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Ti sei imborghesito!
Per fortuna non so mai chi sono, ma per certo non godo quando gli anormali son trattati da criminali e non ho alcuna intenzione di chiudere in un manicomio tutti gli zingari e gli intellettuali di Marco Sommariva* Giorni fa mi son trovato a disquisire con un amico su chi sono, oggi, i borghesi e a chiedermi se facessi parte di questa schiera; lo spunto per la discussione ci era stato dato da una scritta su un muro, tanto breve quanto solleticante, un microscopico j’accuse: “Ti sei imborghesito!” L’indomani, lo stesso amico mi ha segnalato un articolo pubblicato diversi anni fa su Repubblica e, così, ripartendo da questo,ho provato a mettermi nuovamente in discussione – questa volta da solo. A inizio pezzo leggo: “Nel significato oggi più diffuso il borghese è un membro di un ceto medio che va dai benestanti ai ceti impiegatizi e che comprende sia gli industriali, i grandi professionisti, i livelli superiori del pubblico impiego (la cosiddetta alta borghesia) sia una più vasta platea di persone che, in condizioni più modeste, sono tuttavia fornite di qualche bene, di qualche indipendenza, di qualche responsabilità anche se limitata, e di qualche istruzione (la piccola borghesia)”. Non so se il mio stipendio può essere considerato un bene e non so neppure se l’indipendenza che questo stipendio mi garantisce si possa annoverare fra quelle ipotizzate nell’articolo di Repubblica, ma di certo ho qualche responsabilità “anche se limitata” – un ufficio in cui coordino, così dice l’organigramma aziendale, due colleghi – e ho una “qualche istruzione”: sono uno di quei tantissimi periti industriali che nei primi anni Ottanta sbandierava il “pezzo di carta” che occorreva per provare a non replicare la vita di stenti dei genitori che, “con tanti sacrifici”, ti avevano fatto studiare. Possibile davvero io sia un piccolo borghese? Proseguo la lettura: “Borghesi sono […] i ceti che si affermano nell’età moderna come i più adatti a governare secondo ragione, scalzando – anche attraverso le rivoluzioni – il potere tradizionale dei nobili e degli ecclesiastici […]”, e qui non c’entro nulla: “scalzare chi governa” sì, “anche attraverso le rivoluzioni” sì, ma non di certo per governare. Dài!, questa l’ho sfangata, ma non so se riuscirò a passare l’esame dei miei libri, delle mie letture. Per l’egoismo con cui custodisco i miei libri, e pure i miei dischi, mi sa che Gustave Flaubert mi definirebbe borghese: “si divertiva a fabbricare portasalviette: ne aveva riempito la casa, li conservava con la gelosia di un artista e l’egoismo di un borghese” – Madame Bovary. Ma André Malraux – sapendo di tutte le mie cause (perse) combattute fianco a fianco coi più deboli, per i più deboli – mi difenderebbe: “La borghesia starà col più forte. La conosco” – La condizione umana. Non essendo spilorcio e arrogante, ed essendo spesso criticato per la troppa sincerità, credo che anche Doris Lessing prenderebbe le mie parti: “Dio sa quanto lei li odiava, i borghesi, così attaccati ai soldi, attenti a non sprecare un centesimo, sempre con il pensiero fisso di mettere da parte, di risparmiare […]”; e ancora “Alice sapeva che Muriel apparteneva all’alta borghesia ed era per questo che non la poteva soffrire. Come in tutte le rappresentanti della sua classe, ogni sua parola, ogni gesto, era implicitamente arrogante”; e infine “non c’è mai una volta che manifestino quello che pensano questi maledetti piccoli borghesi” – La brava terrorista. E se fossi, invece, un borghese perché mangio troppo? “Come dicono i sandinisti, era da tempo che avevo perso l’abitudine borghese di fare due pasti al giorno” – Dead end blues di Hugues Pagan. O forse lo sono perché, quando mi sposai, pensai anch’io – lo ammetto – d’essermi sistemato e, per un po’, rinunciai alla vita reale? “noi due abbiamo accettato quest’enorme illusione, perché di questo si tratta: l’idea che, una volta messa su famiglia, la gente debba rinunciare alla vita reale e “sistemarsi”. È la grande menzogna sentimentalistica piccolo borghese […]” – Revolutionary road di Richard Yates. In effetti, non lo nego, sono anche uno di quelli che appena uscì dal suo piccolo mondo che pensava fosse il mondo intero – fu quando non riuscii a sfuggire al servizio di leva e partii per la naja –, andò in crisi: “Quando si nasce nella piccola borghesia, si pensa che l’intero mondo sia uguale all’ambiente in cui si vive. Non appena giunsi a vedere un altro tipo di mondo, naturalmente il mio fu messo in crisi” – Pasolini su Pasolini di Pier Paolo Pasolini e Jon Halliday. Ma sempre Pasolini potrebbe riabilitarmi, vista la mia ripugnanza per il “pare brutto” e le “buone maniere” in generale: “il mio odio per la borghesia è in realtà una specie di ripugnanza fisica verso la volgarità piccoloborghese, la volgarità delle “buone maniere” ipocrite, e così via. Forse soprattutto perché trovo insopportabile la grettezza intellettuale di questa gente” – ancora Pasolini su Pasolini. Anche Jack London avrebbe parole buone per il sottoscritto che – me l’hanno riconosciuto in tanti – non ha mai avuto paura della Vita: “Il realismo è essenziale alla mia natura, e lo spirito borghese odia il realismo. La borghesia è codarda. Ha paura della vita” – Martin Eden. Forse la mia colpa è stata passare impiegato dopo otto anni trascorsi orgogliosamente da operaio? Forse mi sarebbe bastato restare una tuta blu per non rischiare d’esser confuso con qualche lacchè borghese? Ma davvero una cosa esclude l’altra? E qui è Paco Ignacio Taibo II a venirmi in soccorso: “Il più borghese è l’operaio che offre il culo al padrone, e addirittura lo difende come un coglione, e dice ma no, le cose in fabbrica vanno benissimo così” – E doña Eustolia brandì il coltello per le cipolle. Che se poi andiamo a vedere, ce n’è un po’ per tutti, per la morale borghese senza dubbio ma, per esempio, non è che una “certa” sinistra – quella che lottava per il proletariato – ne esca tanto bene: “non possiamo più fare a meno di valori positivi. Ma dove trovarli? La morale borghese ci indigna con la sua ipocrisia e la sua mediocre crudeltà. Il cinismo politico che regna su gran parte del movimento rivoluzionario ci ripugna. Quanto alla sinistra cosiddetta indipendente, in realtà, affascinata dalla potenza del comunismo e invischiata in un marxismo pudibondo di sé, ha già abbandonato la lotta. Dobbiamo allora trovare in noi stessi, nel vivo della nostra esperienza, cioè all’interno del pensiero in rivolta, i valori che ci necessitano. Se non li troviamo, il mondo crollerà, e forse sarà giusto, ma prima saremo noi a crollare, e questo sarà infame” – Ribellione e morte di Albert Camus. Non sarà che il pensiero della borghesia s’è già diffuso al popolo? Sarebbe un bel guaio: “Gli avari non credono nella vita dopo la morte, per loro il presente è tutto, e questo stesso concetto diffonde una luce orribile sul mondo odierno, dove più che mai il denaro domina le leggi, la politica e i costumi. Istituzioni, libri, uomini e dottrina cospirano insieme a scuotere la fede in un’altra vita, fede su cui da diciotto secoli si basa tutta la struttura sociale. Tuttavia ci troviamo quasi al medesimo punto, poiché l’avvenire che ci attendeva al di là del requiem è stato trasportato nel presente. Giungere al paradiso terrestre del lusso e delle gioie vanitose, far divenire il cuore di pietra e macerarsi il corpo nell’ansia di accumulare beni passeggeri, come una volta si soffriva il martirio per conquistare l’eternità, ecco l’idea che oramai si è fatta comune, l’idea fissa, in ogni luogo, persino nelle leggi, che ormai domandano all’uomo: “Quanto paghi?” invece di chiedergli: “Cosa pensi?” Se un simile pensiero si diffonderà dalla borghesia al popolo, chissà cosa ne sarà del mondo” – Eugénie Grandet di Honoré de Balzac. Anche perché il nuovo potere borghese parrebbe, davvero, essere una brutta cosa: “L’accettazione del fascismo è stato un atroce episodio: ma l’accettazione della civiltà borghese capitalistica è un fatto definitivo, il cui cinismo non è solo una macchia, l’ennesima macchia nella storia della Chiesa, ma un errore storico che la Chiesa pagherà probabilmente con il suo declino. […] il nuovo potere borghese infatti necessita nei consumatori di uno spirito totalmente pragmatico ed edonistico: un universo tecnicistico e puramente terreno è quello in cui può svolgersi secondo la propria natura il ciclo della produzione e del consumo. Per la religione e soprattutto per la Chiesa non c’è spazio” – Scritti corsari di Pier Paolo Pasolini. Sulla necessità del potere borghese di pragmatismo da parte dei consumatori, ha