La Corte suprema di Cassazione ha fatto a pezzi il Decreto Sicurezza di Salvini,
Meloni e Piantedosi. Non una critica, non un appunto. Una demolizione punto per
punto e che getta le basi per la bocciatura definitiva da parte della Corte
Costituzionale. di Angelo Greco da La legge per tutti Un duro colpo per il […]
Tag - misure repressive
La giornata mondiale contro la tortura. Tra trafficanti e poliziotti ecco chi
tortura i migranti. Secondo il report della Rete italiana per il supporto a
persone sopravvissute a tortura, le vittime sono soprattutto richiedenti asilo
(il 69%). La maggior parte delle violenze nei paesi di transito a opera di
criminali e pubblici ufficiali, che in […]
L’Italia, per portare in dieci anni la spesa militare annua dagli attuali 35
miliardi agli oltre 100 miliardi, cioè per triplicarla, dovrà reperire ogni anno
in manovra nuove risorse finanziarie nell’ordine dei 6-7 miliardi, ogni anno per
dieci anni. Questo si traduce in un impegno cumulativo decennale di spesa di
quasi 700 miliardi di euro […]
Direzione e organizzazione di associazioni terroristiche, arruolamento e
addestramento di terroristi, istigazione a commettere delitti contro la
personalità dello Stato: sono solo alcune delle attività consentite dal decreto
sicurezza ai servizi. Così i nostri 007 cambiano pelle: da possibili infiltrati
per smascherare gli autori di gravi reati ad agenti provocatori. E ciò in un
quadro […]
Dal 2011 a oggi è stato fatto un utilizzo esplicitamente politico delle “zone
rosse urbane” come strumento preventivo nei confronti di persone senza casa, ma
anche militanti che protestano davanti alle carceri, attivisti del clima,
lavoratori in sciopero. Un provvedimento che ha le sue origini nel fascismo (il
confino per gli oppositori politici) e che […]
Nuove incredibili rivelazioni al processo contro gli ex Br. A 50 anni di
distanza dalla sparatoria, procura di Torino e procura nazionale antiterrorismo
hanno autorizzato il monitoraggio di Burani, legale di Azzolini, e spiato
Steccanella. di Paolo Persichetti da l’Unità Per fare luce sulla sparatoria che
il 5 giugno 1975 vide la morte in circostanze […]
Il procedimento penale che si sta celebrando all’Aquila, su fatti asseritamente
commessi in Palestina, è un vero e proprio processo alla resistenza palestinese
in Cisgiordania. L’accusa di terrorismo contro Yaeesh Anan Kamal Afif è la
traslazione, a migliaia di chilometri di distanza, di una ingiustizia
inaccettabile che chiama a gran voce ad una mobilitazione necessaria […]
A marzo Trump ha chiesto a tutte le amministrazioni di far confluire i dati in
loro possesso in un unico calderone da affidare all’analisi degli specialisti
informatici di Palantir, la società di Peter Thiel, compagno di strada di Musk.
Scansione massiccia e non autorizzata dei social media. Analisi di dati
biometrici, reddituali, sanitari e di sicurezza sociale. Intercettazione delle
comunicazioni telefoniche. Geolocalizzazione tramite dispositivi mobili.
Tracciamento dei viaggi in auto tramite lettori di targhe.
a cura di Salvatore Palidda
Mentre cerca limitare i danni degli assalti di Elon Musk, il best buddy
diventato toro scatenato che gli imputa di somministrare agli americani un
bilancio da bancarotta, Donald Trump finisce sotto accusa anche per sospetti da
«grande fratello» orwelliano: l’uso dell’enorme volume di dati sui cittadini in
possesso o reperibili dal governo (fiscali, previdenziali, sanitari, scolastici,
ma anche creditizi) per costruire profili di ogni individuo. A marzo Trump ha
emesso un poco notato ordine esecutivi presidenziale: ha chiesto a tutte le
amministrazioni di far confluire i dati in loro possesso in un unico calderone
da affidare all’analisi degli specialisti informatici di Palantir, la società di
Peter Thiel, compagno di strada di Musk. Questa impresa analizza e classifica
dati segretissimi per conto del Pentagono e dei servizi di intelligence di mezzo
mondo.
La Casa Bianca non ha mai parlato di questo limitandosi a dire che l’ordine
impartito da Trump a ministeri e agenzie punta a migliorare le procedure
amministrative. Gli esperti considerano, invece, pericolosissima questa
concentrazione di informazioni: possibili abusi per creare sistemi di
sorveglianza dei cittadini in stile cinese, magari da utilizzare contro gli
avversari politici. E si rischia anche una diffusa perdita di fiducia: molti,
sospettando il peggio, potrebbero smettere di fornire i loro dati personali (o
fornirli alterati).
Che i pericoli ci siano lo sostengono anche una dozzina di dipendenti che hanno
lasciato Palantir denunciando ordini interni che espongono i risultati del loro
lavoro analitico al rischio di abusi dell’autorità politica. Rischi che hanno
già spinto le organizzazioni per i diritti civili a chiedere ai giudici di
bloccare questa «raccolta a strascico» di dati. Ora cominciano a ribellarsi
anche gruppi MAGA con un credo libertario: hanno seguito Trump condividendo la
sua lotta contro il deep state, ma ora si chiedono cosa ci sia di più deep, di
una schedatura elettronica di massa. Dopo Musk, dunque, anche Thiel lambito
dalla bufera. Fin qui ha solo seguito le direttive di Trump, dopo che è stato
proprio il Doge di Elon ad aprire la strada a Palantir. Ma ora, con Musk fuori
dal governo e il Doge in ritirata, i riflettori si accendono anche su di lui: il
vero architetto dell’adesione al trumpismo del mondo tecnologico orientato a
destra.
Gli Stati Uniti diventano uno stato di tecno-sorveglianza di massa
Scansione massiccia e non autorizzata dei social media. Analisi di dati
biometrici, reddituali, sanitari e di sicurezza sociale. Intercettazione delle
comunicazioni telefoniche. Geolocalizzazione tramite dispositivi mobili.
Tracciamento dei viaggi in auto tramite lettori di targhe.
“La sorveglianza negli Stati Uniti non è iniziata con Trump, né finirà quando
lascerà la Casa Bianca. Le fondamenta dell’attuale stato di tecno-sorveglianza
sono state gettate nel corso di decenni, con il sostegno bipartisan a politiche
che hanno normalizzato le pratiche invasive nelle forze dell’ordine,
nell’esercito e nel controllo delle frontiere” (lo dice un militante per i
diritti civili del Bahrein Esra’a Al Shafei, che da anni studia questo problema,
in una conversazione con El País).
“Questo sistema è alimentato da grandi budget assegnati alle agenzie di
intelligence e a fornitori privati, con il pretesto della sicurezza nazionale e
della prevenzione del crimine”. Aziende come Palantir, Anduril e GEO Group
stanno fornendo a Washington gli strumenti digitali per costruire questa intera
infrastruttura di sorveglianza.
Trump continua ad aggiungere strati a questo sistema. Il Dipartimento di
Sicurezza Nazionale […] ha confermato ad aprile che sta utilizzando uno
strumento chiamato Babel X per raccogliere informazioni sui social media dei
viaggiatori che potrebbero essere soggetti a una maggiore sorveglianza, secondo
quanto dichiarato dalla stessa agenzia.
L’Immigration and Customs Enforcement (ICE), da parte sua, ha ammesso di
utilizzare un altro programma, SocialNet, che aggrega dati da oltre 200 fonti,
tra cui Facebook, Twitter/X, Instagram, LinkedIn e app di incontri.
Washington riconosce ufficialmente che la semplice ricerca di “attività
antisemite” sui feed, come la protesta per il massacro di Gaza, è sufficiente
alle autorità per negare l’asilo o la cittadinanza.
I social media sono solo la superficie. Per alimentare questa macchina
automatizzata per rintracciare i sospetti, sono necessari dati di qualità sui
cittadini. Alcune di queste informazioni vengono ottenute acquistandole da
grandi broker di dati, come Thomson Reuters o Lexis Nexis, che creano profili
esaustivi di milioni di persone, utilizzando fino a 10.000 tipi di dati su ogni
individuo in base alle sue tracce online.
Si va dal nome, all’indirizzo, al livello di reddito o al luogo in cui si fa la
spesa, alle attività preferite per il tempo libero, all’età in cui gli amici si
sono sposati, alla storia sessuale e al profilo emotivo: tutte queste
informazioni sono disponibili.
Ma l’altra parte di questo vasto archivio di dati viene distillata all’interno
del governo federale stesso. Si tratta di uno dei progetti più importanti di
Trump e, finora, del suo consigliere di punta, Elon Musk: il Department of
Government Efficiency (DOGE), guidato dallo stesso Musk, che per mesi ha
raccolto da altre agenzie federali dati ufficiali sensibili su centinaia di
milioni di cittadini, dalla situazione fiscale alle cartelle cliniche. Alcuni
osservatori avvertono che questi dati potrebbero essere presi da Musk ora che ha
deciso di lasciare la Casa Bianca.
I dati raccolti dal DOGE vengono utilizzati da Palantir, che ha contratti con
l’amministrazione per oltre 2,7 miliardi di dollari, per costruire una nuova
piattaforma di deportazione per l’Immigration and Customs Enforcement,
ImmigrationOS. Secondo la sintesi del contratto, che specifica che il primo
prototipo dovrebbe essere pronto entro settembre, i dati serviranno a
“supportare un’analisi completa delle popolazioni target” e a contribuire al
sistema di tracciamento individuale.
I tentacoli dello Stato di sorveglianza tecnologica sono molto estesi. Elabora
dati, ma ha anche occhi ovunque. “L’infrastruttura comprende strumenti come i
droni di sorveglianza con riconoscimento facciale, la raccolta di dati
biometrici, i lettori di targhe, le torri di guardia dotate di telecamere ad
alta risoluzione e sensori, gli strumenti di polizia predittiva e la
localizzazione, solo per citarne alcuni”, afferma Al Shafei, fondatore di
Surveillance Watch, un archivio di fama internazionale di informazioni sulle
aziende coinvolte nel business e sugli obiettivi noti.
Negli ultimi mesi, il DHS ha acquistato diverse licenze per software utilizzati
per spiare i telefoni cellulari da Cellebrite, Paragon Solutions, Venntel e NSO
Group, gli sviluppatori del software spia Pegasus, secondo i dati raccolti da
Just Futures Law.
Questa tecnologia viene utilizzata per accedere ai dispositivi e vedere tutto
ciò che vi accade, ma esistono anche altri strumenti per tracciare la posizione
dei cellulari. Un’inchiesta della rivista Time ha mostrato che le donne che
attraversano i confini dello Stato e si avvicinano alle cliniche abortive per
interrompere le gravidanze sono state identificate in questo modo senza un
mandato.
Nessuno ignora le implicazioni della macchina che Trump sta lucidando e oliando.
Un rapporto preparato da diverse ONG per le Nazioni Unite parla di “evaporazione
dei diritti umani” in riferimento a quanto sta accadendo alle frontiere
terrestri degli Stati Uniti.
“Un rapporto più stretto tra il governo e le società di sorveglianza, unito a
un’intensificazione della sorveglianza negli Stati Uniti, rappresenta una
minaccia reale per i diritti e le libertà fondamentali”, afferma Michael De
Dora, ricercatore specializzato in politica statunitense presso l’organizzazione
per i diritti digitali Access Now.
“L’amministrazione Trump attribuisce alla sicurezza nazionale un valore
superiore a quello dei diritti umani e della privacy, o addirittura a spese di
questi. I membri della sua amministrazione non solo sorvegliano le persone, ma
hanno persino discusso la sospensione di principi democratici fondamentali, come
l’habeas corpus”.
L’Europa non è immune da quanto sta accadendo negli Stati Uniti: “Agenzie come
Frontex ed Europol stanno investendo in database biometrici, riconoscimento
facciale e strumenti di monitoraggio basati sull’intelligenza artificiale che
ricordano da vicino i sistemi già in vigore negli Stati Uniti” (cf. Aljosa
Ajanovic, analista dell’European Digital Rights Institute -EDRi).
Negli Stati Uniti, molti osservatori ritengono che sia molto difficile limitare
l’applicazione di tutti questi controlli tecnologici sugli stranieri. Nemmeno i
più convinti trumpisti, ritiene De Dora, dovrebbero sostenere il dispiegamento
dello Stato di tecno-sorveglianza. “Una volta che questo macchinario è accettato
e operativo, può essere usato contro chiunque”.
(fonti: Massimo Gaggi | 5 giugno 2025
https://www.corriere.it/opinioni/25_giugno_05/trump-e-il-fantasma-del-grande-fratello-49831f2e-b292-4913-aa84-7f2753176xlk.shtml,
Manuel G. Pascual per elpais.com/ e Aljosa Ajanovic, analista dell’European
Digital Rights Institute -EDRi)
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La tutela delle forze dell’ordine come leva per introdurre nuovi reati al fine
di conservare l’ordine sociale. Soffiare sulle paure per reprimere il dissenso
di Antonello Azzarà da DINAMOpress
Dallo scorso 11 aprile, il più grande attacco alla libertà di protesta della
storia repubblicana italiana si è trasformato in un decreto che è stato
convertito in legge. Coerentemente con il suo contenuto autoritario e
antidemocratico, pensato e disegnato per reprimere il dissenso e colpire
duramente le più disparate soggettività già socialmente vulnerabili, le sue
modalità di introduzione sono anch’esse antidemocratiche: come al solito
emergenziali, motivate da improbabili ragioni di straordinaria necessità ed
urgenza, con tanto di voto di fiducia, al riparo da quella che dovrebbe essere
la naturale dialettica democratica. D’altronde, i cosiddetti pacchetti
sicurezza, varati dai governi di ogni colore e provenienza, hanno da sempre
assunto la forma del decreto (ricordiamo i decreti “Maroni”, d.l. 23 maggio
2008, n. 92; “Minniti”, d.l. 20 febbraio 2017, n. 14; “Salvini”, d.l. 4 ottobre
2018, n.113). Non c’è dunque da meravigliarsi, ma neanche da arrendersi.
> Uno Stato che a forza di decreti si preoccupa dell’ampliamento delle tutele
> delle forze di polizia, relegando all’oblio delle sue agende politiche la
> strage che da oltre un anno si sta consumando nelle galere sempre più
> sovraffollate, è uno Stato che sta dichiaratamente affinando e ampliando un
> potere di sopraffazione sui corpi, utilizzato per incapacitare la
> vulnerabilità sociale e reprimere il dissenso.
Sotto l’apparente neutralità di approntare una tutela efficace alle forze
dell’ordine si introducono nuovi reati, ampliando le pene di quelli già
esistenti e aggiungendo senza alcun criterio di ragionevolezza delle nuove
circostanze aggravanti. Sempre nel capo terzo del decreto, dedicato alla tutela
delle forze di polizia, si prevedono i nuovi reati di rivolta penitenziaria,
così come nei luoghi di accoglienza e trattenimento per migranti. C’è da dire,
però, che la forza di polizia, nell’adempimento del suo mandato di tutela
dell’ordine pubblico, è tutto fuor che neutrale. Mantenere l’ordine, specie
nelle piazze o nelle strade dove si svolge una protesta, tanto più quando
pacifica, (spazi di libertà, questi sì, che dovrebbero essere tutelati secondo i
dettami della nostra democrazia costituzionale) significa conservare un
determinato ordine sociale e di classe, che è anche un ordine simbolico. Ed è
proprio rispetto all’accaparramento di questo capitale simbolico che si
comprende l’inquietudine scomposta del governo nel troncare l’iter legislativo
per ragioni, come ammette lo stesso Ministro dell’Interno, «di opportunità».
È un consenso di cui si nutrono i populismi di ogni sorta, in quelle che il
filosofo Luigi Ferrajoli chiama demoastenie. Si tratta di un consenso passivo e
vacillante, sorretto da una paura artificiale sul quale hanno soffiato e
continuano a soffiare i governi preoccupati dalla costante perdita di
legittimazione politica. Quest’ordine simbolico viene preservato e nutrito a
suon di decreti, nuovi reati, misure di sicurezza e più potere alla polizia che
ne è garante.
> Si finisce in una forma patologica di democrazia, in cui il popolo è inteso
> come soggetto passivo non autorizzato ad attivarsi per concorrere
> democraticamente alla politica nazionale.
La piazza e le strade, invece, diventano terreno di contesa e di comunicazione
unilaterale. Quanti feriti tra le forze di polizia, quanti facinorosi tra le
fila dei manifestanti. In questo modo, il corpo degli agenti viene
strumentalizzato, divenendo esso stesso mezzo di repressione. Non solo
attraverso le braccia armate di scudi e manganelli, ma anche attraverso i
referti medici, dal quale conseguiranno anni di galera per i manifestanti.
