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L’Italia tradisce le vittime di tortura
La giornata mondiale contro la tortura. Tra trafficanti e poliziotti ecco chi tortura i migranti. Secondo il report della Rete italiana per il supporto a persone sopravvissute a tortura, le vittime sono soprattutto richiedenti asilo (il 69%). La maggior parte delle violenze nei paesi di transito a opera di criminali e pubblici ufficiali, che in […]
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Un cambio di pelle per i nostri 007: da infiltrati ad agenti provocatori
Direzione e organizzazione di associazioni terroristiche, arruolamento e addestramento di terroristi, istigazione a commettere delitti contro la personalità dello Stato: sono solo alcune delle attività consentite dal decreto sicurezza ai servizi. Così i nostri 007 cambiano pelle: da possibili infiltrati per smascherare gli autori di gravi reati ad agenti provocatori. E ciò in un quadro […]
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Breve storia delle zone rosse urbane
Dal 2011 a oggi è stato fatto un utilizzo esplicitamente politico delle “zone rosse urbane” come strumento preventivo nei confronti di persone senza casa, ma anche militanti che protestano davanti alle carceri, attivisti del clima, lavoratori in sciopero. Un provvedimento che ha le sue origini nel fascismo (il confino per gli oppositori politici) e che […]
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Cisgiordania d’Abruzzo – il caso Anan
Il procedimento penale che si sta celebrando all’Aquila, su fatti asseritamente commessi in Palestina, è un vero e proprio processo alla resistenza palestinese in Cisgiordania. L’accusa di terrorismo contro Yaeesh Anan Kamal Afif è la traslazione, a migliaia di chilometri di distanza, di una ingiustizia inaccettabile che chiama a gran voce ad una mobilitazione necessaria […]
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L’esasperazione della tecno-sorveglianza di massa
A marzo Trump  ha chiesto a tutte le amministrazioni di far confluire i dati in loro possesso in un unico calderone da affidare all’analisi degli specialisti informatici di Palantir, la società di Peter Thiel, compagno di strada di Musk. Scansione massiccia e non autorizzata dei social media. Analisi di dati biometrici, reddituali, sanitari e di sicurezza sociale. Intercettazione delle comunicazioni telefoniche. Geolocalizzazione tramite dispositivi mobili.  Tracciamento dei viaggi in auto tramite lettori di targhe.  a cura di Salvatore Palidda Mentre cerca limitare i danni degli assalti di Elon Musk, il best buddy diventato toro scatenato che gli imputa di somministrare agli americani un bilancio da bancarotta, Donald Trump finisce sotto accusa anche per sospetti da «grande fratello» orwelliano: l’uso dell’enorme volume di dati sui cittadini in possesso o reperibili dal governo (fiscali, previdenziali, sanitari, scolastici, ma anche creditizi) per costruire profili di ogni individuo. A marzo Trump ha emesso un poco notato ordine esecutivi presidenziale: ha chiesto a tutte le amministrazioni di far confluire i dati in loro possesso in un unico calderone da affidare all’analisi degli specialisti informatici di Palantir, la società di Peter Thiel, compagno di strada di Musk. Questa impresa analizza e classifica dati segretissimi per conto del Pentagono e dei servizi di intelligence di mezzo mondo. La Casa Bianca non ha mai parlato di questo limitandosi a dire che l’ordine impartito da Trump a ministeri e agenzie punta a migliorare le procedure amministrative. Gli esperti considerano, invece, pericolosissima questa concentrazione di informazioni: possibili abusi per creare sistemi di sorveglianza dei cittadini in stile cinese, magari da utilizzare contro gli avversari politici. E si rischia anche una diffusa perdita di fiducia: molti, sospettando il peggio, potrebbero smettere di fornire i loro dati personali (o fornirli alterati). Che i pericoli ci siano lo sostengono