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L’Onu boccia il ddl sicurezza: «In Italia libertà a rischio»
Duro documento degli esperti Onu sul ddl sicurezza. Gli «special rapporteurs» esprimono al governo «forte preoccupazione» Sei Special Rapporteurs delle Nazioni Unite si sono rivolti al governo italiano per esprimere forti preoccupazioni relativamente alla possibile approvazione del Ddl sicurezza da parte del Parlamento. Nella lettera (a questo link), inviata al governo nello scorso mese di dicembre, i Relatori dell’Onu sottolineano come alcune disposizioni, se non modificate, potrebbero essere in contrasto con gli obblighi dell’Italia in materia di tutela dei diritti umani, così come stabiliti dalla Convenzione internazionale sui diritti civili e politici. In particolare, scrivono, gli articoli 9 (diritto alla libertà e alla sicurezza e divieto di detenzioni arbitrarie), 12 (diritto alla libertà di movimento), 14 (diritto a un processo equo), 17 (diritto alla privacy), 19 (diritto alla libertà di espressione e di opinione), l’articolo 21 (libertà di riunione) e l’articolo 22 (libertà di associazione). Sulla base di questo, i sei Relatori (il Relatore speciale sui diritti alla libertà di riunione pacifica e di associazione; il Relatore speciale sulla promozione e la protezione del diritto alla libertà di opinione e di espressione e di espressione; il Relatore speciale sulla situazione dei difensori dei diritti umani; il Relatore speciale sui diritti umani dei migranti; il Relatore Speciale Relatore speciale sulle forme contemporanee di razzismo, discriminazione razziale, xenofobia e intolleranza correlata; il Relatore speciale sulla promozione e la protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali libertà fondamentali nella lotta al terrorismo) hanno avanzato anche alcune richieste di modifica del disegno di legge. I relatori sostengono che verrebbero lesi il diritto alla libertà e il divieto di detenzioni arbitrarie, quello alla libertà di movimento e a un processo equo, il diritto alla privacy e alla libertà di espressione e di opinione, la libertà di riunione quella di associazione. « “Dopo l’OSCE e il Commissario sui Diritti Umani del Consiglio d’Europa, stavolta sono ben sei Relatori Speciali delle Nazioni Unite a dirsi preoccupati per questo disegno di legge con il quale, l’Italia, rischia di porsi fuori dal consesso internazionale in materia di tutela dei diritti umani – sostiene Patrizio Gonnella di Antigone – Dinanzi a così tante e qualificate prese di posizione Governo e Parlamento dovrebbero tornare sui propri propositi, rendendosi conto di quale vulnus giuridico e democratico stiano portando avanti. L’Italia perde credibilità e prestigio internazionale se si pone ai margini delle democrazie liberali. La democrazia è principalmente protezione delle minoranze. Non si può ad esempio punire con 8 anni di carcere il detenuto che disobbedisce passivamente. E’ incredibile». > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp
January 17, 2025 / Osservatorio Repressione
Zone rosse: la costruzione di persone pericolose
Dai social alle ordinanze dei prefetti una serie di gruppi sociali e di persone razzializzate sono definiti “pericolosi”, dando molto più potere nelle mani delle forze dell’ordine lasciandogli piena discrezionalità di Vanessa Bilancetti da DINAMOpress Mercoledì della scorsa settimana – il giorno dopo l’uscita del video dell’inseguimento e dell’uccisione di Ramy Elgaml – abbiamo pubblicato sul canale instagram di Dinamo press il video di un fermo avvenuto nel quartiere San Lorenzo di Roma che ci era stato inviato da unƏ nostrƏ lettorƏ che era sul posto. Nella descrizione del video scrivevamo: «Quattro volanti corrono a sirene spiegate più di dieci agenti escono e afferrano un uomo lo buttano a terra violentemente, lo chiudono, si stringono intorno a lui per impedire di vedere la scena, lo ammanettano e poi lo caricano sull’auto. Una persona che faceva un video è stata identificata. E le persone accorse sono state allontanate. La dinamica non è chiara, ma era stato trovato a rubare delle cose da mangiare in un supermercato accanto a dove è stato preso in arresto. Le violenze contro le persone razzializzate e povere da parte delle forze dell’ordine nelle nostre città si moltiplicano e amplificano, il governo Meloni si compiace e lo trascrive tra i propri successi. Ma questa è veramente sicurezza?». Abbiamo avuto la conferma nei giorni seguenti che la persona era stata fermata perché trovata a rubare nel supermercato vicino al luogo del suo arresto. > Non crediamo sia utile chiederci quante volanti siano necessarie per fermare > un uomo che sottrae del cibo e che, scoperto, tenta di scappare dopo aver > avuto una colluttazione con il responsabile del negozio. Ci sembra invece più > utile inquadrare questo video nella partita aperta dal governo intorno alla > questione “sicurezza”. Data 3 gennaio, infatti, l’ordinanza del prefetto di Roma, che istituisce le nuove zone rosse nella città, tra cui la stazione Termini ed Esquilino, a seguito della direttiva inviata dal Ministro degli Interni ai prefetti poco prima di Capodanno e già attuate a Firenze, Bologna, Milano e Napoli. Nelle aree individuate in queste città «sono state controllate complessivamente 24.987 persone, con l’emissione di 228 provvedimenti di allontanamento», come leggiamo nella nota del Ministero aggiornata al 9 gennaio. In queste zone è possibile emettere ordini di allontanamento e divieti di accesso per persone considerate pericolose «perché denunciati o condannati, anche con sentenza non definitiva, nel corso dei cinque anni precedenti, per delitti contro la persona o contro il patrimonio commessi nelle aree interne e nelle pertinenze di infrastrutture ferroviarie, aeroportuali, marittime e di trasporto pubblico locale, urbano ed extraurbano», come definisce la direttiva Piantedosi del 17 dicembre. L’idea è quella di «prevenire e contrastare l’insorgenza di condotte di diversa natura che – anche quando non costituiscono violazioni di legge – sono comunque di ostacolo al pieno godimento di determinate aree pubbliche, caratterizzate dal persistente afflusso di un notevole numero di persone». > Quindi con l’istituzione delle zone rosse diventa possibile allontanare tutte > le persone che possono “sembrare” pericolose. Ma sulla base di quali > percezioni i comportamenti e le persone possono essere considerate pericolose? E qui ritorniamo al nostro video di una persona che viene fermata e portata via da quattro volanti per aver rubato in un supermercato. La persona in questione è razzializzata e il fermo avviene nel quartiere limitrofo alla nuova zona rossa, stazione Termini. Il video in poche ore è virale, oggi ha superato le 210.000 visualizzazioni. Più il video gira più i commenti diventano apertamente razzisti, in supporto dell’operato delle forze dell’ordine e di offesa al nostro lavoro considerato “buonista”. La torsione avviene, in particolare, quando tre pagine instagram “notizie locali”, “Italia spaccona” e “non.fa.ridere” remixano il video con il solo titolo “quattro volanti” e riportando solo la parte introduttiva della nostra descrizione. Queste sono pagine che ripostano solo contenuti riguardanti gli spazi urbani “degradati”, persone che vivono in strada in situazioni difficili e contenuti denigratori nei confronti di persone migranti e razzializzate. > Ed ecco come il nostro stesso contenuto si trasforma in qualcos’altro. Da un > video di denuncia di un uso eccessivo della forza pubblica, a un video che > insulta la persona in stato di fermo, ed esulta del suo arresto. A questo > punto abbiamo bloccato i commenti e i remix, limitando la circolazione del > video, perché il nostro obiettivo non erano le visualizzazioni in quanto tali. Una traccia simile può essere seguita per le “borseggiatrici”, che dall’estate scorsa sono diventate virali in centinaia di video girati in tutte le città d’Italia. Fino ad approdare in un articolo del DdL Sicurezza, dove si apre «la possibilità per le donne incinte e per le madri con figli entro l’anno di età, il rinvio della pena non più obbligatorio, come stabilisce l’articolo 146 del codice penale, ma diventerà facoltativo, a discrezione del giudice», come scrive Anna Pizzo sul nostro sito. Anche qui la norma ha una chiara matrice etnica e si indirizza alle donne rom e sinti. E potremmo continuare con le polemiche montate ad arte tra giornali cartacei, programmi televisivi e social sui “maranza” del capodanno a Milano, o le baby gang (sempre di seconda generazione) nell’estate di Rimini. > La percezione, quindi, si costruisce in questo ecosistema mediale, che > amplifica e moltiplica razzismo, xenofobia, e islamofobia, per questioni di > click e accaparramento di fette di mercato. E che con l’abolizione del fact > checking di Meta potrà solo peggiorare. Gli youtuber, ripresi dalle televisioni e ormai invitati alle feste di partito, che fanno milioni di views sulla stazione Termini «violenta» e «insicura» costruiscono questa percezione sociale di pericolosità. Decreti e ordinanze iscrivono questa pericolosità a livello istituzionale, dando alle forze dell’ordine la possibilità di perseguire qualsiasi «condotta di diversa natura» e lasciando loro piena discrezionalità al di fuori di qualsiasi controllo. > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp  
January 16, 2025 / Osservatorio Repressione
Dopo Ramy: violenza, ordine pubblico, ipocrisia
In alcune manifestazioni di protesta per la morte di Ramy Elgaml ci sono stati scontri tra dimostranti e forze di polizia. Come, in casi analoghi, a Los Angeles, a Lione o a Londra. Ma la maggior parte della politica ha preferito ignorare le ragioni della protesta e invocare repressione per i manifestanti e impunità per la polizia. Ancora una volta, meglio raccattare qualche voto in più che affrontare i problemi… di Livio Pepino da Volere la Luna Il 24 novembre Ramy Elgaml, 19 anni, egiziano, da tempo residente in Italia, muore a Milano, sbalzato dal sellino posteriore della moto guidata da un coetaneo, nello schianto della stessa all’esito di un inseguimento per le vie cittadine, protrattosi per otto chilometri, da parte di due auto dei carabinieri. La dinamica dello schianto (stando ai filmati diffusi sui media e acquisiti dalla Procura di Milano) rende verosimile lo speronamento della moto da parte di una delle auto inseguitrici e la responsabilità (quantomeno) del carabiniere che la guidava. Nei giorni successivi Ramy diventa un simbolo e, prima a Milano e poi nel resto del Paese, si susseguono manifestazioni di protesta, spontanee e auto organizzate, per quella morte assurda. In alcune di esse – a Torino, a Bologna, a Roma – si verificano “disordini” e scontri tra i dimostranti e le forze di polizia. Il copione è sempre lo stesso. Gli striscioni e gli slogan gridano all’omicidio di polizia. Le forze dell’ordine cercano di impedire l’accesso a zone centrali o l’avvicinamento a edifici pubblici sensibili (caserme, commissariati, ambasciate…). Dal corteo partono lanci di lattine e bottiglie. La polizia carica. Mentre il corteo si disperde, alcuni dimostranti lanciano petardi o bombe carta rudimentali. La cosa si ripete due o tre volte fino a che la manifestazione si scioglie lasciando sul campo segnali stradali divelti, cassonetti rovesciati e qualche escoriazione ad agenti di polizia e a dimostranti. I quotidiani e i telegiornali del giorno dopo sono pieni di articoli sparati con grande evidenza in cui si evocano scene di guerriglia e città messe a ferro e fuoco. Parallelamente la maggior parte della politica – di destra, ma non solo – si straccia le vesti, parla di delinquenti e teppisti che devastano le città, stigmatizza la “inaccettabile violenza” e solidarizza con le forze di polizia “senza se e senza ma”. Chi si stacca dal coro – soprattutto a sinistra – lo fa, per lo più, con imbarazzo e con mille distinguo. Tutto già visto e già detto, anche quanto alla superficialità e alla strumentalità delle analisi e delle dichiarazioni. Consumato l’ossequio al rito della (doverosa) critica della violenza – che si vorrebbe, peraltro, senza distinzioni: cioè da qualunque parte esercitata – è, finalmente, tempo di riprendere a ragionare, partendo da alcuni punti fermi. Primo. Le manifestazioni che attraversano il mondo (contro la guerra, contro il razzismo, contro le ingiustizie, contro l’autoritarismo, per il lavoro e via elencando) portano con sé, talora, violenze e scontri con le forze dell’ordine. Accade da sempre. Basta aver letto qualche classico. Uno per tutti: «“Pane! pane! aprite! Aprite!” […] “Giudizio, figliuoli! badate bene! siete ancora a tempo. Via, andate, tornate a casa. Pane, ne avrete; ma non è questa la maniera. Eh!