Tag - lotte sociali

A.C.A.B.: la Val Susa secondo Netflix vs la realtà che viviamo
In A.C.A.B., la serie prodotta dalla multinazionale americana Netflix la lotta No Tav viene mostrata in modo macchiettistico e violento, in linea oltretutto con la retorica giornalistica che abbiamo visto in questi anni. La rappresentazione equilibra forzatamente le violenze, suggerendo una simmetria tra le parti, con un ferito per parte, come se il peso reale della repressione fosse bilanciato. il divario è ben più marcato e lo dimostrano le inchieste giudiziarie che ci hanno colpito in questi anni, gli anni di carcere elargiti come se fossero noccioline, i nostri feriti e il territorio militarizzato come se fossimo in guerra. di Movimento No Tav da notav.info In Val Susa abbiamo avuto modo di vedere A.C.A.B., la serie prodotta dalla multinazionale americana Netflix e uscita mercoledi 15 gennaio. Eravamo curiosi di osservare come una fiction di tale portata avrebbe trattato la nostra terra e la nostra lotta. Quello che abbiamo visto non ci ha colpiti: la Val Susa, in questo caso, è solo un pretesto narrativo per introdurre la storia dei reparti celere protagonisti. È significativo, tuttavia, che la lotta No Tav venga mostrata in modo macchiettistico e violento, in linea oltretutto con la retorica giornalistica che abbiamo visto in questi anni. La rappresentazione equilibra forzatamente le violenze, suggerendo una simmetria tra le parti, con un ferito per parte, come se il peso reale della repressione fosse bilanciato. In realtà, il divario è ben più marcato e lo dimostrano le inchieste giudiziarie che ci hanno colpito in questi anni, gli anni di carcere elargiti come se fossero noccioline, i nostri feriti e il territorio militarizzato come se fossimo in guerra. Quello che la serie mette in scena non è uno scontro realistico, ma una sorta di battaglia epica, che ricorda le lotte tra antichi romani e popolazioni barbariche, in cui solo l’inganno consente ai “barbari” di colpire un valoroso centurione. La narrazione non appare squilibrata solo nella rappresentazione della violenza, ma anche nell’attribuzione delle sue origini. Si tenta di far credere al vasto pubblico globale di Netflix che le violenze perpetrate dalle forze dell’ordine in Val Susa – e altrove – siano una reazione inevitabile, giustificata dalla tensione generata dai manifestanti. Questi vengono rappresentati attraverso la solita retorica manichea, che li divide in “pensionati buoni” e “zecche pericolose”, oppure riducendo ogni abuso a episodi isolati causati dal singolo elemento irruento: la stanca e falsa narrazione della “mela marcia” che nega, di fatto, la verità incontrovertibile per cui è il sistema ad essere violento, imponendo con la forza ciò che viene rifiutato da più di 30 anni in questa valle. E quindi nessun riferimento, ovviamente, alle ragioni della protesta, alle origini di una contrarietà ragionata e diffusa nella nostra valle, alla devastazione che quotidianamente osserviamo, ai nostri boschi distrutti, alle colate di cemento, all’inquinamento, ai rischi per la nostra salute. Poiché noi la realtà la viviamo quotidianamente sulla nostra pelle, sappiamo che quello che accade in Valsusa non è un film e infatti conosciamo il prezzo per difendere il nostro territorio dalla devastazione. Siamo di fronte ad un crimine ambientale che all’oggi non vede punire i colpevoli, anche se sappiamo bene chi sono. Cosa che invece sta accadendo è che alcuni di noi sono accusati del reato di associazione a delinquere e dai vari ministeri e da Telt ci viene richiesto un rimborso pluri-milionario per difendere quei cantieri che la nostra valle non ha mai richiesto. La realtà è qui, tra le persone che vivono queste montagne. In questo documentario di cui vi alleghiamo il link, Archiviato (regia di Carlo Amblino, con voce narrante di Elio Germano) sono elencati una piccola parte degli abusi che abbiamo subito in questi anni. La nostra Resistenza ci porterà alla vittoria e questo è quanto basta.     > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp  
January 17, 2025 / Osservatorio Repressione
Abusi in questura a Brescia: intervista all’avvocato Gilberto Pagani. “Attiviste ancora sotto shock”
Abusi in Questura a Brescia contro Extinction Rebellion: dopo le interrogazioni di Alleanza Verdi e Sinistra e Movimento 5 Stelle, il documento dei Centri anti-violenza di Brescia e le denunce di attiviste e attivisti, il ministro Piantedosi difende l’operato della Questura di Brescia sugli abusi in divisa nei confronti delle attiviste di Extinction Rebellion, Ultima Generazione e Palestina Libera di lunedì  dopo il blocco pacifico di Leonardo, azienda armiera implicata nelle guerre di mezzo mondo, a partire dal Medio Oriente. Durante il fermo, durato 7 ore, XR ha denunciato che in Questura “molte delle persone identificate come donne sono state costrette a spogliarsi e a eseguire piegamenti sulle gambe, trattamento non riservato alle persone di sesso maschile”. Per il titolare del Viminale, invece, “le perquisizioni sono state volte in piena regolarità: mi dispiace comunque se qualcuno si  sentito offeso. Ho condiviso con il capo della Polizia di Stato il pensiero che noi dobbiamo rafforzare l’indicazione agli operatori che queste pratiche, che hanno una loro sensibilità, siano caratterizzate da una proporzionalità e adeguatezza agli scenari che si presentano“. Queste ultime parole del titolare del Viminale non sfuggono all’avvocato Gilberto Pagani, uno dei legali che segue gli attivisti e le attiviste: “quelle di Piantedosi sono affermazioni che confermano