anche una dozzina di dipendenti che hanno lasciato Palantir denunciando ordini interni che espongono i risultati del loro lavoro analitico al rischio di abusi dell’autorità politica. Rischi che hanno già spinto le organizzazioni per i diritti civili a chiedere ai giudici di bloccare questa «raccolta a strascico» di dati. Ora cominciano a ribellarsi anche gruppi MAGA con un credo libertario: hanno seguito Trump condividendo la sua lotta contro il deep state, ma ora si chiedono cosa ci sia di più deep, di una schedatura elettronica di massa. Dopo Musk, dunque, anche Thiel lambito dalla bufera. Fin qui ha solo seguito le direttive di Trump, dopo che è stato proprio il Doge di Elon ad aprire la strada a Palantir. Ma ora, con Musk fuori dal governo e il Doge in ritirata, i riflettori si accendono anche su di lui: il vero architetto dell’adesione al trumpismo del mondo tecnologico orientato a destra. Gli Stati Uniti diventano uno stato di tecno-sorveglianza di massa Scansione massiccia e non autorizzata dei social media. Analisi di dati biometrici, reddituali, sanitari e di sicurezza sociale. Intercettazione delle comunicazioni telefoniche. Geolocalizzazione tramite dispositivi mobili.  Tracciamento dei viaggi in auto tramite lettori di targhe. “La sorveglianza negli Stati Uniti non è iniziata con Trump, né finirà quando lascerà la Casa Bianca. Le fondamenta dell’attuale stato di tecno-sorveglianza sono state gettate nel corso di decenni, con il sostegno bipartisan a politiche che hanno normalizzato le pratiche invasive nelle forze dell’ordine, nell’esercito e nel controllo delle frontiere” (lo dice un militante per i diritti civili del Bahrein Esra’a Al Shafei, che da anni studia questo problema, in una conversazione con El País). “Questo sistema è alimentato da grandi budget assegnati alle agenzie di intelligence e a fornitori privati, con il pretesto della sicurezza nazionale e della prevenzione del crimine”. Aziende come Palantir, Anduril e GEO Group stanno fornendo a Washington gli strumenti digitali per costruire questa intera infrastruttura di sorveglianza. Trump continua ad aggiungere strati a questo sistema. Il Dipartimento di Sicurezza Nazionale […] ha confermato ad aprile che sta utilizzando uno strumento chiamato Babel X per raccogliere informazioni sui social media dei viaggiatori che potrebbero essere soggetti a una maggiore sorveglianza, secondo quanto dichiarato dalla stessa agenzia. L’Immigration and Customs Enforcement (ICE), da parte sua, ha ammesso di utilizzare un altro programma, SocialNet, che aggrega dati da oltre 200 fonti, tra cui Facebook, Twitter/X, Instagram, LinkedIn e app di incontri. Washington riconosce ufficialmente che la semplice ricerca di “attività antisemite” sui feed, come la protesta per il massacro di Gaza, è sufficiente alle autorità per negare l’asilo o la cittadinanza. I social media sono solo la superficie. Per alimentare questa macchina automatizzata per rintracciare i sospetti, sono necessari dati di qualità sui cittadini. Alcune di queste informazioni vengono ottenute acquistandole da grandi broker di dati, come Thomson Reuters o Lexis Nexis, che creano profili esaustivi di milioni di persone, utilizzando fino a 10.000 tipi di dati su ogni individuo in base alle sue tracce online. Si va dal nome, all’indirizzo, al livello di reddito o al luogo in cui si fa la spesa, alle attività preferite per il tempo libero, all’età in cui gli amici si sono sposati, alla storia sessuale e al profilo emotivo: tutte queste informazioni sono disponibili. Ma l’altra parte di questo vasto archivio di dati viene distillata all’interno del governo federale stesso. Si tratta di uno dei progetti più importanti di Trump e, finora, del suo consigliere di punta, Elon Musk: il Department of Government Efficiency (DOGE), guidato dallo stesso Musk, che per mesi ha raccolto da altre agenzie federali dati ufficiali sensibili su centinaia di milioni di cittadini, dalla situazione fiscale alle cartelle