… eh! Che fate laggiù! Eh! a quella porta! Oibò oibò! Vedo, vedo: giudizio! badate bene! è un delitto grosso. Or ora vengo io. Eh! eh! smettete con que’ ferri; giù quelle mani. Vergogna. Voi altri milanesi, che, per la bontà, siete nominati in tutto il mondo! Sentite, sentite: siete sempre stati buoni fi… Ah canaglia!”. Questa rapida mutazione di stile fu cagionata da una pietra che, uscita dalle mani d’uno di que’ buoni figliuoli, venne a batter nella fronte del capitano, sulla protuberanza sinistra della profondità metafisica. “Canaglia! canaglia!” continuava a gridare, chiudendo presto presto la finestra, e ritirandosi. […] Più d’uno fu conciato male; due ragazzi vi rimasero morti. Il furore accrebbe le forze della moltitudine: la porta fu sfondata, l’inferriate, svelte; e il torrente penetrò per tutti i varchi» (Alessandro Manzoni, I promessi sposi, 1840-1841, cap. XII). È così da sempre: per scelte o per dinamiche incontrollate. Non si tratta di giustificare o minimizzare, ma di guardare in faccia la realtà per quel che è e non per quel che si vorrebbe secondo i propri gusti e le proprie inclinazioni. Personalmente – lo dico per inciso – non ho mai ceduto alla fascinazione della violenza: perché le dure lezioni della storia hanno dimostrato che raramente essa è levatrice di democrazia e di libertà e, al contrario, la sua pratica alimenta assai spesso prevaricazioni e ulteriore violenza. Ma prendere atto della realtà non è un lusso intellettualistico, bensì il presupposto per affrontarla in modo non velleitario. Lo aveva capito persino il legislatore fascista che, proprio in considerazione delle dinamiche proprie dei grandi assembramenti, aveva inserito nel codice penale la disposizione dell’art. 62 n. 3, dedicata alla circostanza di «aver agito per suggestione di una folla in tumulto» (fonte, in caso di condanna, di una riduzione di pena). Secondo. Le cose non cambiano se, dalla storia e dalla sociologia, si passa alla geografia e alla geopolitica. Proteste e scontri sono simili, se non identici, in ogni parte del mondo. Ad essere diverse sono, a ben guardare, solo le reazioni che le accompagnano. Se i fatti avvengono in paesi geograficamente e politicamente lontani (per esempio in Georgia, a Caracas o a Hong Kong), i manifestanti sono comunque – e spesso a ragione, beninteso – considerati avanguardie di libertà e di progresso mentre le forze dell’ordine sono descritte come strumenti del potere dediti a una repressione brutale e ingiustificata. Se, invece, quegli stessi fatti avvengono a casa nostra, gli scontri sono enfatizzati come episodi di guerriglia anche in assenza di danni alle persone, i dimostranti vengono definiti teppisti e delinquenti tout court, la polizia è considerata sempre vittima di aggressioni ingiustificate (a prescindere dalle modalità del suo intervento). Tutto questo in ogni caso, indipendentemente dalle ragioni delle proteste, che restano sullo sfondo come particolare irrilevante o, comunque, di secondaria importanza. L’irrazionalità dell’approccio ne rivela la strumentalità e suggerisce di cambiare registro, almeno se la finalità dell’analisi è quella di individuare politiche adeguate e non di raccattare qualche voto in più parlando alla pancia di masse disinformate. Terzo. Veniamo, a questo punto, ai fatti dei giorni scorsi, che, pur nel quadro generale delle manifestazioni di piazza, hanno una loro innegabile specificità. Lo si vede anche dall’esperienza comparata. Quel che è successo a Torino, a Roma o a Bologna accade da trent’anni costantemente, e con ben maggiore violenza, a Lione, a Los Angeles o a Londra all’indomani della morte o del ferimento per mano di operatori di polizia di un nero, di un migrante o di un ragazzo delle banlieues. Tutti scalmanati delinquenti quelli che, in situazioni del genere, scendono nelle strade, ovunque nel mondo, con slogan di dura contestazione? E tutti buonisti irresponsabili quelli che invitano a cogliere i segnali che vengono dalla piazza? O c’è qualche lezione che si può trarre da queste esperienze? Un fatto è evidente. Alla base delle tensioni che caratterizzano le manifestazioni conseguenti a violenze istituzionali o di polizia nei confronti di migranti e marginali ci sono sacrosante rivendicazioni di uguaglianza e di giustizia e c’è una rabbia sociale che cova – e poi esplode – in città trasformate in polveriere da degrado delle periferie, violenze istituzionali, mancanza di ascolto. Senza contare che le spinte alla violenza sono acuite dal contesto: le immagini inaudite delle guerre in corso che accompagnano, irradiate dai telegiornali, i nostri pasti quotidiani non sono certo un incentivo alla convivenza e alla pace sociale. È la realtà, non un sociologismo di comodo o un giustificazionismo acritico. Ed è grottesco ridurre tutto alla regia di questo o di quel centro sociale o sottolineare che tra i manifestanti ci sono, a fianco di migranti e marginali, giovani di diversa estrazione sociale (quasi che ciò escludesse personali valutazioni e rielaborazioni della propria stessa condizione). Negare ed esorcizzare questa realtà produce solo un circolo vizioso di ulteriore esasperazione e violenza. Quarto. Tutto vero, dicono alcuni (i più illuminati…), ma non ci si può fermare alle analisi e arrendersi, poi, ai fatti senza reagire. Giusto, a condizione, però, di mettere in campo politiche razionali ed appropriate e non risposte purchessia (o, peggio, interventi che hanno il solo effetto di inasprire e peggiorare le cose). Che fare, dunque? Non ci sono bacchette magiche ma, senza aspettative salvifiche (che richiederebbero cambiamenti sociali profondi che non sono all’ordine del giorno), qualcosa di utile e produttivo si può e si deve fare: a) anzitutto vanno evitati gli atteggiamenti isterici e strumentali che, amplificando i fatti (anche quelli più modesti), alimentano, da un lato, pregiudizi e insicurezza e, dall’altro, risentimento e diffidenza; b) in secondo luogo bisogna intervenire con decisione, sanzionando tempestivamente gli abusi, sui comportamenti razzisti, discriminatori e violenti delle forze di polizia (che, con buona pace di chi non vuol vedere, esistono, in misura più o meno grande: https://volerelaluna.it/materiali/2024/10/24/rapporto-sul-razzismo-e-lintolleranza-in-italia/); c) in terzo luogo occorrono politiche di ordine pubblico lungimiranti, con una gestione concordata delle piazze in luogo di contrapposizioni muscolari e di repressione esemplare (magari colpendo nel mucchio): anche perché decenni di esperienza comparata hanno dimostrato che, con riferimento a questo tipo di manifestazioni, la cosiddetta “tolleranza zero” ha prodotto, qualche volta, una normalizzazione contingente ma mai risultati duraturi e si è spesso trasformata in boomerang; d) infine ci vogliono, nelle città, politiche inclusive, confronto, dialogo, ascolto. Certo, ciò richiede tempo: anni, e non pochi. Ma se non si comincia mai ce ne vuole molto di più. E, poi, non partiamo da zero. Ci sono, in giro per il mondo, e anche nel nostro Paese, esperienze virtuose da riprendere. Ne cito una: quella di Torino degli anni ‘80 del secolo scorso, all’insegna dello slogan “educare la città”, che ha prodotto risultati positivi universalmente riconosciuti (https://volerelaluna.it/controcanto/2023/09/14/per-contenere-il-disagio-educare-la-citta-unesperienza/): in termini di sicurezza diffusa, di gestione dei conflitti e, insieme, di riduzione della repressione (ricordo, come magistrato di sorveglianza dell’epoca, il carcere minorile vuoto). Poi le cose sono cambiate: non nei giovani e nella protesta, ma nella politica e nelle sue parole d’ordine… E oggi siamo a questo punto. > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. 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January 16, 2025 / Osservatorio Repressione
La morbosa società della sorveglianza
A proposito del decreto Sicurezza e del controllo di scuole e università di Federico Giusti Le università italiane, protagoniste di proteste e iniziative contro il genocidio in Palestina, sarebbero attenzionate dalle Forze dell’ordine e perfino dal Servizi Segreti. Non c’è certo da meravigliarsi a leggere dichiarazioni roboanti di esponenti della destra che chiedono la chiusura dei covi della sovversione riferendosi a centri sociali e aule autogestite da realtà più o meno organizzate nelle scuole superiori e negli atenei. L’obiettivo di questa campagna repressiva è del tutto evidente: normalizzare scuole ed università attribuendo alle strutture di movimento, ai sindacati conflittuali la paternità delle occupazioni di ogni problema di ordine pubblico, anzi la deliberata volontà è proprio quella di trasformare in minaccia all’ordine pubblico ogni istanza sociale e rivendicativa iniziativa, magari a tutela del diritto allo studio, al contrasto della precarietà e degli appalti al ribasso. Porre quindi fine ad ogni esperienza e mobilitazione nel mondo dell’istruzione, uniformare il mondo della conoscenza ai dettami del Governo, della finanza e magari delle imprese di guerra, impedire ogni agibilità a docenti contro la guerra proprio quando stanno per arrivare tagli poderosi alla ricerca e agli atenei con la ventilata chiusura, o apertura parziale, di tante aule studio. Nelle settimane scorse eravamo intervenuti sulla pericolosità dell’articolo 31 del disegno di legge (approvato alla Camera col numero 1660 e oggi in discussione al Senato come 1236)  ‘Sicurezza’  la cui definitiva approvazione viene auspicata dal Governo in tempi rapidissimi Si va prefigurando un autentico stato di polizia all’orizzonte prevedendo, e di questo parla anche Tommaso Montanari su Il Fatto Quotidiano del 13 Gennaio, :  “Le pubbliche amministrazioni, le società a partecipazione pubblica o a controllo pubblico e i soggetti che erogano, in regime di autorizzazione, concessione o convenzione, servizi di pubblica utilità sono tenuti a prestare al DIS, ALL’AISE e ALL’AISI la collaborazione e l’assistenza richieste, anche di tipo tecnico e logistico, necessarie per la tutela della sicurezza nazionale. Il DIS, L’AISE e L’AISI possono stipulare convenzioni con i predetti soggetti, nonché con le università e con gli enti di ricerca, per la definizione delle modalità della collaborazione e dell’assistenza suddette. Le convenzioni possono prevedere la comunicazione di informazioni ai predetti organismi anche in deroga alle normative di settore in materia di riservatezza”. Se tutte le pubbliche amministrazioni, incluse università e scuola pubblica dovessero collaborare con i Servizi segreti e di sicurezza non saremmo dinanzi ad una aperta violazione dei principi di autonomia e libertà della ricerca e dell’insegnamento sanciti dalla Costituzione? Si preannuncia una immane schedatura di massa. È chiaramente in gioco la libertà dell’istruzione e della ricerca ma in generale ogni agibilità democratica nella società Il disegno di legge Sicurezza va respinto in toto, il suo impianto repressivo si prefigura come risposta dell’economia di guerra per tacitare ogni opposizione interna a partire dalle scuole e dall’università colpendo studenti e studentesse e anche ogni forma di insegnamento critico e non omologato all’economia di guerra E da respingere è anche la proposta del Governo di inserire uno scudo penale per gli agenti delle forze dell’ordine (ma allora perché non per gli operatori della sanità?) che utilizzano le armi o la forza nell’esercizio della loro funzione, questo scudo sospende quanto resta dello stato di diritto e ci porta direttamente ad uno stato di polizia dove l’accertamento di eventuali abusi sarà proibito per legge   > La morbosa attenzione degli apparati repressivi verso il mondo della > conoscenza > I servizi segreti «infiltrano» le università     > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp  
