(disegno di diego miedo)
Sarà presentato giovedì 27 febbraio 2025, alle ore 18:00 allo Scugnizzo Liberato
(salita Pontecorvo, 46), L’impresa del bene. Terzo settore e turismo a Napoli,
un libro di Luca Rossomando. Con l’autore ne discuteranno Gaetano Quattromani e
Giovanni Zoppoli.
L’espansione non regolata del turismo di massa a Napoli ha prodotto cambiamenti
impensabili fino a pochissimi anni fa, modificando il paesaggio e la struttura
socio-economica della città. I grandi enti del Terzo settore attivi nel centro
storico – fondazione Foqus, fondazione di comunità San Gennaro, L’Altra Napoli
Onlus – esercitano un’influenza crescente sulle scelte dei governanti, indicando
le priorità operative ed elaborando le narrazioni egemoniche intorno alle quali
si costruisce il consenso e si rimodella la città. La loro azione risponde a
logiche strettamente imprenditoriali, basate sulla convenienza economica, la
competitività, la reputazione mediatica; la loro priorità è lo sviluppo di nuovi
segmenti di mercato in cui dispiegare senza ostacoli le proprie attività.
Queste dinamiche, sullo sfondo della “città del turismo”, stanno producendo
conseguenze opposte a quelle propagandate dai grandi enti: non la vivibilità dei
quartieri, la partecipazione, il benessere delle comunità, ma la precarietà
abitativa, lavorativa ed esistenziale dei suoi abitanti più fragili.
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(bestiari, erbari, lapidari)
Il 31 gennaio Massimo D’Anolfi e Martina Parenti, dopo la prima all’ultima
Mostra del Cinema di Venezia, presentano in prima visione a Napoli, nell’ambito
di AstraDoc, Bestiari, erbari, lapidari, documentario “enciclopedia”, diviso in
tre atti, ognuno dei quali tratta un singolo soggetto: gli animali, le piante,
le pietre. Il film verrà proiettato alle 19.30 al cinema Astra di via
Mezzocannone.
Bestiari, erbari, lapidari è un omaggio agli “sconosciuti” e per certi versi
alieni mondi fatti di animali, vegetali e minerali, che troppo spesso diamo per
scontati, ma con cui dovremmo essere in costante dialogo, in quanto parte
essenziale della nostra esistenza sul pianeta. Riproponiamo a seguire una
intervista di Cristina Piccino ai due autori, pubblicata ad agosto sul
Manifesto.
* * *
La locandina mostra un uomo e un pinguino, il primo avanza, il secondo
indietreggia, il fotogramma è preso da un filmato di Roald Amundsen che
documentò agli inizi del secolo scorso questo incontro nel corso di una
spedizione al Polo Sud. E da qui si dichiara il movimento di Bestiari, Erbari,
Lapidari il nuovo film di Martina Parenti e Massimo D’Anolfi che sarà alla
Mostra del Cinema fuori concorso – per uscire in sala dal 5 ottobre. Un film
saggio, come dichiarano gli autori, fra i più attenti nel cinema italiano alla
ricerca di una forma con la quale confrontarsi coi molti interrogativi della
realtà contemporanea. A cominciare dall’uso degli archivi che si fanno nei loro
film trama attraverso la quale interrogare il senso delle immagini di oggi, e
che nelle loro narrazioni chiedono allo sguardo di riposizionarsi, di ritrovare
come in una fiaba lontana il piacere della meraviglia. Specie in questa opera in
tre atti che parla dell’umano e della sua relazione con la natura, un tema molto
attuale declinato nel pensiero e nella storia. Ne parliamo con gli autori in una
conversazione che mescola le parole dell’una e dell’altro in una costante
tensione artistica comune.
Bestiari, Erbari, Lapidari esplora la relazione fra l’uomo e la natura in una
prospettiva che è quella dell’immaginario e della memoria. E che pur nella sua
presenza centrale lascia l’umano fuori dall’inquadratura. Cosa vi ha portati a
questa riflessione?
Erano diversi anni che volevamo fare un film sulle piante, avevamo capito che
gli alberi si portano dietro delle storie, c’è una linea delle immagini e una
del racconto che viaggiano parallele ma le piante sono molto difficili da
filmare, dovevamo trovare un modo per avvicinarci a loro perché il mondo
vegetale sfugge alle nostre categorie dello sguardo. Un giorno un’amica ci ha
detto che dal veterinario del suo gatto c’erano due piccole tigri, tra l’altro
lo studio di questo veterinario è proprio vicino a casa nostra. Abbiamo scoperto
che era un esperto di animali del circo, tutte le famiglie circensi più
importanti si rivolgevano a lui. Le tigrotte erano nate in un circo e come
spesso accade agli animali in cattività la madre le aveva rifiutate così le
avevano portate da lui per salvarle. Abbiamo iniziato a filmare le tigri anche
se in realtà volevamo filmare le piante, a quel punto abbiamo pensato alle
pietre sui cui avevamo già lavorato in film come La fabbrica del Duomo. Il
nostro riferimento è stato l’enciclopedia medievale, a scuola nel Medioevo si
studiavano i bestiari, gli erbari, i lapidari con molte variazioni anche
fantastiche. Sui lapidari nelle immagini medievali è stato più difficile, le
pietre erano spesso più brutte nelle rappresentazioni, se ne parlava specie per
le proprietà magiche. Ci siamo detti che forse potevamo pensare a una pietra più
metaforica come è quella della memoria.