cliniche. Alcuni osservatori avvertono che questi dati potrebbero essere presi da Musk ora che ha deciso di lasciare la Casa Bianca. I dati raccolti dal DOGE vengono utilizzati da Palantir, che ha contratti con l’amministrazione per oltre 2,7 miliardi di dollari, per costruire una nuova piattaforma di deportazione per l’Immigration and Customs Enforcement, ImmigrationOS. Secondo la sintesi del contratto, che specifica che il primo prototipo dovrebbe essere pronto entro settembre, i dati serviranno a “supportare un’analisi completa delle popolazioni target” e a contribuire al sistema di tracciamento individuale. I tentacoli dello Stato di sorveglianza tecnologica sono molto estesi. Elabora dati, ma ha anche occhi ovunque. “L’infrastruttura comprende strumenti come i droni di sorveglianza con riconoscimento facciale, la raccolta di dati biometrici, i lettori di targhe, le torri di guardia dotate di telecamere ad alta risoluzione e sensori, gli strumenti di polizia predittiva e la localizzazione, solo per citarne alcuni”, afferma Al Shafei, fondatore di Surveillance Watch, un archivio di fama internazionale di informazioni sulle aziende coinvolte nel business e sugli obiettivi noti. Negli ultimi mesi, il DHS ha acquistato diverse licenze per software utilizzati per spiare i telefoni cellulari da Cellebrite, Paragon Solutions, Venntel e NSO Group, gli sviluppatori del software spia Pegasus, secondo i dati raccolti da Just Futures Law. Questa tecnologia viene utilizzata per accedere ai dispositivi e vedere tutto ciò che vi accade, ma esistono anche altri strumenti per tracciare la posizione dei cellulari. Un’inchiesta della rivista Time ha mostrato che le donne che attraversano i confini dello Stato e si avvicinano alle cliniche abortive per interrompere le gravidanze sono state identificate in questo modo senza un mandato. Nessuno ignora le implicazioni della macchina che Trump sta lucidando e oliando. Un rapporto preparato da diverse ONG per le Nazioni Unite parla di “evaporazione dei diritti umani” in riferimento a quanto sta accadendo alle frontiere terrestri degli Stati Uniti.  “Un rapporto più stretto tra il governo e le società di sorveglianza, unito a un’intensificazione della sorveglianza negli Stati Uniti, rappresenta una minaccia reale per i diritti e le libertà fondamentali”, afferma Michael De Dora, ricercatore specializzato in politica statunitense presso l’organizzazione per i diritti digitali Access Now. “L’amministrazione Trump attribuisce alla sicurezza nazionale un valore superiore a quello dei diritti umani e della privacy, o addirittura a spese di questi. I membri della sua amministrazione non solo sorvegliano le persone, ma hanno persino discusso la sospensione di principi democratici fondamentali, come l’habeas corpus”. L’Europa non è immune da quanto sta accadendo negli Stati Uniti: “Agenzie come Frontex ed Europol stanno investendo in database biometrici, riconoscimento facciale e strumenti di monitoraggio basati sull’intelligenza artificiale che ricordano da vicino i sistemi già in vigore negli Stati Uniti” (cf. Aljosa Ajanovic, analista dell’European Digital Rights Institute -EDRi). Negli Stati Uniti, molti osservatori ritengono che sia molto difficile limitare l’applicazione di tutti questi controlli tecnologici sugli stranieri. Nemmeno i più convinti trumpisti, ritiene De Dora, dovrebbero sostenere il dispiegamento dello Stato di tecno-sorveglianza. “Una volta che questo macchinario è accettato e operativo, può essere usato contro chiunque”.   (fonti: Massimo Gaggi | 5 giugno 2025 https://www.corriere.it/opinioni/25_giugno_05/trump-e-il-fantasma-del-grande-fratello-49831f2e-b292-4913-aa84-7f2753176xlk.shtml, Manuel G. Pascual per elpais.com/ e Aljosa Ajanovic, analista dell’European Digital Rights Institute -EDRi)   > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp  
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La repressione del dissenso attraverso la tutela delle forze di polizia
