sia inquietante su larga scala. Abbiamo chiesto all’avvocato Francesco Romeo qual è, dal suo punto di vista, la portata di questo disegno di legge e qual è la sua dimensione politica. Qual è il disegno politico e giuridico che informa la proposta di legge? Il disegno politico e giuridico è facile da individuare. Sono norme simboliche, costituiscono un manifesto: non costano nulla dal punto di vista economico, perché aumentare le pene o introdurre un nuovo reato non comporta nulla dal punto di vista del bilancio dello stato. Hanno invece un impatto molto importante dal punto di vista del potenziale consenso popolare e della mentalità relativa ai luoghi comuni. Dal punto di vista giuridico, è chiaro che per l’attuale governo non è più sufficiente il codice penale “Rocco” attualmente in vigore – di origine fascista –, per questo hanno previsto aumenti di pene assolutamente spropositati rispetto a fattispecie di reato già presenti nel codice penale. L’impostazione autoritaria del governo non tollera più neanche lo sviluppo di proteste pacifiche sulla sede stradale. Non è più tollerato che in luoghi chiusi come il carcere e i CPR si possa disobbedire agli ordini impartiti – molto spesso disumani – attraverso pratiche non violente come lo sciopero della fame, la “battitura” di protesta, e così via. Quali sono le principali misure previste nel provvedimento e per quali motivi configurerebbe un decisivo salto in avanti in termini di gestione autoritaria del potere? L’utilizzo della sicurezza per finalità repressive è stato politicamente sperimentato sia da governi di centrosinistra sia da quelli di destra. Se c’è stata una originaria degenerazione nell’uso della sicurezza intesa solo come repressione, a livello genealogico lo dobbiamo a governi di centrosinistra che, per quanto riguarda molti profili, hanno aperto la strada. Dal punto di vista politico, i Ministri Minniti, Salvini e Piantedosi sono indubbiamente affini: sono espressioni della stessa politica fondata sulla gestione autoritaria del potere. Il balzo avanti lo vediamo a livello cronologico. Negli ultimi due anni abbiamo assistito all’emanazione di numerosi provvedimento di tipo repressivo. Prima il decreto contro i cosiddetti raver, poi il decreto Cutro e quello “Caivano”, in seguito la legge contro i cosiddetti ecovandali e ora questo disegno di legge è uno scenario molto inquietante. Nella storia spesso le torsioni repressive che si susseguono preludono all’avvento di svolte di tipo autoritario. Questa proposta è stata presentata e discussa in un momento storico nel quale il conflitto sociale, per molteplici ragioni, non è particolarmente acceso. Nonostante questo, il legislatore immagina di peggiorare la normativa applicata agli atti di dissenso. Quali obiettivi persegue? Da quali urgenze è mosso? Mi sembra che il governo approfitti dell’assenza di conflittualità sociale in questo momento storico: non ci sono vertenze sociali significativa o mobilitazioni di piazza che si susseguono. Questo rappresenta un’occasione per il governo. Non c’è alcuna urgenza: l’unica finalità per il governo è l’aumento della propria visibilità. Si possono immaginare altri scenari alternativi o complementari per impedire l’approvazione della legge? Che ruolo può avere il Presidente della Repubblica? È possibile prefigurare successivi ricorsi alla Corte Costituzionale? A mio avviso, non ci sono margini perché il Presidente della Repubblica possa intervenire efficacemente per fermare questa torsione repressiva. Se anche il Presidente rifiutasse di firmare il disegno di legge, ciò implicherebbe solo un rinvio alle Camere, un’ipotesi piuttosto remota. Per quanto riguarda il possibile intervento della Corte Costituzionale, occorre considerare che essa può essere investita del tema solo se un giudice solleva una questione di legittimità su una norma specifica della legge, non sull’intero testo. Inoltre, prima che un giudice possa inviare una parte della norma alla Corte, la legge sarà già in vigore, con il rischio che, nel frattempo, molte sentenze vengano emesse basandosi su queste disposizioni. A mio parere, l’unica vera possibilità di contrasto rimane la mobilitazione sociale e di piazza. Si è già formato un vasto movimento critico contro questo disegno di legge, che possiamo definire “Piantedosi-Nordio-Crosetto” per sottolineare le sue origini politiche, piuttosto che con un semplice numero che rischierebbe di farlo apparire neutrale. È importante riconoscere che questa proposta proviene direttamente dai ministeri chiave del governo: Interno, Giustizia e Difesa. Per questo, l’ipotesi di un intervento risolutivo della Corte Costituzionale è molto incerta e lontana.   > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp  
November 9, 2024 / Osservatorio Repressione
Tiziano libero: il 14 novembre inizia il processo
Giovedì 14 novembre inizia, al Tribunale di Roma, il processo contro Tiziano, 24enne compagno dello spazio Sbago di Urbino, arrestato il 5 ottobre durante la manifestazione nazionale a Roma a sostegno della Palestina, vietata da Governo e forze dell’ordine, ma comunque partecipata da almeno 10mila persone. In occasione dell’apertura del processo, compagni, amici e famigliari hanno indetto un presidio solidale a piazzale Clodio, fuori dal Tribunale di Roma. Appuntamento alle ore 11.30 di giovedì 14 nobembre, mentre prosegue la raccolta fondi per Tiziano: per partecipare, il link è qui. “In un mondo che condanna un ragazzo – spiegano da Spazio Sbago – per aver manifestato per chiedere la fine del gen.oci.dio e contro la repressione militare messa in campo dal governo, noi sappiamo da che parte stare: a Roma il 5 ottobre c’eravamo tutt3, come saremo in ogni ovunque per gridare Palestina Libera. Dalla parte di chi sceglie di lottare, di alzare la testa e di rispondere alle intimidazioni di un governo complice del m.as.sa.cr.o che sta avvenendo. Dalla parte di chi, davanti ad un mondo che sempre più chiama alle armi, sceglie di schierare il proprio corpo per il riscatto e la libertà di tutt3!” VIDEO INCHIESTA – Nel frattempo, in vista del processo vero e proprio, l’ong Index in collaborazione con Il Manifesto ha diffuso una controinchiesta video: clicca qui per vederla (durata: 8 minuti). Nel sostenere l’accusa, gli agenti hanno infatti prodotto una serie di screenshots estratti da un video. INDEX ha analizzato i video disponibili in rete e ricostituito l’azione in un modello 3D, al fine di verificare le affermazioni dei funzionari di polizia. La contro-inchiesta, basata su di un’analisi approfondita dei video, smentisce la versione dei fatti presentata dagli agenti, che hanno arrestato Tiziano con l’accusa di aver aggredito un funzionario della DIGOS e di avergli tirato dei calci. Queste le conclusioni di Index: * “L’origine dell’incidente nel corso del quale l’agente Luigi C. e Tiziano L. cadono al suolo è il risultato di un’iniziativa dell’agente Luigi C., che cerca di arrestare la corsa di Tiziano L. * I video disponibili non permettono di stabilire che la caduta dell’agente sia dovuta a un’azione intenzionale di Tiziano L. * Infine, le immagini che precedono e che seguono la caduta dell’agente mostrano che Tiziano L. non sferra alcun calcio in direzione di Luigi C.”. L’intervista di Radio Onda d’Urto a Yasmine, compagna di Tiziano. Ascolta o scarica       > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp              
November 8, 2024 / Osservatorio Repressione
Venezia: Docente sotto inchiesta per aver criticato le “frecce tricolori”
Una docente del liceo Foscarini di Venezia critica il passaggio delle frecce tricolori su Venezia con un commento su facebook. Per la dirigente scolastica ” è un fatto molto grave e insensato. Non escludo provvedimenti disciplinari” «Frecce tricolori di merda». Così Elena Nonveiller, una prof del liceo Foscarini di Venezia, aveva commentato su Facebook il passaggio a Venezia della pattuglia acrobatica dell’aeronautica. L’occasione era l’anniversario delle Forze Armate: l’esibizione in presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella e del ministro della Difesa Guido Crosetto. Lo sfogo social non è però passato inosservato e la segnalazione è arrivata anche alla scuola dove insegna la