Stati Uniti: arrestati per dissenso!

Osservatorio Repressione - Wednesday, May 14, 2025

Negli USA il rifiuto di collaborare con il governo nella caccia ai migranti ha provocato l’arresto di un sindaco e di un giudice e il taglio dei fondi federali ai comuni renitenti. Una virata autoritaria in cui nessuno può più sentirsi al sicuro.

di Elisabetta Grande da Volere la Luna

Quanto nell’era Trump la pura forza bruta si stia dispiegando senza freni contro chiunque si ponga come ostacolo ai piani del governo è parso drammaticamente evidente venerdì 9 maggio, quando gli agenti dell’Immigration and Custom Enforcement (ICE) hanno arrestato il sindaco di Newark, in New Jersey, per aver osato protestare contro l’apertura e l’uso di un centro di detenzione privato per migranti, illegale in base alle regole dello Stato del New Jersey e della città. Insieme ad alcuni rappresentanti al Congresso federale e ad altri esponenti della società civile, il sindaco Ras Baraka era davanti ai cancelli per dimostrare la propria contrarietà all’uso da parte del governo federale della struttura, data di recente in appalto per la gestione dei migranti a una delle più grandi e famigerate società private del mondo della carcerazione, la GEO – un tempo Wackenhut – Corporation. Aperta per contenere e deportare – secondo i piani governativi – 1000 migranti alla volta, il centro è però in contrasto tanto con una legge dello Stato del New Jersey, firmata dal governatore Phil Murphy quattro anni fa (che proibisce l’apertura di centri privati di detenzione per migranti) quanto con i regolamenti cittadini (che prevedono permessi e controlli non rispettati dal centro in questione). La controffensiva federale all’espressione pacifica del più che legittimo dissenso da parte del sindaco è consistita nel suo arresto per violazione di domicilio del centro privato (trespass), nel quale peraltro il sindaco non pare però avesse messo piede. L’obiettivo di un simile uso sconsiderato della forza bruta da parte dell’amministrazione Trump è evidente. Si tratta di reprimere con la paura il dissenso nei confronti dell’operato del Governo, che in questo caso riguarda l’immigrazione, ma che ovviamente potrà nel tempo riguardare qualsiasi altro campo.

L’arresto del sindaco di Newark, fa d’altronde il paio con un altro arresto eccellente, come il primo senza precedenti: quello della giudice di contea di Milwakee (Wiscounsin), Hannan Dugan, colpevole di non aver permesso agli agenti dell’ICE di arrestare un imputato chiamato a dibattimento di fronte a lei. Le regole dell’amministrazione locale impongono, infatti, alla polizia – e per estensione ai giudici – di collaborare con gli agenti federali nell’apprensione del migrante solo se c’è un mandato giudiziario e non soltanto amministrativo, come invece era avvenuto nel caso in questione. L’accusa di fronte al giudiziario federale di ostruzione all’attività dell’ICE e di occultamento di un individuo, nonché il plateale arresto della giudice qualche giorno dopo l’accaduto, sono anche in questo caso gli strumenti di deterrenza usati dall’amministrazione Trump per piegare e terrorizzare chiunque – giudici, amministratori locali o cittadini – abbia in mente di opporsi al disegno di deportare in massa i migranti, legalmente o illegalmente poco importa.

«Più di 77 milioni di Americani hanno dato al presidente il mandato di deportare i criminali migranti illegali» ha detto Kush Desai, portavoce della Casa Bianca, rivendicando il potere politico del presidente di liberarsi da qualsiasi vincolo il sistema giuridico possa imporgli, siano esse leggi ordinarie o costituzionali, locali, statali o federali. «Chi salva l’America, non può violare la legge» aveva peraltro affermato Trump poco dopo la sua elezione e il tema dell’immigrazione si presenta quale ottimo terreno per sondare la reale possibilità di dichiararsi legibus solutus.

