
Fascismi e remigazione: quando l’odio si traveste da sicurezza
Osservatorio Repressione - Friday, May 16, 2025Remigrazione: nuovo verbo del razzismo e del fascismo. Così l’estrema destra europea riduce il confine tra sicurezza e repressione
di Riccardo Sacchi
«Vogliamo diffondere il messaggio che siamo stufi di questo degrado che c’è in giro»; così spiega uno dei fondatori di Articolo 52 in un video sulla pagina Instagram del movimento. Cappuccio nero calato sul viso, solo le labbra che contraggono sprigionando un messaggio di odio. Articolo 52 si definisce un movimento strutturato attraverso squadre “anti maranza” che si fanno giustizia da sole. Ma come? Sempre il fondatore di Articolo 52 lo mette ben in chiaro: «prendiamo di mira le zone del degrado, dove spacciano, dove può esserci a rischio che fanno del male a delle ragazze o dei ragazzi che vengono presi di mira. Noi interveniamo, interveniamo con le mani». Sberle, pungi e calci. Sangue. Violenza premeditata che viene innalzata come diritto e veicolata in nome della giustizia personale.
In un altro post del 9 aprile, sempre sul loro profilo Instagram, a cornice della foto sfuocata di una persona ferita su una barella dell’ambulanza, viene riportato il messaggio: «Scusa fra’, noi viviamo così – Lo hanno detto mentre mio fratello era a terra, devastato dalle martellate e dai calci di tre nordafricani. Nella descrizione del post, la minaccia: «fra noi viviamo così A noi non frega un ca**o di come vivete voi, finchè state a casa nostra certe cose non le fate. Senò o ve ne tornate da dove siete arrivati oppure ci penserà qualcun’altro a insegnarvi l’educazione. Animali!!!». A cascata sotto al post i commenti sono: «andateli a cercare e restituitegli il doppio di ciò che hanno fatto per favore» oppure «ste merde fategli pisciare sangue per sempre» e ancora «Ne*ri» o «scimmie». C’è chi porta anche un pensiero filosofico: «Remigrazione subito per queste bestie di satana».
Ed è proprio la “remigrazione” il tema cardine del Remigration Summit, in programma per il 17 maggio in Lombardia – sede ancora da definire dopo il no di Milano. Il convegno è stato promosso da Martin Sellner, xenofobo e razzista; le sue idee violente hanno comportato per lui il divieto di tenere conferenze in alcuni Paesi europei. Non in Italia.
Il pre-evento si è già svolto nel quartiere San Siro il 1° aprile. Un pestaggio pubblicato sulla pagina Instagram di Articolo 52 con sentenza annessa: «Questo per farvi capire che non siamo i soliti stupidi che parlano e basta, ci siamo davvero rotti i cogli*ni di queste situazioni, così abbiamo deciso di farci giustizia da soli per proteggere il paese che amiamo». Fa paura, è tornato lo squadrismo nero.
L’intolleranza di destra che si struttura razzismo
Il tema dell’intolleranza ormai è da anni al centro del dibattito politico, a volte camminando mano nella mano, altre – o per convenienza o per necessita – solo osservandosi con interesse.
In primis, la politica ha volgarizzato i valori antirazzisti, o meglio, ha sdoganato a livello istituzionale il razzismo. Dà gaffe o lapsus – più volontari che non – come il discorso sulla necessità di difendere la “razza bianca” dall’immigrazione del leghista Attilio Fontana, nel 2018, alla normalizzazione degli stereotipi e l’utilizzo del linguaggio discriminatorio nei media, la banalizzazione del razzismo è un atto istituzionale quotidiano.
Contemporaneamente, Lega, Fratelli d’Italia e in generale il panorama della destra al governo, ha normalizzato una narrazione sociale razzista. Al centro abbiamo un’intolleranza di base che, supportata dalle forze politiche – quindi un’intolleranza istituzionalizzata – prende una forma escludente e penalizzante per una minoranza razzializzata.
«Nelle periferie, e non solo, delle maggiori metropoli europee non si parla più la lingua d’origine né per strada né nei negozi, la parità tra uomo e donna non è rispettata, esistono scuole islamiche e in alcuni luoghi vige addirittura la sharia»; così Silvia Sardone, europarlamentare della Lega, spiega in un’intervista il 3 giugno 2024, aggiungendo che «nel libro che ho scritto, “Mai sottomessi all’Islam”, racconto i rischi e i pericoli di un’islamizzazione crescente tollerata e persino incentivata dai governi di sinistra. L’Europa non deve più piegarsi davanti a chi vuole dominarci». Sardone individua nell’immigrazione di persone con radici orientali il nemico e definisce l’Islam la causa del pericolo: l’opposizione politica di sinistra è chi favorisce l’insicurezza che queste persone causano nella “bella Europa”.