docente. Raggiunta dall’Ansa, la dirigente Alessandra Artusi ha commentato: «Me ne sto occupando da stamane, è un fatto molto grave e insensato. Da oggi sto compiendo le verifiche per quanto di mia competenza e non è escluso che possano essere presi provvedimenti disciplinari». La docente si è però difesa: «Ce l’ho con l’inquinamento acustico e atmosferico». Al Gazzettino, il vicepresidente dell’associazione nazionale presidi e rappresentante dei dirigenti scolastici di Venezia Luigi Zennaro ha chiarito: «Gli scenari possibili sono due, amministrativo e penale. Il Dpr 62/2013, il codice di comportamento dei dipendenti pubblici, stabilisce anche l’atteggiamento che il dipendente deve tenere sui social, non infangando la reputazione dell’amministrazione pubblica». Il dirigente scolastico, in questo caso la preside Alessandra Artusi, stabilisce come agire. Potrebbe decidere una censura nei confronti della docente «e, se nel corso delle sue indagini ravvisa un reato penale, presentare denuncia alla procura della Repubblica», spiega Zennaro. L’ipotesi di reato potrebbe essere quella di vilipendio della Repubblica, delle istituzioni costituzionali e delle forze armate, come stabilito dall’articolo 290 del codice penale. «E chi ha offeso le Forze armate? Ce l’ho con l’inquinamento acustico e atmosferico (gas serra) provocato, nonché con la pericolosità (non solo per persone fisiche ed edifici, ma anche per animali, specialmente volatili e uccelli migratori), per non parlare dei costi», si è difesa la professoressa Nonveiller. Il soggetto a cui erano rivolte le sue critiche sarebbe quindi stato frainteso. La docente ha aggiunto: «Tra l’altro passo per “fomentatrice” di qualsiasi evento sgradevole accaduto nell’Istituto scolastico, di cui, ovviamente, non ho alcuna responsabilità. Si ipotizza pure che io nelle mie classi non faccia altro che parlare male delle Forze armate (sic!). Ma quando mai? Viviamo in un regime o cosa? Mi pare proprio di sì purtroppo. Comunque l’articolo (comprese le accuse avanzate) si basa su inferenze improprie. Evidentemente logica aristotelica e sillogismi sono estranei alle conoscenze e competenze della giornalista». (fonte Open)   Alla Professoressa Elena Nonveiller tutta la nostra solidarietà e complicità   Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi sostenerci donando il tuo 5×1000  News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp
November 7, 2024 / Osservatorio Repressione
Roma: Al liceo Plinio è vietato manifestare per la Palestina
Nei giorni scorsi gli studenti del liceo Plinio di Roma hanno calato striscioni contro il genocidio in Palestina e si sono trovati l’ira della preside: “Non si parla di queste cose dentro scuola” di Beatrice Tominic da Fanpage “Non si fa politica a scuola“. Sembra un’opinione diffusa fra i e le dirigenti scolastiche dei licei della capitale che, questo autunno, lo stanno ripetendo spesso. Dopo il caso scoppiato al liceo Righi, emerge quello del Plinio Seniore, denunciato dal corpo studentesco e dal Collettivo 20 Novembre. “La preside ci ha detto che non si fa politica a scuola – spiegano i rappresentanti d’istituto – Ma soprattutto che non si deve prendere posizione sul conflitto in Palestina: dire stop al genocidio, secondo lei, è polarizzante“. Tutto è cominciato giovedì 10 ottobre 2024, quando si è tenuta la prima assemblea d’istituto. “Come ogni anno abbiamo allestito il cortile con i cartelloni e gli striscioni delle manifestazioni passate, lo abbiamo sempre fatto. Stavolta, però, qualcosa non è andato come pensavamo – continuano a spiegare – In breve tempo è arrivata una collaboratrice scolastica e ci ha fermati, dicendo che aveva ricevuto l’ordine dalla preside di chiamare i carabinieri se fossero stati esposti striscioni sulla Palestina“. Lo striscione è stato appeso comunque e i carabinieri non sono arrivati. Il lunedì successivo i rappresentanti d’istituto sono stati convocati dalla preside: “Ci ha chiamato per un concerto che non era stato autorizzato. Ma a quel punto siamo stati noi a chiederle spiegazioni in merito allo striscione sulla Palestina, in cui chiedevamo