quanto stiamo dicendo: il richiamo alla “proporzionalità” evidenzia che questo criterio sia sfuggito, perchè le donne fermate non erano certo delle criminali“. Rispetto alla denuncia formale da parte delle attiviste “stiamo per concluderla, ma dobbiamo ancora decidere chi di queste ragazze se la sente di esporsi, perchè sono veramente sotto shock. Faranno incontri questo fine settimana con degli psicologi, perchè sono rimaste veramente colpite. Non sono delle criminali e assimilare manifestanti pacifisti e non violenti a dei criminali significa non capire la questione e assumere un atteggiamento di “delirio repressivo””. Su Radio Onda d’Urto l’intervista integrale all’avvocato Gilberto Pagani, legale di Extinction Rebellion Italia. Ascolta o scarica Contro l’intimidazione e gli abusi in Questura a Brescia, sabato 18 gennaio, alle ore 15.30, presidio fuori dalla Questura stessa, in via Botticelli, indetto da csa Magazzino 47, Diritti per tutti, Collettivo Onda Studentesca, Cobas e Cub. SPESE LEGALI – XR ha poi lanciato un appello a sostenere le spese legali: https://sostieni.link/36163 Il comunicato di XR Italia: “È SUCCESSO DI NUOVO: COSTRETTE A SPOGLIARSI Dopo oltre 7 ore di fermo in Questura, sono state rilasciate le 23 persone di Extinction Rebellion, Palestina Libera e Ultima Generazione che erano state fermate dopo la manifestazione alla Leonardo spa di Brescia. Appendiamo con dolore che molte delle persone socialmente identificate come donne sono state costrette a spogliarsi e a eseguire piegamenti sulle gambe, trattamento non riservato invece alle persone di sesso maschile. Tutte le persone sono state denunciate arbitrariamente per reati pretestuosi e altre espulse da Brescia con dei fogli di via obbligatori. Si, la solita misura di prevenzione del codice antimafia che viene illegittimamente notificata dai Questori di tutta Italia sotto ordine diretto del Ministero dell’Interno. Si conclude cosi una giornata piena di abusi in divisa che apre una nuova ferita nella gestione del pubblico dissenso in questo paese. Abusi che raccontano, ancora una volta, che contestare le politiche genocide ed ecocide della Leonardo – la principale azienda bellica partecipata dallo stato italiano – non è assolutamente consentito. Chiederemo giustizia, anche questa volta, affinché il diritto al dissenso venga difeso, onorato e protetto. Ripetiamolo insieme: sorella, non sei sola!” > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp
January 17, 2025 / Osservatorio Repressione
Salò (Bs): espone bandiera e striscione sulla Palestina, si ritrova polizia e carabinieri in casa per farli rimuovere
Espone una bandiera e lo striscione con scritto “Palestina Libera” dal balcone in via Vittorio Emanuele II in centro a Salo’ e si ritrova polizia e carabinieri in casa (in sua assenza ) che intimano ai suoi genitori, in quel momento ospiti nell’abitazione, di rimuoverli. E’ successo a Giulio Tonincelli fotografo e documentarista indipendente. La bandiera era esposta fin dal 2018 dopo che Giulio era stato nella Striscia di Gaza. Da quel viaggio è nato “Diario Palestinese” un reading-concerto tra musica, parole e immagini. Ora si trova in Etiopia a raccogliere testimonianze su quella che è stata la presenza coloniale italiana. Il racconto su quanto accaduto a Radio Onda d’Urto di Giulio Tonincelli documentarista e filmmaker indipendente Ascolta o scarica     > Desio: 400 euro di multa aver esposto uno striscione contro il genocidio a > Gaza > Un normale eccesso di zelo. A proposito di api, pace e libertà   > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp
January 17, 2025 / Osservatorio Repressione
Il World Report 2025 di Human Rights Watch boccia l’Italia
Nel suo rapporto annuale l’organizzazione per i diritti umani scatta una fotografia dello stato di salute del diritto internazionale e umanitario a livello globale, con la puntuale analisi della situazione di oltre 100 Paesi. Il ritratto dell’Italia è impietoso: destano preoccupazione le crescenti discriminazioni e le restrizioni dei diritti civili e sociali. Dal “Ddl sicurezza” alla violazione dei diritti delle persone in movimento di Alessio Giordano da Altreconomia “A livello globale nel 2024 abbiamo osservato due principali tendenze negative: il persistere di alcuni conflitti per i quali la risposta della comunità internazionale è stata insufficiente e la rinascita e il consolidamento di governi populisti contrari ai diritti umani, che con gradazioni diverse coinvolge vari Paesi”. Lo dice Federico Borello, vicedirettore esecutivo di Human Rights Watch, presentando il nuovo World Report 2025 pubblicato il 16 gennaio. Rientra nel secondo gruppo l’Italia, che secondo Borello “ha confermato il trend rilevato lo scorso anno”. Come già nel 2023, infatti, anche nel 2024 il nostro Paese ha registrato un incremento delle discriminazioni razziali e della violenza di genere, la restrizione dei diritti delle donne, l’aumento della retorica ostile nei confronti delle persone Lgbtqia+ e una maggiore difficoltà di accesso ai diritti per comunità rom e richiedenti protezione internazionale. Ad aprire le pagine del World Report 2025 dedicate all’Italia è proprio un’ampia panoramica sulle violazioni dei diritti delle persone migranti. In materia di ricerca e soccorso il report denuncia innanzitutto come “il governo italiano ha ostacolato le operazioni di soccorso delle organizzazioni non governative almeno 25 volte tra febbraio 2023 e settembre 2024” e ricorda che dallo scorso ottobre “le autorità hanno il potere di multare e trattenere gli aerei delle Ong”, utilizzati per