
Antiterrorismo, conflitto sociale e fine della storia. Giovedì a Santa Fede Liberata
NapoliMONiTOR - Monday, May 5, 2025Sarà presentato giovedì 8 maggio, alle ore 18 a Santa Fede Liberata (via San Giovanni Maggiore Pignatelli, 2), il saggio di Elio Catania, Antiterrorismo. Conflitto sociale e “fine della storia” in Italia (1968.1922). L’autore discuterà del libro con Andrea Bottalico (Napoli Monitor). Pubblichiamo a seguire un estratto del volume.
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Terrorismo – o ciò che viene considerato tale – ed antiterrorismo rappresentano una coppia concettuale non separabile perché l’uno modella l’altro. Conflitto non convenzionale per definizione, nella “guerra al terrorismo” acquisisce vantaggio il combattente che riesce meglio a penetrare i meccanismi di pensiero dell’antagonista, così da riconoscerne l’ambiente d’origine e l’architettura della scelta che lo motiva. La dominante psicologica è centrale. In questa dinamica, diventa dirimente l’interpretazione che l’antiterrorismo dà del fenomeno che combatte. L’Italia visse però una situazione paradossale: l’anomalia comunista aveva mantenuto attuale sin dal dopoguerra l’antica questione schmittiana riguardante l’eccezione come essenza del potere sovrano; durante la strategia della tensione, il ricorso allo stragismo attribuito ad estrema sinistra e anarchici, voleva giustificare la proclamazione dello «stato di guerra interna», cercando in questo modo di portare all’approvazione di misure esplicitamente escluse dalla Costituzione.
Con il declinare dell’eversione neofascista, anche grazie alla tenuta democratica della mobilitazione sociale che ne svelò la matrice bloccando possibili svolte golpiste, e l’affermarsi della lotta armata rivoluzionaria, tra il 1974 e il 1975, si affermò invece una categoria più sfumata del tradizionale stato di eccezione: l’emergenza. Questa categoria sorse dal linguaggio politico e giornalistico e soltanto in seguito si trasferì sul piano giuridico. L’emergenza non implicava la sospensione di tutte le garanzie costituzionali, ma solo di alcune e in modo limitato, ponendosi come misura temporanea, destinata a rientrare contestualmente al cessare del pericolo. In realtà, molte misure antiterroriste si riversarono in altre emergenze – la lotta alla mafia in particolare; alcune norme passarono direttamente nel nuovo Codice di procedura penale ma, soprattutto, entrarono nella cultura giuridica e si manifestarono pienamente in occasione delle successive inchieste rivolte contro l’estremismo politico e i movimenti radicali, così come in quelle sulla corruzione politica. L’Italia divenne un modello – assieme all’esperienza tedesco-occidentale e, in una certa misura, alla «scuola israeliana» – e ispirò una parte significativa delle convenzioni europee in materia di terrorismo.
Il presente lavoro intende operare una storicizzazione del fenomeno della violenza politica e armata di sinistra partendo proprio dalla problematizzazione del suo contraltare: l’emergenza e l’antiterrorismo. Chiariamo: “conflitto” non coincide strettamente con “violenza”, così come “pacifico” non significa per forza “privo di scontro”. Il nostro discorso non vuole rimandare a una presunta “rivoluzione mancata”, rappresentata dalla stagione dei movimenti e dalla lotta armata di estrema sinistra: il contesto dell’epoca non era pre-insurrezionale e le interpretazioni rivoluzionarie del periodo rappresentarono, sotto troppi aspetti, un grande equivoco che portò a confondere opportunità e potenzialità, realtà e desiderata, percezioni e condizioni oggettive, finendo poi per destinarsi all’invisibilità politica e al mero, quanto drammatico, scontro militare con i reparti speciali antiguerriglia. Come ha detto bene Enzo Traverso nel suo bellissimo libro dedicato alla storia della rivoluzione negli ultimi due secoli:
Durante il Novecento eravamo abituati a considerare vittorie e sconfitte come scontri militari: le rivoluzioni conquistavano il potere con le armi, le sconfitte prendevano la forma di colpi di Stato militari e dittature fasciste. La sconfitta che abbiamo subìto alla fine del Novecento, tuttavia, dev’essere misurata secondo criteri diversi […]. La sinistra ha completamente abbandonato il terreno in cui nel secolo scorso aveva accumulato notevole esperienza e ottenuto numerosi successi: la rivoluzione armata […] L’esperienza del comunismo novecentesco nelle sue diverse dimensioni – rivoluzione, regime, anticolonialismo, riformismo – si à esaurita. I movimenti anticapitalisti emersi negli ultimi anni non appartengono a nessuna delle tradizioni della sinistra del passato. Non hanno un albero genealogico […] Non sono una reazione contro il Novecento, ma incarnano qualcosa di nuovo. In quanto orfani, devono inventare la propria identità. Questa è a un tempo la loro forza, perché non sono prigionieri di modelli ereditati dal passato, e la loro debolezza, perché mancano di memoria. Sono nati in una tabula rasa e non hanno elaborato il passato.
Ridare complessità alle storie di conflitto, lotta armata e antiterrorismo emersi a fine anni Sessanta, ma derivati da continuità di lungo periodo nello Stato e dai nodi irrisolti della modernizzazione in Italia, significa dunque riaprire la questione dell’agibilità e della prospettiva radicale nella storia e nella politica, rimettere in discussione la cultura delle classi dirigenti, riconoscere la possibilità di un diritto di contestazione e di pratica estremo da parte dei governati. Premessa necessaria a ogni possibile immaginazione irriducibilmente antagonista nei confronti dell’esistente. (elio catania)