La tutela delle forze dell’ordine come leva per introdurre nuovi reati al fine di conservare l’ordine sociale. Soffiare sulle paure per reprimere il dissenso di Antonello Azzarà da DINAMOpress Dallo scorso 11 aprile, il più grande attacco alla libertà di protesta della storia repubblicana italiana si è trasformato in un decreto che è stato convertito in legge. Coerentemente con il suo contenuto autoritario e antidemocratico, pensato e disegnato per reprimere il dissenso e colpire duramente le più disparate soggettività già socialmente vulnerabili, le sue modalità di introduzione sono anch’esse antidemocratiche: come al solito emergenziali, motivate da improbabili ragioni di straordinaria necessità ed urgenza, con tanto di voto di fiducia, al riparo da quella che dovrebbe essere la naturale dialettica democratica. D’altronde, i cosiddetti pacchetti sicurezza, varati dai governi di ogni colore e provenienza, hanno da sempre assunto la forma del decreto (ricordiamo i decreti “Maroni”, d.l. 23 maggio 2008, n. 92; “Minniti”, d.l. 20 febbraio 2017, n. 14; “Salvini”, d.l. 4 ottobre 2018, n.113). Non c’è dunque da meravigliarsi, ma neanche da arrendersi. > Uno Stato che a forza di decreti si preoccupa dell’ampliamento delle tutele > delle forze di polizia, relegando all’oblio delle sue agende politiche la > strage che da oltre un anno si sta consumando nelle galere sempre più > sovraffollate, è uno Stato che sta dichiaratamente affinando e ampliando un > potere di sopraffazione sui corpi, utilizzato per incapacitare la > vulnerabilità sociale e reprimere il dissenso. Sotto l’apparente neutralità di approntare una tutela efficace alle forze dell’ordine si introducono nuovi reati, ampliando le pene di quelli già esistenti e aggiungendo senza alcun criterio di ragionevolezza delle nuove circostanze aggravanti. Sempre nel capo terzo del decreto, dedicato alla tutela delle forze di polizia, si prevedono i nuovi reati di rivolta penitenziaria, così come nei luoghi di accoglienza e trattenimento per migranti. C’è da dire, però, che la forza di polizia, nell’adempimento del suo mandato di tutela dell’ordine pubblico, è tutto fuor che neutrale. Mantenere l’ordine, specie nelle piazze o nelle strade dove si svolge una protesta, tanto più quando pacifica, (spazi di libertà, questi sì, che dovrebbero essere tutelati secondo i dettami della nostra democrazia costituzionale) significa conservare un determinato ordine sociale e di classe, che è anche un ordine simbolico. Ed è proprio rispetto all’accaparramento di questo capitale simbolico che si comprende l’inquietudine scomposta del governo nel troncare l’iter legislativo per ragioni, come ammette lo stesso Ministro dell’Interno, «di opportunità». È un consenso di cui si nutrono i populismi di ogni sorta, in quelle che il filosofo Luigi Ferrajoli chiama demoastenie. Si tratta di un consenso passivo e vacillante, sorretto da una paura artificiale sul quale hanno soffiato e continuano a soffiare i governi preoccupati dalla costante perdita di legittimazione politica. Quest’ordine simbolico viene preservato e nutrito a suon di decreti, nuovi reati, misure di sicurezza e più potere alla polizia che ne è garante. > Si finisce in una forma patologica di democrazia, in cui il popolo è inteso > come soggetto passivo non autorizzato ad attivarsi per concorrere > democraticamente alla politica nazionale. La piazza e le strade, invece, diventano terreno di contesa e di comunicazione unilaterale. Quanti feriti tra le forze di polizia, quanti facinorosi tra le fila dei manifestanti. In questo modo, il corpo degli agenti viene strumentalizzato, divenendo esso stesso mezzo di repressione. Non solo attraverso le braccia armate di scudi e manganelli, ma anche attraverso i referti medici, dal quale conseguiranno anni di galera per i manifestanti. Questi ultimi, magari, individuati in modo approssimativo tramite le bodycam previste dall’art. 21 del decreto, da cui vengono estratte immagini decontestualizzate da utilizzare per risalire ai volti presenti in situazioni concitate, come quelle che si verificano durante una carica della polizia. Dietro la repressione del dissenso e il contenimento muscolare della marginalità sociale, sulle strade, in carcere o nei CPR, c’è un non tanto velato desiderio di disciplinamento e di addocilimento forzato. Manifestare oggi è quindi necessario per poterlo fare anche domani, in ogni luogo. > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp  
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La cella dell’avvocato
Quando in Italia accadeva quello che accade oggi per esempio in Turchia. Arrestavano gli avvocati o li costringevano a rifugiarsi all’estero. Con l’alibi della “lotta al terrorismo” lo stato democratico nato dalla Resistenza antifascista massacrava il diritto di difesa identificando i legali con la “banda armata” di cui erano accusati di far parte i loro assistiti. Gabriele Fuga racconta la sua vicenda giudiziaria politica e umana nel libro che ha per titolo “La cella dell’avvocato” di Edoardo Todaro da Carmilla “ Anni di piombo “ è questa la definizione che va per la maggiore nel definire un periodo importantissimo nella storia del conflitto sociale e politico, quello che si è prodotto negli anni ‘70. In questo paese, in quel periodo si è sviluppato un movimento che non ha avuto paragoni in altri paesi occidentali. Tanti i motivi sul perché in Italia si sia sviluppato tale percorso, certo non è questo l’ambito.  La liberazione dal nazifascismo sta subendo, da molti anni a questa parte, un percorso di omologazione tra vinti e vincitori. Do you remember Violante e le ragioni dei vinti? La morte non fa distinzioni, di fronte ad essa siamo tutti uguali. Questo in estrema sintesi, il percorso intrapreso in questi anni per arrivare ad una riscrittura della storia, per arrivare alla famosa memoria condivisa. Tutti uguali nella liberazione? Equiparare liberatori ed oppressori se si parla della lotta di liberazione avvenuta nel ’45. Rimuovere e silenziare se si parla degli anni’70; cosa sono stati gli “ anni ’70 “ in questo paese? Un conflitto sociale politico/sindacale/sociale si è manifestato e  come è stato possibile che in una”  democrazia compiuta “ si verificasse un possibile “ assalto al cielo “ che potesse rimettere in discussione  rapporti di forza consolidati a favore del potere capitalistico, messa in discussione concretizzatisi con “ il mettere paura “. I protagonisti di quell’esperienza, spesso e volentieri finiti ad espiare il proprio essere soggetti di una rottura epocale nelle patrie galere, devono restare in silenzio, non farsi portatori del raccontare la propria esperienza , del proprio vissuto. Come si diceva un tempo “ a futura memoria “, a monito per le nuove generazioni che si affacciano nell’essere protagoniste della messa in discussione dello stato di cose presenti. Se prendi in considerazione che il tuo impegno politico, la tua appartenenza al conflitto sociale in atto possa esprimersi anche in forme incompatibili con l’ordine costituito, sappi che ti teniamo sotto controllo, anzi che se pensi di farla frana, ti raggiungeremo anche a distanza di decenni e te la faremo pagare, perché il potere non dimentica. .  Che sia capitato una volta? Ci può stare. Ma che non si ripeta mai! Abbandono queste considerazioni, sicuramente ci sarà occasione per tornarci, per dire alcune cose rispetto a “ La cella dell’avvocato “. Gabriele Fuga, l’avvocato Gabriele Fuga, ci riporta ad un qualcosa di molto importante, un qualcosa che deve essere conosciuto. Per tantissimi anni il conflitto sociale aveva assunto tali dimensioni di scontro e di massa, che rispondere alla repressione rientrava nei compiti di tutti nessuno escluso. Certo c’era anche una nutrita schiera di legali che si prestavano a sostenere coloro che venivano colpiti dai provvedimenti repressivi, ma il farvi ricorso era, per così dire, una modalità tutta interna alle “ dinamiche di movimento “. Ad un certo punto, la repressione ha accentuato il suo agire ed il movimento ha attenuato la sua forza d’urto, anche su questo ritorneremo, e l’aspetto della difesa legale ha assunto proporzioni considerate, prima, importanti ma secondarie.  