La costruzione di “chi” genera insicurezza
«La cultura europea ha guadagnato forza e identità contrapponendosi all’Oriente» racconta Edward Said, professore alla Columbia University, nel libro “Orientalism”, spiegando che l’Occidente ha costruito un’immagine stereotipata e spesso negativa dell’Oriente (in particolare del mondo arabo e islamico). Il mondo arabo e islamico è stato descritto sistematicamente come arretrato, irrazionale, fanatico o sessualmente deviato – una sorta di specchio distorto in cui l’Occidente rifletteva la propria presunta superiorità morale, intellettuale e tecnologica. Questo processo, spiega Said, ha avuto una funzione precisa: giustificare e normalizzare il dominio coloniale, politico e culturale dell’Occidente sull’Oriente.
Questa costruzione non si è fermata con la fine del colonialismo. Anzi, le parole citate precedentemente della Sardone o quelle del primo ministro italiano Giorgia Meloni che ha dichiarato in un’intervista a Donna Moderna del 25 novembre 2024 («Adesso verrò definita razzista, ma c’è una incidenza maggiore, purtroppo, nei casi di violenza sessuale, da parte di persone immigrate, soprattutto illegalmente»), mettono in luce che l’eredità dell’orientalismo è visibile tutti i giorni. L’immagine dell’Islam come religione intrinsecamente violenta o intollerante, e dei musulmani come soggetti incapaci di integrarsi nei valori occidentali, affonda le sue radici proprio in quelle narrazioni semplificate e riduttive denunciate da Said. Oggi, nell’Occidente europeo si chiama “islamofobia” ma ormai l’eredità dell’orientalismo è globalizzata. Addirittura, è stato sviluppato pensiero che, se messo in atto, fa dell’islamofobia – e quindi del razzismo culturale – la dottrina e della deportazione la politica istituzionale.
Remigrazione è deportazione
«Abbiamo un piano per il futuro della Germania (…) chiusura completa dei confini e riportare indietro chiunque sia entrato illegalmente e senza i documenti, vogliamo mandare un messaggio chiaro al mondo intero»; così spiegava Alice Weidel, co-presidente di AfD, partito di estrema destra, dichiarato il 3 maggio 2025 dai servizi segreti interni tedeschi un “pericolo per la democrazia”. Il mantra dogmatico della remigrazione, chiusura dei confini, controlli a tappeto e deportazione. Le parole di Alice Weidel erano rivolte ad un folto pubblico che presenziava alla conferenza di AfD l’11 gennaio 2025 nella città di Riesa, in Sassonia, ma hanno avuto un eco internazionale più forte dello scroscio di applausi ricevuto quel giorno. La co-leader dell’AfD ha addirittura adottato pubblicamente il termine remigrazione. Ad uno comizio ad Halle, nella Germania orientale il 25 gennaio 2025, ha partecipato in videoconferenza anche Elon Musk, oggi a capo, o non, del Doge– il dipartimento che creato ad hoc dal governo Trump che della remigrazione ne ha fatto sia il giudice che la spada. Parlando con la leader del partito Alice Weidel, candidata dell’AfD alla carica di cancelliere, Musk ha ribadito la sua convinzione che l’AfD sia la «migliore speranza» e ha anche affrontato la questione dell’immigrazione, un tema chiave per le elezioni, esortando Weidel e i suoi sostenitori a non perdere il loro orgoglio nazionale in «una sorta di multiculturalismo che diluisce tutto».
Evocato come pensiero negli anni ’60 nella sua concezione moderna dai movimenti francesi come Europe-Action, il temine remigazione venne coniato da Jean-Pierre Stirbois, allora segretario generale del Front National (FN), nel corso di un’intervista, portando alla prima svolta elettorale di FN nel 1983.
Il concetto remigazione racconta l’idea di rimandare indietro chi è migrato in un paese straniero. Rimandare indietro non significa rientro volontario nel paese di provenienza ma un viaggio obbligato, spesso con la forza. Pratiche vicine alla pulizia etnica e deportazione di massa. Anche se un pensiero di origine europeo, le radici sono nel dominio occidentale e gli esempi pratici ce li ha forniti direttamente la Casa Bianca attraverso i suoi canali social: persone con le mani e i piedi legati con le manette che in fila vengono caricati su un aereo e portati nel paese da cui erano partiti. Forse per necessità, forse per paura, le motivazioni che hanno portato queste persone a migrare non le sapremo mai ma il “crimine” che hanno compiuto negli USA sì: erano lì, forse illegalmente oppure no, secondo le leggi dell’uomo bianco, seduto sullo scanno del potere, quelle persone non sono cittadini statunitensi. Il suono metallico delle manette che strisciano sull’asfalto rimbomba nelle orecchie come graffi sulla Carta dei diritti dell’uomo. Uno schiaffo al diritto internazionale. La “ghiblizzazione”, che nei giorni seguenti ha segnato una tendenza sui social, ha sancito la disumanizzazione del gesto, perché solo chi pensa che i migranti non siano persone può far di un gesto del genere un vanto.