qualcosa da dire anche Raoul Vaneigem: “Se i borghesi preferiscono l’uomo a Dio, è perché egli produce e consuma, acquista e fornisce” – Trattato del saper vivere. Ma chi sono io, oggi, ancora non l’ho capito. Visto che non mi spavento se i lacci delle mie scarpe non sono in ordine e non sono mai sicuro d’aver ragione, non dovrei esser compreso fra la media borghesia: “la media borghesia inglese deve masticare ogni boccone trenta volte perché ha l’intestino così stretto che un boccone grosso quanto un pisello lo ostruirebbe. Sono un branco di disgraziati effeminati, pieni di boria, spaventati se i lacci delle scarpe non sono in ordine, putridi come selvaggina andata a male, e sempre sicuri di avere ragione. È questo che mi distrugge. Sempre lì a leccare il culo finché non gli fa male la lingua, eppure sono sempre sicuri di avere ragione. Presuntuosi! Presuntuosi su tutto. Presuntuosi! Una generazione di presuntuosi effeminati senza coglioni…” – L’amante di Lady Chatterley di David Herbert Lawrence. E dato che non ho mai pensato che oltre i miei confini il mondo sia piuttosto ignorante, anche Robert Louis Stevenson potrebbe aiutarmi a restare fuori da certi elenchi in cui non avrei piacere di essere incluso: “L’ignoranza di voi borghesucci mi sorprende. Al di là dei vostri confini, ritenete che il mondo sia piuttosto ignorante e un universo indistinto, immerso in una degradazione generale…” – Il terrorista. Ma non sarà che questo problema dell’essere o non essere borghesi, è una fisima tutta mia, nostra, dell’uomo occidentale, e magari una fissazione dei giorni nostri? No, non è così; scrive Jean-Patrick Manchette ne Il caso N’Gustro: “Lo Zimbabwin, il loro Paese, si è liberato e un Fronte di liberazione, l’Flz, ha preso il potere. Ma se capisco bene, c’è un’etnia che cammina sulla testa delle altre, nell’Flz, e ancora peggio è musulmana […]. Mi spiegano: i musulmani, laggiù, sono l’equivalente dei borghesi qui, sono grandi famiglie, stirpi, da sempre compromesse con le spedizioni arabe che discendevano l’Africa, risalendo il Nilo e arrivando ben oltre nell’interno, attraverso il Sudan, fino al cuore del continente, per razziare, rapire su grande scala intere popolazioni che rivendevano sul Mar Rosso, gli uomini per il lavoro, le donne ai bordelli, i bambini dipende”. Niente, addirittura potrebbe essere un problema mondiale e, forse, sempre esistito. Pur non risparmiando i proletari, anche Johnny Rotten riteneva essere un problema questa borghesia capace di opprimere: “Ricordo che quand’ero piccolo e andavo a scuola i genitori inglesi mi prendevano a mattonate. Per arrivare alla scuola cattolica dovevo passare in una zona in prevalenza protestante. Era bruttissimo. La facevo sempre di corsa. “Quei luridi bastardi irlandesi!”. E cazzate del genere. Adesso se la prendono coi neri, o chi altri. Ci sarà sempre odio negli inglesi perché sono una nazione piena d’astio. È questo il guaio dei proletari di tutto il mondo. Cercano sempre di sfogare i loro rancori su quelli che considerano più in basso nella scala sociale, invece di saltare alla giugulare di quei fottuti bastardi dell’alta e media borghesia che li tengono oppressi, tanto per cominciare” – L’autobiografia. Persino la Chiesa pare non abbia gradito il potere della borghesia, accusandola d’aver fatto di questo mondo un luogo maledetto d’ingiustizia e di dolore, benché la contestazione non parrebbe mossa sulla scia di una qualche carità cristiana: “L’abate […] trovava delle scusanti alle scelleratezze degli scioperanti, attaccava violentemente la borghesia sulla quale rigettava ogni responsabilità. Era la borghesia, che, spossessando la Chiesa delle sue antiche libertà, per servirsene lei stessa, aveva fatto di questo mondo un luogo maledetto d’ingiustizia e di dolore, era lei che prolungava i malintesi, che spingeva ad una catastrofe spaventosa, col suo ateismo, rifiutandosi di ritornare alla fede, alle tradizioni fraterne dei primi cristiani” – Germinal di Emile Zola. Leggo che la borghesia è fondamentalmente vile e ottusa e che, in ogni epoca, è rimasta unita solo per abbattere ciò che le stava immediatamente sopra e depredare coloro che stavano sotto: “Sono nato con dentro un odio per l’ingiustizia… sin dall’infanzia il sangue mi ribolliva contro il cielo quando vedevo la gente malata, e mi ribolliva contro gli uomini quando ero testimone delle sofferenze dei poveri; pensando al tozzo di pane della povera gente, le cose buone che mangiavo mi andavano di traverso, e un bambino storpio mi faceva piangere. […] Anno dopo anno, questa passione per la gente più derelitta mi ossessionò sempre di più. Si poteva riporre speranza nei re? Si poteva riporre speranza nelle classi meglio pasciute che si rotolano nel denaro? Avevo studiato il corso della storia… sapevo che la borghesia, il nostro monarca di oggi, è fondamentalmente vile e ottusa… in ogni epoca, avevo visto come la borghesia si unisse solo per abbattere ciò che le stava immediatamente sopra e depredare coloro che stanno sotto; la sua ottusità, ne ero convinto, alla fine avrebbe provocato la propria rovina; sapevo che ormai i suoi giorni erano contati, ma come avrei potuto aspettare? Come potevo lasciare che i bambini poveri tremassero sotto la pioggia? Certo, sarebbero arrivati giorni migliori, ma i bambini sarebbero morti prima. […] con un’impazienza sicuramente non priva di uno slancio di generosità mi arruolai tra i nemici di questa società ingiusta e ormai condannata […]” – nuovamente da Il terrorista di Robert Louis Stevenson. Anche il mio corregionale Edmondo De Amicis, nel romanzo Sull’oceano non ne dice un granché bene di ‘sti borghesi: “tutta la sua persona rivelava la borghesuccia impastata d’invidia per chi le sta sopra e di disprezzo per chi le sta sotto, capace di commettere una vigliaccheria per entrare in relazione con una marchesa, e di dimezzare il pane ai figliuoli per strascicare del velluto sui marciapiedi”. Ecco, non provando invidia per chi sta sopra né disprezzo per chi sta sotto semplicemente perché il mondo che vedo io non è strutturato in verticale ma in orizzontale; non avendo mai dimezzato il pane da dare a mio figlio per qualsivoglia bene materiale a cui rinuncio tranquillamente, anche se ammetto che i libri mi tentano sempre parecchio; non commettendo alcuna vigliaccheria per entrare in relazione con una marchesa per lo stesso motivo di prima – nella mia visione orizzontale del mondo, marchese, psicologhe, suore, operaie, casalinghe, eccetera sono, giocoforza, tutte sullo stesso piano –; mi sento abbastanza sollevato. E mi sento abbastanza sollevato anche perché non provo alcuna gioia quando s’arresta una puttana o se la parrocchia del Sacro Cuore acquista una nuova campana; non godo quando gli anormali son trattati da criminali e non ho alcuna intenzione di chiudere in un manicomio tutti gli zingari e gli intellettuali; non so mentire con cortesia, cinismo e vigliaccheria, e non faccio dell’ipocrisia la mia formula di poesia; non ho nulla contro chi fa l’amore più di una volta alla settimana e neanche contro chi lo fa per più di due ore o verso chi lo fa in maniera strana; non pesto le mani a chi arranca dentro a una fossa e neppure son disponibile, al più ricco e ai suoi cani, a leccar le ossa. Sì, dài!, mi sento abbastanza sollevato. Ora che finalmente so chi sono, devo chiudere il pezzo e salutarvi perché sono già in ritardo: di là, sul tavolo di noce del tinello, la cena è apparecchiata, son tutti già seduti e mi aspettano per il segno della croce. Rifiutarsi mi pareva brutto.   *scrittore sul sito  www.marcosommariva.com tutte le sue pubblicazioni     > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp  
riflessioni
misure repressive
L’Italia addestrerà i piloti militari libici