monitorare dall’alto il Mediterraneo centrale e segnalare eventuali imbarcazioni in difficoltà. Sotto accusa anche la “politica dei porti lontani” italiana, che “costringe le navi di soccorso a sbarcare nei porti delle città del Centro e del Nord del Paese e le ricorrenti detenzioni amministrative in atto sulle stesse imbarcazioni”. Human Rights Watch, inoltre, condanna senza appello i respingimenti italiani e la cooperazione con Paesi che non rispettano i diritti umani. “Abbiamo assistito alla parziale débâcle dell’esternalizzazione delle frontiere -spiega Borello-, la cui legalità è stata messa in discussione dalla magistratura italiana”. Nello specifico il report dell’organizzazione ricorda come i tribunali italiani abbiano stabilito che “i capitani delle navi mercantili non devono restituire alla Libia le persone soccorse in mare a causa del rischio di gravi violazioni dei diritti umani”. Va in questa direzione la sentenza con cui lo scorso febbraio la Corte di Cassazione ha confermato la condanna del comandante del rimorchiatore Asso 28, reo di aver riconsegnato alla guardia costiera libica 101 persone nel luglio 2018. Infine, puntualizza Hrw, “il tribunale di Crotone ha stabilito che il Centro di coordinamento del soccorso marittimo (Mrcc) e la guardia costiera libica non sono attori legittimi di ricerca e soccorso”. Il focus sulla migrazione si conclude ripercorrendo gli accordi che l’Italia ha sottoscritto con i governi di Tunisia e Albania. Nel primo caso la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha descritto questa intesa, che prevede un sostegno finanziario e linee di credito per 105 milioni di euro in favore del Paese nordafricano, come “parte del piano dell’Italia per frenare la migrazione”. Nel secondo caso, invece, il rapporto ricorda che il momentaneo stop all’applicazione del protocollo d’intesa tra Italia e Albania è giunto quando “i giudici italiani hanno dichiarato illegittima la detenzione di due gruppi di uomini salvati in mare dall’Italia e inviati in Albania”. Trend negativo anche sul fronte dei diritti civili e sociali, temi sui quali secondo il vicedirettore esecutivo Borello “da molti anni i nostri politici seguono alla perfezione la strategia populista: individuare nemici sulla base di criteri etnici, religiosi o legati all’orientamento sessuale e attaccarne i diritti”. Preoccupano, in particolare, le discriminazioni nei confronti di persone nere e di etnia rom. Citando il rapporto 2024 degli esperti indipendenti sulle violazioni dei diritti umani da parte delle forze dell’ordine nei confronti di persone di origine e discendenza africana a cura delle Nazioni Unite, Hrw denuncia il racial profiling e il razzismo sistemico attuato dalle forze di polizia italiane. Matita rossa anche per il “Ddl 1660” approvato alla Camera lo scorso settembre. L’organizzazione evidenzia le criticità dell’articolo 15 del disegno di legge, che consente l’incarcerazione delle donne in stato di gravidanza e di quelle con bambini di età inferiore a un anno, e sottolinea come questa misura sia stata esplicitamente definita “anti-rom”, “dopo che il vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini ha ripetutamente affermato che le donne rom che commettono reati eviterebbero il carcere rimanendo incinte”. L’analisi prosegue rivelando che in Italia la forbice sociale tra ricchi e poveri si è allargata. Human Rights Watch ricorda che, secondo i dati Istat del 2024, circa il 10% della popolazione italiana viveva in condizioni di povertà nel 2023. Anche in questo ambito poi non mancano le discriminazioni. Il World Report 2025, infatti, rileva che “la Corte di giustizia dell’Ue, a luglio, ha stabilito che il requisito di residenza di dieci anni richiesto dall’Italia ai cittadini stranieri per accedere al ‛reddito di cittadinanza’ costituiva una discriminazione illegale”. A gennaio, il governo aveva già sostituito questo strumento con un sistema di aiuti che comprende, tra le altre cose, “assegni di inclusione” e formazione professionale e che “fornisce però un’assistenza più limitata ai cittadini stranieri rispetto a quella di cui beneficiano i cittadini italiani”. Il rapporto si concentra poi sui fenomeni di violenza sessuale e di genere, che in Italia rappresentano un problema di drammatica attualità: “Le statistiche pubblicate a luglio dal governo hanno mostrato un aumento costante, dal 2021 al 2023, dei casi di violenza domestica contro le donne, di aggressione sessuale e di altri atti di violenza e molestie di genere”. Si segnala, inoltre, l’emendamento al disegno di legge 19/2024, approvato dal Parlamento lo scorso aprile, che riconosce legittimità all’ingresso delle associazioni antiabortiste nei consultori. A questo proposito è bene ricordare -come fa il report di Human Rights Watch- che in Italia “l’interruzione di gravidanza è legale entro il primo trimestre, e anche dopo in alcune circostanze, ma le persone spesso affrontano ostacoli significativi a causa dell’elevato numero di operatori obiettori di coscienza che rifiutano di praticare l’intervento”. “In tema di orientamento sessuale e identità di genere -riprende Borello- l’Italia è scivolata “dal 34esimo al 36esimo posto su 49 Paesi europei nella valutazione di Ilga Europe (International lesbian and gay association) sulle politiche e le leggi a tutela delle persone Lgbt”: sono ritenuti gravi i discorsi di odio e gli attacchi alle famiglie di genitori dello stesso sesso da parte di politici di primo piano e inadeguata la risposta dello Stato alla violenza e alla discriminazione nei confronti delle persone Lgbt. “In