Quindi l’enciclopedia medievale è stata veramente una bussola.
Sì, ma anche un gioco nel senso che spesso nei nostri film scegliamo prima il
titolo e dopo ci chiediamo come farlo cercando una narratività che esiste anche
in modo indipendente da noi. In realtà questo film è cominciato da un altro
progetto, volevamo realizzare qualcosa durante la pandemia e avevamo pensato a
un Bestiari, Erbari, Lapidari in città. Doveva essere un lavoro piccolo che era
costruito però con una scrittura molto complessa, il riferimento era un po’ La
Ronde di Max Ophüls. C’erano molti episodi brevi che si passavano il testimone
l’uno con l’altro, dai veterinari agli alberi che crescevano e poi venivano
potati, dal sopra e al sotto della città e via dicendo. Non chiediamo mai alle
persone di fare delle cose per il film, lì però tutto era incastrato e
rileggendolo ci è sembrato troppo artificioso, quella scrittura si sarebbe
mangiata le cose che potevano succedere. Questo film è più esteso ma anche
semplice, ogni atto segue la sua narrazione, per noi è il nostro film più
narrativo.
Nei tre atti si viaggia attraverso degli universi che interrogano il passato e
il presente in quella che è appunto la posizione dell’umano rispetto alla natura
fra scienza, filosofia, botanica e soprattutto la materia delle immagini e le
sue emozioni, lasciando libero lo spettatore di seguire le proprie piste. Che
tipo di lavoro fate sulla scrittura?
Il cinema stesso ha un’ambivalenza, nei Bestiari è chiaro come il frame della
pellicola diventa una nuova gabbia. In un film come questo lo sviluppo
drammaturgico era fondamentale, la parte dei Bestiari doveva aprire il terreno
della meraviglia degli Erbari per ritornare al cuore dei Lapidari. Abbiamo
scritto un inizio più saggistico che ci permettesse di costruire un processo nel
quale progressivamente la parola diminuisce. È presente nei Bestiari, si
allontana negli Erbari – dove sentiamo una voce senza sapere a chi appartiene –
sparisce completamente nei Lapidari nonostante il ritorno all’umano. Nei
compendi medievali al primo posto c’è l’erbario poi gli altri, noi abbiamo
scelto invece l’ordine alfabetico perché c’era bisogno di un enigma come è
quello dei vegetali fra due momenti più sentimentali. Tornando alla scrittura
scriviamo tre volte come dice Wiseman, la prima è quella per la ricerca dei
finanziamenti, che riguardiamo man mano che si va avanti riaggiornandola. Nella
fase delle riprese (qui è Massimo D’Anolfi a parlare, ndr) scrivo giorno dopo
giorno, ho bisogno di filmare per capire il luogo, le relazioni, come io abito
quel posto. Di solito montiamo il film dopo due o tre mesi di riprese, per gli
Erbari era chiaro sin dall’inizio che aveva un arco temporale di un anno
attraverso le stagioni. Poi anche qui ci sono state delle sorprese come
l’erbario di guerra che è venuto fuori quasi per caso. Ma la realtà regala
sempre qualcosa e se filmi in un certo modo il montaggio te lo restituisce. La
chiave delle riprese è stata qui la pazienza dello sguardo, specie per le
piante, insieme alla cura che guidano il respiro di tutto il film. C’è un
aspetto ipnotico, di incantamento dato dalle immagini, dai suoni, dalla musica,
dai silenzi. E dall’assenza quasi totale di volti umani. Quando
nell’inquadratura manca qualcosa devi cercare altro, l’inquadratura è un
paesaggio visivo, ci vuole tempo e fiducia, ti affidi e la vivi fino in fondo.
Parliamo degli archivi, che sono oggi molto utilizzati al punto da diventare
persino «decorativi». Nei vostri film si proiettano sul contemporaneo, e anche
nelle immagini più «semplici» vi sono molte possibili letture di ciò che forma
la nostra cultura e il nostro sguardo. Spesso mentre li mostrate filmate le mani
che sfogliano libri, scorrono pellicole…
Le mani sono legate al fare, al lavoro, all’artigianalità, non abbiamo bisogno
della figura umana intera per il tipo di lavoro che facciamo. La ricerca in
questo film è stata complessa, ci abbiamo lavorato quattro anni, avendo ormai
un’esperienza con gli archivi, al di là della rete che è sempre una risorsa
eccezionale, siamo partiti da quello che conoscevamo, il Luce, la Cineteca
svizzera quella Nazionale ecc. Abbiamo coinvolto due studiosi, Sofia Gräfe e
Francesco Pitassio, Sofia ci ha parlato di un festival di cinema animale dove
abbiamo scoperto il patrimonio dell’Eye Filmmuseum di Amsterdam che come gli
altri è entrato in produzione. Abbiamo utilizzato solo archivi europei perché i
compendi medievali riguardano l’Europa. Per noi l’approccio all’archivio deve
essere diegetico, abbiamo amato alla follia Farocki o Ricci Lucchi e Gianikian,
e con questi esempi cerchiamo un nostra riflessione rispetto agli archivi che
appunto è diegetica. A un certo punto con Guerra e pace ci siamo entrati
fisicamente ma gli archivi devono avere un senso, se non li risvegli muoiono e
per farlo devono essere interrogati, studiati, contestualizzati, capiti. Nel
finale dei Bestiari c’è una donna che mette il fiocco al collo a dei cagnolini,
è un film stupendo, a colori ma nerissimo nel mostrarci come quei cuccioli
diventano i bambini di casa. C’è un elemento quasi horror, che ci fa cogliere
nella meraviglia delle immagini l’orrore che sarà in futuro. Non abbiamo mai
sonorizzato né manipolato gli archivi, li usiamo nella loro interezza. Ridargli
un montaggio nel loro andamento cronologico contribuisce alla pulizia dello
sguardo e li rende un elemento solo decorativo. Ci sono trappole continue in
questa ricerca, ogni volta è una sfida, si può sbagliare ma è la cosa bella di
questo mestiere.
(carnevale sociale di napoli)
I CARNEVALI SOCIALI NON SI MULTANO!
A Napoli chi organizza un’iniziativa che incide sulla sicurezza e la fluidità
della circolazione nel territorio comunale deve pagare un compenso per l’orario
straordinario della polizia locale.
Sono esentate da questa tassa:
– le iniziative tese a promuovere e valorizzare il territorio, le sue tradizioni
e/o il patrimonio storico artistico e culturale, nonché le attività sociali
volte a promuovere il benessere e la qualità della vita dei cittadini
– le iniziative finalizzate a promuovere l’affermazione dei diritti
costituzionalmente riconosciuti
Tutti i Carnevali Sociali di Napoli promuovono i diritti fondamentali della
persona, i diritti sociali, la partecipazione e la solidarietà. Nonostante
questo, l’anno scorso agli organizzatori di alcuni Carnevali sono stati
recapitati i “bollettini di pagamento” e le diffide che precedono “l’avviso di
accertamento esecutivo e la conseguente attività di riscossione coattiva”.
In particolare, alcuni si sono visti addebitare il costo dello straordinario dei
vigili, mentre altri Carnevali Sociali sono stati esentati solo perché i
presidenti di Municipalità hanno riconosciuto il valore dell’iniziativa.
Oggi scendiamo in piazza per affermare che i Carnevali Sociali non si multano!
L’anno scorso abbiamo dovuto farlo per difendere dalle intimidazioni della
polizia il nostro diritto ad accendere il fuoco nella parata del centro storico.
Oggi siamo qui per contrastare un nuovo tentativo di normalizzazione, più
subdolo, burocratico, impersonale. Ma lo ripetiamo chiaro e forte: non pagheremo
un euro!
I Carnevali Sociali esistono a Napoli da quindici anni e coinvolgono migliaia di
persone in ogni quartiere. Adulti e bambini si organizzano da sé, senza bisogno
di bandi, patrocini o sovvenzioni. Costruiscono insieme i carri, le maschere, i
travestimenti. E poi, dal venerdì fino al martedì grasso, sfilano in piazza tra
la gente.
Chi amministra la città conosce la portata e i valori di queste iniziative, e
forse per questo continua a ostacolarle. Noi siamo qui, ancora una volta, per
chiedere loro di prendere una posizione netta, esplicita. I Carnevali Sociali
rispondono in pieno alla tipologia di iniziative esentate dalla tassa comunale.
Se basta il riconoscimento dei presidenti delle Municipalità, che ce lo
garantiscano senza indugi. O trovino altre strade. Vogliamo garanzie in merito.
E le vogliamo da chi amministra la città.
La loro città non è la nostra. È bene metterlo in chiaro. Stanno svendendo i
suoi pezzi più pregiati ai migliori offerenti, hanno regalato le piazze ai
turisti, i servizi sociali alle aziende private, riempiono le strade di militari
e si lavano le mani delle emergenze sociali.
Le minacce ai Carnevali Sociali si inseriscono in questo contesto. Ora che ci
prepariamo per le nuove parate, vogliamo ribadire due cose: il fuoco verrà
acceso anche quest’anno, e nessuno dovrà sborsare un euro per sfilare lungo le
strade dei quartieri. È anche in questo modo che difendiamo le nostre
tradizioni, le nostre pratiche di autogestione, e contrastiamo l’espropriazione
degli spazi comuni, la svendita dell’identità cittadina, la riduzione a merce di
ogni manifestazione della vita associata.
Viva i Carnevali Sociali, viva le sfilate libere e autogestite.
(disegno di james kalinda)
Dal 29 novembre al 1 dicembre torna a Milano La Terra Trema – Fiera Feroce di
vini, cibi e relazione. La Fiera inizierà venerdì 29 alle ore 15:00 allo Spazio
pubblico autogestito Leoncavallo di Milano (via Antoine Watteau, 7) e terminerà
con una cena, domenica dalle 20:00.
Pubblichiamo a seguire, dal numero 34 de L’Almanacco de La Terra Trema, un
editoriale che racconta in poche battute una fase chiave per la costruzione
della fiera, attraverso uno scambio tra persone che, in modalità diverse, gli
danno vita.
* * *
Il lavoro del costruire la Fiera Feroce attraversa fasi. Momenti di confronto
intenso tra noi, momenti di confronto con chi partecipa, con chi vorrebbe farlo.
Agosto è il luogo di questo scambio. Per voci o in forma scritta si rinnova il
dialogo con chi si propone o con chi risponde al nostro invito. Spesso il
dialogo si apre oltre il sì e il no, e giunge a noi il quotidiano di chi scrive:
le valutazioni sul lavoro di un anno, la vendemmia che si avvicina, le
previsioni, i guai, le gioie. Quanto ricevuto da Yuttae Mimmo di Pantun è il
resoconto lucido di uno stato delle cose su cui vorremmo soffermarci, per aprire
un confronto. Per questo abbiamo chiesto loro il permesso di pubblicarlo.
21 agosto 2024
Ciao cari, come state?
Noi abbiamo finito vendemmia e vinificazione che sono state rapidissime per la
mancanza di uva e così sarà la raccolta delle olive e pure per l’orto, che non
ha portato niente.
Tutto questo accade a causa di una siccità iniziata tre anni fa e che quest’anno
è stata estrema. Da più di un anno non vediamo pioggia, anche in questi giorni
dove, qui intorno, a macchia di leopardo, ci sono state bombe d’acqua. Qui non
ha piovuto.
Il caldo estremo di luglio e agosto (39/41 gradi) e la mancanza di acqua nel
terreno sottopongono le piante a un sacrificio enorme. Stanno seccando,
soprattutto le viti giovanie gli alberi da frutto. Ovunque il colore verde sta
lasciando il posto al giallo. Anche nel bosco, dove le querce son diventate
marroni e le olive sono rinsecchite. Il panorama è deprimente alla vista.
Gli agricoltori che hanno più terra stanno trivellandoil terreno per fare pozzi
artesiani che hanno costi economici incredibili: cinquantamila euro solo per il
buco, a cui si aggiungono i costi energetici (per portare l’acqua su da trecento
metri servono pompe che hanno bisogno di un minimo di dodici kilowatt), e
ambientali, dal momento che la falda sotterranea si sta prosciugando. Gli
agricoltori che stanno nella zona in basso, a sessanta metri sotto il livello
del mare, hanno iniziato con le trivellazioni già diversi anni fa per dare acqua
agli agrumeti e alle uve da tavola, oggi non riescono più a soddisfare le loro
pratiche di produzione perché l’acqua è salata e la falda si riempie ogni due o
tre giorni. Anche questa possibilità, seppur vada bene al momento, col tempo non
sarà più efficace.
Ogni giorno si assiste al via vai di camioncon cisterne che portano l’acqua
della falda a casa di chi vive in campagna, agli allevamenti della zona e alle
piscine degli agriturismi, molto in voga in questi ultimi anni. Date queste
condizioni pensiamo che ormai non ci sia più la possibilità di fare piccola
agricoltura in questa zona, e tra qualche anno sarà difficile anche per le
grandi aziende. La desertificazione è ormai un dato di fatto.
Che fare allora? Stiamo cercando di capire, come andare avanti. Al momento, non
senza sconforto, la teoria del passo indietro ci sembra una via; ridurre le
vigne, sostituendole col grano, meno bisognoso di acqua? Commisurare la vigna in
funzione della disponibilità di acqua dalla nostra cisterna? Lavorare più
sull’autogestione? Siamo al momento molto confusi. Vi aggiorneremo quando e come
le cose si evolveranno.
In questa condizione siamo nauseati dal mondo del vino. Dalle fiere nate grazie
anche a Luigi Veronelli, per aiutare la piccola produzione artigianale, un
settore sopraffatto dal vino industriale, si è arrivati a un proliferare di
fiere e quant’altro, avrà un senso tutto questo? Ci sarebbe da discutere.
Vi chiedo quale sarà il tempo massimo per aderire a La Terra Trema. Stiamo
cercando di capire se abbiamo vino sufficiente, energie economiche e
organizzative per affrontare la Fiera.
Al momento un abbraccio a tutti.
Mimmo
* * *
Caro Mimmo,
in queste righe metti in fila temi importantissimi che fotografano una
condizione drammatica e sempre più diffusa. Alle giuste domande che proponi
occorre provare a dare delle risposte.
Nel nostro piccolo continuiamo a sforzarci affinché resti aperto un ambito di
riflessione, di relazione, di sostegno per le agricolture come la vostra. Uno
spazio di pensiero critico, di autonomia. Quest’ultima sempre più a rischio,
come gli spazi di autogestione a Milano e in Italia.
Quest’anno, venerdì 29 novembre, cadrà il ventesimo anniversario della scomparsa
di Luigi Veronelli. Con Simonetta Lorigliola stiamo pensando, durante la Fiera
Feroce, a due momenti di confronto con una decina di vignaioli/e a noi cari.
Persone che hanno segnato il nostro percorso, rappresentative di un modo di
intendere la viticoltura, di una storia nata conCritical Wine, Veronelli e i
«giovani estremi»e che ha continuato a camminare con La Terra Trema,
addentrandosi in nuovi sentieri, aprendo strade straordinarie.
Da subito, ci siamo dette/i che tra le esperienze da coinvolgere in questa
speciale degustazione doveva esserci Pantun. Desideriamo che siate con noi il 29
o il 30, nella forma che preferite, per questo importante momento di
condivisione e confronto.
Tenete la posizione! Siamo con voi, la vostra sfida è anche la nostra.
Un abbraccio forte da tutta la ciurma.
Paolo
(disegno di manincuore)
Successivamente agli eventi drammatici che hanno interessato San Sebastiano al
Vesuvio nelle scorse settimane, e alla morte tra venerdì 1 e sabato 2 novembre
di un giovane di diciannove anni in piazza Raffaele Capasso, un gruppo di
cittadine e cittadini dei paesi vesuviani ha lanciato un appello all’attivazione
politica e civica per la riappropriazione degli spazi pubblici, anche con
l’obiettivo di trasformare le relazioni sociali dominanti sul territorio. Questo
primo gruppo, molto ristretto, ha riscontrato la necessità di un confronto più
ampio per riflettere sulle modalità con cui cittadine e cittadini possano
prendere parte maggiormente alla vita sociale dell’area vesuviana. Ne è nata la
chiamata per un’assemblea pubblica con la volontà di partire da ciò che sta
accadendo, ma l’obiettivo di riflettere sulle modalità per l’organizzazione di
iniziative che possano contribuire ad animare il territorio.
Mercoledì 6 novembre, in piazza della Concordia a San Sebastiano, si è svolta
questa prima assemblea, mettendo in moto un processo abbastanza raro da queste
parti: un confronto tra persone accomunate dall’impegno in attività civiche per
la promozione della cultura della convivenza civile, della solidarietà sociale e
della pace, della cura del benessere collettivo, ma anche dall’essere genitori
di bambine e bambini, adolescenti e giovani che vivono su questo territorio.
Erano presenti circa trenta persone: genitori, studentesse e studenti del liceo,
insegnanti, nonne e nonni, cittadine e cittadini provenienti da San Sebastiano,
San Giorgio, Massa, Cercola, Somma. Il gruppo promotore ha quindi deciso di fare
una sorta di passo indietro. Alla domanda: “Qual è la vostra proposta?”, abbiamo
risposto: “Non ne abbiamo, parliamone”. Abbiamo semplicemente facilitato
l’assemblea, chiedendo che si svolgesse nel rispetto di valori comuni da cui era
partito l’appello, che non si parlasse né di micro-cronaca e ricostruzione
minuziosa dei fatti di inizio mese, né di “sicurezza” o interventi securitari,
che si provasse a inquadrare la questione come una questione ampia, non cedendo
alla spinta dominante per cui dell’accaduto se ne debba occupare solo chi è nato
o vive a San Sebastiano.
Durante il confronto, di oltre due ore, si è ragionato su come si vive lo spazio
pubblico, sui bisogni della nostra comunità, su attività e iniziative culturali
e sociali da immaginare e proporre per contribuire all’animazione sociale del
territorio, promuovendo al contempo modi diversi di vivere le relazioni sociali.