Si formeranno in Italia i piloti della ricostituita aeronautica di guerra della Libia. A renderlo noto l’ufficio pubblica informazione delle forze aeree italiane. di Antonio Mazzeo da Pagine Esteri Il 25 marzo, il capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica Militare, generale Luca Goretti, ed il capo della Libyan Air Force, generale Amhamed Gojel, hanno firmato a Roma un accordo tecnico bilaterale sull’addestramento in favore dei top gun e degli istruttori di volo libici. L’accordo prevede la partecipazione del personale militare dello Stato nordafricano ai corsi di addestramento presso il 70° Stormo dell’Aeronautica di stanza a Latina e presso il 61° Stormo di Galatina (Lecce) per le fasi 2 e 3 dell’iter addestrativo. Parte della formazione teorica si svolgerà anche presso il centro di formazione Aviation English di Loreto (Ancona), la scuola di lingue straniere dell’Aeronautica. L’intesa sottoscritta dai generali Goretti e Gojel disciplina i vari aspetti del percorso addestrativo del personale libico negli specifici programmi erogati dal 207° gruppo volo del 70° Stormo e dal 214° gruppo volo del 61° Stormo. “L’accordo assume una rilevanza significativa in quanto costituisce il primo accordo di cooperazione bilaterale con la Forza Aerea libica nel settore dell’addestramento al volo con durata di validità triennale”, spiega lo Stato Maggiore dell’Aeronautica italiana. “Esso è un’ulteriore riprova del livello di eccellenza raggiunto dalla Forza Armata nel settore addestrativo, nonché un significativo consolidamento della cooperazione con un Paese partner estremamente importante nell’ambito della sicurezza e della stabilità dell’area mediterranea”. (1) Il 70° Stormo di Latina è posto alle dipendenze del Comando Scuole dell’Aeronautica e della 3a della Regione Aerea con sede a Bari; presso i suoi reparti si effettuano i corsi di abilitazione e l’addestramento basico degli allievi dell’Aeronautica e delle altre forze armate italiane e dei cadetti militari di paesi esteri per il conseguimento del brevetto di pilota. Fino ad oggi Latina ha rilasciato oltre 15.000 brevetti di pilotaggio, realizzando un totale di circa 500.000 ore di volo. (2) Nello scalo del 70° Stormo gli allievi-piloti libici saranno formati a bordo di due tipi di velivoli di produzione del gruppo Leonardo SpA: il T-260B (aereo biposto, già classificato come SIAI Marchetti SF-260) e il T-2600A (quadriposto, già Aermacchi SF260 EA). (3) Presso la base salentina di Galatina, il personale militare libico sarà addestrato in vista della conduzione dei velivoli di quarta e quinta generazione (in particolare i cacciabombardieri Eurofighter Typhoon e gli F-35 Lightning II). Sotto il comando del 61° Stormo opera l’International Flight Training School (IFTS), un centro internazionale per l’addestramento al volo avanzato, frutto di un accordo del 2018 tra l’Aeronautica Militare e la holding industriale-militare Leonardo S.p.A.. “Il progetto IFTS è nato con l’obiettivo di realizzare un polo di eccellenza nella formazione dei piloti militari e soddisfare la crescente domanda di training avanzato proveniente dagli stati alleati e partner”, spiega lo Stato Maggiore della Difesa. “L’International Flight Training School ha consentito di raddoppiare l’attuale offerta addestrativa attraverso la realizzazione di un nuovo polo distribuito tra la base dell’Aeronautica di Galatina, e quella di Decimomannu (Sardegna), dove è nato il campus dedicato alla fase avanzata dell’addestramento al volo”. I reparti del 61° Stormo hanno formato e brevettato più di 9.000 avieri appartenenti a 20 paesi, alcuni del Medio oriente ed Asia (in particolare Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Singapore). A Galatina gli allievi-piloti di Tripoli voleranno a bordo dei caccia-addestratori T-346A (gli stessi venduti una quindicina di anni fa da Aermacchi-Leonardo alle forze armate israeliane). Questi aerei sono in via di sostituzione con i più sofisticati T-345, anch’essi progettati e prodotti dall’italiana Leonardo, per “ottenere un miglioramento della qualità addestrativa a costi inferiori, da cui il nome High Efficiency Trainer”, come enfatizza il Comando del 61° Stormo. Nelle scorse settimane sono giunti nella base aerea salentina i primi sei velivoli T-345 e da giugno saranno impiegati per i corsi addestrativi. (4) La decisione di utilizzare alcune delle maggiori basi aeree italiane per la “formazione” del personale militare libico sarebbe stata presa in occasione della riunione del Comitato misto di Cooperazione Libia–Italia tenutasi a Tripoli nel giugno 2024. A quell’incontro parteciparono per la parte italiana il generale Alessandro Grassano del III Reparto dello Stato Maggiore della Difesa e per la parte libica il gen. Mustafa Ben Rashed. Nonostante le sempre più numerose e documentate denunce da parte di organizzazioni governative ed ONG internazionali sulle gravissime violazioni dei diritti umani perpetrate dalle forze armate e di polizia libiche contro la popolazione e i migranti, il ministero della Difesa italiano si è impegnato ad “esaminare nuove strategie per incrementare e ottimizzare le attività di cooperazione” con la Libia. In particolare è stato redatto un articolato Piano di Formazione per il secondo semestre 2024 e per l’intero 2025, “comprensivo di numerose attività sia in Italia che in Libia”. (5) Relativamente al settore aereo, in attesa di avviare le attività addestrative per i piloti a Latina e Galatina, l’Italia ha iniziato ad erogare a beneficio del personale libico alcuni corsi per controllori del traffico aereo presso il reparto di addestramento di Pratica di Mare (Roma) e quelli presso l’Accademia Aeronautica di Pozzuoli (Napoli). (6) Le attività di formazione, addestramento e mentoring a favore delle forze armate e di sicurezza e delle istituzioni governative libiche, vengono svolte in territorio italiano e libico nell’ambito della cosiddetta Missione bilaterale di assistenza e supporto in Libia (MIASIT). Nata nel 2018 sulle ceneri della precedente Operazione “Ippocrate”, MIASIT ha come obiettivo prioritario quello di “incrementare le capacità complessive” dei militari fedeli al Governo di Accordo Nazionale della Libia. Tra le attività addestrative spiccano in particolare quelle finalizzate al “controllo e contrasto dell’immigrazione illegale e delle minacce alla sicurezza della Libia; al ripristino dell’efficienza di assetti terrestri, navali e aerei, comprese le relative infrastrutture, funzionali allo sviluppo della capacità libica di controllo del territorio; all’assistenza e supporto sanitario (anche con il trasferimento dei pazienti Italia); allo sminamento; alla formazione da parte di forze speciali italiane, delle omologhe unità libiche”. Sempre secondo lo Stato Maggiore della Difesa, i corsi di formazione a le attività addestrative vengono condotte da MIASIT “in conformità all’Accordo tecnico di Cooperazione militare sottoscritto nel 2020”, sotto la direzione e il coordinamento del Comando Operativo di Vertice Interforze (COVI), con quartier generale nello scalo aeroportuale di Centocelle, Roma. (7) Il testo di questo accordo non è pubblico. Grazie però ad alcuni organi di stampa di Tripoli è stato possibile apprendere che esso è stato sottoscritto il 4 dicembre 2020 in occasione della visita in Italia dell’allora ministro della Difesa del governo libico, generale Salaheddine al-Namroush (oggi vice capo di Stato Maggiore). Al-Namroush avrebbe concordato con il ministro della Difesa italiano Lorenzo Guerini (Pd) e con quello degli Affari Esteri Luigi Di Maio (M5S), l’implementazione di “attività di cooperazione nei settori dell’addestramento e dell’istruzione militare, dello scambio di competenze, del supporto, dello sviluppo, della manutenzione e della consulenza, della cooperazione nel campo dell’immigrazione clandestina, oltre che della sicurezza delle frontiere terrestri e marittime, delle operazioni di munizioni e smaltimento delle mine, della medicina militare, di soccorso in caso di disastri naturali ed emergenze sanitarie, di scambio di informazioni ed esperienze nel campo della ricerca scientifica e tecnica e della sicurezza militare”. (8) Attualmente il Comando della Missione MIASIT è schierato a Tripoli, mentre a Misurata è presente un distaccamento operativo. La consistenza massima annuale autorizzata dal Parlamento per il contingente nazionale impiegato in Libia è di 200 militari, più un mezzo aereo. E’ pure previsto l’impiego di ulteriori assetti aerei (anche a pilotaggio remoto) e di mezzi navali, tratti dal dispositivo nazionale operante nel Mediterraneo. Originariamente la missione di sostegno militare alla Libia prevedeva pure la gestione di un ospedale da campo a Misurata, ma questo è stato “dismesso” nel corso del 2022. “Da allora, anche nell’area di Misurata la presenza italiana ha svolto attività addestrativa, mediante team mobili (Mobile Training Team)”, spiega lo Stato Maggiore. Il contingente italiano è composto da unità con compiti di formazione, consulenza, assistenza e supporto logistico, infrastrutturale e sanitario; personale di collegamento presso dicasteri e stati maggiori libici; unità con compiti di force protection; tecnici e specialisti contro minacce chimiche-biologiche-radiologiche-nucleari (CBRN); team per la ricognizione e per le attività di comando e controllo. “L’addestramento si svolge in particolare nei settori del contrasto di ordigni esplosivi improvvisati (IED), dell’aviolancio e della tutela e scorta; l’impegno si è esteso anche alla collaborazione con la Guardia Costiera libica, che ha proseguito nell’azione di contenimento dei movimenti migratori non regolamentati”. (9) Pure formazione e addestramento, dunque, oltre al supporto logistico e di intelligence a favore della famigerata Guardia Costiera responsabile di orribili crimini (mitragliamenti, deportazioni, omissioni di soccorso, ecc.) nella quotidiana guerra contro le migrazioni e i migranti in acque territoriali e internazionali. Nel corso del 2024 sono stati non meno di una cinquantina i corsi di addestramento svolti da team appartenenti all’Esercito, alla Marina Militare, all’Aeronautica e all’Arma dei Carabinieri. Circa 700 i militari di tutte le forze armate libiche “formati” da MIASIT. (10) Tra gli impegni più “onerosi” quelli svolti per addestrare le unità di fanteria libiche e di “combattimento nei centri abitati” con l’ausilio del personale della Scuola di Fanteria dell’Esercito di Cesano (Roma); l’Esplorazione Tattica Terrestre, grazie ai team della Scuola di Cavalleria di Lecce; le “lezioni” di topografia e navigazione sul terreno, con tanto di fornitura al personale libico di “ausili tecnici e software open source per leggere e costruire mappe topografiche da utilizzare per il tiro di artiglieria”, da parte della Scuola di Artiglieria di Bracciano. (11) Presso il Distaccamento MIASIT di Misurata, il personale del 9° Reggimento Alpini (quartier generale a L’Aquila), reparto d’élite per il “combattimento in montagna”, ha curato i corsi di lingua italiana, Combat Intelligence e gestione delle “operazioni speciali” (OPS – Special Operations) a favore dei componenti della 307^ unità della Counter Terrorism Force libica. Ancora gli alpini abruzzesi nel deserto tripolitano per svolgere i “corsi basici di fanteria” per gli uomini della 52^ Brigata. (12) Il Comando Genio dell’Esercito di Roma ha portato a termine 15 corsi a favore del costituendo Centro di Eccellenza C-IED (Counter-Improvised Explosive Device) di Tripoli; i parà della Brigata Paracadutisti “Folgore” e gli istruttori del   Centro Addestramento Paracadutismo dell’Esercito di Pisa hanno condotto invece diversi corsi di Self Defense Close Combat e di “Metodo di Combattimento Militare (MCM)” per il Dipartimento di Polizia Militare e gli “allievi” dell’Accademia Militare di Tripoli. “Il Metodo di Combattimento Militare è parte integrante dell’addestramento individuale al combattimento ed è una metodologia tesa a fornire al soldato quelle capacità necessarie per difendersi e fronteggiare situazioni critiche o che minacciano la sua incolumità e quella degli altri”, spiega lo Stato Maggiore della Difesa. (13) Per il Corpo della Polizia Militare della capitale libica, il Centro Addestramento Paracadutismo e il 1° Reggimento Carabinieri Paracadutisti “Tuscania” di Livorno hanno condotto i corsi di Personal Security Detail in Hostile Enviroment che hanno come scopo “l’apprendimento delle procedure di protezione e sicurezza di Autorità o personale VIP”. Ufficiali dei Carabinieri e del Gruppo di Intervento Speciale (G.I.S.) dell’Arma hanno svolto invece un Negotiation Course a favore di 13 ufficiali della Libyan Military Intelligence di Tripoli, normalmente impiegati tra la capitale e Misurata. “Il corso ha avuto l’obiettivo di insegnare agli allievi le tecniche basilari per la gestione delle crisi, la capacità di approccio/ascolto e le tecniche per addivenire ad una soluzione efficace delle controversie”, spiega la Difesa. (14) Trentacinque i militari libici addestrati al Sea Survival dagli istruttori aero-soccorritori del 15° Stormo dell’Aeronautica Militare, di stanza nello scalo di Cervia-Pisignano (Ravenna). Il corso si è svolto presso la base navale di Abu Sittah, Tripoli, dove è attivo il Centro di coordinamento di ricerca e soccorso mobile (Mrcc) della Marina e della Guardia Costiera libica che sorveglia l’immensa aerea SAR – in verità anti-migranti – nel Canale di Sicilia. “Alle attività formative hanno preso parte militari appartenenti alla Lybian Air Force e alla Lybian Navy che hanno avuto modo di apprendere le procedure e tecniche di base per la sopravvivenza in mare a seguito di incidenti aerei e navali, tramite l’uso di materiali e zattere di salvataggio”, riporta lo Stato Maggiore italiano. Ospiti d’onore al corso Sea Survival il Capo del Dipartimento Search & Rescue libico, generale Mansour Al-Taish, e il responsabile del Dipartimento addestrativo della Marina Militare, ammiraglio Abdul Rahman Al-Baroni. (15) Oltre ad addestrare il personale militare libico, la Missione MIASIT ha gestito la consegna a “titolo gratuito” di equipaggiamento e aiuti militari. Nel corso del biennio 2023-2024, è stata formalizzata la cessione di materiale per la ricerca e la bonifica degli ordigni esplosivi, a favore degli operatori del Dipartimento del Genio militare di Tripoli. Tra i materiali “donati” decine di esemplari di tute protettive, occhiali speciali per la protezione degli occhi, kit di tiranteria, ausili per la rimozione a distanza di trappole esplosive e ordigni inesplosi, cercamine e apparati radiografici portatili per l’ispezione di pacchi sospetti o di munizioni inesplose di medio e piccolo calibro. Il trasferimento di equipaggiamento militare è stato realizzato “grazie ai fondi stanziati dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, nel quadro del più esteso programma di assegnazione di equipaggiamento specialistico, in Convenzione con il Ministero della Difesa”, spiega lo Stato Maggiore. (16) Il 2 maggio 2024 il personale italiano ha pure consegnato materiale elettromedicale all’Ospedale Militare di Tripoli e all’Accademia Aeronautica di Misurata, dove è stata pure realizzata un’aula multimediale per lo svolgimento di corsi per i piloti militari e civili. Ad agosto, farmaci e apparecchiature elettromedicali per un valore complessivo di quasi 100.000 euro, sono stati inviati al Misurata Medical Center e ai Poliambulatori militari locali. Alcuni dispositivi medici cardiovascolari sono stati acquistati mediante i fondi stanziati dal Comando Operativo di Vertice Interforze; i farmaci sono stati messi a disposizione dalla Fondazione Banco Farmaceutico. (17) Note 1 https://www.aeronautica.difesa.it/news/aeronautica-militare-cooperazione-internazionale-firmato-accordo-per-laddestramento-di-piloti-militari-libici-in-italia/ 2 https://www.aeronautica.difesa.it/news/70-stormo-cerimonia-di-consegna-delle-aquile-di-pilota-di-aeroplano-agli-allievi-piloti-del-corso-falco-vi/ 3 https://www.aviation-report.com/70-stormo-scuola-di-volo-basico-aeronautica-militare/ 4 https://www.rid.it/shownews/7219/aeronautica-arrivati-i-primi-t-345-a-giugno-parte-l-addestramento 5 https://www.difesa.it/smd/news-italia/prima-riunione-del-comitato-misto-di-cooperazione-libia-italia/53472.html 6 https://www.aeronautica.difesa.it/news/aeronautica-militare-cooperazione-internazionale-firmato-accordo-per-laddestramento-di-piloti-militari-libici-in-italia/ 7 https://documenti.camera.it/leg19/dossier/pdf/DI0145.pdf?_1744875457583 8 https://alwasat.ly/news/libya/303351?fbclid=IwAR0eudWADmm-zHocMTasNn5aSo13rriiDxIySXJNrVtMgUliq-fmoyqecKg 9 https://documenti.camera.it/leg19/dossier/pdf/DI0145.pdf?_1744875457583 10 https://www.difesa.it/operazionimilitari/op-intern-corso/libia-missione-bilaterale-di-supporto-e-assistenza/notizie-teatro/libia-proseguono-le-attivita-addestrative-con-gli-istruttori-del-9-reggimento-alpini-dellesercito-e-della-scuola-di-fanteria-di-cesano-di-roma/55457.html 11 https://www.difesa.it/operazionimilitari/op-intern-corso/libia-missione-bilaterale-di-supporto-e-assistenza/notizie-teatro/missione-in-libia-la-miasit-conclude-un-importante-ciclo-formativo/55736.html 12 https://www.esercito.difesa.it/comunicazione/Pagine/Libia-proseguono-le-attivita-addestrative-con-gli-istruttori-del-9-Reggimento-Alpini-dell-Esercito-240805.aspx 13 https://www.difesa.it/operazionimilitari/op-intern-corso/libia-missione-bilaterale-di-supporto-e-assistenza/notizie-teatro/libia-conclusi-corsi-metodo-di-combattimento-militare-e-personal-security-detail-in-hostile-enviroment/54544.html 14 https://www.difesa.it/operazionimilitari/op-intern-corso/libia-missione-bilaterale-di-supporto-e-assistenza/notizie-teatro/miasit-terminato-corso-negotiation-course-a-favore-libyan-military-intelligence/46617.html 15 https://www.difesa.it/operazionimilitari/op-intern-corso/libia-missione-bilaterale-di-supporto-e-assistenza/notizie-teatro/missione-in-libia-concluso-sea-survival-training/51981.html 16 https://www.difesa.it/operazionimilitari/op-intern-corso/libia-missione-bilaterale-di-supporto-e-assistenza/notizie-teatro/miasit-donato-equipaggiamento-per-lo-sminamento-al-genio-militare-libico/47432.html 17 https://www.difesa.it/operazionimilitari/op-intern-corso/libia-missione-bilaterale-di-supporto-e-assistenza/notizie-teatro/miasit-e-fondazione-banco-farmaceutico-supportano-la-sanita-libica/55795.html       > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. 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misure repressive
Il “Decreto sicurezza” nel Paese della polizia del G8 di Genova
Sono passati dieci anni esatti dalla dura condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo nei confronti dell’Italia per i fatti del G8 di Genova 2001. Un Paese incapace di prevenire e punire torture e depistaggi, dotato di una polizia che si rifiutò “impunemente” di collaborare con chi indagava sui fatti della Diaz. Uno schiaffo che lascia ancora il segno e “parla” del decreto sicurezza varato dal governo a inizio aprile di Duccio Facchini da Altreconomia “La Corte si rammarica che la polizia italiana si sia potuta rifiutare impunemente di fornire alle autorità competenti la collaborazione necessaria all’identificazione degli agenti che potevano essere coinvolti negli atti di tortura”. Sono passati dieci anni esatti dalla condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo nei confronti dell’Italia per i fatti del G8 di Genova 2001, tra le più gravi violazioni dei diritti umani nel contesto di una democrazia occidentale dal Dopoguerra (Amnesty International). Il ricorso lo si deve ad Arnaldo Cestaro, storico militante vicentino scomparso nell’estate 2024, e vittima insieme a Lorenzo Guadagnucci e tanti altri dell’assalto-macelleria compiuto dalla polizia alla scuola Diaz nel luglio di 24 anni fa. Quella sentenza del 7 aprile 2015, come ha più volte ricordato Enrico Zucca, che fu pubblico ministero del processo per quelle torture e oggi è procuratore generale a Genova, fu scontata nella decisione ma inattesa nella durezza. Un Paese incapace di prevenire e punire torture e depistaggi -scolpirono i giudici di Strasburgo- dotato di una polizia che si è dimostrata infedele. Enrica Bartesaghi e Lorenzo Guadagnucci, allora membri del Comitato Verità e Giustizia per Genova, parlarono di “schiaffo alle istituzioni italiane”. Il campo larghissimo del partito della polizia, dopo anni di falsità, fece finta di niente. Tipo Alfredo Mantovano, sottosegretario all’Interno in quella terribile estate 2001 e oggi gattopardescamente sottosegretario alla presidenza del Consiglio nonché Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica. Mantovano, caso di “magistrato in politica” gradito alla stampa governista, ebbe modo nel 2010 subito dopo la sentenza di appello sui fatti della Diaz di parlare di “fior di professionisti della sicurezza” che svolgevano il “loro ruolo con grande responsabilità e dedizione, rispetto al quale ci può essere solo gratitudine da parte delle istituzioni”. La Cassazione prima e la Cedu poi hanno chiarito chi aveva ragione e chi torto, chi andava “ringraziato” e chi proprio no. Lo schiaffo della Corte europea lascia ancora il segno. Lo dimostra l’ultima supervisione pubblicata nel dicembre 2024 dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, organo che mantiene la cosiddetta “sorveglianza sostenuta” (anche) sulla corretta esecuzione della “sentenza Cestaro”. Il Comitato, prendendo atto delle rassicurazioni delle autorità italiane sul non aver alcuna intenzione di abrogare la disposizione sull’attuale reato autonomo di tortura nel codice penale, ha “espresso la propria profonda preoccupazione per la mancanza di progressi nell’adozione di misure volte a garantire l’identificazione degli agenti delle forze dell’ordine” così come per il mancato “invio di un messaggio chiaro ad alto livello politico sulla politica di tolleranza zero nei confronti dei maltrattamenti nelle forze dell’ordine”. Non solo. “Ha nuovamente invitato le autorità a garantire che […] gli agenti delle forze dell’ordine accusati di reati che comportano maltrattamenti siano sospesi dal servizio durante le indagini o il processo e licenziati in caso di condanna”. Il Governo Meloni-Mantovano ha deciso però di salutare il decimo anniversario della sentenza Cestaro e i freschi ammonimenti del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa con il “decreto sicurezza”, licenziato in Consiglio dei ministri il 4 aprile e fatto piovere in testa a un Parlamento che ha lavorato a vuoto per mesi. Si introduce un’aggravante del delitto di violenza o minaccia e di resistenza a pubblico ufficiale “se il fatto è commesso nei confronti di un ufficiale o un agente di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza con l’aumento di pena fino alla metà e un’ulteriore circostanza aggravante in caso di atti violenti commessi al fine di impedire la realizzazione di un’infrastruttura”. In materia di tutela legale per “fatti connessi alle attività di servizio”, poi, si aumenta fino a 10mila euro l’importo massimo che può essere corrisposto per ciascuna fase del procedimento. E si introduce il nuovo reato di “rivolta all’interno di un istituto penitenziario”. L’esecutivo rivendica di aver previsto nel decreto “la possibilità di dotare le forze di polizia di dispositivi di videosorveglianza indossabili (bodycam), idonei a registrare l’attività operativa nei servizi di mantenimento dell’ordine pubblico, di controllo del territorio, di vigilanza di siti sensibili e in ambito ferroviario e a bordo treno e quella di utilizzare dispositivi di videosorveglianza, anche indossabili, nei luoghi e negli ambienti in cui vengono trattenute persone sottoposte a restrizione della libertà personale”. Peccato che il Comitato dei ministri a dicembre 2024 abbia testualmente ribadito “che l’uso della sola registrazione audiovisiva non garantisce una soluzione completa o affidabile per l’identificazione degli agenti da parte di persone in situazioni come quelle dei casi in questione (Diaz e non solo, ndr)”. È uno strumento che “dovrebbe essere integrato in un quadro più ampio per la prevenzione dei maltrattamenti, insieme a misure che garantiscano una chiara identificazione degli agenti, come sottolineato anche dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti”. Fumo negli occhi per quei “fior di professionisti della sicurezza”.     > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp  
misure repressive
L’Onu scrive a Meloni: «Abrogare il dl Sicurezza»
Cinque Special Rapporteur delle Nazioni unite, che avevano già messo in guardia Roma riguardo le criticità del ddl Sicurezza, hanno invitato il governo italiano ad abrogare il decreto sicurezza di Eleonora Martini da il manifesto L’avviso era già arrivato a dicembre scorso, inascoltato. Da allora il governo di «Sua Eccellenza» Giorgia Meloni ha impresso, anzi, un’accelerazione talmente scomposta da «allarmare» definitivamente l’Onu. Così cinque Special Rapporteur delle Nazioni unite, che avevano già messo in guardia Roma riguardo le criticità del ddl Sicurezza, hanno ora «invitato il governo italiano ad abrogare il decreto adottato bruscamente il 4 aprile per promulgare un disegno di legge sulla sicurezza, in discussione e criticato al Senato, che include disposizioni non in linea con il diritto internazionale in materia di diritti umani». Decreto che invece tira dritto sulla strada della conversione in legge con l’inizio dell’iter oggi nelle commissioni Affari costituzionali e Giustizia della Camera dove dopo Pasqua si terrà un breve ciclo di audizioni . «Siamo allarmatida come il governo abbia trasformato il ddl in un decreto d’urgenza, rapidamente approvato dal Consiglio dei Ministri, aggirando il Parlamento e il vaglio pubblico», scrivono gli esperti dell’Onu. Nel merito erano già entrati da Ginevra il 19 dicembre scorso con il lungo documento che segnalava le norme giudicate «critiche» del ddl Sicurezza, articolo per articolo. Ora l’Onu ribadisce che il testo contrasta con gli obblighi internazionali «in materia di diritti umani, tra cui la tutela del diritto alla libertà di movimento, alla privacy, a un giusto processo e alla libertà, nonché la protezione contro la detenzione arbitraria». Visto che, con il decreto in vigore da sabato scorso, hanno già forza di legge per esempio «definizioni vaghe e ampie disposizioni relative al terrorismo che potrebbero portare a un’applicazione arbitraria». Oppure norme che «mettono a rischio la libertà di espressione» di «gruppi specifici, tra cui minoranze razziali o etniche», o disposizioni che «sembrano limitare la libertà di riunirsi pacificamente per proteste e manifestazioni» con «formulazioni vaghe che potrebbero comportare procedimenti giudiziari arbitrari». Tra le normecensurate