Questi ultimi, magari, individuati in modo approssimativo tramite le bodycam
previste dall’art. 21 del decreto, da cui vengono estratte immagini
decontestualizzate da utilizzare per risalire ai volti presenti in situazioni
concitate, come quelle che si verificano durante una carica della polizia.
Dietro la repressione del dissenso e il contenimento muscolare della marginalità
sociale, sulle strade, in carcere o nei CPR, c’è un non tanto velato desiderio
di disciplinamento e di addocilimento forzato. Manifestare oggi è quindi
necessario per poterlo fare anche domani, in ogni luogo.
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Quando in Italia accadeva quello che accade oggi per esempio in Turchia.
Arrestavano gli avvocati o li costringevano a rifugiarsi all’estero. Con l’alibi
della “lotta al terrorismo” lo stato democratico nato dalla Resistenza
antifascista massacrava il diritto di difesa identificando i legali con la
“banda armata” di cui erano accusati di far parte i loro assistiti. Gabriele
Fuga racconta la sua vicenda giudiziaria politica e umana nel libro che ha per
titolo “La cella dell’avvocato”
di Edoardo Todaro da Carmilla
“ Anni di piombo “ è questa la definizione che va per la maggiore nel definire
un periodo importantissimo nella storia del conflitto sociale e politico, quello
che si è prodotto negli anni ‘70. In questo paese, in quel periodo si è
sviluppato un movimento che non ha avuto paragoni in altri paesi occidentali.
Tanti i motivi sul perché in Italia si sia sviluppato tale percorso, certo non è
questo l’ambito. La liberazione dal nazifascismo sta subendo, da molti anni a
questa parte, un percorso di omologazione tra vinti e vincitori. Do you remember
Violante e le ragioni dei vinti? La morte non fa distinzioni, di fronte ad essa
siamo tutti uguali.
Questo in estrema sintesi, il percorso intrapreso in questi anni per arrivare ad
una riscrittura della storia, per arrivare alla famosa memoria condivisa. Tutti
uguali nella liberazione? Equiparare liberatori ed oppressori se si parla della
lotta di liberazione avvenuta nel ’45. Rimuovere e silenziare se si parla degli
anni’70; cosa sono stati gli “ anni ’70 “ in questo paese? Un conflitto sociale
politico/sindacale/sociale si è manifestato e come è stato possibile che in
una” democrazia compiuta “ si verificasse un possibile “ assalto al cielo “ che
potesse rimettere in discussione rapporti di forza consolidati a favore del
potere capitalistico, messa in discussione concretizzatisi con “ il mettere
paura “.
I protagonisti di quell’esperienza, spesso e volentieri finiti ad espiare il
proprio essere soggetti di una rottura epocale nelle patrie galere, devono
restare in silenzio, non farsi portatori del raccontare la propria esperienza ,
del proprio vissuto. Come si diceva un tempo “ a futura memoria “, a monito per
le nuove generazioni che si affacciano nell’essere protagoniste della messa in
discussione dello stato di cose presenti. Se prendi in considerazione che il tuo
impegno politico, la tua appartenenza al conflitto sociale in atto possa
esprimersi anche in forme incompatibili con l’ordine costituito, sappi che ti
teniamo sotto controllo, anzi che se pensi di farla frana, ti raggiungeremo
anche a distanza di decenni e te la faremo pagare, perché il potere non
dimentica. . Che sia capitato una volta? Ci può stare. Ma che non si ripeta
mai! Abbandono queste considerazioni, sicuramente ci sarà occasione per
tornarci, per dire alcune cose rispetto a “ La cella dell’avvocato “.
Gabriele Fuga, l’avvocato Gabriele Fuga, ci riporta ad un qualcosa di molto
importante, un qualcosa che deve essere conosciuto. Per tantissimi anni il
conflitto sociale aveva assunto tali dimensioni di scontro e di massa, che
rispondere alla repressione rientrava nei compiti di tutti nessuno escluso.
Certo c’era anche una nutrita schiera di legali che si prestavano a sostenere
coloro che venivano colpiti dai provvedimenti repressivi, ma il farvi ricorso
era, per così dire, una modalità tutta interna alle “ dinamiche di movimento “.