lo stop al genocidio, e alla minaccia di chiamare i carabinieri. Ma ci ha subito interrotto: non era presente la collaboratrice scolastica con cui avevamo parlato, non potevamo discuterne. E senza alcuna smentita sulla possibilità di avvertire i carabinieri, ci ha spiegato che non si potevano attaccare gli striscioni durante le assemblee senza autorizzazione“. Eppure, sottolineano i rappresentanti, sono anni che allestiamo il cortile per i nostri incontri. “È stato così per i progetti scolastici e anche per quelli che si riferiscono al Plinio transfemminista. Abbiamo pensato che a dare fastidio fosse prendere posizione sulla questione palestinese – ricordano – Ci ha liquidato con un Non si può perché questa è una scuola e non si fa politica. Ci ha detto che essere pro Palestina implicava anche un implicito essere contro Israele, che sarebbe stato polarizzante e che era infattibile per il Plinio. Ma nel nostro striscione c’era soltanto lo stop allo sterminio“. La questione dello striscione, però, non è stato l’unico intoppo dell’ultimo mese. “Le prime avvisaglie risalgono allo scorso maggio, durante un banchetto per raccogliere fondi per i rifugiati: non si poteva fare perché avremmo dovuto allestirne uno anche per Israele”, ripensano i rappresentanti. “A seguito del primo episodio di quest’anno, invece, dopo una lunga corrispondenza via email, siamo stati nuovamente ricevuti da preside e vicepreside, che hanno giudicato la parola genocidio sugli striscioni come un dato opinabile – continuano a raccontare – Insomma, ci è sembrato che si trattasse di un tema politico: il Governo non si è schierato sulla questione e non può farlo neanche la scuola“. Problemi per gli studenti anche quando hanno deciso di raccogliere le firme per la petizione lanciata dalla Rete degli Studenti Medi, in cui si chiede alla scuola di riconoscere lo sterminio in atto nei confronti del popolo palestinese e di impegnarsi, da un lato a non stringere accordi con aziende impegnate nel settore bellico e dall’altro, a costruire percorsi di educazione alla pace: “Anche in questo caso è arrivato un no dalla presidenza, un ennesimo atto di repressione. Se raccogliete le firme da un lato, dovete farlo anche dall’altro, ci è stato detto, per rispettare chi magari non è d’accordo con questo messaggio – hanno poi concluso i rappresentanti del Plinio – La preside ha poi ribadito, ancora una volta, che al Plinio non si fa politica”. Ma il corpo studentesco non desiste: “Continueremo a batterci per una scuola antifascista e antisionista“.     > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp  
November 5, 2024 / Osservatorio Repressione
La cruciale responsabilità del Preposto di Fatto
Il preposto di fatto: come penalizzare i lavoratori e renderli penalmente perseguibili senza assegnare loro effettivo potere rispetto ai datori Il Tribunale di Udine, chiamato a individuare le responsabilità della morte di Lorenzo Parelli, studente impegnato nello stage scuola lavoro in una fabbrica, ha condannato a 3 anni di reclusione l’operaio incaricato quel giorno di affiancare lo stagista, a 2 anni e 4 mesi il tutor aziendale che in quel giorno era assente dal lavoro causa covid, patteggiando infine una multa di 23 mila euro con la proprietà della azienda. Ora non entreremo nel merito di questa sentenza consapevoli che a pagare non saranno quanti hanno pensato a questi assurdi stages che dovrebbero partire da laboratori scolastici moderni, efficienti e funzionanti per essere poi accompagnati nelle aziende solo ed esclusivamente per acquisire informazioni e conoscenze senza essere impiegati direttamente nelle attività produttive. Sarebbe poi da rimettere in discussione proprio lo stage tra scuola e lavoro alla luce di tante testimonianze dei diretti interessati che evidenziano le innumerevoli criticità e contraddizioni di questa alternanza. Ci soffermeremo invece sulla figura del preposto ricordando che in molti luoghi di lavoro la responsabilità del dipendente in materia di salute e sicurezza viene anche barattata con briciole salariali o con la promessa di un avanzamento di carriera. Ma ancora