È in questo quadro che si inserisce il suo secondo executive order volto a togliere i fondi federali a tutti i comuni che si dichiarino sanctuary city, ossia che si rifiutino di collaborare con il governo federale nell’apprensione dei migranti, emanato quattro giorni dopo che il primo era stato bloccato da un giudice federale e quindi nuovamente bloccato dallo stesso, perché solleva il dubbio che serva «per costringere incostituzionalmente le città e le counties (e altre giurisdizioni analoghe) a cambiare le proprie politiche per conformarsi alla preferenze dell’amministrazione Trump».

Si tratta di un duro scontro fra l’amministrazione federale e i limiti provenienti dalla rule of law, che Trump ha messo pesantemente in atto anche a livello federale. Ne sono esempi lampanti le minacce di impeachment al giudice James E. Boasberg, che aveva osato ordinare all’amministrazione Trump di non far partire e poi riportare indietro 200 Venezuelani inviati senza giusto processo nel famigerato CECOT, prigione salvadoregna nota per i suoi metodi contrari ai diritti fondamentali degli individui; o la presa in giro da parte dell’amministrazione Trump della stessa decisione della Corte Suprema che aveva richiesto che fosse facilitato il ritorno di uno di essi, riconosciutamente inviatovi per errore. «Certo» – hanno detto gli avvocati dell’amministrazione alla giudice del Maryland che chiedeva loro l’ottemperanza di quella pronuncia – «se si presenterà al confine faciliteremo senz’altro il suo rientro!».

Senza giusto processo, nonostante un orientamento costante della Corte Suprema federale che legge la formula del quinto emendamento della Costituzione – secondo cui nessuno può essere privato della libertà, della proprietà e della vita without a due process of law – come applicabile a tutti, non cittadini compresi, sono stati deportati in tanti, perfino dei bimbi cittadini. Gli arresti e le detenzioni in orridi centri di rimpatrio senza giustificazione e spiegazione (se non il ricorso a un oscura legge del 1952 che consentirebbe al Segretario di Stato di espellere chiunque venga considerato pregiudizievole per i rapporti di politica estera del governo) dei tanti studenti che – come Ozturk o Kahlil, in possesso di un regolare visto o addirittura di un permesso di residenza permanente – hanno protestato pacificamente ed espresso indignazione per la carneficina in atto a Gaza, rappresentano un altro atto di forza per reprimere il dissenso e terrorizzare chi osi criticare od opporsi alle politiche di un presidente che in quanto votato dal popolo ritiene per questo di non avere limiti.

In molti si domandano ormai dove sia finito quel sistema americano che si è sempre presentato come paladino delle libertà individuali e del free speech. Ciò tanto più a fronte delle dichiarazioni di Stephen Miller che, al grido di un colpo di stato dei giudici che non lascerebbero fare al presidente e alla sua amministrazione il loro mestiere, minaccia addirittura l’eliminazione dell’habeas corpus, la fondamentale e ancestrale garanzia che nel mondo di common law assicura agli individui il controllo giurisdizionale sulla legittimità della loro detenzione. Così mentre Trump inveisce su X contro chi intende ricondurlo all’interno dei limiti della rule of law («le nostre Corti non mi lasciano fare il lavoro per il quale sono stato eletto»), la sua amministrazione rilancia dichiarandosi libera di deportare i migranti ovunque, anche in Libia, senza previo avviso né esplicita approvazione di un giudice, sia pur dell’immigrazione (parte non del giudiziario ordinario, bensì di quello amministrativo alle dipendenze del dipartimento di giustizia), purché assicurino di non torturali.

E mentre la deportazione all’inferno senza giusto processo pare a Trump il modo migliore per assolvere al suo mandato presidenziale, la più antica democrazia costituzionale del mondo si avvia a subire una virata autoritaria in cui nessuno può più sentirsi al sicuro. «Quando viene tolto a qualcuno il fondamentalissimo diritto della libertà, quella persona ha diritto almeno a un processo minimo; altrimenti, tutti noi rischiamo di essere detenuti — e forse deportati — perché qualcuno nel governo pensa che non dovremmo essere qui» scrive in proposito il giudice Vilardo del distretto federale di New York.

Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi sostenerci donando il tuo 5×1000 

News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp