
Articoli in libertà…
Osservatorio Repressione - Thursday, May 8, 2025Riceviamo e pubblichiamo nota a firma del gruppo “p38punk”
E niente… pare che i giornalisti o affini in Italia, proprio non ce la facciano a non scrivere a (s)proposito di noi.
Stavolta è il turno di una testata accademica (figuriamoci fosse stata divulgativa) in cui veniamo tirati in ballo, citati direttamente.
Pubblichiamo di seguito il link all’articolo e postiamo qui la risposta che abbiamo inviato.
https://www.istitutoeuroarabo.it/DM/sinistre-popoli-e-istituzioni-una-riconnessione-possibile/
NOSTRA RISPOSTA INVIATA ALLA REDAZIONE:
Gentile redazione salve,
Vi scriviamo in merito all’articolo “Sinistre, popoli e istituzioni: una riconnessione possibile” pubblicato sulla vostra rivista il 01/05/2025 che ci chiama direttamente in causa citandoci.
Naturalmente abbiamo letto tutto il contributo e ci sarebbe da discutere su molti presupposti da cui parte, come ad esempio considerare di sinistra una struttura come il PD, da lungo tempo egemonizzata da quadri, dirigenti ed intermedi, formatisi nei lombi di un partito centrista e conservatore come la vecchia Democrazia Cristiana e che ha ormai in modo irreversibile marginalizzato quelle componenti afferenti alla tradizione comunista e socialista, tanto da far sembrare a confronto Craxi un massimalista ai limiti del rivoluzionario.
Ma non è questa la sede opportuna e benchè come abbiamo sempre fatto ci rendiamo disponibili al confronto, preferiamo concentrarci su quella parte dell’elaborato che ci cita per nome (paragrafo 6, a cura della dottoressa Chesi).
Non è la prima volta, anche in tempi recenti che siamo oggetto di sviste giornalistiche o letture superficiali della nostra attività e questa non è nemmeno la peggiore.
E poi siamo sempre grati per la pubblicità, anche negativa. Tuttavia gradiamo di più quella fatta con cognizione di causa.
Quindi, fermo restando che consideriamo sempre lecita la differenza di vedute, ci limiteremo a fornire alcuni chiarimenti e a sottolineare quelli che secondo noi vogliono essere degli amichevoli “errata corrige”, senza entrare nel merito del giudizio che si può avere nei nostri confronti.
In gran parte si tratta di semplici errori facilmente evitabili, se invece di fermarsi al nome o al genere che facciamo (il punk filosovietico), si fosse letto anche di sfuggita qualche testo o qualche articolo tra tanti che circolano su di noi in rete.
Nonostante quanto scrive la dottoressa Chesi circa i “rari files”, il materiale nostro e su di noi non è affatto raro. Anzi potremmo dire di essere alquanto inflazionati.
Oltretutto visto che non abbiamo mai rifiutato il contraddittorio, facciamo presente che è sempre possibile in caso di dubbi o curiosità, contattarci direttamente per chiedere.
In primo luogo portiamo all’attenzione il fattore cronologico.
La nostra esperienza non nasce affatto negli anni 2000, ma molto prima. Per la precisione nel 1991.
Anche il tempo dei verbi al passato per quel che ci riguarda è un errore, visto che siamo vivi e vegeti.
In secondo luogo per le nostre esperienze personali, ci sentiamo di prendere le distanze dall’affermazione “il protagonismo di figure sociali distanti dalle condizioni materiali da cui quei linguaggi hanno avuto origine ” e ancora dall’accusa di “ribellismo posticcio”.
Chi scrive (ma anche gli altri membri del gruppo) ha vissuto la condizione che è all’origine delle sue forme dialettiche. Ha studiato pagando di tasca sua rette e testi, finito il cursus honorum si è trovato a vivere in prima persona il dramma della precarizzazione e proletarizzazione del lavoro intellettuale e infine per giungere ad una dimensione lavorativa consona (il cui reddito è però di poco inferiore a quello di un operaio) è passato attraverso ogni tipo di lavoro, anche alienante e usurante, vivendo per lunghi anni in contesti sociali estremamente disagiati.
Quindi quando scriviamo e mettiamo in musica un testo, lo facciamo esulando dal trasporto romantico degli “amici del popolo” di cui parla Lenin, ma con una piena cognizione di causa che parte dalle nostre esperienze dirette.
Crediamo inoltre che si faccia un’interpretazione sbagliata e riduttiva della dimensione estetica.
Per noi l’Estetica (con la E maiuscola) è il filtro interpretativo del reale da cui scaturisce la proiezione di un orizzonte culturale altro, di Demartiniana memoria.
In questo senso ci va stretta anche la definizione di sottocultura.
Benché Cirese abbia dimostrato che questa non ha valore necessariamente deleterio, riteniamo che sottintenda una passività che non ci appartiene.
