Per fortuna non so mai chi sono, ma per certo non godo quando gli anormali son
trattati da criminali e non ho alcuna intenzione di chiudere in un manicomio
tutti gli zingari e gli intellettuali
di Marco Sommariva*
Giorni fa mi son trovato a disquisire con un amico su chi sono, oggi, i borghesi
e a chiedermi se facessi parte di questa schiera; lo spunto per la discussione
ci era stato dato da una scritta su un muro, tanto breve quanto solleticante, un
microscopico j’accuse: “Ti sei imborghesito!”
L’indomani, lo stesso amico mi ha segnalato un articolo pubblicato diversi anni
fa su Repubblica e, così, ripartendo da questo,ho provato a mettermi nuovamente
in discussione – questa volta da solo.
A inizio pezzo leggo: “Nel significato oggi più diffuso il borghese è un membro
di un ceto medio che va dai benestanti ai ceti impiegatizi e che comprende sia
gli industriali, i grandi professionisti, i livelli superiori del pubblico
impiego (la cosiddetta alta borghesia) sia una più vasta platea di persone che,
in condizioni più modeste, sono tuttavia fornite di qualche bene, di qualche
indipendenza, di qualche responsabilità anche se limitata, e di qualche
istruzione (la piccola borghesia)”.
Non so se il mio stipendio può essere considerato un bene e non so neppure se
l’indipendenza che questo stipendio mi garantisce si possa annoverare fra quelle
ipotizzate nell’articolo di Repubblica, ma di certo ho qualche responsabilità
“anche se limitata” – un ufficio in cui coordino, così dice l’organigramma
aziendale, due colleghi – e ho una “qualche istruzione”: sono uno di quei
tantissimi periti industriali che nei primi anni Ottanta sbandierava il “pezzo
di carta” che occorreva per provare a non replicare la vita di stenti dei
genitori che, “con tanti sacrifici”, ti avevano fatto studiare.
Possibile davvero io sia un piccolo borghese?
Proseguo la lettura: “Borghesi sono […] i ceti che si affermano nell’età moderna
come i più adatti a governare secondo ragione, scalzando – anche attraverso le
rivoluzioni – il potere tradizionale dei nobili e degli ecclesiastici […]”, e
qui non c’entro nulla: “scalzare chi governa” sì, “anche attraverso le
rivoluzioni” sì, ma non di certo per governare. Dài!, questa l’ho sfangata, ma
non so se riuscirò a passare l’esame dei miei libri, delle mie letture.
Per l’egoismo con cui custodisco i miei libri, e pure i miei dischi, mi sa che
Gustave Flaubert mi definirebbe borghese: “si divertiva a fabbricare
portasalviette: ne aveva riempito la casa, li conservava con la gelosia di un
artista e l’egoismo di un borghese” – Madame Bovary.
Ma André Malraux – sapendo di tutte le mie cause (perse) combattute fianco a
fianco coi più deboli, per i più deboli – mi difenderebbe: “La borghesia starà
col più forte. La conosco” – La condizione umana.
Non essendo spilorcio e arrogante, ed essendo spesso criticato per la troppa
sincerità, credo che anche Doris Lessing prenderebbe le mie parti: “Dio sa
quanto lei li odiava, i borghesi, così attaccati ai soldi, attenti a non
sprecare un centesimo, sempre con il pensiero fisso di mettere da parte, di
risparmiare […]”; e ancora “Alice sapeva che Muriel apparteneva all’alta
borghesia ed era per questo che non la poteva soffrire. Come in tutte le
rappresentanti della sua classe, ogni sua parola, ogni gesto, era implicitamente
arrogante”; e infine “non c’è mai una volta che manifestino quello che pensano
questi maledetti piccoli borghesi” – La brava terrorista.
E se fossi, invece, un borghese perché mangio troppo? “Come dicono i sandinisti,
era da tempo che avevo perso l’abitudine borghese di fare due pasti al giorno” –
Dead end blues di Hugues Pagan.
O forse lo sono perché, quando mi sposai, pensai anch’io – lo ammetto –
d’essermi sistemato e, per un po’, rinunciai alla vita reale? “noi due abbiamo
accettato quest’enorme illusione, perché di questo si tratta: l’idea che, una
volta messa su famiglia, la gente debba rinunciare alla vita reale e
“sistemarsi”. È la grande menzogna sentimentalistica piccolo borghese […]” –
Revolutionary road di Richard Yates.
In effetti, non lo nego, sono anche uno di quelli che appena uscì dal suo
piccolo mondo che pensava fosse il mondo intero – fu quando non riuscii a
sfuggire al servizio di leva e partii per la naja –, andò in crisi: “Quando si
nasce nella piccola borghesia, si pensa che l’intero mondo sia uguale
all’ambiente in cui si vive. Non appena giunsi a vedere un altro tipo di mondo,
naturalmente il mio fu messo in crisi” – Pasolini su Pasolini di Pier Paolo
Pasolini e Jon Halliday.
Ma sempre Pasolini potrebbe riabilitarmi, vista la mia ripugnanza per il “pare
brutto” e le “buone maniere” in generale: “il mio odio per la borghesia è in
realtà una specie di ripugnanza fisica verso la volgarità piccoloborghese, la
volgarità delle “buone maniere” ipocrite, e così via. Forse soprattutto perché
trovo insopportabile la grettezza intellettuale di questa gente” – ancora
Pasolini su Pasolini.
Anche Jack London avrebbe parole buone per il sottoscritto che – me l’hanno
riconosciuto in tanti – non ha mai avuto paura della Vita: “Il realismo è
essenziale alla mia natura, e lo spirito borghese odia il realismo. La borghesia
è codarda. Ha paura della vita” – Martin Eden.
Forse la mia colpa è stata passare impiegato dopo otto anni trascorsi
orgogliosamente da operaio? Forse mi sarebbe bastato restare una tuta blu per
non rischiare d’esser confuso con qualche lacchè borghese? Ma davvero una cosa
esclude l’altra? E qui è Paco Ignacio Taibo II a venirmi in soccorso: “Il più
borghese è l’operaio che offre il culo al padrone, e addirittura lo difende come
un coglione, e dice ma no, le cose in fabbrica vanno benissimo così” – E doña
Eustolia brandì il coltello per le cipolle.
Che se poi andiamo a vedere, ce n’è un po’ per tutti, per la morale borghese
senza dubbio ma, per esempio, non è che una “certa” sinistra – quella che
lottava per il proletariato – ne esca tanto bene: “non possiamo più fare a meno
di valori positivi. Ma dove trovarli? La morale borghese ci indigna con la sua
ipocrisia e la sua mediocre crudeltà. Il cinismo politico che regna su gran
parte del movimento rivoluzionario ci ripugna. Quanto alla sinistra cosiddetta
indipendente, in realtà, affascinata dalla potenza del comunismo e invischiata
in un marxismo pudibondo di sé, ha già abbandonato la lotta. Dobbiamo allora
trovare in noi stessi, nel vivo della nostra esperienza, cioè all’interno del
pensiero in rivolta, i valori che ci necessitano. Se non li troviamo, il mondo
crollerà, e forse sarà giusto, ma prima saremo noi a crollare, e questo sarà
infame” – Ribellione e morte di Albert Camus.
Non sarà che il pensiero della borghesia s’è già diffuso al popolo? Sarebbe un
bel guaio: “Gli avari non credono nella vita dopo la morte, per loro il presente
è tutto, e questo stesso concetto diffonde una luce orribile sul mondo odierno,
dove più che mai il denaro domina le leggi, la politica e i costumi.
Istituzioni, libri, uomini e dottrina cospirano insieme a scuotere la fede in
un’altra vita, fede su cui da diciotto secoli si basa tutta la struttura
sociale. Tuttavia ci troviamo quasi al medesimo punto, poiché l’avvenire che ci
attendeva al di là del requiem è stato trasportato nel presente. Giungere al
paradiso terrestre del lusso e delle gioie vanitose, far divenire il cuore di
pietra e macerarsi il corpo nell’ansia di accumulare beni passeggeri, come una
volta si soffriva il martirio per conquistare l’eternità, ecco l’idea che oramai
si è fatta comune, l’idea fissa, in ogni luogo, persino nelle leggi, che ormai
domandano all’uomo: “Quanto paghi?” invece di chiedergli: “Cosa pensi?” Se un
simile pensiero si diffonderà dalla borghesia al popolo, chissà cosa ne sarà del
mondo” – Eugénie Grandet di Honoré de Balzac.
Anche perché il nuovo potere borghese parrebbe, davvero, essere una brutta cosa:
“L’accettazione del fascismo è stato un atroce episodio: ma l’accettazione della
civiltà borghese capitalistica è un fatto definitivo, il cui cinismo non è solo
una macchia, l’ennesima macchia nella storia della Chiesa, ma un errore storico
che la Chiesa pagherà probabilmente con il suo declino. […] il nuovo potere
borghese infatti necessita nei consumatori di uno spirito totalmente pragmatico
ed edonistico: un universo tecnicistico e puramente terreno è quello in cui può
svolgersi secondo la propria natura il ciclo della produzione e del consumo. Per
la religione e soprattutto per la Chiesa non c’è spazio” – Scritti corsari di
Pier Paolo Pasolini.