January 15, 2025 / Osservatorio Repressione
Ddl Sicurezza: La destra vuole accelerare l’approvazione al Senato
Dopo le manifestazioni nel weekend in varie città italiane contro l’omicidio di Ramy da parte dei Carabinieri e che ha visto tensioni con le forze dell’ordine arriva l’accelerazione da parte della destra per l’approvazione definitiva del ddl sicurezza. Il capogruppo di FI Maurizio Gasparri ha annunciato che chiederà di “passare direttamente in Aula per la discussione”, superando così i lavori in commissione. La lega propone per il patrocinio gratuito per gli agenti indagati per abusi, torture, violenze e soprusi La destra accelera sul ddl cosiddetto sicurezza all’esame delle Commissioni Affari Costituzionali e Giustizia del Senato, invocando pure un’ulteriore peggioramento, una nuova norma che tuteli – ossia garantisca l’impunità quasi assoluta – gli agenti. A dirlo il ministro alla Difesa, Crosetto, mentre, il capogruppo di Forza Italia al Senato, Gasparri, annuncia che chiederà “di far passare direttamente in Aula il ddl” per superare così “l’ostruzionismo delle opposizioni in Commissione”. Contro il ddl nel fine settimana due partecipate assemblee nazionali: a Firenze, la rete “libere e liberi di lottare”, a Roma, la Rete “no ddl sicurezza A pieno regime” All’assemblea romana della Rete “no ddl sicurezza A pieno regime” sono state decise alcune scadenze . 17 gennaio – “100mila luci contro il buio del regime”, mobilitazioni in tutta Italia per difendere il diritto a manifestare; 3-5 febbraio – Carovana a Bruxelles. Delegazione della Rete al Parlamento Europeo; 14-15 febbraio – Mobilitazione territoriale;  28-30 marzo – Partecipazione Assemblea europea Reset; Giorno dell’approvazione del Ddl – Blocco e assedio a Roma, mobilitazione nazionale: «Sarà una giornata di blocco e di assedio, a partire da una piazza comune, nella quale la molteplicità delle pratiche che porteremo stanno dentro la cornice di esercitare conflitto e ampliare il consenso.» Su questa assemblea Radio Onda d’Urto ha chiesto un report ad Anna Irma Battino. Clicca qui per ascoltare o scaricare l’intervista. L’assemblea della Rete Liberi e libere di lottare, svoltasi al Cpa Firenze Sud, ha deciso una giornata di manifestazioni territoriali il 25 gennaio in solidarietà alla Resistenza palestinese e contro il Ddl sicurezza; 3-9 febbraio iniziative contro le zone rosse per rompere il divieto; 24 febbraio iniziative contro la guerra, l’economia di guerra e le fabbriche di armi; settimana precedente il giorno dell’approvazione del Ddl mobilitazioni territoriali e con possibilità di una mobilitazione di massa (proposta in divenire da definire meglio prossimamente). Su questa assemblea il resoconto a Radio Onda d’Urto con  Francesco della Rete Liberi/e di lottare Clicca qui per ascoltare o scaricare l’intervista   > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp
January 13, 2025 / Osservatorio Repressione
La morbosa attenzione degli apparati repressivi verso il mondo della conoscenza
L’art. 31 del ddl Sicurezza. Università e servizi segreti vanno a braccetto: Orwell è servito di Federico Giusti Stando a quanto abbiamo letto le università italiane, protagoniste di proteste e iniziative contro il genocidio in Palestina, sarebbero particolarmente attenzionate dalle Forze dell’ordine e perfino dal Servizi Segreti. Non passa giorno in cui esponenti della destra chiedano la chiusura di tutti gli spazi concessi nelle scuole superiori e negli atenei a studenti e studentesse attivi che hanno dato vita ad associazioni e collettivi. L’obiettivo è esplicito ossia porre fine ad ogni esperienza e mobilitazione nel mondo dell’istruzione, uniformare il mondo della conoscenza ai dettami del Governo, della finanza e magari delle imprese di guerra mentre stanno per arrivare tagli poderosi alla ricerca e agli atenei con la ventilata chiusura, o apertura parziale, di tante aule studio. Nelle settimane scorse eravamo intervenuti sulla pericolosità dell’articolo 31 del disegno di legge (approvato alla Camera col numero 1660 e oggi in discussione al Senato come 1236)  ‘Sicurezza’  la cui definitiva approvazione viene auspicata dal Governo in tempi rapidissimi Si va prefigurando un autentico stato di polizia all’orizzonte prevedendo, e di questo parla Tommaso Montanari su Il Fatto Quotidiano del 13 Gennaio:  “Le pubbliche amministrazioni, le società a partecipazione pubblica o a controllo pubblico e i soggetti che erogano, in regime di autorizzazione, concessione o convenzione, servizi di pubblica utilità sono tenuti a prestare al DIS, ALL’AISE e ALL’AISI la collaborazione e l’assistenza richieste, anche di tipo tecnico e logistico, necessarie per la tutela della sicurezza nazionale. Il DIS, L’AISE e L’AISI possono stipulare convenzioni con i predetti soggetti, nonché con le università e con gli enti di ricerca, per la definizione delle modalità della collaborazione e dell’assistenza suddette. Le convenzioni possono prevedere la comunicazione di informazioni ai predetti organismi anche in deroga alle normative di settore in materia di riservatezza”. Tutte le pubbliche amministrazioni, incluse università e scuola pubblica dovranno collaborare con i Servizi segreti e di sicurezza violando quei principi di autonomia e libertà sanciti dalla Costituzione. Si preannuncia una immane schedatura di massa. È in gioco la libertà dell’istruzione e della ricerca ma in generale ogni agibilità democratica nella società Il disegno di legge Sicurezza va respinto in toto, il suo impianto repressivo si prefigura come risposta dell’economia di guerra per tacitare ogni opposizione interna a partire dalle scuole e dall’università   > I servizi segreti «infiltrano» le università       > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp    