più numerosi sono i casi nei quali il preposto viene ritenuto tale anche senza alcun incarico formale, è il cosiddetto preposto di fatto considerato responsabile in concorso e al pari del datore in caso di infortuni e morti sul lavoro. A distanza di un anno dalla sentenza che puniva il Rappresentante dei lavoratori alla sicurezza giudicandolo parte integrante della sicurezza aziendale quando invece è, o dovrebbe essere, una figura conflittuale con il datore eletto o nominato dai lavoratori a tutela della loro salute e sicurezza, qualche riflessione va fatta proprio sui preposti di fatto Perché le sentenze in Cassazione fanno giurisprudenza e il lavoratore anziano, con maggiore esperienza, viene considerato corresponsabile in caso di eventi infortunistici anche quando esegue ordini e non ha alcun ruolo nella filiera della sicurezza aziendale. Ci chiediamo come sia possibile in una squadra operaia che un lavoratore anziano possa interrompere la produzione quando un gesto del genere potrebbe dare adito a provvedimenti disciplinari, sanzioni e licenziamento. Crediamo quindi opportuno che i lavoratori e le lavoratrici siano messi a conoscenza dei rischi derivanti dal ricoprire il ruolo di preposto sapendo al contempo che in caso di infortunio il lavoratore anziano potrebbe essere ritenuto in ogni caso responsabile al pari del datore solo in base alla sua esperienza e senza mai prendere in esame la mera subalternità ai superiori. Il preposto, designato o di fatto, deve infatti 1. a) sovrintendere e vigilare sull’osservanza da parte dei singoli lavoratori dei loro obblighi di legge e in caso di inadempienza informare subito i superiori; 2. b) verificare che solo i lavoratori formati siano presenti nei luoghi di lavoro senza avere alcuna opportunità di appurare la effettiva presenza degli stessi ai corsi formativi (e in assenza di corsi resta del tutto impotente); 3. c) richiedere l’osservanza delle misure intimando l’abbandono del posto di lavoro o la zona pericolosa salvo poi non essere minimamente tutelato in caso di ritorsione del datore di lavoro per avere bloccato una produzione; 4. d) informare i lavoratori esposti al rischio di un pericolo grave e immediato anche se non è nel suo potere chiedere e ricevere immediatamente dpi, non è nelle sue possibilità suggerire cambiamenti produttivi a tutela della salute sua e dei colleghi Il preposto di fatto salva allora i datori dalle loro responsabilità in caso di infortuni e incidenti sul lavoro. Sarà il caso di rivedere le normative evitando di riproporre logiche formali e senza sostanza a  giustificare il crescente disimpegno datoriale in materia di salute e sicurezza.       > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp
November 3, 2024 / Osservatorio Repressione
La sentenza sul caso Parelli è un attacco ai lavoratori
Una sentenza imbarazzante quella emessa dal Tribunale di Udine che rende ancora più pesante la morte di Lorenzo Parelli, studente di 18 anni morto il 21 gennaio del 2022, all’ultimo giorno di stage alla Burimec. Il sistema penale ancora una volta colpisce chi è alla base dell’ organizzazione e non chi la dirige e ne trae profitto. di Antitesi Il Tribunale di Udine è riuscito a rendere, se possibile, ancora più pesante la morte di Lorenzo Parelli, studente di 18 anni morto il 21 gennaio del 2022, all’ultimo giorno di stage alla Burimec. Di ieri la sentenza che condanna a 3 anni di reclusione l’operaio che quel giorno era affiancato al ragazzo, a 2 anni e 4 mesi il tutor aziendale, assente il giorno dell’incidente a causa del Covid e a 3 anni e 23 mila euro di multa l’imprenditore, accettando il patteggiamento. Una sentenza vergognosa che equipara padrone e operaio, sfruttati e sfruttatore, chi guadagna sulle spalle del lavoro degli altri e chi, troppo spesso, fatica ad arrivare a fine mese. Un epilogo che mette sullo stesso piano, in materia di sicurezza sul posto di lavoro, un lavoratore con l’imprenditore, e che condanna l’azienda ad una misera multa di qualche migliaia di euro a fronte dei numerosi guadagni dati anche dal lavoro gratuito o quasi degli studenti. Contrariamente a quanto prevederebbe la presenza di studenti in azienda, questi spesso vengono abbandonati a loro stessi, viene chiesto loro di svolgere operazioni per cui non sono formati, per non parlare della “richiesta” di lavoro straordinario, magari con la promessa di una futura assunzione. Quindi non stupisce, purtroppo, che questi ragazzi si trovino a pagare il contributo di sangue al profitto, andando ad ingrossare le statistiche delle morti e degli infortuni nei posti di lavoro. A questo si affianca la figura del “preposto di fatto” nelle aziende, ovvero chi, anche senza una formale nomina ma semplicemente con il riconoscimento di sostanza da parte degli altri lavoratori, si ritrova a coprire ruoli di responsabilità per la sicurezza sul lavoro, andando a sgravare dalla colpa il titolare dell’azienda. Questo inoltre porta a dividere ulteriormente i lavoratori, disgregandoli e attenuando la responsabilità delle aziende in caso di infortuni o morti bianche. In un perfetto connubio di interessi tra capitale, istruzione e magistratura, ci troviamo ancora una volta a piangere un morto, dalla nostra parte, che non vedrà giustizia da chi porta avanti solo gli interessi della classe dominante. Dopo anni di massacri all’istruzione pubblica sono riusciti, con l’alternanza scuola-lavoro (oggi PCTO) a plasmare l’istruzione su esigenze di mercato, con l’intento di abituare le future generazioni a diventare cittadini e lavoratori dediti al sacrificio, alla paga misera e alle imposizioni “dall’alto”. Questo passaggio è necessario alla nostra controparte in una fase di tendenza alla guerra, dove la prospettiva può essere solo quella di convincere le nuove generazioni ad obbedire, sacrificarsi nel nome della patria e del “benessere collettivo”. Dove non arriva la convinzione arriva la repressione, come abbiamo visto contro gli studenti a Torino che per aver protestato contro le morti degli studenti in PCTO si sono visti addirittura piombare sulla testa gli arresti domiciliari. Lo vediamo oggi con il nuovo ddl 1660 che, in continuità con i governi precedenti, colpisce specificatamente i lavoratori e, in generale, chi si mobilita per i propri diritti. Dobbiamo organizzare la resistenza contro i padroni e legarla alla lotta contro chi ci sta trascinando in guerra, imponendo manovre lacrime e sangue, producendo morti sul lavoro e nei banchi di scuola. Solo abbattendo questo sistema di morte, guerra e sfruttamento possiamo invertire la strada verso la barbarie. LORO I PROFITTI LORO LA GUERRA NOSTRI I MORTI PAGHERETE CARO!   Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi sostenerci donando il tuo 5×1000  News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp
October 31, 2024 / Osservatorio Repressione
Operaio preso a bastonate nella Piana toscana
Nuova aggressione a un operaio pakistano che aveva denunciato al Sudd Cobas turni di 12-14, lavoro nero e abusi di ogni genere da parte di un’azienda di confezionamento di divani a Quarrata, gestita da imprenditori cinesi. Scioperi e manifestazioni anche in altre due ditte riconducibii alla stessa proprietà di Riccardo Chiari da il manifesto “Sappiamo che sei stato al sindacato”. E giù bastonate, alle braccia e al volto, a un operaio pakistano di 22 anni che aveva denunciato al Sudd Cobas turni di 12-14 ore al giorno, lavoro nero e abusi di ogni genere da parte dell’azienda e del caporale che ne gestisce la forza lavoro. Questa volta è successo a Quarrata, ai confini occidentali del “distretto parallelo” del settore del pronto moda, del tessile e delle confezioni, perlopiù a conduzione cinese, che si è via via allargato in tutta la Piana fiorentina, pratese e pistoiese. La risposta dei lavoratori e del sindacato di base non si è fatta attendere. Dopo che Tahla, l’operaio aggredito, si è fatto medicare (sette i giorni di prognosi) al pronto soccorso dell’ospedale Santo Stefano di Prato, sotto l’azienda Vot International è partita la contestazione: “Sciopero, sciopero. Toccano uno, toccano tutti”. La mobilitazione non ha riguardato solo la Vot International, dove si confezionano divani. Anche in altre due aziende del