Sulla necessità del potere borghese di pragmatismo da parte dei consumatori, ha
qualcosa da dire anche Raoul Vaneigem: “Se i borghesi preferiscono l’uomo a Dio,
è perché egli produce e consuma, acquista e fornisce” – Trattato del saper
vivere.
Ma chi sono io, oggi, ancora non l’ho capito.
Visto che non mi spavento se i lacci delle mie scarpe non sono in ordine e non
sono mai sicuro d’aver ragione, non dovrei esser compreso fra la media
borghesia: “la media borghesia inglese deve masticare ogni boccone trenta volte
perché ha l’intestino così stretto che un boccone grosso quanto un pisello lo
ostruirebbe. Sono un branco di disgraziati effeminati, pieni di boria,
spaventati se i lacci delle scarpe non sono in ordine, putridi come selvaggina
andata a male, e sempre sicuri di avere ragione. È questo che mi distrugge.
Sempre lì a leccare il culo finché non gli fa male la lingua, eppure sono sempre
sicuri di avere ragione. Presuntuosi! Presuntuosi su tutto. Presuntuosi! Una
generazione di presuntuosi effeminati senza coglioni…” – L’amante di Lady
Chatterley di David Herbert Lawrence.
E dato che non ho mai pensato che oltre i miei confini il mondo sia piuttosto
ignorante, anche Robert Louis Stevenson potrebbe aiutarmi a restare fuori da
certi elenchi in cui non avrei piacere di essere incluso: “L’ignoranza di voi
borghesucci mi sorprende. Al di là dei vostri confini, ritenete che il mondo sia
piuttosto ignorante e un universo indistinto, immerso in una degradazione
generale…” – Il terrorista.
Ma non sarà che questo problema dell’essere o non essere borghesi, è una fisima
tutta mia, nostra, dell’uomo occidentale, e magari una fissazione dei giorni
nostri? No, non è così; scrive Jean-Patrick Manchette ne Il caso N’Gustro: “Lo
Zimbabwin, il loro Paese, si è liberato e un Fronte di liberazione, l’Flz, ha
preso il potere. Ma se capisco bene, c’è un’etnia che cammina sulla testa delle
altre, nell’Flz, e ancora peggio è musulmana […]. Mi spiegano: i musulmani,
laggiù, sono l’equivalente dei borghesi qui, sono grandi famiglie, stirpi, da
sempre compromesse con le spedizioni arabe che discendevano l’Africa, risalendo
il Nilo e arrivando ben oltre nell’interno, attraverso il Sudan, fino al cuore
del continente, per razziare, rapire su grande scala intere popolazioni che
rivendevano sul Mar Rosso, gli uomini per il lavoro, le donne ai bordelli, i
bambini dipende”.
Niente, addirittura potrebbe essere un problema mondiale e, forse, sempre
esistito.
Pur non risparmiando i proletari, anche Johnny Rotten riteneva essere un
problema questa borghesia capace di opprimere: “Ricordo che quand’ero piccolo e
andavo a scuola i genitori inglesi mi prendevano a mattonate. Per arrivare alla
scuola cattolica dovevo passare in una zona in prevalenza protestante. Era
bruttissimo. La facevo sempre di corsa. “Quei luridi bastardi irlandesi!”. E
cazzate del genere. Adesso se la prendono coi neri, o chi altri. Ci sarà sempre
odio negli inglesi perché sono una nazione piena d’astio. È questo il guaio dei
proletari di tutto il mondo. Cercano sempre di sfogare i loro rancori su quelli
che considerano più in basso nella scala sociale, invece di saltare alla
giugulare di quei fottuti bastardi dell’alta e media borghesia che li tengono
oppressi, tanto per cominciare” – L’autobiografia.
Persino la Chiesa pare non abbia gradito il potere della borghesia, accusandola
d’aver fatto di questo mondo un luogo maledetto d’ingiustizia e di dolore,
benché la contestazione non parrebbe mossa sulla scia di una qualche carità
cristiana: “L’abate […] trovava delle scusanti alle scelleratezze degli
scioperanti, attaccava violentemente la borghesia sulla quale rigettava ogni
responsabilità. Era la borghesia, che, spossessando la Chiesa delle sue antiche
libertà, per servirsene lei stessa, aveva fatto di questo mondo un luogo
maledetto d’ingiustizia e di dolore, era lei che prolungava i malintesi, che
spingeva ad una catastrofe spaventosa, col suo ateismo, rifiutandosi di
ritornare alla fede, alle tradizioni fraterne dei primi cristiani” – Germinal di
Emile Zola.
Leggo che la borghesia è fondamentalmente vile e ottusa e che, in ogni epoca, è
rimasta unita solo per abbattere ciò che le stava immediatamente sopra e
depredare coloro che stavano sotto: “Sono nato con dentro un odio per
l’ingiustizia… sin dall’infanzia il sangue mi ribolliva contro il cielo quando
vedevo la gente malata, e mi ribolliva contro gli uomini quando ero testimone
delle sofferenze dei poveri; pensando al tozzo di pane della povera gente, le
cose buone che mangiavo mi andavano di traverso, e un bambino storpio mi faceva
piangere. […] Anno dopo anno, questa passione per la gente più derelitta mi
ossessionò sempre di più. Si poteva riporre speranza nei re? Si poteva riporre
speranza nelle classi meglio pasciute che si rotolano nel denaro? Avevo studiato
il corso della storia… sapevo che la borghesia, il nostro monarca di oggi, è
fondamentalmente vile e ottusa… in ogni epoca, avevo visto come la borghesia si
unisse solo per abbattere ciò che le stava immediatamente sopra e depredare
coloro che stanno sotto; la sua ottusità, ne ero convinto, alla fine avrebbe
provocato la propria rovina; sapevo che ormai i suoi giorni erano contati, ma
come avrei potuto aspettare? Come potevo lasciare che i bambini poveri
tremassero sotto la pioggia? Certo, sarebbero arrivati giorni migliori, ma i
bambini sarebbero morti prima. […] con un’impazienza sicuramente non priva di
uno slancio di generosità mi arruolai tra i nemici di questa società ingiusta e
ormai condannata […]” – nuovamente da Il terrorista di Robert Louis Stevenson.
Anche il mio corregionale Edmondo De Amicis, nel romanzo Sull’oceano non ne dice
un granché bene di ‘sti borghesi: “tutta la sua persona rivelava la borghesuccia
impastata d’invidia per chi le sta sopra e di disprezzo per chi le sta sotto,
capace di commettere una vigliaccheria per entrare in relazione con una
marchesa, e di dimezzare il pane ai figliuoli per strascicare del velluto sui
marciapiedi”.
Ecco, non provando invidia per chi sta sopra né disprezzo per chi sta sotto
semplicemente perché il mondo che vedo io non è strutturato in verticale ma in
orizzontale; non avendo mai dimezzato il pane da dare a mio figlio per
qualsivoglia bene materiale a cui rinuncio tranquillamente, anche se ammetto che
i libri mi tentano sempre parecchio; non commettendo alcuna vigliaccheria per
entrare in relazione con una marchesa per lo stesso motivo di prima – nella mia
visione orizzontale del mondo, marchese, psicologhe, suore, operaie, casalinghe,
eccetera sono, giocoforza, tutte sullo stesso piano –; mi sento abbastanza
sollevato.
E mi sento abbastanza sollevato anche perché non provo alcuna gioia quando
s’arresta una puttana o se la parrocchia del Sacro Cuore acquista una nuova
campana; non godo quando gli anormali son trattati da criminali e non ho alcuna
intenzione di chiudere in un manicomio tutti gli zingari e gli intellettuali;
non so mentire con cortesia, cinismo e vigliaccheria, e non faccio
dell’ipocrisia la mia formula di poesia; non ho nulla contro chi fa l’amore più
di una volta alla settimana e neanche contro chi lo fa per più di due ore o
verso chi lo fa in maniera strana; non pesto le mani a chi arranca dentro a una
fossa e neppure son disponibile, al più ricco e ai suoi cani, a leccar le ossa.
Sì, dài!, mi sento abbastanza sollevato.
Ora che finalmente so chi sono, devo chiudere il pezzo e salutarvi perché sono
già in ritardo: di là, sul tavolo di noce del tinello, la cena è apparecchiata,
son tutti già seduti e mi aspettano per il segno della croce. Rifiutarsi mi
pareva brutto.