January 13, 2025 / Osservatorio Repressione
La polizia recluta gli studenti in classe
Continua la propaganda militarista e sicuritaria della destra all’interno delle scuole. Il reclutamento di nuovi poliziotti si cerca negli istituti scolastici. L’annuncio del capo della polizia Vittorio Pisani: nelle superiori c’è un «bacino delle vocazioni». E annuncia l’avvio di «percorsi formativi». Per la segretaria della Flc Cgil l’obiettivo è sostituire il lavoro dei docenti sull’educazione civica con soggetti esterni di Valerio Cuccaroni insegnante da il Domani Continua la propaganda militarista e sicuritaria della destra all’interno delle scuole. Vittorio Pisani, nominato capo della Polizia dal governo Meloni nel maggio 2023, ha annunciato l’assunzione di 20mila agenti entro il 2028, precisando che il reclutamento punterà sulle scuole, con l’organizzazione di «percorsi formativi». Durante il discorso di inizio anno, tenuto alla questura di Napoli e in collegamento con tutte le altre sedi italiane della polizia, Pisani ha detto a chiare lettere: «La nostra attenzione è focalizzata sui giovani e fin dalle scuole medie superiori lavoreremo per ampliare il bacino delle vocazioni attraverso percorsi formativi». «Dunque riflettori accesi sulle scuole», ha concluso, «non solo per sostenere i ragazzi su percorsi di legalità ma per cercare i poliziotti del futuro». L’annuncio ha il sapore di un’operazione di propaganda, come dimostra la situazione specifica del corpo di polizia, il cui contratto di lavoro è stato siglato «con un ritardo di oltre mille giorni, con aumenti salariali di appena il 5,78%», scrive il segretario del sindacato di polizia Silp Cgil Pietro Colapietro in un comunicato del 7 gennaio, «in un contesto in cui il costo della vita è un 17% più alto rispetto al 2021, dopo non aver messo un euro per le assunzioni straordinarie mentre quelle ordinarie non compensano il turn over, dopo aver lasciato irrisolti i temi delle pensioni e degli alloggi, dopo aver addirittura ridotto le risorse destinate nel 2025 al vestiario, alla logistica e agli strumenti operativi». Dunque, si annunciano assunzioni di poliziotti mentre si tagliano o non si destinano risorse sufficienti per la polizia. Ma quel che importa in questo caso è che la propaganda militarista che strumentalizza studenti minorenni, usando termini e concetti che rinviano alla sfera del sacro, per cui la scuola è concepita come un «bacino delle vocazioni», con una formazione in classe «per mandare dei messaggi sul nostro lavoro». Diventare poliziotti, però, non equivale a ordinarsi sacerdoti: non c’è nessuna chiamata dall’alto, nessuna missione di evangelizzazione da compiere.  “Le ali della pace” Una mistificazione che rientra all’interno di una campagna di militarizzazione delle scuole, con decine di esempi di cui Domani ha più volte scritto, e che non teme il paradosso: dal concorso intitolato “L’Italia ripudia la guerra” in cui però si deve esaltare il ruolo del Militare italiano «a tutela della pace», ha sempre nuove iniziative come le conferenze di orientamento proposte per il 2024-2025 dal Comando militare esercito (Cme) della Toscana, che mira a reclutare giovani fanti nelle scuole, indirizzandoli già dopo il biennio alle scuole militari di Napoli e Milano; dall’agenzia di formazione Nissolino Corsi che a studenti e diplomati under 25 ha proposto l’iniziativa “Una divisa sotto l’albero” per ottenere un corso gratuito per entrare in Polizia o nelle Forze Armate; fino al Comando dell’Aeronautica militare di Capodichino “Ugo Niutta” di Napoli che ha intitolato “Le ali della pace” un incontro con gli studenti, previsto per il 24 gennaio prossimo, che coinvolgerà alunni delle scuole primarie e studenti di istituti superiori di Napoli. «Non si può fare a meno di sottolineare come appaia mistificante già dal titolo, “Le ali della pace”, una manifestazione che intende portare scolaresche in visita ad un Comando dell’Aeronautica, col dichiarato intento di far riflettere questi minori sulla “convivenza pacifica fra i popoli”, ma, paradossalmente, in una struttura di natura bellica al servizio della difesa aeronavale non solo italiana ma anche Usa e Nato», dice Ermete Ferraro, presidente del Movimento Internazionale della Riconciliazione (Mir) e responsabile del Mir Napoli. Il Mir è la più antica organizzazione italiana per la pace e la nonviolenza, fondata in Gran Bretagna nel 1919 come International Fellowship of Reconciliation (Ifor) e introdotta in Italia nel 1952 ad opera dei valdesi Tullio Vinay e Carlo Lupo, insieme ai quaccheri Ruth e Mario Tassoni, da subito in collegamento con Gandhi. «Approccio sicuritario» «È da oltre un anno che denunciamo la progressiva militarizzazione nelle scuole e in generale nei luoghi della conoscenza», conferma la segretaria del sindacato della scuola Flc Cgil, Gianna Fracassi, che precisa: «Abbiamo assistito nel corso degli ultimi mesi a visite guidate fin dalla scuola primaria alle industrie belliche, alternanza scuola/lavoro nelle aziende produttrici di armi, campi estivi con gli Alpini o reparti di élite della Marina, studio della lingua inglese con Marines Usa e protocolli vari di singoli Uffici scolastici regionali con le forze armate». Per Fracassi, invece, «la scuola è un luogo di pace e deve educare alla pace perché su questo la nostra Costituzione è indiscutibile. La seconda questione è la progressiva svolta autoritaria che si nutre di parole d’ordine e di ossessioni, come quella sulla sicurezza, che è incarnata da tante iniziative del governo e del ministro Valditara». «L’obiettivo – secondo la segretaria di Flc – è sostituire il lavoro dei docenti sui temi dell’educazione civica con soggetti esterni, sprovvisti di capacità educativa, e soprattutto avulsi dal curricolo formativo delle singole scuole. Lo trovo profondamente sbagliato ed è un’ulteriore conferma del tentativo di imporre ideologicamente un approccio sicuritario oltre che un profondo atto di disistima nei confronti dei docenti».     > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp
January 13, 2025 / Osservatorio Repressione
Il vero obiettivo di Facebook
Musk, Zuckerberg e Bezos sono tre dei dieci uomini più ricchi del mondo. Si oppongono sempre più ferocemente a qualsiasi regolamentazione delle loro attività. Per questo cercano di far apparire come censura qualsiasi forma di controllo indipendente, quando il problema reale e urgente è il ruolo straordinariamente dannoso che i titani della tecnologia hanno nella definizione, a livello globale, di discorsi pubblici parziali basati sulla discriminazione di Silvia Ribeiro da la Jornada – traduzione a cura di Comune-Info Qualche giorno fa Mark Zuckerberg, proprietario di Facebook e Instagram (entrambi della società Meta), ha annunciato che avrebbe smesso di verificare i dati pubblicati su queste reti, seguendo il modello di X, la rete acquistata da Elon Musk. È una pubblicità con molti spigoli e tutti negativi. In precedenza, anche Jeff Bezos, proprietario di Amazon e del Washington Post, aveva detto che stava modificando quella che chiamano “moderazione dei contenuti” nei media da lui controllati. Affermano in modo fuorviante che ciò avviene in nome della “libertà di espressione”. Al contrario, si tratta di una nuova ondata di censura selettiva. Sia X che Facebook e Instagram hanno cancellato arbitrariamente contenuti che i loro proprietari non vogliono diffondere; un caso drammatico è quello delle informazioni sul genocidio di Israele contro la Palestina. Sebbene Zuckerberg lo neghi, un articolo di ricerca della BBC del dicembre 2024 mostra come Facebook e Instagram abbiano limitato le notizie che i giornalisti palestinesi pubblicano da Gaza e dalla Cisgiordania. Già dall’ottobre 2023, dopo l’attacco di Hamas contro i cittadini israeliani, Facebook ha limitato le notizie provenienti dai giornalisti palestinesi, oltre a cambiare l’algoritmo in modo che i commenti sui palestinesi fossero più aggressivi, ad esempio aggiungendo la parola “terrorista” “nelle traduzioni. Un ingegnere di Meta ha espresso preoccupazione per “l’introduzione di un nuovo pregiudizio contro gli utenti palestinesi”. Meta ha confermato di aver effettivamente modificato l’algoritmo, ma per rispondere a quello che ha definito un “aumento del contenuto di odio” proveniente dai territori palestinesi (Cómo Facebook e Instagram restringen las noticias que los periodistas palestinos publican desde Gaza). Inoltre, la rete X di Musk ha abbondanti casi di censura e discriminazione selettiva, incluso il blocco degli account degli utenti su questo e altri argomenti, a seconda delle preferenze politiche o commerciali di Musk (Musk, X y el control del mundo). Un articolo di Sheera Frenkel e Kate Conger sul New York Times ha mostrato come i discorsi di odio, razzisti, omofobici, misogini e neonazisti siano aumentati in modo esponenziale dopo che Musk ha acquistato Twitter e ribattezzato la rete X nel 2022. “Elon Musk ha inviato il bat-segnale a tutti tipi di persone razziste, misogine e omofobe che Twitter era aperto agli affari e hanno risposto”, ha detto Imran Ahmed, direttore del Centro per contrastare l’odio digitale. Mentre l’industria della digitalizzazione mette in crisi molti mezzi di informazione, miliardi di persone si rivolgono ai social network come principale fonte di informazione. Sebbene la verifica dei dati di Facebook e Instagram – che si riferiva al lavoro di associazioni indipendenti di verifica dei dati – non fosse una garanzia che tutte le informazioni su queste reti fossero affidabili e verificate, quello che ora c’è è un appello aperto a discorsi razzisti, sessisti e odiosi. Nel suo annuncio, Zuckerberg fornisce come esempio che i contenuti relativi alla migrazione e al genere non saranno più moderati, sostenendo che questi criteri sono “fuori contatto con il discorso dominante” e sono stati usati per “far tacere opinioni e persone con idee diverse”. Zuckerberg ha annunciato che sostituirà il fact-checking con le “community note”, che in realtà sono commenti di altri utenti, solitamente modi per moltiplicare esponenzialmente gli stessi pregiudizi, senza fonti e senza alcuna reale trasparenza sull’origine dei commenti. Ciò replica il contesto che hanno imposto i programmi di ricerca più utilizzati su Internet, che forniscono come prima opzione informazioni generate automaticamente da algoritmi di intelligenza artificiale, senza fornire fonti, senza contrasti e sostanzialmente riproducendo all’infinito le parzialità di discriminazione e altri errori che sono la maggioranza nella media delle comunicazioni nelle reti elettroniche. Musk, Zuckerberg e Bezos sono tre dei dieci uomini più ricchi del mondo. Ognuno di loro ha più denaro personale di diverse dozzine di paesi messi insieme. È chiaro che il loro obiettivo principale è lavorare su modi per aumentare ulteriormente le proprie fortune, controllando utenti, mercati e istituzioni. Tutti stanno seguendo da vicino l’”esperimento Musk” di andare oltre il lobbying e altre forme di influenza (dovute o indebite) per ottenere un seggio diretto nel governo, decidendo su milioni di persone che non hanno nemmeno votato per lui. Con l’enorme potere della loro ricchezza e della manipolazione delle informazioni e degli utenti dei social media, si oppongono ferocemente a qualsiasi regolamentazione delle loro attività. Per questo motivo, cercano di far apparire come censura qualsiasi forma di controllo indipendente o di controllo pubblico, quando il problema reale e urgente è il ruolo straordinariamente dannoso che i titani della tecnologia hanno nella definizione di discorsi pubblici parziali basati sulla discriminazione e sull’odio, a livello globale. Allo stesso tempo controllano sempre più settori industriali e anche aspetti tecnologici chiave che garantiscono loro una dipendenza sempre maggiore dai governi stessi. > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp
January 13, 2025 / Osservatorio Repressione
Obbligo di iscrizione nelle liste di leva dei Comuni: a quale guerra ci stiamo preparando?