un sondaggio condotto dall’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali -scrive Hrw- il 60% degli intervistati in Italia ha dichiarato che negli ultimi cinque anni la violenza anti-Lgbt è aumentata, mentre il 68% ha affermato di aver subito atti di bullismo, insulti o minacce a scuola”. Il World Report, inoltre, condanna il disegno di legge che ha reso la gestazione per altri (Gpa) un reato universale. Secondo Human Rights Watch questa misura “avrà un impatto sproporzionato sul diritto delle coppie omosessuali e sterili di creare una famiglia”. A chiudere la panoramica sull’Italia è lo stato di salute dell’informazione e del diritto di protesta. Anche in questo caso le note positive sono poche: Human Rights Watch definisce “allarmanti” la mancanza di indipendenza dei media e l’uso di intimidazioni legali contro i giornalisti in Italia e, richiamando la Relazione sullo Stato di diritto a cura della Commissione europea, segnala “un aumento delle cause legali contro i giornalisti, un uso eccessivo dei decreti di emergenza da parte del governo e la restrizione dello spazio civico”. Per l’organizzazione andrebbero interpretati proprio in questo senso gli articoli del Ddl 1660 che prevedono un incremento di pena per alcuni reati commessi durante proteste e manifestazioni. “Dalla democrazia italiana ci aspetteremmo che orientasse le proprie risposte basandosi sul diritto internazionale, eliminando la retorica verso le minoranze e tutelando maggiormente i diritti di tutti”, conclude Borello, che ritiene però che questo auspicio difficilmente si realizzerà “visto che il governo attualmente in carica ha una posizione di chiusura ideologica verso tutte le tematiche da noi prese in esame”.     > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp    
January 16, 2025 / Osservatorio Repressione
Valditara a Lecce: intimidazioni agli studenti che protestano
La Questura e la digos di Lecce intimidiscono gli studenti riuniti per organizzare un sit-in contro il ministro Valditara Sissi Neko per Officine Mai + Un’altra giornata buia per la democrazia e i diritti fondamentali a Lecce. Ieri, un gruppo di studenti appartenenti all’associazione Osa si è riunito per preparare il sit-in previsto il 16 gennaio di fronte al liceo Palmieri, dove il ministro Valditara terrà la sua passerella propagandistica. Una riunione pacifica, legittima, ma evidentemente scomoda per il potere: la Digos è intervenuta identificando tutti i presenti. Un atto che sa di intimidazione, di repressione, di controllo autoritario. La polizia così si riduce a strumento di pressione contro chi osa alzare la testa. Controlli d’identità, sorveglianza: pratiche che violano il diritto alla libertà di riunione pacifica, sancito dalla Costituzione e da ogni principio democratico. Tutto questo senza un minimo sospetto concreto di reato, ma solo per soffocare ogni voce contraria al regime del consenso. Questa escalation non è un caso isolato, ma si inserisce in un quadro preoccupante. Negli ultimi mesi, il Salento è stato teatro di una sempre più arrogante dimostrazione di forza da parte delle destre. Dalle celebrazioni per Acca Larentia, alla presentazione del libro Venti di CasaPound, con la presenza di Gianluca Iannone e del sindaco Mellone, un altro esempio di compiacenza verso l’estrema destra. E ora, a suggellare questa deriva, l’arrivo del ministro Valditara, accolto dalla sindaca Polibortone, le cui connessioni con CasaPound sono note e mai smentite. Valditara rappresenta perfettamente il volto di questa destra: un ministro che ha difeso il lavoro gratuito di sfruttamento per i giovani, che ha ridicolizzato il ruolo della scuola pubblica come spazio di emancipazione, che nega l’esistenza del patriarcato, che utilizza il dramma dei femminicidi per fare propaganda razzista, che non perde occasione per normalizzare retoriche autoritarie e reazionarie. Lecce, una città dal forte spirito antifascista, non può accettare di veder sfilare impunemente simboli e rappresentanti di ideologie che calpestano la memoria, i diritti, la libertà. Questo non è solo un attacco agli studenti, ma un segnale per chiunque osi opporsi. Non possiamo restare in silenzio. È ora di alzare la voce, di difendere i nostri spazi, di riaffermare con forza che Lecce non ci sta. Lecce è antifascista, e lo sarà sempre. Il 16 gennaio ci diamo appuntamento alle ore 7:45 sotto al liceo Palmieri, per resistere e manifestare! > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp  
January 16, 2025 / Osservatorio Repressione
Appello a Mattarella a non firmare il ddl sicurezza
Ultima generazione: Mattarella, non prestarti a una firma vigliacca. La morte del giovane Ramy anticipa la condizione di protezione e impunità verso gli abusi della polizia che avverrà con la nuova legge Vorremmo chiedere a Mattarella quanto sia possibile appellarsi alla neutralità della propria funzione quando il progetto politico che il governo porta avanti è chiaramente anti-democratico. Vorremmo chiedergli cosa avrebbe fatto un presidente come Pertini davanti ad una proposta del genere. Vorremmo chiedergli come possiamo sentirci garantiti da chi, eletto al secondo mandato dalla stragrande maggioranza del Parlamento, in questi anni non è riuscito a imporre mai la propria voce nel dibattito pubblico se non nel far eleggere il governo Draghi e continuare la svendita del paese? Le grida di dolore per le incessanti morti sul lavoro vengono ignorate, sepolte sotto un mare di parole paternalistiche e prive di sostanza. Stavolta, però, non è solo il disinteresse a preoccupare: è la certezza che dietro