*scrittore sul sito www.marcosommariva.com tutte le sue pubblicazioni
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Tag - misure repressive
Si formeranno in Italia i piloti della ricostituita aeronautica di guerra della
Libia. A renderlo noto l’ufficio pubblica informazione delle forze aeree
italiane.
di Antonio Mazzeo da Pagine Esteri
Il 25 marzo, il capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica Militare, generale Luca
Goretti, ed il capo della Libyan Air Force, generale Amhamed Gojel, hanno
firmato a Roma un accordo tecnico bilaterale sull’addestramento in favore dei
top gun e degli istruttori di volo libici.
L’accordo prevede la partecipazione del personale militare dello Stato
nordafricano ai corsi di addestramento presso il 70° Stormo dell’Aeronautica di
stanza a Latina e presso il 61° Stormo di Galatina (Lecce) per le fasi 2 e 3
dell’iter addestrativo. Parte della formazione teorica si svolgerà anche presso
il centro di formazione Aviation English di Loreto (Ancona), la scuola di lingue
straniere dell’Aeronautica.
L’intesa sottoscritta dai generali Goretti e Gojel disciplina i vari aspetti del
percorso addestrativo del personale libico negli specifici programmi erogati dal
207° gruppo volo del 70° Stormo e dal 214° gruppo volo del 61° Stormo.
“L’accordo assume una rilevanza significativa in quanto costituisce il primo
accordo di cooperazione bilaterale con la Forza Aerea libica nel settore
dell’addestramento al volo con durata di validità triennale”, spiega lo Stato
Maggiore dell’Aeronautica italiana. “Esso è un’ulteriore riprova del livello di
eccellenza raggiunto dalla Forza Armata nel settore addestrativo, nonché un
significativo consolidamento della cooperazione con un Paese partner
estremamente importante nell’ambito della sicurezza e della stabilità dell’area
mediterranea”. (1)
Il 70° Stormo di Latina è posto alle dipendenze del Comando Scuole
dell’Aeronautica e della 3a della Regione Aerea con sede a Bari; presso i suoi
reparti si effettuano i corsi di abilitazione e l’addestramento basico degli
allievi dell’Aeronautica e delle altre forze armate italiane e dei cadetti
militari di paesi esteri per il conseguimento del brevetto di pilota. Fino ad
oggi Latina ha rilasciato oltre 15.000 brevetti di pilotaggio, realizzando un
totale di circa 500.000 ore di volo. (2) Nello scalo del 70° Stormo gli
allievi-piloti libici saranno formati a bordo di due tipi di velivoli di
produzione del gruppo Leonardo SpA: il T-260B (aereo biposto, già classificato
come SIAI Marchetti SF-260) e il T-2600A (quadriposto, già Aermacchi SF260 EA).
(3)
Presso la base salentina di Galatina, il personale militare libico sarà
addestrato in vista della conduzione dei velivoli di quarta e quinta generazione
(in particolare i cacciabombardieri Eurofighter Typhoon e gli F-35 Lightning
II). Sotto il comando del 61° Stormo opera l’International Flight Training
School (IFTS), un centro internazionale per l’addestramento al volo avanzato,
frutto di un accordo del 2018 tra l’Aeronautica Militare e la holding
industriale-militare Leonardo S.p.A.. “Il progetto IFTS è nato con l’obiettivo
di realizzare un polo di eccellenza nella formazione dei piloti militari e
soddisfare la crescente domanda di training avanzato proveniente dagli stati
alleati e partner”, spiega lo Stato Maggiore della Difesa. “L’International
Flight Training School ha consentito di raddoppiare l’attuale offerta
addestrativa attraverso la realizzazione di un nuovo polo distribuito tra la
base dell’Aeronautica di Galatina, e quella di Decimomannu (Sardegna), dove è
nato il campus dedicato alla fase avanzata dell’addestramento al volo”.
I reparti del 61° Stormo hanno formato e brevettato più di 9.000 avieri
appartenenti a 20 paesi, alcuni del Medio oriente ed Asia (in particolare Arabia
Saudita, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Singapore). A Galatina gli allievi-piloti
di Tripoli voleranno a bordo dei caccia-addestratori T-346A (gli stessi venduti
una quindicina di anni fa da Aermacchi-Leonardo alle forze armate israeliane).
Questi aerei sono in via di sostituzione con i più sofisticati T-345, anch’essi
progettati e prodotti dall’italiana Leonardo, per “ottenere un miglioramento
della qualità addestrativa a costi inferiori, da cui il nome High Efficiency
Trainer”, come enfatizza il Comando del 61° Stormo. Nelle scorse settimane sono
giunti nella base aerea salentina i primi sei velivoli T-345 e da giugno saranno
impiegati per i corsi addestrativi. (4)
La decisione di utilizzare alcune delle maggiori basi aeree italiane per la
“formazione” del personale militare libico sarebbe stata presa in occasione
della riunione del Comitato misto di Cooperazione Libia–Italia tenutasi a
Tripoli nel giugno 2024. A quell’incontro parteciparono per la parte italiana il
generale Alessandro Grassano del III Reparto dello Stato Maggiore della Difesa e
per la parte libica il gen. Mustafa Ben Rashed.
Nonostante le sempre più numerose e documentate denunce da parte di
organizzazioni governative ed ONG internazionali sulle gravissime violazioni dei
diritti umani perpetrate dalle forze armate e di polizia libiche contro la
popolazione e i migranti, il ministero della Difesa italiano si è impegnato ad
“esaminare nuove strategie per incrementare e ottimizzare le attività di
cooperazione” con la Libia. In particolare è stato redatto un articolato Piano
di Formazione per il secondo semestre 2024 e per l’intero 2025, “comprensivo di
numerose attività sia in Italia che in Libia”. (5) Relativamente al settore
aereo, in attesa di avviare le attività addestrative per i piloti a Latina e
Galatina, l’Italia ha iniziato ad erogare a beneficio del personale libico
alcuni corsi per controllori del traffico aereo presso il reparto di
addestramento di Pratica di Mare (Roma) e quelli presso l’Accademia Aeronautica
di Pozzuoli (Napoli). (6)
Le attività di formazione, addestramento e mentoring a favore delle forze armate
e di sicurezza e delle istituzioni governative libiche, vengono svolte in
territorio italiano e libico nell’ambito della cosiddetta Missione bilaterale di
assistenza e supporto in Libia (MIASIT). Nata nel 2018 sulle ceneri della
precedente Operazione “Ippocrate”, MIASIT ha come obiettivo prioritario quello
di “incrementare le capacità complessive” dei militari fedeli al Governo di
Accordo Nazionale della Libia. Tra le attività addestrative spiccano in
particolare quelle finalizzate al “controllo e contrasto dell’immigrazione
illegale e delle minacce alla sicurezza della Libia; al ripristino
dell’efficienza di assetti terrestri, navali e aerei, comprese le relative
infrastrutture, funzionali allo sviluppo della capacità libica di controllo del
territorio; all’assistenza e supporto sanitario (anche con il trasferimento dei
pazienti Italia); allo sminamento; alla formazione da parte di forze speciali
italiane, delle omologhe unità libiche”.
Sempre secondo lo Stato Maggiore della Difesa, i corsi di formazione a le
attività addestrative vengono condotte da MIASIT “in conformità all’Accordo
tecnico di Cooperazione militare sottoscritto nel 2020”, sotto la direzione e il
coordinamento del Comando Operativo di Vertice Interforze (COVI), con quartier
generale nello scalo aeroportuale di Centocelle, Roma. (7)
Il testo di questo accordo non è pubblico. Grazie però ad alcuni organi di
stampa di Tripoli è stato possibile apprendere che esso è stato sottoscritto il
4 dicembre 2020 in occasione della visita in Italia dell’allora ministro della
Difesa del governo libico, generale Salaheddine al-Namroush (oggi vice capo di
Stato Maggiore). Al-Namroush avrebbe concordato con il ministro della Difesa
italiano Lorenzo Guerini (Pd) e con quello degli Affari Esteri Luigi Di Maio
(M5S), l’implementazione di “attività di cooperazione nei settori
dell’addestramento e dell’istruzione militare, dello scambio di competenze, del
supporto, dello sviluppo, della manutenzione e della consulenza, della
cooperazione nel campo dell’immigrazione clandestina, oltre che della sicurezza
delle frontiere terrestri e marittime, delle operazioni di munizioni e
smaltimento delle mine, della medicina militare, di soccorso in caso di disastri
naturali ed emergenze sanitarie, di scambio di informazioni ed esperienze nel
campo della ricerca scientifica e tecnica e della sicurezza militare”. (8)
Attualmente il Comando della Missione MIASIT è schierato a Tripoli, mentre a
Misurata è presente un distaccamento operativo. La consistenza massima annuale
autorizzata dal Parlamento per il contingente nazionale impiegato in Libia è di
200 militari, più un mezzo aereo. E’ pure previsto l’impiego di ulteriori
assetti aerei (anche a pilotaggio remoto) e di mezzi navali, tratti dal
dispositivo nazionale operante nel Mediterraneo. Originariamente la missione di
sostegno militare alla Libia prevedeva pure la gestione di un ospedale da campo
a Misurata, ma questo è stato “dismesso” nel corso del 2022. “Da allora, anche
nell’area di Misurata la presenza italiana ha svolto attività addestrativa,
mediante team mobili (Mobile Training Team)”, spiega lo Stato Maggiore.