Tra le proposte c’è stata quella di sottoscrivere un patto tra cittadine e
cittadini incentrato sulla volontà di non delegare a nessuno la scelta delle
modalità con cui si vivono gli spazi pubblici, assumendosi una responsabilità
collettiva e reciproca di cura; sperimentare le nostre capacità a collaborare in
questa direzione, per esempio attraverso la costruzione di un festival che lasci
il protagonismo ai più giovani, dando vita a un cantiere di immaginazione e
costruzione della città che vogliamo; all’interno del percorso, lavorare a una
piattaforma di rivendicazioni dei cittadini per processi trasformativi.
Soprattutto gli studenti e le studentesse presenti hanno abbracciato con
entusiasmo la proposta e si sono presi la responsabilità di farsene promotrici e
promotori nelle loro scuole, nelle associazioni che frequentano e tra i coetanei
e le coetanee. Ci siamo così dati appuntamento per una seconda assemblea,
chiedendo a loro di stabilire una data, che hanno individuato in sabato 16
novembre (alle 16.30, in piazza della Concordia a San Sebastiano al Vesuvio).
Prevedendo una partecipazione in crescita, soprattutto di giovani uomini e
giovani donne, stiamo raccomandando a chi ha partecipato all’ultima assemblea di
lasciare il giusto spazio di espressione a chi vi parteciperà per la prima
volta, per poter poi successivamente dialogare e sviluppare un ragionamento
collettivo.
Contiamo inoltre sulla presenza dei bambini. Abbiamo chiesto ai genitori di non
lasciare figlie e figli a casa, ma di dare loro l’opportunità di partecipare
alla giornata: per rendere fruibile l’assemblea e lo spazio pubblico a tutti e
tutte stiamo provando a costruire un servizio di cura e animazione, organizzato
in modo volontario e aperto a chiunque voglia contribuire. (marianna garofalo,
giulio iocco, regina scamardella)
(foto da: spina tremula)
Fino al 31 dicembre sarà possibile visitare Spina Tremula, la mostra di Mario
Spada e Gaetano Ippolito allestita negli spazi del centro Chikù (largo della
Cittadinanza attiva – viale della Resistenza, Comparto 12) a Scampia. Insieme
all’esposizione, quindici giovani della città verranno coinvolti in un
laboratorio di narrazione e di fotografia stenopeica. Martedì 12 novembre, alle
12:00, sempre da Chikù, sarà possibile incontrare e discutere con gli autori
della mostra.
Spina Tremula è il lavoro presentato il 24 ottobre nella sede di Chi rom e chi
no da Mario Spada e Gaetano Ippolito, artisti napoletani di casa al Centro di
fotografia indipendente di piazza Guglielmo Pepe, in zona Porta Nolana. Spada ne
è fondatore e insegnante; Gaetano, cresciuto nell’area nord, vi è entrato come
studente e ora insegna anche lui, specializzato nelle pratiche di sviluppo e
stampa in camera oscura. Se appare evidente la differenza generazionale in
Gaetano e Mario, entrambi i loro lavori sono realizzati a Napoli e partono dalla
raccolta di migliaia di fotografie. La selezione qui riunita corrode i confini
tra le due sequenze per la scelta di abbandonare l’ordine autoriale. Ragionano
entrambi sulla possibilità della perdita del nome, confondono le ricerche per
smarrirsi e spostare chi osserva; e chi legge, a partire dal titolo.
La firma che sgomita per accedere agli spazi espositivi del mondo dell’arte e
del mercato, a Napoli e altrove, dove bandi, call e residenze basano festival e
campagne di produzione sul principio della competizione, trova spazio di rivolta
in Spina Tremula. Lo stesso vale per la produzione del lavoro durante il
processo di realizzazione. Una sincerità asciutta e reciproca vive nel confronto
quotidiano tra i due. Ciascuno ha scelto per l’altro le immagini da selezionare
e da escludere per la costruzione della mostra, portando a confondersi i due
sguardi sulla città. “Nelle opere si vuole uscire da uno sguardo confortevole –
incide Spada – su una città che non è possibile raccontare attraverso la
fotografia”. Il suo lavoro è radicato nell’incertezza; le fotografie non
descrivono, ma fanno sussultare direttamente la vista, e tremano non soltanto
nello scatto, ma amplificano tale tremore sino al corpo eretto di chi guarda.
Arrivare a chiedersi: se questa non è la città che viene raccontata, e neppure
quella che conosco, dunque dove ci si trova, per dove arrivare? La posizione è
altresì spinosa, e tremula; si abbassa china sulle zampe del cane che incontrano
i piedi minuti del neonato; e si apre al cielo, affrontando la gravità del tuffo
dall’alto; sta alle spalle di una muta alata, piccola e pronta all’incontro con
il paesaggio scuro; avverte posizioni laterali, del passeggero attratto
dall’incavo del vagone, che distrattamente possono sfuggire allo sguardo
addomesticato.