pistoiese, riconducibili agli stessi proprietari, i lavoratori sono entrati in agitazione e hanno incrociato le braccia. Il sindacato di base ricorda che l’azienda di Quarrata “è stata oggetto recentemente di controllo da parte dell’Ispettorato del lavoro, che aveva avuto modo di riscontrare diverse irregolarità. Ma lo sfruttamento in fabbrica è proseguito già dal giorno dopo il controllo, proprio come avveniva prima”. Appena quattro giorni fa il Pd di Prato aveva organizzato la sua assemblea provinciale a Seano, dove all’inizio del mese c’era stata un vera e propria aggressione squadrista a un presidio di protesta nell’ambito dello Strike Day, mobilitazione messa in cantiere dal Sudd Cobas per chiedere il rispetto dei contratti collettivi nazionali di settore e orari regolari di lavoro, 40 ore la settimana e non 70 come molto spesso accade nella maggior parte delle aziende del comprensorio. Nell’occasione il segretario pratese dei dem Marco Biagioni aveva lanciato un appello: “Siamo chiamati a fare tutti gli sforzi possibili per salvaguardare il distretto e le tante imprese che operano nella legalità, combattere la concorrenza sleale, tutelare chi lavora. Non ci voltiamo dall’altra parte: il fenomeno dello sfruttamento nel nostro territorio esiste, va riconosciuto e combattuto con tutte le nostre forze”. Impietosa l’analisi della situazione: se in Toscana oltre il 9% dei lavoratori è irregolare, nella Piana della Toscana centrale la percentuale del lavoro nero, grigio e a cottimo si alza in maniera impressionante. Di qui l’esigenza di contrastare l’illegalità e lo sfruttamento con maggiori controlli, come ha scandito il presidente regionale Eugenio Giani: “Occorre una forte azione di controllo da parte delle forze dell’ordine, così come già avvenuto anche in passato grazie al progetto ‘Lavoro sicuro’”. Al tempo stesso, visto che i soli controlli non bastano almeno a giudicare dalla puntuale denuncia del Sudd Cobas, dall’assemblea dem è emersa anche la necessità, quanto mai urgente, di incentivare la formazione dei lavoratori, quasi tutti migranti, assicurando loro i più elementari diritti civili e sociali a partire dalle regolarizzazioni. In parallelo, il Pd propone di “sostenere la buona impresa anche attivandoci per offrire sgravi fiscali a chi assume lavoratori che hanno presentato denunce di sfruttamento”. > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp
October 29, 2024 / Osservatorio Repressione
Il 19 ottobre giornata nazionale di mobilitazione contro Ddl 1660 e stato di polizia
Settimana di mobilitazione dal 14 al 19 ottobre contro il ddl 1660 sulla sicurezza che culmina con la giornata nazionale di manifestazioni del 19 ottobre a Roma, Milano e altre città italiane. Prevenire, sorvegliare e punire. Questo è il sottotesto del DDL in materia di sicurezza pubblica e di tutela del personale in servizio a firma Crosetto, Nordio e Piantedosi. Conosciuto come d.d.l. 1660, è da pochi giorni approdato in Senato con il numero 1236 dopo il suo iter alla Camera persino con elementi peggiorativi rispetto al testo iniziale (quale, ad esempio, la richiesta di permesso di soggiorno per poter acquistare una sim card), senza che le opposizioni parlamentari mettessero in atto alcuna resistenza degna di questo nome nelle Commissioni e nelle Aule. D’altra parte, i precursori delle norme contenute nel d.d.l. portano i nomi di Turco e Napolitano (per la parte inerente gli oggi CPR, allora CPT), Minniti (fautore di decreti sicurezza e degli accordi con la Libia, oggi a capo della fondazione Med-Or di Leonardo), Renzi (con le sue norme contro chi occupa immobili e alloggi vuoti per necessità), arrivando ai vari decreti Salvini e Piantedosi. La genealogia di queste norme, e la sua continuità con questo DDL, spiega dunque bene perché le opposizioni abbiano scelto di riversare fuori tempo massimo le proprie “rimostranze” in strada (certamente più per necessità elettorali che per convinzione politica), anziché essere presenti e attive dentro le aule parlamentari. Nel mirino, i firmatari del DDL mettono dunque i blocchi stradali (che divengono nuovamente reato