dall’Onu c’è anche il reato di rivolta in carcere e nei Cpr (art. 26, 27), commesso anche con la resistenza passiva e punibile con la reclusione da uno a 8 anni. Una «restrizione inutile e sproporzionata del diritto di protesta pacifica e di espressione» dei detenuti che potrebbe vanificare, scrive l’Onu, «il raggiungimento degli obiettivi legittimi di garantire la sicurezza e i processi di reinserimento». Talmente inutile, per altro, che non ha funzionato neppure da «deterrente» ieri a Piacenza dove alcuni detenuti hanno provocato disordini rientrati in poche ore e sedati dalla penitenziaria in anti sommossa del nuovo Gio che ha trasferito i facinorosi. Domenica scorsa era accaduto a Cassino e paradossalmente, denuncia il sindacalista Uilpa Gennarino De Fazio, «non appena entrato in vigore il reato di rivolta sono aumentate le tensioni nelle carceri e in 4 giorni sono state almeno due le gravi situazioni di disordine che la Polizia penitenziaria, sempre più stremata nelle forze e mortificata nel morale, ha dovuto fronteggiare con non poche difficoltà». A dire il vero, però, succede anche il contrario: quelle che una volta erano semplici proteste gestite come tali, oggi sono costantemente – e quasi giornalmente – denunciate da alcune sigle sindacali come «rivolte». > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp
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Penalisti contro il decreto sicurezza
Il decreto-legge sulla «sicurezza pubblica» che introduce una ventina tra nuovi reati, aggravanti e aumenti di pena, è destinato ad aumentare il sovraffollamento carcerario. Il decreto legge cosiddetto “sicurezza” è “incostituzionale” per “mancanza delle ragioni di necessaria e straordinaria urgenza per la decretazione governativa”. È l’eccezione sollevata, con richiesta di invio degli atti alla Consulta e una delle prime di questo genere proposte subito dopo l’approvazione dai legali Eugenio Losco e Mauro Straini. La questione è stata sollevata in un processo per direttissima a carico di due arrestati a Milano per resistenza a pubblico ufficiale. Il nuovo decreto legge prevede infatti nuove aggravanti che aumentano la pena per resistenza nei casi in cui il reato venga commesso contro appartenenti alle forze dell’ordine. La giudice si è riservata e dovrebbe decidere nell’udienza fissata per il 26 maggio. Inoltre contro il decreto sicurezza la Giunta dell’Unione delle Camere Penali italiane ha deliberato “l’astensione dalle udienze e da tutte le attività giudiziarie per i giorni 5, 6 e 7 maggio 2025”. Gli avvocati quindi sciopereranno quei giorni contro il pacchetto di norme ultrarepressive volute dal governo, denuncinado come sia un provvedimento che esprime “politiche securitarie e carcerocentriche inutili e inique, impone sproporzionati aumenti di pena, aggravanti prive di fondamento razionale” andando ad aumentare il sovraffollamento delle carceri. Ai microfoni di Radio Onda d’Urto, l’avvocato Eugenio Losco. Ascolta o scarica   > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp
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Tutti i rischi del “decreto sicurezza”
Record di norme penali introdotte con un solo decreto legge, dubbia compatibilità delle misure con numerosi principi costituzionali, anomalo ricorso alla decretazione d’urgenza. Il tutto senza benefici per la sicurezza della collettività. di Gian Luigi Gatta, Vincenzo Mongillo, Gian Paolo Demuro, Stefano Fiore, Désirée Fondaroli, Carlo Longobardo, Domenico Notaro – Associazione Italiana Professori di Diritto Penale Il Consiglio direttivo dell’Associazione Italiana dei Professori di Diritto Penale ribadisce la seria e oggi concreta preoccupazione per un così vasto intervento espressione di un ricorso al diritto penale in chiave simbolica di rafforzamento della sicurezza pubblica, per di più realizzato con lo strumento della decretazione d’urgenza. Le opportune modifiche rispetto alla versione originaria del “pacchetto sicurezza”, tese a diminuire la torsione repressiva dell’intervento, appaiono nel complesso marginali e non ne modificano l’impianto complessivo. Vengono infatti introdotti, con decreto-legge, almeno quattordici nuove fattispecie incriminatrici e inasprite le pene di almeno altri nove reati. Le condotte oggetto di criminalizzazione appaiono, nella quasi totalità dei casi, espressive di marginalità sociale o di forme di manifestazione del dissenso, con interventi che risultano per diversi profili di dubbia compatibilità con svariati principi costituzionali, compresi quelli di necessaria offensività, sussidiarietà e proporzione. Emblematica in tal senso è la pena per l’occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui (da due a sette anni di reclusione), coincidente con quella comminata dall’art. 589, comma 2, codice penale per l’omicidio con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro. Con altrettanta preoccupazione registriamo oggi l’anomalo ricorso alla decretazione d’urgenza in materia penale per trasferire in un decreto-legge un intero disegno di legge presentato oltre un anno fa e al cui esame sono state dedicate un centinaio di sedute tra Camera e Senato, con l’audizione di numerosi professori ed esperti. Il decreto-legge viene così impropriamente utilizzato come un disegno di legge ad effetto immediato, creando un precedente che potrebbe alimentare una prassi che svilisce il ruolo del Parlamento. Con le parole usate in una recente sentenza dalla Corte costituzionale (sent. n. 146/2024, pres. Barbera, rel. Pitruzzella), ricordiamo che – anche al di fuori della materia penale – il ricorso alla decretazione d’urgenza è soggetto a limiti «fissati allo scopo di non vanificare la funzione legislativa del Parlamento». Non si può in alcun modo giustificare «lo svuotamento del ruolo politico e legislativo del Parlamento, che resta la sede della rappresentanza della Nazione (art. 67 Costituzione), in cui le minoranze politiche possono esprimere e promuovere le loro posizioni in un dibattito trasparente (art. 64, secondo comma, Costituzione), sotto il controllo dell’opinione pubblica». È sempre la Corte costituzionale a ricordare, da ultimo, nella sua recente sentenza che «l’ampia autonomia politica del Governo nel ricorrere al decreto-legge non equivale, tuttavia, all’assenza di limiti costituzionali. L’adozione del decreto-legge è prevista “come ipotesi eccezionale, subordinata al rispetto di condizioni precise” principi normativi e di regole giuridiche indisponibili da parte della maggioranza, a garanzia della opzione costituzionale per la democrazia parlamentare e della tutela delle minoranze politiche». Nel caso di specie, considerato che il pacchetto sicurezza è stato presentato oltre un anno fa con un disegno di legge di iniziativa governativa – e non già come decreto-legge – appare quanto meno dubitabile che siano sopravvenute effettive ragioni di necessità e urgenza in relazione a tutte le eterogenee disposizioni contenute nella quarantina di articoli del provvedimento. Ciò apre la strada a possibili questioni di legittimità costituzionale per violazione dell’art. 77 Costituzione. Non possiamo poi fare a meno di rammentare che, nello specifico della materia penale, la riserva di legge sancita dall’art. 25, comma 2, Costituzione impone un ricorso ancora più limitato alla decretazione d’urgenza. Le disposizioni penali introdotte (mai così numerose, a nostra memoria, in un solo decreto-legge) entrano immediatamente in vigore, senza un periodo di vacatio che ne consenta la previa conoscibilità, come imposto dal principio di colpevolezza. Inoltre, prima ancora della conversione in legge, tali disposizioni possono produrre effetti irreversibili sulla libertà personale: si pensi, ad esempio, all’arresto eseguito in forza di una disposizione del decreto sicurezza che, in sede di conversione, dovesse essere abrogata o modificata in senso tale da non consentire più l’arresto. Pensare di garantire la sicurezza dei cittadini facendo esclusivo affidamento sul diritto penale è, d’altra parte, illusorio. Come confermano studi scientifici condotti a livello nazionale e internazionale, la creazione di nuovi reati o l’inasprimento delle pene non può garantire di per sé migliori livelli di sicurezza per i cittadini, né risolvere le cause – economiche, sociali, culturali – alla base delle forme di criminalità che si intendono contrastare. È rimasta purtroppo inascoltata, ancora una volta, la lezione di Cesare Beccaria, che così scriveva 260 anni fa nel suo Dei delitti e delle pene: «il proibire una moltitudine di azioni […] non è prevenire i delitti che ne possono nascere, ma […] è un crearne di nuovi […] e il più sicuro ma il più difficil mezzo di prevenire i delitti è il perfezionare l’educazione». Più che nuovi reati, Beccaria, padre dell’illuminismo italiano ed europeo, indicava come «mezzi efficaci» per assicurare la «tranquillità pubblica» e prevenire i delitti «la notte illuminata a pubbliche spese [e] le guardie distribuite ne’ differenti quartieri della città». Gli investimenti per la sicurezza pubblica, pur non assenti nel “pacchetto sicurezza”, hanno purtroppo un peso marginale nel contesto del decreto-legge. Ancora una volta la politica sembra preferire il diritto penale “a costo zero”, rinunciando a promuovere investimenti che – essi sì nel rispetto dei principi costituzionali! – potrebbero realmente migliorare il benessere sociale, anche sotto il profilo delle condizioni della sicurezza collettiva. Viceversa, in assenza di interventi strutturali, la suggestiva quanto vaga nozione di “sicurezza pubblica”, rischia di rimanere una formula vuota e priva di riscontri concreti, come già reso palese da precedenti esperienze legislative e, proprio, da altri “decreti sicurezza”. Sono, altresì, facilmente intuibili le ricadute sulla efficienza della giustizia penale. Introdurre nuovi reati e inasprire le pene per quelli esistenti comporterà un aumento dei procedimenti, con possibili effetti negativi sulla durata complessiva dei processi. A ciò si aggiunga un probabile aumento della popolazione detenuta, senza che il provvedimento d’urgenza – che interessa anche la materia penitenziaria – introduca misure per fronteggiare le (reali) emergenze del sovraffollamento carcerario e dell’incessante, tragico, numero record dei suicidi in carcere. Il carcere, inoltre, rischia di aprire con maggiore frequenza le sue porte alle donne incinte o madri di figli di età inferiore a tre anni, anche in ragione del limitato numero Istituti a Custodia Attenuata per detenute Madri (attualmente solo quattro in tutta Italia), dei quali non si prevede l’incremento. (da Volere la Luna) > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp  
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Mattarella firma il decreto Sicurezza
Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha firmato il decreto legge sicurezza, frutto del golpe burocratico del governo, ricalca completamente il contenuto del disegno di legge 1660. Il provvedimento-propaganda ora va alle Camere per la conversione in legge Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha firmato il decreto Sicurezza, approvato venerdì scorso dal Consiglio dei ministri, che passa quindi ora alle Camere per la conversione in legge (obbligatoria entro sessanta giorni a pena di decadenza). Il decreto, frutto di un blitz del governo, ricalca quasi completamente i contenuti del ddl Sicurezza, bloccato al Senato per un problema di coperture economiche: nel testo sono contenute varie misure-bandiera di stampo sicuritario e repressivo, tra cui il divieto di vendita di cannabis light (priva di sostanze psicotrope), il carcere fino a due anni per i blocchi stradali, il nuovo reato contro le occupazioni abusive, il maxi-salvacondotto per gli agenti segreti infiltrati (che potranno arrivare a dirigere organizzazioni criminali) e l’abolizione dell’obbligo di rinvio della pena per le condannate incinte o madri di bambini fino a un anno. Il provvedimento introduce 14 nuove fattispecie di reato e nove circostanze aggravanti.     > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp  
misure repressive
Il limite costituzionale travolto dal decreto «sicurezza»
Malgrado il ricorso alla legislazione di urgenza sia ormai prassi consolidata, non era immaginabile che lo strumento diventasse un mezzo per superare il dibattito parlamentare. Un provvedimento di «controllo» che muta il paradigma della penalità: da repressione di fatti costituenti reati a individuazione di soggettività pericolose di Mauro Palma da il manifesto Forse bisognerebbe ricordare le perplessità di Costantino Mortati nel corso della discussione che avrebbe portato alla formulazione dell’articolo 77 della Costituzione, quello che prevede la possibilità per il governo di adottare decreti-legge in caso di necessità e urgenza. Il grande costituzionalista intervenne nel settembre del 1947 nel dibattito che si era aperto con la constatazione che il Progetto predisposto dal Comitato ristretto dell’Assemblea costituente non li prevedeva e che, secondo quanto suggerito da Pietro Calamandrei, un qualche spiraglio andava lasciato, per esempio, per provvedere urgentemente in caso di terremoti o simili situazioni: «Bisognerà pure prevedere la possibilità di questi cataclismi e disporre una forma di legislazione di urgenza, che è più provvido disciplinare e limitare piuttosto che ignorarla». Mortati metteva in guardia rispetto al rischio estensivo di quel concetto di urgenza e di necessità, negando a quest’ultima la possibilità di esondare dal normale procedere legislativo, quasi configurandola come «fonte autonoma di diritto». E, proprio per questo ammoniva: «L’esperienza ha infatti dimostrato come qualsiasi tentativo di regolamentazione e di disciplina dell’emissione dei decreti-legge sia stata sempre esiziale, e non soltanto sotto il regime fascista. Essa ingenera da una parte la tentazione da parte del governo di abusarne per la più rapida realizzazione dei fini della sua politica; dall’altra parte, vorrei dire, eccita la condiscendenza del parlamento, il quale tende a scaricarsi dei compiti di sua spettanza». Il testo poi adottato nella Costituzione prevede una forma di “catenaccio” teoricamente volto a evitare il rischio di debordare. Certamente, però, quel dibattito non poteva prefigurare una situazione in cui allo strumento di legiferare per decreto, con successiva conversione, avrebbero fatto ricorso bulimico molti governi futuri – di vario orientamento politico – fino a svuotare il ruolo effettivo di almeno di una delle due camere, chiamata a ratificare a scatola chiusa quanto nell’altra si era dibattuto. Così come usualmente avviene ora. Soprattutto non poteva prevedere il ricorso al decreto-legge per superare un dibattito parlamentare attorno a un disegno di legge la cui approvazione fosse divenuta ardua proprio per le molte perplessità espresse da associazioni professionali, realtà sociali, esperti nonché da parlamentari stessi sul testo in esame. Ancor più nel caso in cui tale disegno di legge riguardasse quel bene che l’articolo 13 della Carta definisce come «inviolabile»: la libertà personale. Lorenza Carlassare si chiese anni fa se un decreto-legge potesse costituire quella tutela che la Costituzione richiede per tale bene. Invece, è proprio ciò che è avvenuto in questi giorni, con il disegno di legge cosiddetto «sicurezza» che era da più di un anno all’esame del senato, in maniera congiunta da parte della commissione per gli affari costituzionali e di quella per la giustizia e che ora si trasforma, con qualche attenuazione, ma con la stessa fisionomia, in decreto-legge. Non un testo qualsiasi, bensì un articolato che tocca vari aspetti e che sarebbe stato meglio definire di esteso «controllo» invece che non di «sicurezza», perché i due termini non sono sinonimi e, al contrario, se il secondo esprime un valore da tutelare per la collettività nel contesto di garanzia dell’effettività dei diritti per tutti, il primo rappresenta un’inaccettabile intrusione nella espressione del dissenso. Un controllo che, nel testo del decreto-legge, muta anche il paradigma della penalità trasferendone la funzione da repressione di fatti costituenti reati a individuazione di soggettività di per sé assunte come potenzialmente pericolose. Non è possibile leggere altrimenti, per esempio, il mantenimento, pur attenuato rispetto al testo del discusso disegno di legge, della possibilità di restringere in dipartimenti detentivi donne incinte e madri di bimbi di età inferiore a un anno – nonostante sia per loro riservata la sistemazione in un Icam (Istituto a custodia attenuata per madri con bambini), considerato che ne esistono solo tre al Nord e uno in Campania e che così si porrà facilmente il problema della distanza dal proprio luogo familiare. Come pure è difficile leggere altrimenti le attenuazioni impresse all’originario nuovo reato di rivolta in carcere perché queste non risolvono la gravità di penalizzare l’inadempienza a ordini impartiti, soltanto col prevedere che tale passiva resistenza debba essere tale da incidere sul mantenimento dell’ordine e della sicurezza. Come non cambia il senso del provvedimento, l’aver circoscritto le opere pubbliche o i servizi la cui interruzione determina, anche nel nuovo testo, forti