Il contingente italiano è composto da unità con compiti di formazione,
consulenza, assistenza e supporto logistico, infrastrutturale e sanitario;
personale di collegamento presso dicasteri e stati maggiori libici; unità con
compiti di force protection; tecnici e specialisti contro minacce
chimiche-biologiche-radiologiche-nucleari (CBRN); team per la ricognizione e per
le attività di comando e controllo. “L’addestramento si svolge in particolare
nei settori del contrasto di ordigni esplosivi improvvisati (IED),
dell’aviolancio e della tutela e scorta; l’impegno si è esteso anche alla
collaborazione con la Guardia Costiera libica, che ha proseguito nell’azione di
contenimento dei movimenti migratori non regolamentati”. (9) Pure formazione e
addestramento, dunque, oltre al supporto logistico e di intelligence a favore
della famigerata Guardia Costiera responsabile di orribili crimini
(mitragliamenti, deportazioni, omissioni di soccorso, ecc.) nella quotidiana
guerra contro le migrazioni e i migranti in acque territoriali e internazionali.
Nel corso del 2024 sono stati non meno di una cinquantina i corsi di
addestramento svolti da team appartenenti all’Esercito, alla Marina Militare,
all’Aeronautica e all’Arma dei Carabinieri. Circa 700 i militari di tutte le
forze armate libiche “formati” da MIASIT. (10) Tra gli impegni più “onerosi”
quelli svolti per addestrare le unità di fanteria libiche e di “combattimento
nei centri abitati” con l’ausilio del personale della Scuola di Fanteria
dell’Esercito di Cesano (Roma); l’Esplorazione Tattica Terrestre, grazie ai team
della Scuola di Cavalleria di Lecce; le “lezioni” di topografia e navigazione
sul terreno, con tanto di fornitura al personale libico di “ausili tecnici e
software open source per leggere e costruire mappe topografiche da utilizzare
per il tiro di artiglieria”, da parte della Scuola di Artiglieria di
Bracciano. (11)
Presso il Distaccamento MIASIT di Misurata, il personale del 9° Reggimento
Alpini (quartier generale a L’Aquila), reparto d’élite per il “combattimento in
montagna”, ha curato i corsi di lingua italiana, Combat Intelligence e gestione
delle “operazioni speciali” (OPS – Special Operations) a favore dei componenti
della 307^ unità della Counter Terrorism Force libica. Ancora gli alpini
abruzzesi nel deserto tripolitano per svolgere i “corsi basici di fanteria” per
gli uomini della 52^ Brigata. (12)
Il Comando Genio dell’Esercito di Roma ha portato a termine 15 corsi a favore
del costituendo Centro di Eccellenza C-IED (Counter-Improvised Explosive Device)
di Tripoli; i parà della Brigata Paracadutisti “Folgore” e gli istruttori del
Centro Addestramento Paracadutismo dell’Esercito di Pisa hanno condotto invece
diversi corsi di Self Defense Close Combat e di “Metodo di Combattimento
Militare (MCM)” per il Dipartimento di Polizia Militare e gli “allievi”
dell’Accademia Militare di Tripoli. “Il Metodo di Combattimento Militare è parte
integrante dell’addestramento individuale al combattimento ed è una metodologia
tesa a fornire al soldato quelle capacità necessarie per difendersi e
fronteggiare situazioni critiche o che minacciano la sua incolumità e quella
degli altri”, spiega lo Stato Maggiore della Difesa. (13)
Per il Corpo della Polizia Militare della capitale libica, il Centro
Addestramento Paracadutismo e il 1° Reggimento Carabinieri Paracadutisti
“Tuscania” di Livorno hanno condotto i corsi di Personal Security Detail in
Hostile Enviroment che hanno come scopo “l’apprendimento delle procedure di
protezione e sicurezza di Autorità o personale VIP”. Ufficiali dei Carabinieri e
del Gruppo di Intervento Speciale (G.I.S.) dell’Arma hanno svolto invece un
Negotiation Course a favore di 13 ufficiali della Libyan Military Intelligence
di Tripoli, normalmente impiegati tra la capitale e Misurata. “Il corso ha avuto
l’obiettivo di insegnare agli allievi le tecniche basilari per la gestione delle
crisi, la capacità di approccio/ascolto e le tecniche per addivenire ad una
soluzione efficace delle controversie”, spiega la Difesa. (14)
Trentacinque i militari libici addestrati al Sea Survival dagli istruttori
aero-soccorritori del 15° Stormo dell’Aeronautica Militare, di stanza nello
scalo di Cervia-Pisignano (Ravenna). Il corso si è svolto presso la base navale
di Abu Sittah, Tripoli, dove è attivo il Centro di coordinamento di ricerca e
soccorso mobile (Mrcc) della Marina e della Guardia Costiera libica che
sorveglia l’immensa aerea SAR – in verità anti-migranti – nel Canale di Sicilia.
“Alle attività formative hanno preso parte militari appartenenti alla Lybian Air
Force e alla Lybian Navy che hanno avuto modo di apprendere le procedure e
tecniche di base per la sopravvivenza in mare a seguito di incidenti aerei e
navali, tramite l’uso di materiali e zattere di salvataggio”, riporta lo Stato
Maggiore italiano. Ospiti d’onore al corso Sea Survival il Capo del Dipartimento
Search & Rescue libico, generale Mansour Al-Taish, e il responsabile del
Dipartimento addestrativo della Marina Militare, ammiraglio Abdul Rahman
Al-Baroni. (15)
Oltre ad addestrare il personale militare libico, la Missione MIASIT ha gestito
la consegna a “titolo gratuito” di equipaggiamento e aiuti militari. Nel corso
del biennio 2023-2024, è stata formalizzata la cessione di materiale per la
ricerca e la bonifica degli ordigni esplosivi, a favore degli operatori del
Dipartimento del Genio militare di Tripoli. Tra i materiali “donati” decine di
esemplari di tute protettive, occhiali speciali per la protezione degli occhi,
kit di tiranteria, ausili per la rimozione a distanza di trappole esplosive e
ordigni inesplosi, cercamine e apparati radiografici portatili per l’ispezione
di pacchi sospetti o di munizioni inesplose di medio e piccolo calibro. Il
trasferimento di equipaggiamento militare è stato realizzato “grazie ai fondi
stanziati dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale,
nel quadro del più esteso programma di assegnazione di equipaggiamento
specialistico, in Convenzione con il Ministero della Difesa”, spiega lo Stato
Maggiore. (16)
Il 2 maggio 2024 il personale italiano ha pure consegnato materiale
elettromedicale all’Ospedale Militare di Tripoli e all’Accademia Aeronautica di
Misurata, dove è stata pure realizzata un’aula multimediale per lo svolgimento
di corsi per i piloti militari e civili. Ad agosto, farmaci e apparecchiature
elettromedicali per un valore complessivo di quasi 100.000 euro, sono stati
inviati al Misurata Medical Center e ai Poliambulatori militari locali. Alcuni
dispositivi medici cardiovascolari sono stati acquistati mediante i fondi
stanziati dal Comando Operativo di Vertice Interforze; i farmaci sono stati
messi a disposizione dalla Fondazione Banco Farmaceutico. (17)
Note
1
https://www.aeronautica.difesa.it/news/aeronautica-militare-cooperazione-internazionale-firmato-accordo-per-laddestramento-di-piloti-militari-libici-in-italia/
2
https://www.aeronautica.difesa.it/news/70-stormo-cerimonia-di-consegna-delle-aquile-di-pilota-di-aeroplano-agli-allievi-piloti-del-corso-falco-vi/
3
https://www.aviation-report.com/70-stormo-scuola-di-volo-basico-aeronautica-militare/
4
https://www.rid.it/shownews/7219/aeronautica-arrivati-i-primi-t-345-a-giugno-parte-l-addestramento
5
https://www.difesa.it/smd/news-italia/prima-riunione-del-comitato-misto-di-cooperazione-libia-italia/53472.html
6
https://www.aeronautica.difesa.it/news/aeronautica-militare-cooperazione-internazionale-firmato-accordo-per-laddestramento-di-piloti-militari-libici-in-italia/
7 https://documenti.camera.it/leg19/dossier/pdf/DI0145.pdf?_1744875457583
8
https://alwasat.ly/news/libya/303351?fbclid=IwAR0eudWADmm-zHocMTasNn5aSo13rriiDxIySXJNrVtMgUliq-fmoyqecKg
9 https://documenti.camera.it/leg19/dossier/pdf/DI0145.pdf?_1744875457583
10
https://www.difesa.it/operazionimilitari/op-intern-corso/libia-missione-bilaterale-di-supporto-e-assistenza/notizie-teatro/libia-proseguono-le-attivita-addestrative-con-gli-istruttori-del-9-reggimento-alpini-dellesercito-e-della-scuola-di-fanteria-di-cesano-di-roma/55457.html
11
https://www.difesa.it/operazionimilitari/op-intern-corso/libia-missione-bilaterale-di-supporto-e-assistenza/notizie-teatro/missione-in-libia-la-miasit-conclude-un-importante-ciclo-formativo/55736.html
12
https://www.esercito.difesa.it/comunicazione/Pagine/Libia-proseguono-le-attivita-addestrative-con-gli-istruttori-del-9-Reggimento-Alpini-dell-Esercito-240805.aspx
13
https://www.difesa.it/operazionimilitari/op-intern-corso/libia-missione-bilaterale-di-supporto-e-assistenza/notizie-teatro/libia-conclusi-corsi-metodo-di-combattimento-militare-e-personal-security-detail-in-hostile-enviroment/54544.html
14
https://www.difesa.it/operazionimilitari/op-intern-corso/libia-missione-bilaterale-di-supporto-e-assistenza/notizie-teatro/miasit-terminato-corso-negotiation-course-a-favore-libyan-military-intelligence/46617.html
15
https://www.difesa.it/operazionimilitari/op-intern-corso/libia-missione-bilaterale-di-supporto-e-assistenza/notizie-teatro/missione-in-libia-concluso-sea-survival-training/51981.html
16
https://www.difesa.it/operazionimilitari/op-intern-corso/libia-missione-bilaterale-di-supporto-e-assistenza/notizie-teatro/miasit-donato-equipaggiamento-per-lo-sminamento-al-genio-militare-libico/47432.html
17
https://www.difesa.it/operazionimilitari/op-intern-corso/libia-missione-bilaterale-di-supporto-e-assistenza/notizie-teatro/miasit-e-fondazione-banco-farmaceutico-supportano-la-sanita-libica/55795.html
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Sono passati dieci anni esatti dalla dura condanna della Corte europea dei
diritti dell’uomo nei confronti dell’Italia per i fatti del G8 di Genova 2001.