Ad un certo punto, la repressione ha accentuato il suo agire ed il movimento ha
attenuato la sua forza d’urto, anche su questo ritorneremo, e l’aspetto della
difesa legale ha assunto proporzioni considerate, prima, importanti ma
secondarie. Prima, se un operaio veniva licenziato, rivolgersi ad un legale era
ovvio; impugnare il licenziamento un percorso da praticare ma sapendo che il
rientro in fabbrica poteva avvenire non tanto grazie non solo a sentenze
favorevoli ma soprattutto alla solidarietà dei propri compagni che ti
riaccompagnavano in azienda portato a spalla. Quindi riprendendo il filo
lasciato qualche riga sopra, Gabriele Fuga rappresenta una figura emblematica
all’interno di un effetto a catena: avvocato/imputato; imputato/avvocato e così
all’infinito,infatti ad esempio lui sarà difensore di Spazzali e poi dovrà
trovarsi un difensore. Numerosi i nomi che hanno segnato quel periodo da
Spazzali, arrestato, ad Arnaldi, suicidatosi per evitare l’arresto dovuto al
pentito di turno, perché il numero di chi fa dichiarazioni infamanti si
accentua.. La sua vicenda riporta alla luce, appunto, la figura del pentito, in
questo caso Paghera, un detenuto comune politicizzato in carcere, addirittura
l’assistito che diviene accusatore. Avvocati soprattutto, ma non solo, che si
ritrovano attorno a una realtà fondamentali per la solidarietà che riuscì ad
esprimere concretamente: “SOCCORSO ROSSO” ed il “Comitato Internazionale per la
Difesa dei Detenuti Politici”.
L’accusa per l’avvocato Seguso/Fuga è quella usuale per coloro che svolgevano
quell’attività: partecipazione a banda armata ed associazione sovversiva, anello
di collegamento tra il difeso ed i “ complici “ fuori; accusa che farà sì che
nessuno un domani accetterà di farsi difendere da loro, questo è quel succede ai
compagni/avvocati, le idee sotto processo. Fuga che mantiene il proprio ruolo
anche nella fase detentiva con consulenze, ovviamente gratuite, in carcere
perché la sua professione deve essere un aiuto a coloro che in vari modi si
pongono contro lo stato, ma anche per le guardie che sono al servizio dello
stato. Fuga a San Vittore che diviene un inquilino a tempo indeterminato, tra
l’incriminazione per appartenere ad Azione Rivoluzionaria e poi a Prima Linea.
Carcere a confronto ieri/oggi: la descrizione delle celle d’isolamento; del
rancio; del bugliolo; del sovraffollamento sempre presente; la sveglia; la
perquisizione della cella; la corrispondenza in entrata ed uscita sottoposta a
controllo; le domandine per qualunque cosa a cui poter accedere; l’autoerotismo;
il consumo di playgil; ma sicuramente la solidarietà su tutto, quella
solidarietà elemento importante in una comunità chiusa come il carcere, ed a
quell’epoca, le discussioni politiche. Il tutto per dire che il carcere è uno
zoo umano e l’aspettativa è riposta verso la decorrenza termini.
Un viaggio attraverso i carceri italiani da Volterra, con la rivolta,a Porto
Azzurro dove si sta quasi bene, ai carceri della Toscana come Pisa molto simile
al Sud America. Fuga sottoposto ad un processo, macchina del fango, costruito
sulla credibilità di due pentiti. Su tutta questa vicenda avrà importanza
particolar il rapporto con Mario Dalmaviva, uno dei tanti imputati/condannati
della cosiddetta operazione 7 aprile, il quale metterà al servizio di Fuga le
sue vignette, che di satirico avranno ben poco, se non il mettere in discussione
il pianeta carcere. Possiamo dire che l’esperienza di Fuga, e tanti altri, ha
lasciato il segno a tal punto che sono numerosi gli avvocati che mettono le
proprie conoscenze e capacità al servizio di chi è colpito dai provvedimenti
repressivi, anche se l’auspicio, è che finalmente potremmo assistere di nuovo ad
un movimento conflittuale che sostiene i propri compagni.
Gabriele Fuga, La cella dell’avvocato, Edizioni Colibrì; pp. 316; € 17
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