penale), le manifestazioni contro le opere vagamente ritenute “strategiche” (per le quali si istruisce il distopico reato di “terrorismo della parola”), l’uso della cannabis light, oltre a prevedere la detenzione per donne in gravidanza o madri di neonati in caso di reato, cosa oggi non prevista dall’ordinamento giudiziario. Per non parlare della ipercriminalizzazione delle rivolte contro le condizioni disumane che si esperiscono dentro carceri e CPR, o del passaggio da casa a cella (da due a 7 anni) assicurato a coloro che decidono di usare il proprio corpo per opporsi a uno sfratto o a uno sgombero, in solitudine o in concorso con altre persone. Un provvedimento fortemente voluto dal ministro Piantedosi e da lui giustificato dalla necessità di rendere più efficace il contrasto verso reati che creano allarme sociale e di tutela rafforzata per le forze dell’ordine, con l’introduzione delle bodycam sulle divise, la libertà di portare armi (anche private) fuori dall’orario di servizio, l’inasprimento delle pene per chi viene accusato di minaccia o lesione nei loro confronti e un anticipo di 10mila euro nel caso dovesse essere necessario difendersi in un procedimento avverso per azioni commesse in servizio. Un giro di vite che porta il nostro Paese persino più indietro del codice Rocco, e che non rende certo iperbolico parlare di Stato di polizia. In attesa di vedere i senatori dell’opposizione fare le barricate contro questo inaccettabile dispositivo di legge, si intensificano le forme di insubordinazione e disobbedienza diffusa (e preventiva), come dimostrato dal ripudio del divieto di manifestazione lo scorso 5 ottobre da parte di migliaia di persone a Roma. E’ già in costruzione una settimana di mobilitazione dal 14 al 19 ottobre, con particolare determinazione a fare in modo che la giornata nazionale di manifestazioni del 19 ottobre a Roma, Milano e altre città italiane siano partecipate, convinte e con obiettivi chiari. A Roma l’appuntamento è alle 15.00 in piazza Esquilino per un corteo. Le pratiche di lotta come i picchetti fuori dai posti di lavoro e in difesa degli sfratti, le azioni dirette contro le grandi opere che consistono nei presìdi e nelle invasioni di aree di importanza strategica, le occupazioni di edifici pubblici e le forme di solidarietà, punite come la cessione di una sim ad un migrante senza permesso di soggiorno, non possono essere considerate delitti contro l’incolumità pubblica o foriere di incubare strategie terroristiche, come afferma il DDL, ma necessarie forme di lotta che hanno consentito l’avanzamento delle tutele oggi esistenti ma che si vogliono cancellare definitivamente.   > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp   L'articolo Il 19 ottobre giornata nazionale di mobilitazione contro Ddl 1660 e stato di polizia sembra essere il primo su Osservatorio Repressione.
October 16, 2024 / Osservatorio Repressione
Desio: 400 euro di multa aver esposto uno striscione contro il genocidio a Gaza
Al mercato nel comune di Desio(Monza/Brianza) sono intervenuti i carabinieri e fatto verbale per 420 euro a questo ambulante del miele per esposizione di striscione non autorizzato. È l’assurda storia successa a Marco Borella, un apicoltore che al mercato di Desio, in provincia di Monza e Brianza, aveva esposto come ogni settimana sul suo banchetto del miele uno striscione con scritto sopra “stop bombing Gaza, stop genocide”. Qualcuno però lunedì mattina ha chiamato i Carabinieri che hanno intimato a Marco di togliere lo striscione, pena una multa da 430€ per “propaganda politica non autorizzata”. Lo striscione è rimasto al suo posto e Marco ha preso la multa. Nei prossimi giorni farà ricorso contro questa sanzione, ma intanto la repressione ha già ottenuto un risultato: Marco rischia di prendere ogni volta una multa e per questo probabilmente non esporrà più lo striscione. > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp   L'articolo Desio: 400 euro di multa aver esposto uno striscione contro il genocidio a Gaza sembra essere il primo su Osservatorio Repressione.
October 15, 2024 / Osservatorio Repressione