Un Paese incapace di prevenire e punire torture e depistaggi, dotato di una
polizia che si rifiutò “impunemente” di collaborare con chi indagava sui fatti
della Diaz. Uno schiaffo che lascia ancora il segno e “parla” del decreto
sicurezza varato dal governo a inizio aprile
di Duccio Facchini da Altreconomia
“La Corte si rammarica che la polizia italiana si sia potuta rifiutare
impunemente di fornire alle autorità competenti la collaborazione necessaria
all’identificazione degli agenti che potevano essere coinvolti negli atti di
tortura”.
Sono passati dieci anni esatti dalla condanna della Corte europea dei diritti
dell’uomo nei confronti dell’Italia per i fatti del G8 di Genova 2001, tra le
più gravi violazioni dei diritti umani nel contesto di una democrazia
occidentale dal Dopoguerra (Amnesty International). Il ricorso lo si deve ad
Arnaldo Cestaro, storico militante vicentino scomparso nell’estate 2024, e
vittima insieme a Lorenzo Guadagnucci e tanti altri dell’assalto-macelleria
compiuto dalla polizia alla scuola Diaz nel luglio di 24 anni fa.
Quella sentenza del 7 aprile 2015, come ha più volte ricordato Enrico Zucca, che
fu pubblico ministero del processo per quelle torture e oggi è procuratore
generale a Genova, fu scontata nella decisione ma inattesa nella durezza.
Un Paese incapace di prevenire e punire torture e depistaggi -scolpirono i
giudici di Strasburgo- dotato di una polizia che si è dimostrata infedele.
Enrica Bartesaghi e Lorenzo Guadagnucci, allora membri del Comitato Verità e
Giustizia per Genova, parlarono di “schiaffo alle istituzioni italiane”. Il
campo larghissimo del partito della polizia, dopo anni di falsità, fece finta di
niente.
Tipo Alfredo Mantovano, sottosegretario all’Interno in quella terribile estate
2001 e oggi gattopardescamente sottosegretario alla presidenza del Consiglio
nonché Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica. Mantovano, caso di
“magistrato in politica” gradito alla stampa governista, ebbe modo nel 2010
subito dopo la sentenza di appello sui fatti della Diaz di parlare di “fior di
professionisti della sicurezza” che svolgevano il “loro ruolo con grande
responsabilità e dedizione, rispetto al quale ci può essere solo gratitudine da
parte delle istituzioni”. La Cassazione prima e la Cedu poi hanno chiarito chi
aveva ragione e chi torto, chi andava “ringraziato” e chi proprio no.
Lo schiaffo della Corte europea lascia ancora il segno. Lo dimostra l’ultima
supervisione pubblicata nel dicembre 2024 dal Comitato dei ministri del
Consiglio d’Europa, organo che mantiene la cosiddetta “sorveglianza sostenuta”
(anche) sulla corretta esecuzione della “sentenza Cestaro”.
Il Comitato, prendendo atto delle rassicurazioni delle autorità italiane sul non
aver alcuna intenzione di abrogare la disposizione sull’attuale reato autonomo
di tortura nel codice penale, ha “espresso la propria profonda preoccupazione
per la mancanza di progressi nell’adozione di misure volte a garantire
l’identificazione degli agenti delle forze dell’ordine” così come per il mancato
“invio di un messaggio chiaro ad alto livello politico sulla politica di
tolleranza zero nei confronti dei maltrattamenti nelle forze dell’ordine”.
Non solo. “Ha nuovamente invitato le autorità a garantire che […] gli agenti
delle forze dell’ordine accusati di reati che comportano maltrattamenti siano
sospesi dal servizio durante le indagini o il processo e licenziati in caso di
condanna”.
Il Governo Meloni-Mantovano ha deciso però di salutare il decimo anniversario
della sentenza Cestaro e i freschi ammonimenti del Comitato dei ministri del
Consiglio d’Europa con il “decreto sicurezza”, licenziato in Consiglio dei
ministri il 4 aprile e fatto piovere in testa a un Parlamento che ha lavorato a
vuoto per mesi.
Si introduce un’aggravante del delitto di violenza o minaccia e di resistenza a
pubblico ufficiale “se il fatto è commesso nei confronti di un ufficiale o un
agente di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza con l’aumento di pena fino
alla metà e un’ulteriore circostanza aggravante in caso di atti violenti
commessi al fine di impedire la realizzazione di un’infrastruttura”. In materia
di tutela legale per “fatti connessi alle attività di servizio”, poi, si aumenta
fino a 10mila euro l’importo massimo che può essere corrisposto per ciascuna
fase del procedimento. E si introduce il nuovo reato di “rivolta all’interno di
un istituto penitenziario”.
L’esecutivo rivendica di aver previsto nel decreto “la possibilità di dotare le
forze di polizia di dispositivi di videosorveglianza indossabili (bodycam),
idonei a registrare l’attività operativa nei servizi di mantenimento dell’ordine
pubblico, di controllo del territorio, di vigilanza di siti sensibili e in
ambito ferroviario e a bordo treno e quella di utilizzare dispositivi di
videosorveglianza, anche indossabili, nei luoghi e negli ambienti in cui vengono
trattenute persone sottoposte a restrizione della libertà personale”.
Peccato che il Comitato dei ministri a dicembre 2024 abbia testualmente ribadito
“che l’uso della sola registrazione audiovisiva non garantisce una soluzione
completa o affidabile per l’identificazione degli agenti da parte di persone in
situazioni come quelle dei casi in questione (Diaz e non solo, ndr)”.
È uno strumento che “dovrebbe essere integrato in un quadro più ampio per la
prevenzione dei maltrattamenti, insieme a misure che garantiscano una chiara
identificazione degli agenti, come sottolineato anche dal Comitato europeo per
la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti”.
Fumo negli occhi per quei “fior di professionisti della sicurezza”.
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Cinque Special Rapporteur delle Nazioni unite, che avevano già messo in guardia
Roma riguardo le criticità del ddl Sicurezza, hanno invitato il governo italiano
ad abrogare il decreto sicurezza
di Eleonora Martini da il manifesto
L’avviso era già arrivato a dicembre scorso, inascoltato. Da allora il governo
di «Sua Eccellenza» Giorgia Meloni ha impresso, anzi, un’accelerazione talmente
scomposta da «allarmare» definitivamente l’Onu. Così cinque Special Rapporteur
delle Nazioni unite, che avevano già messo in guardia Roma riguardo le criticità
del ddl Sicurezza, hanno ora «invitato il governo italiano ad abrogare il
decreto adottato bruscamente il 4 aprile per promulgare un disegno di legge
sulla sicurezza, in discussione e criticato al Senato, che include disposizioni
non in linea con il diritto internazionale in materia di diritti umani». Decreto
che invece tira dritto sulla strada della conversione in legge con l’inizio
dell’iter oggi nelle commissioni Affari costituzionali e Giustizia della Camera
dove dopo Pasqua si terrà un breve ciclo di audizioni .