questa retorica vuota si nasconde una volontà deliberata di portare il Paese verso una deriva autoritaria sempre più evidente. Non è paura per il nostro Paese, è rabbia per la sistematica demolizione dei suoi valori democratici, con il Presidente Mattarella che, con il suo silenzio e la sua complicità, tradisce i principi fondamentali della Costituzione che dovrebbe incarnare e difendere. Cos’è il patriottismo? Il tema del patriottismo è stato al centro del discorso di fine anno del Presidente Mattarella. Saranno da considerare ‘patrioti’ gli esponenti delle forze dell’ordine che, se verrà approvato il ddl Sicurezza, avranno garantita la protezione legale per gli abusi che commetteranno sulle persone che manifesteranno pacificamente in maniera nonviolenta? Sono forse dei ‘patrioti’ i carabinieri che hanno provocato la morte di Ramy? Oppure i poliziotti della questura di Brescia, che lunedì hanno fatto denudare delle persone che erano lì per normali procedure identificative a seguito dell’azione nonviolenta davanti la sede di Leonardo s.p.a.? Il governo soffia pericolosamente sul fuoco, Mattarella che farà? Dopo gli scontri di sabato a Bologna e Roma, il Governo sfrutta subito l’occasione per accelerare l’approvazione del ddl Sicurezza: una legge che instaurerà di fatto uno stato di polizia, soffocando ogni protesta pacifica. Un disegno di legge impantanato per mesi, ora ripescato dalle paludi parlamentari nonostante i rilievi del Quirinale e del Consiglio d’Europa, viene usato per intimidire chiunque non aderisca alla reazionaria visione della società della maggioranza. Che faranno le opposizioni? Assisteranno passivamente, come nel 1924, alla nascita di un nuovo fascismo, o si batteranno nelle piazze? E Mattarella? Si limiterà a firmare, tradendo ancora una volta la Costituzione? Ci sarà di nuovo la firma di rito, per l’ennesima legge che non condivide e che ritiene sbagliata, o avrà finalmente il coraggio di fermare questo assalto autoritario? Mattarella, il diritto al dissenso democratico è il sale della nostra costituzione Chiediamo che Mattarella non firmi il ddl Sicurezza, già approvato dalla Camera il 18 settembre: una legge che introduce nuove misure repressive, inasprisce pene e crea nuovi reati per colpire la libertà di protesta. È il più grande attacco alla democrazia repubblicana e la nostra petizione, già a quota 25 mila, ne è la prova. Con una trentina di nuovi reati e sanzioni, questo Governo mostra il suo volto più autoritario, riducendo la “sicurezza” a un arsenale di divieti e punizioni, mentre ignora la vera sicurezza sociale, lavorativa e umana. Se Mattarella firmasse, confermerebbe che anche il Quirinale è complice del passaggio della nostra Repubblica a una “democratura”. Sta quindi a noi cittadini reagire: collettivamente, con la disobbedienza nonviolenta, possiamo rompere l’isolamento che vogliono imporci, pretendendo giustizia e un futuro vivibile. Chiediamo a tutte le persone di attivarsi sottoscrivendo la petizione a questo link.   > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp
January 15, 2025 / Osservatorio Repressione
Risposta alle dichiarazioni di media e politici. Il comunicato a seguito del corteo per Ramy a Roma
Il comunicato degli studenti e delle studentesse che a Roma sono scese in piazza per Ramy in risposta alle dichiarazioni di media e politici. Troviamo inammissibile utilizzare una manifestazione che esprime dissenso giovanile come mero pretesto per ampliare e accelerare l’approvazione del DDL sicurezza che in queste ore rischia di essere potenziato nella sua capacità repressiva con l’implemento di modifiche volte a tutelare gli agenti violenti. Ribadiamo l’importanza di creare opposizione sociale a queste misure repressive e per questo chiediamo a tutte le realtà politiche e sociali di ricondividere e far arrivare a più persone possibili questo comunicato. da collettivo Zaum Siamo l3 student3 che sono sces3 in piazza in questi giorni per Ramy a Roma, additat3 come pericolos3 estremist3 dalla stampa e dalla questura, che non hanno altro interesse che strumentalizzare noi e la morte di un ragazzo. Oggi abbiamo sotto gli occhi l’ennesimo episodio di violenza, in questo caso omicidio, da parte delle forze dell’ordine verso un nostro coetaneo, colpevole di non essersi fermato ad un posto di controllo e quindi condannato a morire schiacciato tra una gazzella dei carabinieri e un palo stradale. Il nostro paese ha un problema con il ruolo della polizia: gli omicidi commessi dallo Stato per mezzo delle forze dell’ordine non vengono mai riconosciuti come tali né affrontati. La storia è sempre la stessa: prima vi è la strenua difesa dell’arma, poi il processo alla vita della vittima e di sottofondo il tentativo di insabbiare o far finire nel dimenticatoio la questione. In Italia, chi viene uccisə dalla polizia ha sempre due colpe: la prima è quella di essere mortə e la seconda era quella di essere in vita. Ed infatti per loro Carlo Giuliani è stato ucciso perché violento, per questo meritava un proiettile in testa. Cucchi un tossico, ed aveva la bocca larga. Russo era un rapinatore napoletano e veniva da una famiglia di poco di buono. Anche Ramy era un rapinatore, per di più egiziano e di Corvetto. Queste storie nelle loro differenze ci danno uno spaccato chiaro: la legge non è uguale per tutt3 e la verità e la giustizia non sono garantite. Gli esiti processuali di chi aveva un comitato e/o una famiglia disposte a dare battaglia allo stato intero e alla magistratura sono molto diversi da chi questo “privilegio” non lo possedeva. La storia recente di