Prima, se un operaio veniva licenziato, rivolgersi ad un legale era ovvio; impugnare il licenziamento un percorso  da praticare ma sapendo che il rientro in fabbrica poteva avvenire non tanto grazie non solo a sentenze favorevoli ma soprattutto alla solidarietà dei propri compagni che ti riaccompagnavano in azienda portato a spalla. Quindi riprendendo il filo lasciato qualche riga sopra, Gabriele Fuga rappresenta una figura emblematica all’interno di un effetto a  catena: avvocato/imputato; imputato/avvocato e così all’infinito,infatti ad esempio lui sarà difensore di Spazzali e poi dovrà trovarsi un difensore. Numerosi i nomi che hanno segnato quel periodo da Spazzali, arrestato,  ad Arnaldi, suicidatosi per evitare l’arresto dovuto al pentito di turno, perché il numero di chi fa dichiarazioni infamanti si accentua.. La sua vicenda riporta alla luce, appunto, la figura del pentito, in questo caso Paghera, un detenuto comune politicizzato in carcere, addirittura l’assistito che diviene accusatore. Avvocati soprattutto, ma non solo, che si ritrovano attorno a una realtà fondamentali per la solidarietà che riuscì ad esprimere concretamente: “SOCCORSO ROSSO” ed il “Comitato Internazionale per la Difesa dei Detenuti Politici”. L’accusa per l’avvocato Seguso/Fuga è quella usuale per coloro che svolgevano quell’attività: partecipazione a banda armata ed associazione sovversiva, anello di collegamento tra il difeso ed i “ complici “ fuori; accusa che farà sì che nessuno un domani accetterà di farsi difendere da loro, questo è quel succede ai compagni/avvocati, le idee sotto processo. Fuga che mantiene il proprio ruolo anche nella fase detentiva con consulenze, ovviamente gratuite, in carcere perché la sua professione deve essere un aiuto a coloro che in vari modi si pongono contro lo stato, ma anche per le guardie che sono al servizio dello stato. Fuga a San Vittore che diviene un inquilino a tempo indeterminato, tra l’incriminazione per appartenere ad Azione Rivoluzionaria e poi a Prima Linea. Carcere a confronto ieri/oggi: la descrizione delle celle d’isolamento; del rancio; del bugliolo; del sovraffollamento sempre presente; la sveglia; la perquisizione della cella; la corrispondenza in entrata ed uscita sottoposta a controllo; le domandine per qualunque cosa a cui poter accedere; l’autoerotismo; il consumo di playgil; ma sicuramente la solidarietà su tutto, quella solidarietà elemento importante in una comunità chiusa come il carcere, ed a quell’epoca, le discussioni politiche. Il tutto per dire che il carcere è uno zoo umano e l’aspettativa è riposta verso la decorrenza termini. Un viaggio attraverso i carceri italiani da Volterra, con la rivolta,a Porto Azzurro dove si sta quasi bene, ai carceri della Toscana come Pisa molto simile al Sud America. Fuga sottoposto ad un processo, macchina del fango, costruito sulla credibilità di due pentiti. Su tutta questa vicenda avrà importanza particolar il rapporto con Mario Dalmaviva, uno dei tanti imputati/condannati della cosiddetta operazione 7 aprile, il quale metterà al servizio di Fuga le sue vignette, che di satirico avranno ben poco, se non il mettere in discussione il pianeta  carcere. Possiamo dire che l’esperienza di Fuga, e tanti altri, ha lasciato il segno a tal punto che sono numerosi gli avvocati che mettono le proprie conoscenze e capacità al servizio di chi è colpito dai provvedimenti repressivi, anche se l’auspicio, è che finalmente potremmo assistere di nuovo ad un movimento conflittuale che sostiene i propri compagni. Gabriele Fuga, La cella dell’avvocato, Edizioni Colibrì; pp. 316;  € 17   > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp  
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