La possibilità di veder stampate in tali dimensioni e in qualità fine art queste
fotografie può provocare l’inciampo di percorsi di vita di ragazzi e di ragazze
che quotidianamente attraversano il centro Chikù; chissà che qualcuna e
qualcuno, di fronte a queste non si innamori dell’atto, e trovi nei laboratori
che verranno avviati nel centro la possibilità di comunicare le proprie
inquietudini. Raggiungere lo sguardo di più ragazzi potrebbe essere il
proseguimento della tensione sprigionata da questa iniziativa, alimentando il
discorso e l’incontro intorno alla fotografia, che in quanto scrittura con luce
non si riduca alla stampa posizionata, ma che allacci un percorso cominciato
dalla postura dell’artista che sceglie di essere occhio testimone, e di non
voltarsi di fronte agli eventi quotidiani speciali, orrendi, semplici o normali,
ma di sostare prossimo a questi, qualificandoli nel quadro, tramite ciò che sta
al di fuori, ciò che sta alle spalle, nella creazione di un proprio tempo che
tenta di sabotare il dispositivo. La mostra è per Spada anche un’occasione che
consente di guardare a muro le fotografie, per alimentare la motivazione a
cercare gli ultimi fondi che mancano alla pubblicazione dell’atteso libro Spina,
dopo un anno di lavoro di editing condiviso con Patrizio Esposito.
La mostra rientra nella cornice dell’Ecomuseo diffuso di Scampia, un tentativo
di unire il patrimonio materiale e immateriale del quartiere, che attraversa lo
spazio pubblico con uno sguardo critico che taglia la neutralità apparente
rispetto la narrazione dei luoghi, e risalta le trasformazioni avviate dal basso
e contro le possibilità negate a quegli spazi a oggi chiusi e inaccessibili,
ancora una volta privati ai cittadini.
L’ultimo lavoro apparso in città di Gaetano Ippolito era stato installato al
Giardino Liberato, per i due eventi Family Jewels curati da Chiara Pannunzio.
Insieme a Lia Morreale, Gaetano aveva allestito la stanza come fosse l’occhio
saturato dallo stratificarsi delle immagini di violenza, che nell’esporsi si
abitua. Centinaia di immagini al muro, a terra tre schermi di televisori
catodici, mostravano i resti dei materiali dai quali le immagini venivano
estrapolate. Uno di questi una scritta: nell’invito a prenderne parte
attivamente. Invito alla distruzione. Nello strappare le immagini, e portarle
con sé.
Spina Tremula, citando l’intervento di Maurizio Zanardi durante l’apertura,
vuole “fare inciampare quella maledetta fotografia della città. L’immagine di
Napoli non compare mai nelle foto di Spina. Napoli viene dimenticata. Solo così
è possibile ricordarla, attraversandone le membra scritte con la luce”.
(leonardo galanti)
(disegno di sam3)
Dal 26 al 28 settembre 2024 si svolgerà a Napoli, presso il Dipartimento di
Studi Umanistici dell’Università Federico II (sede di via Porta di Massa,
ballatoio del secondo piano), il secondo convegno nazionale della Società
Italiana di Storia Ambientale (SISAM). Il titolo è “La storia ambientale
italiana dall’età antica all’età contemporanea. Temi, fonti e metodi”.
Non si tratta solo di un evento chiuso nell’ambito ristretto degli studi
accademici ma vuole configurarsi come una risposta a una delle principali sfide
che il presente pone al mondo scientifico.
La SISAM è stata fondata nel 2021 per dare forma istituzionale e visibilità a un
filone di studi storici che è quello della storia ambientale, ovvero lo studio
della relazione tra uomo e ambiente in prospettiva storica. Dall’età antica
all’età contemporanea, attraversando quella che molti studiosi tendono a
definire come una nuova era geologica segnata dall’attività umana,
l’Antropocene, i temi che possono essere affrontati da questa disciplina sono
potenzialmente infiniti. Anche le prospettive che si possono adottare sono
numerosissime e chiamano in causa visioni locali, nazionali e globali dei
problemi ambientali, stimolando anche l’incontro tra discipline diverse tra
loro.
Tutto questo si rispecchia nel ricchissimo programma del convegno, scaricabile
qui, che ospita circa duecento tra relatori e moderatori provenienti da tutta
Italia e oltre. E la storia ambientale dell’Italia, con le sue mille
sfaccettature e peculiarità, è l’oggetto privilegiato del convegno. Dalle
catastrofi alle epidemie, dalle politiche ambientali alla mobilitazione
ambientalista, passando per la storia delle infrastrutture, del turismo, delle
aree protette, dell’industria, dell’urbanistica, della normativa, della
mobilità, della colonizzazione, della crisi climatica e tanto altro: tutto
questo può essere di grande interesse per il dibattito pubblico, oltre
ovviamente al dibattito scientifico delle tante discipline chiamate in causa.