questo paese ci racconta questo: carabinieri e polizia sono sempre inattaccabili, da destra a sinistra, ma senza un attacco alle istituzioni (nelle aule dei tribunali, nelle piazze o negli spazi di presa di parola pubblica) non c’è certezza di ottenere giustizia. Mentre le forze dell’ordine sono legittimate da questo sistema a commettere soprusi, come al g8 del 2001 alla Diaz o quotidianamente nelle carceri e nei cpr, sembra impossibile per entrambe le parti politiche non esprimere solidarietà all’arma in qualsiasi occasione, a prescindere. E così, in un paese in cui, per altro, non esiste la pena di morte, quando un ragazzo di 19 anni viene giustiziato su due piedi durante un inseguimento da un carabiniere, quest’ultimo è l’imputato con presunzione di innocenza sul quale servono anni di processi e indagini prima di poter insinuare che sia colpevole, mentre chi protesta per l’accaduto è dopo poche ore dichiaratə da giornali e questure unə violentə, unə terrorista rossə, unə estremista. Sabato sera a San Lorenzo, quartiere attraversato quotidianamente dall3 giovani e sempre più militarizzato, c’è stato un corteo spontaneo che ha sentito di essere troppo arrabbiato per aspettare anni di processi che difficilmente racconteranno la verità di quella giornata. La narrazione securitaria omette che l3 manifestant3 volevano raggiungere la stazione dei Carabinieri per denunciare pubblicamente la loro responsabilità. Ci accusano di strumentalizzare la morte di Ramy. Strumentalizzazione per noi è quella che i giornalisti, i partiti e la questura hanno fatto su questa giornata. Per un mese la stampa processa la vita di Ramy provando a colpevolizzarlo e a minare la credibilità di amici e familiari che denunciavano l’accaduto. Ma una volta usciti i video entrano in un silenzio vergognoso e imbarazzato, proprio lo stesso di chi non sa a cosa appellarsi. E allora, nel momento in cui si presenta la possibilità di distogliere l’attenzione dalle proprie responsabilità, un corteo di student3 e qualche torcia diventano “devastazione e saccheggio”. Video montati ad hoc e articoli faziosi provano a raccontare un corteo di ordinaria amministrazione come una “tumultuosa rivolta”, per giustificare cariche da parte delle forze dell’ordine su gente disarmata. Questa strumentalizzazione ha obiettivi su vari livelli: spaccare il fronte della protesta; coprire la protervia dei giornali e della loro falsa informazione; dare l’occasione alla prefettura romana di imbastire il prossimo blocco di denunce a chi esprime il dissenso. Ma soprattutto, a livello nazionale, questa narrazione è volta a legittimare i decreti liberticidi come il ddl 1660, il decreto Caivano e l’istituzione delle zone rosse. Così, un corteo qualunque viene volontariamente narrato come violento e riottoso  per giustificare l’accelerazione che il governo tenta in questi giorni nell’approvazione del ddl 1660. Solo con questa chiave di lettura riusciamo a spiegarci la necessità dei ministri Nordio e Crosetto di esprimersi su un corteo che altrimenti avrebbero certamente ignorato. È irrealistico aspettarsi che il modo in cui questo stato opprime chi ci vive non corrisponda mai a una reazione. Uno stato che sta progressivamente smantellando il welfare, privatizzando istruzione e sanità, ignorando i diritti di donne e libere soggettività, che contribuisce sistematicamente all’emergenza abitativa e che nelle periferie come Corvetto schiaccia e marginalizza quell3 che considera cittadin3 di serie B, uno stato che promuove un razzismo sistemico oltre a permettere i soprusi delle forze dell’ordine. Questa, e la somma di innumerevoli altri fattori, è ciò che ha mosso questo corteo, che ha come unica colpa la testimonianza della rabbia di uno strato della società che ha come quotidianità la continua marginalizzazione, razzializzazione e militarizzazione dei propri quartieri. Rabbia che, spontaneamente, è emersa sabato sera. Non è stata dettata dall’alto da qualche fantomicaticə organizzatorə, è invece naturale conseguenza di una situazione ormai insostenibile. Cercare di attribuire responsabilità politiche e penali ad uno specifico gruppo è irrealistico, fazioso e strumentale. Sopravvaluta appositamente l3 organizzatric3 “imputat3” e allo stesso tempo impoverisce e infantilizza la totalità di chi era in piazza quel giorno. Significa cercare come sempre soluzioni semplici a problemi complessi. Significa usare un gruppo di giovani che si organizza come specchietto per le allodole per ignorare qualcosa di molto più grande: una popolazione sempre più esasperata dalle politiche di questo governo e dei precedenti. È l’ennesimo tentativo di banalizzare un sentimento popolare e al contempo colpire e reprimere student3, militant3 e attivist3, colpevolizzandol3 di aver incitato una rabbia che non è altro che il prodotto dell’agito di questa classe politica. Alla luce di tutto ciò, diviene chiaro cosa si intendesse con “vendetta per Ramy” scritto sullo striscione di testa. Se questa è la vostra sicurezza, se questo vuol dire vivere come giovani in città, non vi sorprendete se all’ennesimo ragazzo ucciso dalla polizia ci saranno i suoi coetanei a chiedere giustizia per le strade. E se qualcunə vorrà farlo in maniera più decisa e rabbiosa, dopo anni di violenze della polizia nelle piazze, nelle periferie, nelle università e nelle carceri, sarà perché ha visto un video di un ragazzo di 19 anni ucciso da chi dovrebbe garantire la nostra “sicurezza”, che poi tenta anche di cancellare ogni prova e insabbiare la vicenda, in un triste tentativo di nascondere la realtà dei fatti, che è sotto gli occhi di tutt3. Non saranno i politici di destra o di sinistra che potranno garantire verità e giustizia per l’ennesimo morto di stato. Ramy sarà per noi vendicato da quell3 giovani sces3 in piazza in tutt’Italia per mettere in luce le contraddizioni del nostro Paese, a ribellarsi alle politiche repressive proponendo modelli alternativi e politiche sociali costruite dal basso. Giustizia per Ramy vuol dire riscattare la vita nei quartieri. Giustizia per Ramy vuol dire costruire un’alternativa. Giustizia per Ramy vuol dire non permettere che non ci sia più silenzio per le morti per mano della polizia.   > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp  