aggravanti sul piano penale. Né incidono altre attenuazioni sul piano della facoltatività – e non l’obbligatorietà – per le università e gli enti di ricerca a collaborare con i Servizi di sicurezza per fornire informazioni e dati o, ancora, le attenuazioni nella politica repressiva nei confronti delle persone migranti irregolari. Sono attenuazioni che evitano il rischio di palese bocciatura e che sono state presentate enfaticamente, con anche lo sgarbo istituzionale di voler sottintendere l’intrinseca approvazione del Quirinale; ma che non mutano l’ambito paradigmatico del provvedimento. Che ruota appunto attorno a quella «necessità e urgenza» che il dibattito costituente aveva posto proprio per configurare un “catenaccio” che evitasse l’affermazione primaziale del potere esecutivo sulla produzione di norme da mantenere invece affidata al doveroso e libero dibattito parlamentare. Questo è il vulnus che tale modo di legiferare determina nell’ordinato sviluppo democratico centrato sul bilanciamento dei poteri e che è stato ed è l’asse centrale su cui la nostra Carta tesse il proprio filo. Perché di fatto – nonostante l’occhio vigile volto a far cadere le più palesi connotazioni poliziesche del provvedimento – si è azzerato un dibattito prolungato che aveva il segno di richiamare l’attenzione sul principio del limite che deve essere criterio regolatore dell’attività di governo e dello stesso potere legiferante. Qui il limite viene visto come un impaccio e per questo lo si supera forzando quello strumento che aveva costituito la lunghissima discussione nell’Assemblea costituente, protrattosi per più mesi, proprio per i rischi che si intravedevano. Anche molto inferiori a quelli che la realtà ci sta presentando. > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp  
riflessioni
misure repressive
Unione Camere Penali: Peggio del “DDL sicurezza” c’è solo il Decreto sicurezza
Dal Disegno di legge al Decreto Legge per il pacchetto sicurezza. La sottrazione dell’iniziativa legislativa alla sua ordinaria sede parlamentare denuncia, ancora una volta, l’abuso della decretazione d’urgenza nella materia penale. Il documento della Giunta di Giunta Unione Camere Penali Italiane Preso atto della volontà del Governo di emanare un Decreto Legge all’interno del quale recepire i contenuti del Disegno di legge denominato “pacchetto sicurezza”, già all’attenzione del Parlamento, non possiamo non denunciare ancora una volta l’abuso della decretazione d’urgenza nella materia penale. Tale modalità di intervento legislativo risulta tanto più inadeguata in quanto non solo adottata in mancanza di ogni profilo di necessità e di urgenza che possa giustificare una simile iniziativa, ma in quanto la stessa viene attuata con riferimento ad una serie di norme, già da più parti sottoposte a severe critiche, mentre è in corso un’ampia e approfondita discussione davanti al Senato. Nel merito, non possiamo che ribadire le ragioni di contrarietà poste a fondamento di diverse delibere di astensione e di una manifestazione nazionale alla quale è stata chiamata a partecipare la migliore accademia dei sostanzialisti e dei costituzionalisti italiani. Nonostante le annunciate modifiche, restano di fatto tutte le criticità del “pacchetto sicurezza” denunciate dall’Unione delle Camere Penali Italiane relative alla  inutile introduzione di nuove ipotesi di reato, ai molteplici sproporzionati e ingiustificati aumenti di pena, alla introduzione di aggravanti prive di alcun fondamento razionale, alla criminalizzazione della marginalità e del dissenso, ed alla introduzione di nuove ostatività per l’applicazione di misure alternative alla detenzione. L’entrata in vigore di tali discusse norme,  violative dei principi costituzionali di proporzionalità, ragionevolezza, offensività e tassatività, non farà altro che aumentare la popolazione carceraria, con ulteriore aggravio del fenomeno del sovraffollamento e con il definitivo collasso di strutture oramai allo stremo, come denunciano i quasi quotidiani suicidi, giunti oramai al numero di ventisei dall’inizio dell’anno. La sottrazione dell’iniziativa legislativa alla sua ordinaria sede parlamentare denuncia, ancora una volta, come si tratti di interventi ostentatamente simbolici e come tali privi di ogni effettiva efficacia e che, ad onta del titolo, nulla hanno a che fare con un qualche reale incremento della sicurezza dei cittadini.   > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp
misure repressive
Il Consiglio dei Ministri approva il decreto sicurezza
Blitz del governo, approvato il decreto Sicurezza, varato dal governo Meloni nel Consiglio dei ministri di stasera. Nel dl ci sono norme che puniscono maggiormente le proteste e manifestazioni, tutelano le forze di polizia, vietano la cannabis light, tra le altre cose. Caricata la manifestazione a Roma mentre il Governo approva il Disegno di legge. Feriti anche parlamentari Dal Consiglio dei ministri è arrivato il via libera al decreto Sicurezza, il dl con cui il governo Meloni ha deciso di aggirare lo stallo del ddl Sicurezza in Parlamento e passare direttamente allo strumento del decreto-legge, varato direttamente dall’esecutivo. Il decreto legge che assorbe il ddl Sicurezza. dei 38 articoli in discussione solo 6 sono stati “limati” perché a rischio incostituzionalità, ma l’impianto rimane sostanzialmente invariato. Il testo dopo la pubblicazione entrerà subito in vigore, e passerà al Parlamento, che avrà sessanta giorni di tempo per convertirlo in legge. Nel dl nuove norme che aumentano le possibili pene per chi manifesta e potenziano le forze di polizia e i servizi segreti. Ma ci sono anche provvedimenti contro la cannabis light. Il testo ha subito alcune modifiche rispetto a quello che si trovava bloccato al Senato, probabilmente per venire incontro alle richieste di modifica arrivate dal Quirinale e evitare alcuni aspetti che sarebbero risultati incostituzionali. Le opposizioni sono scese in piazza a Roma per protestare. Secondo retroscena da fonti di stampa, sarebbero sei le norme che sono state cambiate anche su richiesta del Colle. Una era quella che obbligava gli enti pubblici (incluse le università e la Rai) a collaborare con i servizi segreti e fornire loro informazioni, anche ignorando le norme sulla privacy e sulla riservatezza. Nel testo del decreto, questa collaborazione è diventata non più obbligatoria ma facoltativa, e deve seguire la normativa sulla riservatezza dei dati. Altra norma problematica era quella che prevedeva che anche la resistenza passiva, in carcere, fosse considerata pari al reato di rivolta. In questo caso, il (leggero) cambiamento è che potrà essere condannato solo chi non obbedisce a degli ordini impartiti per “il mantenimento dell’ordine e della sicurezza” nel carcere. Resta comunque possibile condannare chi non segue gli ordini, anche se non fa alcun danno materiale a persone o cose. La stessa regola si applica per le rivolte nei Cpr, mentre nei centri di accoglienza non può esistere il reato di rivolta. Cambiato solo in parte anche il punto del ddl che puniva chi protesta contro la realizzazione di opere pubbliche – un passaggio che sembrava scritto appositamente per le contestazioni no Tav e in previsione di manifestazioni contro il ponte sullo Stretto di Messina. La precisazione in questo caso è che il reato non si applica per tutte le opere pubbliche, ma solo a quelle che servono per il trasporto, le telecomunicazioni, l’energia o altri servizi pubblici. La sostanza, comunque, non cambia. C’era poi la controversa norma sulle schede sim vendute ai migranti: il ddl Sicurezza vietava di farlo a chi non avesse un permesso di soggiorno. La novità emersa nel decreto, anche in questo caso per andare incontro al Quirinale, è che ‘basterà’ un passaporto o un documento di riconoscimento come la carta d’identità. Ancora i reati di aggressione o resistenza a pubblico ufficiale. Prima, la legge prevedeva che nelle sentenze su questi illeciti non si dovessero più considerare le attenuanti generiche. L’idea è stata eliminata, perché non rispettava il principio che il diritto penale si deve applicare a tutti allo stesso modo. Infine, le donne incinte e con figli di meno di un anno: il ddl prevedeva che per loro non fosse più facoltativa la detenzione in carcere, ma obbligatoria. Il decreto mantiene questo obbligo, ma sposta la detenzione dal carcere agli Istituti di custodia attenuata per le madri incinte. Caricata la manifestazione a Roma mentre il Governo approva il Disegno di legge. Feriti anche parlamentari   > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp  
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