La storia ambientale della città di Napoli è, ovviamente, uno degli argomenti
chiave del convegno: dalla sua morfologia alla sua vulnerabilità sanitaria,
dall’età moderna fino a un presente segnato da immense aree inquinate come
Bagnoli, Napoli è sicuramente un laboratorio di prim’ordine per gli studi
storico-ambientali.
Il convegno ospiterà tre tavole rotonde con l’Associazione di Storia Urbana, con
la Società Italiana di Ecologia del Paesaggio e con l’Associazione Italiana di
Public History. Nella mattinata di sabato 27, si terrà una presentazione
dell’attività della rivista internazionale Global Environment. A Journal of
Transdisciplinary History, officina di portata globale per le nuove ricerche in
materia storico-ambientale. Si prevede, inoltre, un intervento del Collettivo di
Ecologia Politica – Napoli, in chiusura dell’assemblea dei Soci. Infine, per
stimolare ulteriormente il rapporto col pubblico, saranno presenti dei banchetti
utili a sponsorizzare l’operato di riviste e collane editoriali nazionali e
internazionali che si sono occupate di ambiente e di storia dell’ambiente, quali
Meridiana, Global Environment, Mondosud.
L’evento è gratuito e aperto al pubblico. Per assistere ai lavori del convegno
non è necessaria registrazione.
(disegno di escif)
Durante l’ultimo anno, in particolare dall’inizio del genocidio in Palestina, le
pratiche di resistenza e opposizione alla guerra si sono moltiplicate in tutto
il paese e all’estero. Dalle acampade studentesche per fermare gli accordi tra
università italiane e israeliane, ai cortei cittadini ogni fine settimana, alle
azioni di protesta e sabotaggio contro le aziende italiane di armi e munizioni,
fino al blocco di diversi porti, tra cui quello di Genova, snodo strategico
nella logistica della guerra.
Il filo rosso che lega questi eventi è la graduale presa di consapevolezza da
parte di movimenti, studenti e lavoratori che anche se le guerre in corso
sembrano lontane, cominciano qui, coinvolgono i nostri territori e hanno degli
effetti sulle nostre vite.
Dire che la guerra comincia qui e individuarne le origini locali significa
mettere in risalto che l’Italia partecipa ai conflitti in corso in tutto il
mondo, essendo uno dei primi esportatori di armi e munizioni in Europa. Armi,
munizioni, bombe, siluri, razzi, accessori, sistemi di puntamento, mappature e
altri componenti sono prodotti da aziende come la Leonardo o la Fiocchi
Munizioni di Lecco, e circolano poi sulle stesse rotaie, le stesse strade,
attraverso gli stessi porti e le stesse rotte marittime di qualunque altra
merce. Il mercato bellico coinvolge stati ed eserciti regolari, ma la sua
logistica è in mano privata, quindi non trasparente.
Il manuale per Weapon Watcher scritto dall’Osservatorio sulle armi nei porti
europei e mediterranei si propone come uno strumento per riconoscere armi o loro
componenti durante il trasporto dei container nei porti, aeroporti, magazzini,
strade e stazioni, luoghi sempre più centrali nella collaborazione
internazionale e nel funzionamento degli apparati tecnico-industriali degli
stati.
A Santa Fede Liberata, sabato 28 settembre alle 18, si terrà un’assemblea con
Carlo Tombola dell’Osservatorio, per analizzare la centralità della logistica
nelle guerre in corso, i commerci nel Mediterraneo verso e da Israele e non
solo, ma anche le possibilità di resistenza nei territori, le conquiste
dell’ultimo anno, le nuove alleanze, i terreni di lotta contro tutte le guerre
degli stati.
Lunedì 15 gennaio alle ore 17 i promotori dei carnevali sociali di Napoli e area
metropolitana si daranno appuntamento sotto palazzo San Giacomo per invitare
tutta la popolazione a partecipare ai laboratori [...]
Nel pomeriggio di venerdì 10 novembre nella Sala dei Baroni di Castel Nuovo
verrà conferita a Julian Assange la cittadinanza onoraria di Napoli. A ritirare
l’onorificenza sarà Stella Moris, sua moglie. Assange è recluso nel carcere di
massima sicurezza di Belmarsh in Inghilterra, dove è stato portato nel [...]
L'articolo Quattro giornate per Julian Assange. Venerdì la cittadinanza
napoletana al fondatore di Wikileaks sembra essere il primo su NapoliMONiTOR.