January 15, 2025 / Osservatorio Repressione
Se organizzarsi collettivamente viene paragonato a metodi mafiosi……
Il Governo e Telt chiedono un totale di oltre 7 milioni di euro al Movimento No Tav, ai compagni e alle compagne del centro sociale Askatasuna e dello Spazio Popolare Neruda. Al processo che vede coinvolte 28 persone di cui 16 con l’accusa di associazione a delinquere ha visto andare in scena la richiesta dei risarcimenti dei “danni” per le manifestazioni prese in oggetto dall’inchiesta, perlopiù svolte in Val di Susa. da Associazione a Resistere Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell’Interno e Ministero della Difesa, costituitisi in parte civile, richiedono sia il danno patrimoniale per le persone infortunate oltre che per i mezzi e il vestiario danneggiati, ma anche per il costo delle attività investigative della Questura, gli straordinari, l’indennità di ordine pubblico, sia il danno non patrimoniale. Per dare qualche cifra da capogiro, soltanto nel 2021 lo straordinario calcolato per i celerini ammontava a 1.024.785 di euro, a queste spese occorre aggiungere le spese del vitto, dell’alloggio e vettovagliamento. Bisogna poi contare il danno non patrimoniale, ossia il danno all’immagine, lesione del prestigio e credibilità dell’istituzione. Ciò si concretizza per un totale di oltre 7 milioni di euro (di cui 2.500.000 euro in via provvisionale esecutiva in attesa che il processo si concluda in via definitiva, ciò implica la possibilità che, già in primo grado di giudizio, una parte della quantificazione dei danni dovrà essere liquidata immediatamente, pena la sospensione della condizionale): 3,6 milioni per il Ministero dell’Interno, 3 mila euro per il Ministero della Difesa, a questo si aggiunge il danno non patrimoniale per la cifra di 3 milioni al Ministero dell’Interno e ulteriori 100 mila euro per il Ministero della Difesa e 100 mila per la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Oltre alle cifre richieste dall’avvocatura di Stato, vengono sommati 1 milione di euro immediatamente esecutivi ai quali si aggiungeranno danni patrimoniali (e non) da liquidare e quantificare in sede civile da parte di Telt. Questa richiesta mette sotto accusa e infonde l’idea che chi protesta debba sobbarcarsi l’onere di pagare poliziotti in trasferta, gli extra, gli straordinari e tutto ciò che comporta la presenza di migliaia di poliziotti tenuti in pianta stabile a occupare un intero territorio come la Val Susa. Durante l’udienza si è tenuta anche la prima parte dell’arringa difensiva dell’avvocato Novaro in merito al capo 1 incentrata sull’inconsistenza delle accuse dell’associazione a delinquere. Viene smontata quindi pezzo pezzo la memoria della Procura evidenziando tutte le forzature, i pregiudizi e l’inconsistenza di un teorema accusatorio che vuole negare la politicità dell’agire degli imputati, relegando la storia dei movimenti a espressioni deliquenziali, complotti criminali e nient’altro. Alla faccia della costituzione. É stata destrutturata la tesi cardine dell’accusa che, come aveva inaugurato la pm Pedrotta nel suo discorso per formulare le richieste, non sarebbe tutta l’Askatasuna a essere considerata criminale ma soltanto un gruppo al suo interno: allora non si spiega come possa reggere tutto l’impianto accusatorio se questa affermazione fosse vera. É stato sottolineato come nelle pagine dell’inchiesta ci siano copia e incolla delle annotazioni della digos che non sono state minimamente contestualizzate e inoltre, non ci è dato sapere il criterio con il quale siano state formulate le richieste dell’accusa. Un tema importante che è stato messo al centro poi, è come la solidarietà non possa essere comparata a comportamenti e dinamiche afferenti a dimensioni mafiose, in quanto basta alzare lo sguardo e vedere che in tutta Italia, ma siamo certi di poter dire in tutto il mondo, tutti i movimenti sociali si supportano a vicenda, si organizzano per portare avanti le lotte e per supportare le compagne e i compagni perseguiti dalla legge, il che prevede l’esborso di denaro. E non è la prima volta infatti, che il Governo e Telt vogliono giocare la carta dei soldi per mettere i bastoni fra le ruote al Movimento No Tav, ricordiamo la somma esorbitante chiesta all’epoca del processone No Tav che riguardò le giornate di lotta del 27 giugno e del 3 luglio 2011 che ammontava a 650 mila euro, ma anche altre occasioni in cui il dissenso e la lotta all’interno delle aule dei Tribunali sono state relegate a un dettaglio facoltativo in democrazia sotto il ricatto del denaro. Vogliamo ricordare la condanna ad Alberto Perino, Loredana Bellone e Giorgio Vair, condannati al risarcimento dei danni per un presidio che avrebbe causato danni a Ltf a Susa in zona autoporto nel lontano 2010, condannati a pagare 214mila euro perché non si riuscirono a insediare macchinari e uomini per fare i sondaggi geognostici. Risarcimenti