«Siamo allarmatida come il governo abbia trasformato il ddl in un decreto
d’urgenza, rapidamente approvato dal Consiglio dei Ministri, aggirando il
Parlamento e il vaglio pubblico», scrivono gli esperti dell’Onu. Nel merito
erano già entrati da Ginevra il 19 dicembre scorso con il lungo documento che
segnalava le norme giudicate «critiche» del ddl Sicurezza, articolo per
articolo. Ora l’Onu ribadisce che il testo contrasta con gli obblighi
internazionali «in materia di diritti umani, tra cui la tutela del diritto alla
libertà di movimento, alla privacy, a un giusto processo e alla libertà, nonché
la protezione contro la detenzione arbitraria». Visto che, con il decreto in
vigore da sabato scorso, hanno già forza di legge per esempio «definizioni vaghe
e ampie disposizioni relative al terrorismo che potrebbero portare a
un’applicazione arbitraria». Oppure norme che «mettono a rischio la libertà di
espressione» di «gruppi specifici, tra cui minoranze razziali o etniche», o
disposizioni che «sembrano limitare la libertà di riunirsi pacificamente per
proteste e manifestazioni» con «formulazioni vaghe che potrebbero comportare
procedimenti giudiziari arbitrari».
Tra le normecensurate dall’Onu c’è anche il reato di rivolta in carcere e nei
Cpr (art. 26, 27), commesso anche con la resistenza passiva e punibile con la
reclusione da uno a 8 anni. Una «restrizione inutile e sproporzionata del
diritto di protesta pacifica e di espressione» dei detenuti che potrebbe
vanificare, scrive l’Onu, «il raggiungimento degli obiettivi legittimi di
garantire la sicurezza e i processi di reinserimento». Talmente inutile, per
altro, che non ha funzionato neppure da «deterrente» ieri a Piacenza dove alcuni
detenuti hanno provocato disordini rientrati in poche ore e sedati dalla
penitenziaria in anti sommossa del nuovo Gio che ha trasferito i facinorosi.
Domenica scorsa era accaduto a Cassino e paradossalmente, denuncia il
sindacalista Uilpa Gennarino De Fazio, «non appena entrato in vigore il reato di
rivolta sono aumentate le tensioni nelle carceri e in 4 giorni sono state almeno
due le gravi situazioni di disordine che la Polizia penitenziaria, sempre più
stremata nelle forze e mortificata nel morale, ha dovuto fronteggiare con non
poche difficoltà». A dire il vero, però, succede anche il contrario: quelle che
una volta erano semplici proteste gestite come tali, oggi sono costantemente – e
quasi giornalmente – denunciate da alcune sigle sindacali come «rivolte».
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Il decreto-legge sulla «sicurezza pubblica» che introduce una ventina tra nuovi
reati, aggravanti e aumenti di pena, è destinato ad aumentare il
sovraffollamento carcerario.
Il decreto legge cosiddetto “sicurezza” è “incostituzionale” per “mancanza delle
ragioni di necessaria e straordinaria urgenza per la decretazione governativa”.
È l’eccezione sollevata, con richiesta di invio degli atti alla Consulta e una
delle prime di questo genere proposte subito dopo l’approvazione dai legali
Eugenio Losco e Mauro Straini.
La questione è stata sollevata in un processo per direttissima a carico di due
arrestati a Milano per resistenza a pubblico ufficiale. Il nuovo decreto legge
prevede infatti nuove aggravanti che aumentano la pena per resistenza nei casi
in cui il reato venga commesso contro appartenenti alle forze dell’ordine. La
giudice si è riservata e dovrebbe decidere nell’udienza fissata per il 26
maggio.
Inoltre contro il decreto sicurezza la Giunta dell’Unione delle Camere Penali
italiane ha deliberato “l’astensione dalle udienze e da tutte le attività
giudiziarie per i giorni 5, 6 e 7 maggio 2025”. Gli avvocati quindi
sciopereranno quei giorni contro il pacchetto di norme ultrarepressive volute
dal governo, denuncinado come sia un provvedimento che esprime “politiche
securitarie e carcerocentriche inutili e inique, impone sproporzionati aumenti
di pena, aggravanti prive di fondamento razionale” andando ad aumentare il
sovraffollamento delle carceri.
Ai microfoni di Radio Onda d’Urto, l’avvocato Eugenio Losco. Ascolta o scarica
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Record di norme penali introdotte con un solo decreto legge, dubbia
compatibilità delle misure con numerosi principi costituzionali, anomalo ricorso
alla decretazione d’urgenza. Il tutto senza benefici per la sicurezza della
collettività.
di Gian Luigi Gatta, Vincenzo Mongillo, Gian Paolo Demuro, Stefano Fiore,
Désirée Fondaroli, Carlo Longobardo, Domenico Notaro – Associazione Italiana
Professori di Diritto Penale
Il Consiglio direttivo dell’Associazione Italiana dei Professori di Diritto
Penale ribadisce la seria e oggi concreta preoccupazione per un così vasto
intervento espressione di un ricorso al diritto penale in chiave simbolica di
rafforzamento della sicurezza pubblica, per di più realizzato con lo strumento
della decretazione d’urgenza. Le opportune modifiche rispetto alla versione
originaria del “pacchetto sicurezza”, tese a diminuire la torsione repressiva
dell’intervento, appaiono nel complesso marginali e non ne modificano l’impianto
complessivo.
Vengono infatti introdotti, con decreto-legge, almeno quattordici nuove
fattispecie incriminatrici e inasprite le pene di almeno altri nove reati. Le
condotte oggetto di criminalizzazione appaiono, nella quasi totalità dei casi,
espressive di marginalità sociale o di forme di manifestazione del dissenso, con
interventi che risultano per diversi profili di dubbia compatibilità con
svariati principi costituzionali, compresi quelli di necessaria offensività,
sussidiarietà e proporzione. Emblematica in tal senso è la pena per
l’occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui (da due a
sette anni di reclusione), coincidente con quella comminata dall’art. 589, comma
2, codice penale per l’omicidio con violazione delle norme per la prevenzione
degli infortuni sul lavoro.
Con altrettanta preoccupazione registriamo oggi l’anomalo ricorso alla
decretazione d’urgenza in materia penale per trasferire in un decreto-legge un
intero disegno di legge presentato oltre un anno fa e al cui esame sono state
dedicate un centinaio di sedute tra Camera e Senato, con l’audizione di numerosi
professori ed esperti. Il decreto-legge viene così impropriamente utilizzato
come un disegno di legge ad effetto immediato, creando un precedente che
potrebbe alimentare una prassi che svilisce il ruolo del Parlamento. Con le
parole usate in una recente sentenza dalla Corte costituzionale (sent. n.
146/2024, pres. Barbera, rel. Pitruzzella), ricordiamo che – anche al di fuori
della materia penale – il ricorso alla decretazione d’urgenza è soggetto a
limiti «fissati allo scopo di non vanificare la funzione legislativa del
Parlamento». Non si può in alcun modo giustificare «lo svuotamento del ruolo
politico e legislativo del Parlamento, che resta la sede della rappresentanza
della Nazione (art. 67 Costituzione), in cui le minoranze politiche possono
esprimere e promuovere le loro posizioni in un dibattito trasparente (art. 64,
secondo comma, Costituzione), sotto il controllo dell’opinione pubblica». È
sempre la Corte costituzionale a ricordare, da ultimo, nella sua recente
sentenza che «l’ampia autonomia politica del Governo nel ricorrere al
decreto-legge non equivale, tuttavia, all’assenza di limiti costituzionali.
L’adozione del decreto-legge è prevista “come ipotesi eccezionale, subordinata
al rispetto di condizioni precise” principi normativi e di regole giuridiche
indisponibili da parte della maggioranza, a garanzia della opzione
costituzionale per la democrazia parlamentare e della tutela delle minoranze
politiche». Nel caso di specie, considerato che il pacchetto sicurezza è stato
presentato oltre un anno fa con un disegno di legge di iniziativa governativa –
e non già come decreto-legge – appare quanto meno dubitabile che siano
sopravvenute effettive ragioni di necessità e urgenza in relazione a tutte le
eterogenee disposizioni contenute nella quarantina di articoli del
provvedimento. Ciò apre la strada a possibili questioni di legittimità
costituzionale per violazione dell’art. 77 Costituzione.
Non possiamo poi fare a meno di rammentare che, nello specifico della materia
penale, la riserva di legge sancita dall’art. 25, comma 2, Costituzione impone
un ricorso ancora più limitato alla decretazione d’urgenza. Le disposizioni
penali introdotte (mai così numerose, a nostra memoria, in un solo
decreto-legge) entrano immediatamente in vigore, senza un periodo di vacatio che
ne consenta la previa conoscibilità, come imposto dal principio di colpevolezza.