Alcune frange del moderno Hip hop possono considerarsi sottoculture, in quanto pur essendo espressione dei ceti subalterni, propugnano l’adesione al sistema valoriale degli egemoni (droga, status symbol, individualismo, denaro e potere) e aspirano alla loro integrazione anche ricorrendo a vie extra legem (mitizzazione del gangsterismo).
Noi propugniamo un sistema valoriale altro, in opposizione speculare, punto per punto a quello egemone e subalterno ad esso solo fino a quando un sommovimento sociale non lo renda dominate.
Di sicuro non vogliamo l’integrazione auspicata da Negri nella sua teoria “dell’impero”
Quindi preferiremmo si usasse almeno rispetto a noi, il termine “controcultura”
Chiariamo anche che l’uso di simbologia sovietica non vuole affatto essere un’acritica idealizzazione verso un modello di sviluppo.
Così come non reputiamo la figura di Stalin esente da errori.
L’ostentazione di questa simbologia è un fare i conti con il proprio passato, per trovare quella sintesi che al netto degli errori ci faccia riconoscere in una storia e una prospettiva comune. Usiamo una simbologia potente per creare un immaginario condiviso: il famoso “mito, rito e storia” che siamo certi la dottoressa Chesi conosca anche meglio di noi.
Facciamo quello che a sinistra in occidente non si è mai realmente fatto, prendendo spunto dalla lezione Cinese post rivoluzione culturale, quando si fece un’analisi dell’operato di Mao, attraverso la lente delle scienze politiche, economiche e sociali per separare luci ed ombre del grande timoniere ed evitare di gettare via il bambino insieme all’acqua sporca.
Gli stessi Cinesi nei loro elaborati teorici sono soliti ripetere che se i sovietici non avessero affrontato la questione di Stalin coi paraocchi dogmatici del XX congresso, probabilmente la storia dell’URSS (e del mondo) sarebbe stata diversa.
Metodo che ci si passi la presunzione, si è dimostrato finora vincente al vaglio dei fatti e della storia.
Qualunque sia il giudizio che ciascuno di noi ha riguardo la Repubblica Popolare Cinese.
D’altronde se ammettessimo l’esistenza del non-perfettibile, dovremmo ammettere l’esistenza di Dio.
E questo come materialisti storici ci creerebbe qualche problema.
Il passaggio sul “merchandising legato al genocidio del popolo palestinese “ è forse l’unico che davvero ci ha irritato.
Per usare una categoria Kantiana che non ci appartiene ma è certamente comprensibile ai più, viviamo l’arte nella sua forma “liberale”.
Ovverosia non finalizzata al lucro.
Le nostre manifestazioni a sostegno di quel popolo, anche molto recenti, son sempre state gratuite e in contesti in cui eravamo più che certi che il ricavato, sotto forma di aiuti alimentari e medici, sarebbe andato a quelle genti sofferenti.
Si può discettare all’infinito sulla legittimità o meno dell’occupazione Israeliana, ma adombrare anche solo il sospetto di mercimonio su sentimenti di compassione che ogni essere umano dovrebbe naturalmente provare verso i suoi simili è davvero offensivo sia per chi lo riceve, ma anche e soprattutto per chi lo suppone.
Uno scivolone etico che ci auguriamo, le redattrici dell’articolo vogliano rettificare.
Almeno per quanto riguarda noi.
Sulla violenza.
La violenza nei nostri testi non è mai stata “cieca” ma molto ben mirata e di reazione.
Facciamo nostro l’assunto di Sanguineti: “Bisogna restaurare l’odio di classe. Perché loro ci odiano, dobbiamo ricambiare. Loro fanno la lotta di classe, perché chi lavora non deve farla proprio in una fase in cui la merce dell’uomo è la più deprezzata e svenduta in assoluto? ”.
Ci rendiamo conto che violenza della cultura egemone, espressione delle uniche classi autorizzate a farne uso per contratto sociale, Arrivi a noi ammorbidita attraverso le lenti dei media.
Ed ecco che dalle nostre parti si propongono i funerali di stato per un Marchionne, edulcorando attraverso una narrativa di cifre e statistiche, la violenza con cui la sua prassi ha imposto infiniti drammi ai lavoratori nel nostro paese.
Mentre di contro, ad esempio, ci si scandalizza per la violenza che rovesciando il paradigma, lo stato Cinese ha imposto a Jack Ma che intendeva marchionnizzare i cittadini Cinesi imponendo anche al di fuori del contesto legale una finanziarizzazione dell’economia pro domo sua.
Infine riguardo al vilipendio di cadaveri non sappiamo proprio cosa dire.
Non avendolo mai né proposto, né praticato.
Però dobbiamo confessare che leggerlo ci ha divertito molto.
https://vk.com/p38punk
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