come quelli richiesti oggi vogliono affermare la ragion di Stato costi quel che costi, pensando che sia accettato socialmente che a persone normali che studiano e lavorano o sono in pensione venga richiesta una tale somma di denaro per aver partecipato a movimenti sociali che hanno fatto la storia del nostro Paese. É evidente che non sia razionale né possibile pensare che si potranno pagare tali somme, ma che l’obiettivo è quello di intimorire e spaventare tutto un movimento e fare da monito per chi pensa di organizzarsi e lottare. Per quanto ci riguarda noi non siamo abituati a misurare il mondo in carta moneta ma evidentemente per le istituzioni dello Stato la propria credibilità è questione di contabilità. Continuare a imporre con assoluta noncuranza delle voci che vi si oppongono un’opera come il tav, spacciandola come un’infrastruttura di interesse strategico nazionale è un esempio lampante della prepotenza dello Stato, che non incarna proprio alcuna ragione: ma anzi, propaganda l’uso della forza come unico mezzo con cui imporre le proprie decisioni e garantirsi quel poco di legittimità che gli rimane. La Valle di Susa avrebbe volentieri fatto a meno di vedere il proprio territorio deturpato e militarizzato, occupato da tutte le forze dell’ordine e dall’esercito, sapendo anche di dovergli pagare gli straordinari. “Lottare costa caro” è il titolo di uno dei tanti articoli usciti a seguito del lancio della notizia dei milioni richiesti durante questo processo: costa caro certo, ma ciò che sembra sempre più cara è la possibilità di esprimere contrarietà a fronte di scelte scellerate dei Governi, gli stessi che oggi ci stanno trascinando in guerra. Se organizzarsi collettivamente viene paragonato a metodi mafiosi, rappresentare ed esprimere l’opposizione sociale porta a pagare caro nell’era in cui il soldo è l’unico strumento con cui dare valore alla giustizia, siamo sicuri che qua i conti non stanno tornando. Eppure ci si aspetterebbe di sentire che il dissenso è il sale della democrazia, anche nelle aule di Tribunale….. > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp
January 14, 2025 / Osservatorio Repressione
Brescia: abusi in Questura
23 persone denunciate, alcune espulse dalla città e donne costrette spogliarsi per la perquisizione Dopo oltre 7 ore di fermo in Questura, sono state rilasciate le 23 persone di Extinction Rebellion, Palestina Libera e Ultima Generazione che erano state fermate dopo la manifestazione alla Leonardo spa di Brescia. Tutte le persone sono state arbitrariamente denunciate per “radunata sediziosa” (art 655 cp) per la sola partecipazione ad una manifestazione nonviolenta di dissenso, “accensioni ed esplosioni pericolose” (art. 703 cp) per aver acceso un fumogeno, per “imbrattamento” (art. 639 cp) per aver scritto Palestina Libera su un muro, e per “concorso morale” (art. 112 cp) per essere stati semplicemente presenti. Alcuni di loro sono stati denunciati anche per “manifestazione non preavvisata” (art. 18 TULPS) perché hanno mediato con le forze dell’ordine per evitare tensioni e sono state arbitrariamente definite “promotrici della manifestazione”. Altri, invece, sono stati espulsi da Brescia con dei fogli di via obbligatori, una misura di prevenzione del codice antimafia. Nonostante si trattasse di una manifestazione completamente pacifica e tutti i partecipanti avessero fornito i propri documenti identificativi, le forze dell’ordine hanno deciso comunque di condurre le persone in Questura e trattenerle in stato di fermo, in contrasto con quanto previsto dall’articolo 349 del codice di procedura penale. Tale articolo stabilisce che il trasferimento negli uffici di polizia può avvenire solo nel caso in cui non sia possibile identificare le persone sul posto. Il trasferimento in Questura è stato giustificato nel verbale facendo riferimento ai reati di resistenza a pubblico ufficiale (art. 337), oltraggio a pubblico ufficiale (art. 341-bis) e rifiuto di fornire indicazioni sulla propria identità personale (art. 651), nonostante fossero stati forniti tutti i documenti (come si può sentire nel video in allegato) e nessuno avesse opposto resistenza. Inoltre, si è appreso che molte delle persone identificate come donne sono state costrette a spogliarsi e a eseguire piegamenti sulle gambe, trattamento non riservato alle persone di sesso maschile. Si conclude così una giornata piena di abusi in divisa che apre una nuova ferita nella gestione del pubblico dissenso in questo paese. “Abusi che raccontano, ancora una volta, che contestare le politiche genocide ed ecocide della Leonardo – la principale azienda bellica partecipata dallo stato italiano – non è assolutamente consentito” conclude Extinction Rebellion.     > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp  
January 13, 2025 / Osservatorio Repressione
Roma: cariche della polizia al corteo per Ramy
Cariche della polizia durante la manifestazione organizzata a Roma per la morte di Ramy Elgaml. Il presidio chiamato dai collettivi universitari nel quartiere di San Lorenzo è partito da piazza dell’Immacolata, per poi snodarsi lungo il quartiere studentesco. I manifestanti, circa cinquecento, hanno sfilato esibendo uno striscione con scritto «Giustizia per Ramy, la polizia uccide». Arrivati in piazza dei Sanniti le forze dell’ordine hanno caricato il presidio, costringendolo ad arretrare. Dopo poco il corteo si è disperso, mentre le forze di sicurezza hanno continuato a presidiare la piazza.     > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp    
January 12, 2025 / Osservatorio Repressione