L’Italia è maestra in questo. Basti pensare a Salvini che, quando era ministro degli Interni, lasciò 190 persone (tra loro 37 minori) su una nave per 10 giorni – il caso Diciotti – facendo diventare persone in necessità propaganda politica. L’Italia è sempre quel paese che per Remigration Summit non ha battuto ciglio e anzi lo ospiterà – accompagnato da tutti i promotori e militanti di estrema destra e aderenti a pensieri nazifascisti – a Milano, città medaglia d’oro per la Resistenza. Ma non c’è da stupirci, in fondo a noi italiani pensieri come quello della remigrazione, e chi li porta avanti, ci piacciono; non siamo mai arrivati ad un giudizio nazionale sugli orribili crimini compiuti dal fascismo. Infatti, proprio il 29 aprile, quattro giorni dopo la festa nazionale per il giorno della Liberazione dell’Italia dal nazifascismo, Ignazio La Russa, seconda carica più importante dello Stato, ha dichiarato che lui vuole celebrare Sergio Ramelli (militante fascista ucciso da esponenti dell’estrema sinistra il 29 aprile 1975) e non parlare delle 2ooo persone che a Milano hanno sfilato urlando “presente” e facendo il saluto romano.
Fascismi e rinascita, prospettive sull’Italia
Una sinergia potente quella tra razzismo, fascismi e remigrazione. Il razzismo crea il discorso, i fascismi lo radicalizzano in ideologia, la remigrazione lo trasforma in pratica politica. Quello che fa paura è che questa sinergia è ciò che stiamo vivendo oggi. Negli Stati Uniti i Proud Boys, organizzazione militante neofascista di estrema destra che promuove e si impegna nella violenza politica, acclamavano a gran voce l’elezione del presidente Trump. Sei di questi Ragazzi Orgogliosi il 4 maggio 2023 sono stati dichiarati colpevoli di associazione a delinquere sediziosa in relazione all’attacco del 6 gennaio al Campidoglio. Secondo l’International Centre for Counter-Terrorism, il gruppo ritiene che la mascolinità tradizionale e la cultura occidentale siano sotto assedio, utilizzando lo “sciovinismo occidentale” come eufemismo per la teoria del complotto del genocidio bianco (ossia l’esistenza di un complotto deliberato per causare l’estinzione dei bianchi attraverso l’assimilazione forzata e l’immigrazione di massa). Sembra un déjà-vu che recupera il mito della purezza identitaria tipico del fascismo novecentesco. Eppure, sempre più spesso, questa visione si traveste da difesa della “sicurezza” o della “cultura europea”. Così nascono gruppi come Articolo 52, niente di meno che le moderne camice nere.
Il problema attuale però è il ragionamento inverso, perché fascisti non si nasce ma lo si diventa. Se abbiamo avuto esperienza di un periodo in cui i fascismi radicalizzavano il razzismo in ideologia, nel futuro prossimo l’ideologia fascista potrebbe esprimersi come totalizzante perché culturale. E di esempi di sviluppi in questa direzione ne abbiamo abbastanza.
«Rinascenza è un movimento culturale e sociale, che intende, rigenerare spiritualmente, moralmente e politicamente la società europea» così scrivono nel post di presentazione su Instagram il Gruppo _rinascenza_. Rinascenza nasce nell’aprile del 2020 da Alessandro Porto, con «lo scopo di riscoprire un senso di umanità in un periodo, quello della pandemia, dominato da odio e paura». Negli anni seguenti sono nati vari comitati del movimento Rinascenza in varie città Italiane quali Palermo, Roma, Bari e molte altre. Il movimento non è legato esplicitamente al fascismo ma possiamo osservare alcune somiglianze ideologiche che riguardano la valorizzazione della tradizione, un forte nazionalismo, l’opposizione al modernismo e l’idea di un’Italia forte e indipendente. Anche nel pratico le somiglianze non mancano: il distaccamento di Rinascenza Monza ha proposto di istituire delle ronde “anti maranza” con giacche anti-taglio e piccoli scudi a supporto delle forze dell’ordine. Ma le squadre anti maranza non erano prerogativa di Articolo 52? Inoltre, il fascismo storicamente utilizzava un linguaggio estetico e simbolico molto forte, come le architetture monumentali, l’uso di simboli patriottici e la celebrazione di eroi nazionali. Anche nell’iconografica il movimento Rinascita sembra avere un focus sull’estetica nazionale e sull’importanza di promuovere un’immagine dell’Italia che rappresenti la grandezza passata e il suo futuro. Addirittura, il comitato di Rinascenza Roma ha nel simbolo la corona di alloro d’oro, simbolo anche dei Proud Boys. La collocazione politica di Rinascenza ancora non è chiara, lampante invece il fatto che opera sulla cultura delle persone e vuole formarli su principi di cui i fascismi si nutrono. È questa l’Italia che vedremo nei prossimi anni?
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