Inoltre, prima ancora della conversione in legge, tali disposizioni possono
produrre effetti irreversibili sulla libertà personale: si pensi, ad esempio,
all’arresto eseguito in forza di una disposizione del decreto sicurezza che, in
sede di conversione, dovesse essere abrogata o modificata in senso tale da non
consentire più l’arresto.
Pensare di garantire la sicurezza dei cittadini facendo esclusivo affidamento
sul diritto penale è, d’altra parte, illusorio. Come confermano studi
scientifici condotti a livello nazionale e internazionale, la creazione di nuovi
reati o l’inasprimento delle pene non può garantire di per sé migliori livelli
di sicurezza per i cittadini, né risolvere le cause – economiche, sociali,
culturali – alla base delle forme di criminalità che si intendono contrastare. È
rimasta purtroppo inascoltata, ancora una volta, la lezione di Cesare Beccaria,
che così scriveva 260 anni fa nel suo Dei delitti e delle pene: «il proibire una
moltitudine di azioni […] non è prevenire i delitti che ne possono nascere, ma
[…] è un crearne di nuovi […] e il più sicuro ma il più difficil mezzo di
prevenire i delitti è il perfezionare l’educazione». Più che nuovi reati,
Beccaria, padre dell’illuminismo italiano ed europeo, indicava come «mezzi
efficaci» per assicurare la «tranquillità pubblica» e prevenire i delitti «la
notte illuminata a pubbliche spese [e] le guardie distribuite ne’ differenti
quartieri della città». Gli investimenti per la sicurezza pubblica, pur non
assenti nel “pacchetto sicurezza”, hanno purtroppo un peso marginale nel
contesto del decreto-legge. Ancora una volta la politica sembra preferire il
diritto penale “a costo zero”, rinunciando a promuovere investimenti che – essi
sì nel rispetto dei principi costituzionali! – potrebbero realmente migliorare
il benessere sociale, anche sotto il profilo delle condizioni della sicurezza
collettiva. Viceversa, in assenza di interventi strutturali, la suggestiva
quanto vaga nozione di “sicurezza pubblica”, rischia di rimanere una formula
vuota e priva di riscontri concreti, come già reso palese da precedenti
esperienze legislative e, proprio, da altri “decreti sicurezza”.
Sono, altresì, facilmente intuibili le ricadute sulla efficienza della giustizia
penale. Introdurre nuovi reati e inasprire le pene per quelli esistenti
comporterà un aumento dei procedimenti, con possibili effetti negativi sulla
durata complessiva dei processi. A ciò si aggiunga un probabile aumento della
popolazione detenuta, senza che il provvedimento d’urgenza – che interessa anche
la materia penitenziaria – introduca misure per fronteggiare le (reali)
emergenze del sovraffollamento carcerario e dell’incessante, tragico, numero
record dei suicidi in carcere. Il carcere, inoltre, rischia di aprire con
maggiore frequenza le sue porte alle donne incinte o madri di figli di età
inferiore a tre anni, anche in ragione del limitato numero Istituti a Custodia
Attenuata per detenute Madri (attualmente solo quattro in tutta Italia), dei
quali non si prevede l’incremento. (da Volere la Luna)
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Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha firmato il decreto legge
sicurezza, frutto del golpe burocratico del governo, ricalca completamente il
contenuto del disegno di legge 1660. Il provvedimento-propaganda ora va alle
Camere per la conversione in legge
Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha firmato il decreto
Sicurezza, approvato venerdì scorso dal Consiglio dei ministri, che passa quindi
ora alle Camere per la conversione in legge (obbligatoria entro sessanta giorni
a pena di decadenza).
Il decreto, frutto di un blitz del governo, ricalca quasi completamente i
contenuti del ddl Sicurezza, bloccato al Senato per un problema di coperture
economiche: nel testo sono contenute varie misure-bandiera di stampo sicuritario
e repressivo, tra cui il divieto di vendita di cannabis light (priva di sostanze
psicotrope), il carcere fino a due anni per i blocchi stradali, il nuovo reato
contro le occupazioni abusive, il maxi-salvacondotto per gli agenti segreti
infiltrati (che potranno arrivare a dirigere organizzazioni criminali) e
l’abolizione dell’obbligo di rinvio della pena per le condannate incinte o madri
di bambini fino a un anno.
Il provvedimento introduce 14 nuove fattispecie di reato e nove circostanze
aggravanti.
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Malgrado il ricorso alla legislazione di urgenza sia ormai prassi consolidata,
non era immaginabile che lo strumento diventasse un mezzo per superare il
dibattito parlamentare. Un provvedimento di «controllo» che muta il paradigma
della penalità: da repressione di fatti costituenti reati a individuazione di
soggettività pericolose
di Mauro Palma da il manifesto
Forse bisognerebbe ricordare le perplessità di Costantino Mortati nel corso
della discussione che avrebbe portato alla formulazione dell’articolo 77 della
Costituzione, quello che prevede la possibilità per il governo di adottare
decreti-legge in caso di necessità e urgenza.
Il grande costituzionalista intervenne nel settembre del 1947 nel dibattito che
si era aperto con la constatazione che il Progetto predisposto dal Comitato
ristretto dell’Assemblea costituente non li prevedeva e che, secondo quanto
suggerito da Pietro Calamandrei, un qualche spiraglio andava lasciato, per
esempio, per provvedere urgentemente in caso di terremoti o simili situazioni:
«Bisognerà pure prevedere la possibilità di questi cataclismi e disporre una
forma di legislazione di urgenza, che è più provvido disciplinare e limitare
piuttosto che ignorarla».
Mortati metteva in guardia rispetto al rischio estensivo di quel concetto di
urgenza e di necessità, negando a quest’ultima la possibilità di esondare dal
normale procedere legislativo, quasi configurandola come «fonte autonoma di
diritto». E, proprio per questo ammoniva: «L’esperienza ha infatti dimostrato
come qualsiasi tentativo di regolamentazione e di disciplina dell’emissione dei
decreti-legge sia stata sempre esiziale, e non soltanto sotto il regime
fascista. Essa ingenera da una parte la tentazione da parte del governo di
abusarne per la più rapida realizzazione dei fini della sua politica; dall’altra
parte, vorrei dire, eccita la condiscendenza del parlamento, il quale tende a
scaricarsi dei compiti di sua spettanza».
Il testo poi adottato nella Costituzione prevede una forma di “catenaccio”
teoricamente volto a evitare il rischio di debordare. Certamente, però, quel
dibattito non poteva prefigurare una situazione in cui allo strumento di
legiferare per decreto, con successiva conversione, avrebbero fatto ricorso
bulimico molti governi futuri – di vario orientamento politico – fino a svuotare
il ruolo effettivo di almeno di una delle due camere, chiamata a ratificare a
scatola chiusa quanto nell’altra si era dibattuto. Così come usualmente avviene
ora.
Soprattutto non poteva prevedere il ricorso al decreto-legge per superare un
dibattito parlamentare attorno a un disegno di legge la cui approvazione fosse
divenuta ardua proprio per le molte perplessità espresse da associazioni
professionali, realtà sociali, esperti nonché da parlamentari stessi sul testo
in esame. Ancor più nel caso in cui tale disegno di legge riguardasse quel bene
che l’articolo 13 della Carta definisce come «inviolabile»: la libertà
personale. Lorenza Carlassare si chiese anni fa se un decreto-legge potesse
costituire quella tutela che la Costituzione richiede per tale bene.
Invece, è proprio ciò che è avvenuto in questi giorni, con il disegno di legge
cosiddetto «sicurezza» che era da più di un anno all’esame del senato, in
maniera congiunta da parte della commissione per gli affari costituzionali e di
quella per la giustizia e che ora si trasforma, con qualche attenuazione, ma con
la stessa fisionomia, in decreto-legge.
Non un testo qualsiasi, bensì un articolato che tocca vari aspetti e che sarebbe
stato meglio definire di esteso «controllo» invece che non di «sicurezza»,
perché i due termini non sono sinonimi e, al contrario, se il secondo esprime un
valore da tutelare per la collettività nel contesto di garanzia dell’effettività
dei diritti per tutti, il primo rappresenta un’inaccettabile intrusione nella
espressione del dissenso. Un controllo che, nel testo del decreto-legge, muta
anche il paradigma della penalità trasferendone la funzione da repressione di
fatti costituenti reati a individuazione di soggettività di per sé assunte come
potenzialmente pericolose.