L’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università denuncia numerose segnalazioni di bandi comunali in cui si precede l’aggiornamento delle liste di leva. Un ulteriore passo, per decretazione e con una martellante propaganda retorica militaristica alla guerra di Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università Sono arrivate all’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università numerose segnalazioni di bandi comunali disseminati sul territorio nazionale in cui si provvede ad aggiornare le liste del servizio di leva: a Vaglia (FI), a Trevignano Romano (RM), ma anche a Catania, a Siracusa e in tante altre città e paesi di cui sono arrivati in redazione i bandi in pdf. A livello giuridico, anche se il servizio di leva obbligatorio è stato sospeso, corre l’obbligo di iscrizione nelle liste di leva comunale di tutti gli idonei, in cui vanno inseriti i nomi proprio di chi si trova a compiere 18 anni. Fino al 2004, infatti, tutti i ragazzi al raggiungimento dei 18 anni di età dovevano rispondere al servizio di leva obbligatoria, ma dal 2005 nasce l’esercito professionale e così la leva obbligatoria viene momentaneamente sospesa fino a nuove disposizioni. Potrebbe verificarsi in ogni caso il ripristino dell’esercito non professionale mediante apposito decreto del Presidente della Repubblica dopo deliberazione del CdM, in un particolare caso, cioè qualora il personale in servizio e professionale non fosse sufficiente. Il relativo chiarimento si lega all’art. 1929 del Codice dell’ordinamento militare mediante il quale il governo si metterebbe al riparo con una eventuale convocazione dello stato di guerra (art.78 Costituzione) in relazione all’appartenenza ad una organizzazione internazionale (ONU o NATO) e così si giustificherebbe l’aumento del numero delle Forze Armate e il reclutamento obbligatorio. In realtà, la procedura amministrativa che è stata segnalata è obbligatoria e devono sottostarvi tutti gli enti locali, procedendo alla verifica dell’iscrizione nelle liste della leva di tutti i giovani a partire dal compimento dei 17 anni di età, infatti dal gennaio 2025 è partito il bando per i nati nel 2008. A ben vedere, l’istituzione dell’obbligo a compilare le liste di leva e ad aggiornarle annualmente con i nominativi dei ragazzi che via via si avvicinano alla maggiore età è arrivata proprio quando è stata eliminata la leva obbligatoria, ma nei fatti la questione era rimasta sottotraccia e gli uffici preposti negli enti locali sono stati progressivamente svuotati. Ora, per iniziativa del governo, torna in auge la necessità di aggiornare le liste e di diffondere la notizia a scopi propagandistici. Si dice che non serva a fini di reclutamento, ma la tempistica dovrebbe invece indurre a una seria riflessione, alla quale l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università non può sottrarsi. La situazione geopolitica internazionale induce a riflettere su quanto accade, dal momento che ci troviamo in una condizione in cui il nostro Paese, in accordo a richieste dell’EU e della NATO, va potenziando la sua spesa e tutto il complesso militare. Con queste premesse non è escluso che il governo possa far valere anche in tempi di pace il codice di ordinamento militare (leggi qui). Da qualche tempo, infatti, si è cominciato a parlare del ripristino della leva obbligatoria per tutti i giovani, così come si è parlato di mini-naja. La motivazione addotta è la minaccia planetaria determinata dalla guerra in Ucraina, in linea con le dichiarazioni del Ministero della difesa, che invoca la tempestiva presenza dei militari italiani in tutti gli scenari internazionali dove siano minacciati gli interessi economici e strategici del Paese e delle alleanze di cui fa parte. Tutto ciò dovrebbe indurre a qualche riflessione sulla nascita di un esercito di riserva proprio sul modello israeliano, un vero e proprio popolo in armi per difendere gli interessi nevralgici del grande complesso economico e finanziario internazionale. Non solo, rileviamo anche due chicche di ignoranza normativa e di puro patriarcato in spirito militarista: nel comune toscano di Vaglia (FI), ad esempio, per chi omettesse l’iscrizione all’albo su fa riferimento all’art. 130 del DPR 247 del 1967, che è stato abrogato dal DLgs 66 del 2010. Nel bando di Trevignano Romano, invece, sembra non si siano accorti dell’abolizione del pater familias con la riforma del diritto di famiglia del 1975 dal momento che si ripete ossessivamente, “maschiamente” «il padre o, in mancanza del padre, la madre o il tutore», quando, invece, si dovrebbe far riferimento indistintamente ad uno dei due genitori senza alcuna priorità. SIAMO, ALLORA, SICURI DI NON ESSERE DAVANTI A UNA SOCIETÀ CHE SI STA PREPARANDO, PASSO DOPO PASSO, PER DECRETAZIONE E CON UNA MARTELLANTE PROPAGANDA RETORICA MILITARISTICA ALLA GUERRA?     > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp
January 13, 2025 / Osservatorio Repressione
La retorica della certezza della pena
Una società sicuritaria ha bisogno di costruire delle narrazioni a senso unico per costruire carceri e militarizzare la società facendo leva sulla insicurezza sociale di Federico Giusti Perchè ci sono tanti suicidi nelle carceri italiane? Per disperazione, abbandono, mancate cure sanitarie, per la impossibilità di intravedere una via di uscita fuori dal carcere, per anni di detenzione, sovente lontano dai familiari, senza alcuna opportunità di reinserimento lavorativo e sociale una volta finita la pena. Dalla condizione degli istituti di pena si misura il livello di civiltà di un paese e le minacce di privatizzare la gestione delle carceri non è un buon segnale. E segnali involutivi potrebbero arrivare dalla riforma del Dap, il dipartimento della amministrazione penitenziaria, con la costruzione di nuove carceri alcune delle quali speciali ossia con regimi detentivi improntati alla massima sicurezza. Testo coordinato decreto carcere | Sistema Penale | SP Il Governo  Meloni con il Ddl Sicurezza ha introdotto ulteriori 16 mila anni di carcere contro persone, già detenute, precludendo loro l’accesso alle misure alternative, queste scelte vanno in direzione ostinata e contraria all’art. 27 della Costituzione che riportiamo testualmente: La responsabilità penale è personale. L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato  Non è ammessa la pena di morte. E un monito al Governo arriva direttamente dal Commissario Europeo per i diritti umani Michael O’Flaherty  che chiede ai senatori italiani di respingere il ddl sicurezza DDL sicurezza: il monito del Commissario europeo per i diritti umani – Camere Penali sito ufficiale Se alcuni esponenti del centro destra non fanno mistero di volere reintrodurre la pena di morte nel nostro ordinamento, sempre più forte è la campagna per la certezza della pena dimenticando che dovrebbe coniugarsi proprio con quella certezza dell’opera riabilitativa che oggi viene esclusa dalle norme vigenti e dalla situazione di sovraffollamento degli istituti di pena con il crescente definanziamento degli interventi sociali, sanitari, educativi a favore della popolazione detenuta. Sempre il Governo Meloni ha dichiarato di avere adottato provvedimenti atti a svuotare le carceri ad esempio istituendo un albo delle comunità dove detenuti tossicodipendenti potranno scontare la pena un provvedimento già naufragato sul nascere. E intanto invece di praticare dei percorsi reali per adottare le misure alternative alla pena stanno pensando  di ricavare nuove celle da vecchi edifici. Una società sicuritaria ha bisogno di costruire delle narrazioni a senso unico per costruire carceri e militarizzare la società facendo leva sulla insicurezza sociale determinata dalla mancanza di casa, istruzione, lavoro che vengono occultati dietro al presunto bisogno di sicurezza che porta , come nel caso del ddl 1660, alla criminalizzazione degli ultimi e dei conflittuali     > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp
January 12, 2025 / Osservatorio Repressione