Non è possibile leggere altrimenti, per esempio, il mantenimento, pur attenuato
rispetto al testo del discusso disegno di legge, della possibilità di
restringere in dipartimenti detentivi donne incinte e madri di bimbi di età
inferiore a un anno – nonostante sia per loro riservata la sistemazione in un
Icam (Istituto a custodia attenuata per madri con bambini), considerato che ne
esistono solo tre al Nord e uno in Campania e che così si porrà facilmente il
problema della distanza dal proprio luogo familiare. Come pure è difficile
leggere altrimenti le attenuazioni impresse all’originario nuovo reato di
rivolta in carcere perché queste non risolvono la gravità di penalizzare
l’inadempienza a ordini impartiti, soltanto col prevedere che tale passiva
resistenza debba essere tale da incidere sul mantenimento dell’ordine e della
sicurezza. Come non cambia il senso del provvedimento, l’aver circoscritto le
opere pubbliche o i servizi la cui interruzione determina, anche nel nuovo
testo, forti aggravanti sul piano penale. Né incidono altre attenuazioni sul
piano della facoltatività – e non l’obbligatorietà – per le università e gli
enti di ricerca a collaborare con i Servizi di sicurezza per fornire
informazioni e dati o, ancora, le attenuazioni nella politica repressiva nei
confronti delle persone migranti irregolari.
Sono attenuazioni che evitano il rischio di palese bocciatura e che sono state
presentate enfaticamente, con anche lo sgarbo istituzionale di voler
sottintendere l’intrinseca approvazione del Quirinale; ma che non mutano
l’ambito paradigmatico del provvedimento. Che ruota appunto attorno a quella
«necessità e urgenza» che il dibattito costituente aveva posto proprio per
configurare un “catenaccio” che evitasse l’affermazione primaziale del potere
esecutivo sulla produzione di norme da mantenere invece affidata al doveroso e
libero dibattito parlamentare.
Questo è il vulnus che tale modo di legiferare determina nell’ordinato sviluppo
democratico centrato sul bilanciamento dei poteri e che è stato ed è l’asse
centrale su cui la nostra Carta tesse il proprio filo. Perché di fatto –
nonostante l’occhio vigile volto a far cadere le più palesi connotazioni
poliziesche del provvedimento – si è azzerato un dibattito prolungato che aveva
il segno di richiamare l’attenzione sul principio del limite che deve essere
criterio regolatore dell’attività di governo e dello stesso potere legiferante.
Qui il limite viene visto come un impaccio e per questo lo si supera forzando
quello strumento che aveva costituito la lunghissima discussione nell’Assemblea
costituente, protrattosi per più mesi, proprio per i rischi che si
intravedevano. Anche molto inferiori a quelli che la realtà ci sta presentando.
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Dal Disegno di legge al Decreto Legge per il pacchetto sicurezza. La sottrazione
dell’iniziativa legislativa alla sua ordinaria sede parlamentare denuncia,
ancora una volta, l’abuso della decretazione d’urgenza nella materia penale. Il
documento della Giunta
di Giunta Unione Camere Penali Italiane
Preso atto della volontà del Governo di emanare un Decreto Legge all’interno del
quale recepire i contenuti del Disegno di legge denominato “pacchetto
sicurezza”, già all’attenzione del Parlamento, non possiamo non denunciare
ancora una volta l’abuso della decretazione d’urgenza nella materia penale.
Tale modalità di intervento legislativo risulta tanto più inadeguata in quanto
non solo adottata in mancanza di ogni profilo di necessità e di urgenza che
possa giustificare una simile iniziativa, ma in quanto la stessa viene attuata
con riferimento ad una serie di norme, già da più parti sottoposte a severe
critiche, mentre è in corso un’ampia e approfondita discussione davanti al
Senato.
Nel merito, non possiamo che ribadire le ragioni di contrarietà poste a
fondamento di diverse delibere di astensione e di una manifestazione nazionale
alla quale è stata chiamata a partecipare la migliore accademia dei
sostanzialisti e dei costituzionalisti italiani.
Nonostante le annunciate modifiche, restano di fatto tutte le criticità del
“pacchetto sicurezza” denunciate dall’Unione delle Camere Penali Italiane
relative alla inutile introduzione di nuove ipotesi di reato, ai molteplici
sproporzionati e ingiustificati aumenti di pena, alla introduzione di aggravanti
prive di alcun fondamento razionale, alla criminalizzazione della marginalità e
del dissenso, ed alla introduzione di nuove ostatività per l’applicazione di
misure alternative alla detenzione.
L’entrata in vigore di tali discusse norme, violative dei principi
costituzionali di proporzionalità, ragionevolezza, offensività e tassatività,
non farà altro che aumentare la popolazione carceraria, con ulteriore aggravio
del fenomeno del sovraffollamento e con il definitivo collasso di strutture
oramai allo stremo, come denunciano i quasi quotidiani suicidi, giunti oramai al
numero di ventisei dall’inizio dell’anno.
La sottrazione dell’iniziativa legislativa alla sua ordinaria sede parlamentare
denuncia, ancora una volta, come si tratti di interventi ostentatamente
simbolici e come tali privi di ogni effettiva efficacia e che, ad onta del
titolo, nulla hanno a che fare con un qualche reale incremento della sicurezza
dei cittadini.
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Blitz del governo, approvato il decreto Sicurezza, varato dal governo Meloni nel
Consiglio dei ministri di stasera. Nel dl ci sono norme che puniscono
maggiormente le proteste e manifestazioni, tutelano le forze di polizia, vietano
la cannabis light, tra le altre cose. Caricata la manifestazione a Roma mentre
il Governo approva il Disegno di legge. Feriti anche parlamentari
Dal Consiglio dei ministri è arrivato il via libera al decreto Sicurezza, il dl
con cui il governo Meloni ha deciso di aggirare lo stallo del ddl Sicurezza in
Parlamento e passare direttamente allo strumento del decreto-legge, varato
direttamente dall’esecutivo.
Il decreto legge che assorbe il ddl Sicurezza. dei 38 articoli in discussione
solo 6 sono stati “limati” perché a rischio incostituzionalità, ma l’impianto
rimane sostanzialmente invariato.
Il testo dopo la pubblicazione entrerà subito in vigore, e passerà al
Parlamento, che avrà sessanta giorni di tempo per convertirlo in legge.
Nel dl nuove norme che aumentano le possibili pene per chi manifesta e
potenziano le forze di polizia e i servizi segreti. Ma ci sono anche
provvedimenti contro la cannabis light.
Il testo ha subito alcune modifiche rispetto a quello che si trovava bloccato al
Senato, probabilmente per venire incontro alle richieste di modifica arrivate
dal Quirinale e evitare alcuni aspetti che sarebbero risultati incostituzionali.
Le opposizioni sono scese in piazza a Roma per protestare.
Secondo retroscena da fonti di stampa, sarebbero sei le norme che sono state
cambiate anche su richiesta del Colle. Una era quella che obbligava gli enti
pubblici (incluse le università e la Rai) a collaborare con i servizi segreti e
fornire loro informazioni, anche ignorando le norme sulla privacy e sulla
riservatezza. Nel testo del decreto, questa collaborazione è diventata non più
obbligatoria ma facoltativa, e deve seguire la normativa sulla riservatezza dei
dati.
Altra norma problematica era quella che prevedeva che anche la resistenza
passiva, in carcere, fosse considerata pari al reato di rivolta. In questo caso,
il (leggero) cambiamento è che potrà essere condannato solo chi non obbedisce a
degli ordini impartiti per “il mantenimento dell’ordine e della sicurezza” nel
carcere. Resta comunque possibile condannare chi non segue gli ordini, anche se
non fa alcun danno materiale a persone o cose. La stessa regola si applica per
le rivolte nei Cpr, mentre nei centri di accoglienza non può esistere il reato
di rivolta.
Cambiato solo in parte anche il punto del ddl che puniva chi protesta contro la
realizzazione di opere pubbliche – un passaggio che sembrava scritto
appositamente per le contestazioni no Tav e in previsione di manifestazioni
contro il ponte sullo Stretto di Messina. La precisazione in questo caso è che
il reato non si applica per tutte le opere pubbliche, ma solo a quelle che
servono per il trasporto, le telecomunicazioni, l’energia o altri servizi
pubblici. La sostanza, comunque, non cambia.
C’era poi la controversa norma sulle schede sim vendute ai migranti: il ddl
Sicurezza vietava di farlo a chi non avesse un permesso di soggiorno. La novità
emersa nel decreto, anche in questo caso per andare incontro al Quirinale, è che
‘basterà’ un passaporto o un documento di riconoscimento come la carta
d’identità.
Ancora i reati di aggressione o resistenza a pubblico ufficiale. Prima, la legge
prevedeva che nelle sentenze su questi illeciti non si dovessero più considerare
le attenuanti generiche. L’idea è stata eliminata, perché non rispettava il
principio che il diritto penale si deve applicare a tutti allo stesso modo.
Infine, le donne incinte e con figli di meno di un anno: il ddl prevedeva che
per loro non fosse più facoltativa la detenzione in carcere, ma obbligatoria. Il
decreto mantiene questo obbligo, ma sposta la detenzione dal carcere agli
Istituti di custodia attenuata per le madri incinte.
Caricata la manifestazione a Roma mentre il Governo approva il Disegno di legge.
Feriti anche parlamentari
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