1945 – 2025. Oggi come ieri
Azione diretta contro il fascismo
Venerdì 25 aprile ore 15
Alla lapide del partigiano anarchico Ilio Baroni in corso Giulio Cesare angolo
corso Novara dove Ilio cadde combattendo il 26 aprile 1945.
Ricordo, bicchierata, fiori, musica.
E, dal vivo, il Cor’okkio nel canzoniere anarchico e antifascista
(in caso di pioggia ci troviamo in piazza Crispi).
Contro guerra, militarismo, repressione, per la rivoluzione sociale
La memoria è uno strumento per leggere il presente e trasformarlo radicalmente.
Il 25 aprile rappresenta un’occasione preziosa. Rievocare l’epopea partigiana
non è un esercizio retorico, ci ricorda l’importanza di lottare apertamente
contro il fascismo, da sempre braccio armato dei padroni che ci costringono ad
un’intollerabile condizione di miseria e di sfruttamento.
Oggi viviamo in un clima di guerra e di revisionismo senza precedenti. La
Resistenza viene ridotta a mera lotta di liberazione nazionale, per cancellarne
la spinta sovversiva, internazionalista, contro stato e capitalismo. La
prospettiva rivoluzionaria si eclissa sotto il peso di una narrazione egemone
che vede la Repubblica come approdo definitivo, frutto degli sforzi di tanti e
tante che al contrario volevano farla finita con una società divisa in classi.
Nel frattempo le periferie della nostra città sono sotto costante assedio
militare. Si moltiplicano le retate contro coloro che non hanno in tasca il
giusto documento. Le questioni sociali vengono trattate come problemi di ordine
pubblico.
I ricchi diventano sempre più ricchi, mentre i poveri sono sempre più poveri. Il
lavoro non c’è, e anche quando c’è è sottopagato, pericoloso, sfruttato, privo
di qualsivoglia tutela. Precarietà, sfratti, povertà sono all’ordine del giorno.
Fitto e bollette sono cresciuti a dismisura e sempre più persone faticano ad
arrivare alla fine del mese.
Il governo fascista soffia sul fuoco della guerra fra poveri, per nascondere la
guerra sociale che ha scatenato contro tutti i poveri, italiani e nati altrove.
Il tentativo è quello di imprimere una svolta sempre più autoritaria e
liberticida al paese, dotandosi di strumenti utili a reprimere sul nascere
qualsiasi insorgenza sociale.
La ricetta scelta per ostacolare l’opposizione politica e sociale è l’ultimo
Decreto Legge “Sicurezza” (ex DDL 1236), approvato dal Consiglio dei Ministri e
pubblicato in Gazzetta Ufficiale lo scorso 12 aprile. Il provvedimento appena
entrato in vigore bypassando completamente il parlamento, si inserisce nel solco
già aperto da altri provvedimenti (i decreti rave, Cutro, immigrazione,
Caivano), che colpiscono i poveri, gli stili di vita non conformi, gli stranieri
senza documenti. Blocchi stradali o ferroviari, picchetti, occupazioni, scritte
su caserme o commissariati, prevedono pene durissime.
Normali forme di lotta attuate dai movimenti climatici, sociali e sindacali,
anticarcerari e no border rischiano di costare la galera a tante compagne e
compagni.
Viene confermata l’introduzione del reato di “terrorismo della parola”. Viene
concesso ancora più potere, agibilità e impunità alle forze di polizia. Le lotte
portate avanti nelle carceri e nei CPR – anche sotto forma di resistenza passiva
– possono essere perseguite in modo più duro perché chi le attua è dipinto come
costitutivamente criminale, illegale, fuori norma.
La logica sottesa al decreto è quella del diritto penale del nemico. Una logica
di guerra, nella quale coloro che vengono identificati come nemici vanno
annientati, ridotti a nulla, privati di vita, libertà e dignità. Per il nemico
non valgono le tutele formali riservate ai cittadini. Quando la logica bellica
si applica al diritto, alcuni gruppi umani vengono repressi per quello che sono
più che per quello che fanno. L’intera azione dell’esecutivo è informata a
questo principio. Un principio sulle cui fondamenta sono stati costruiti i lager
nazisti e i gulag staliniani.
Oggi la democrazia getta via la maschera e mostra il suo vero volto, quello
della più spudorata violenza a salvaguardia del privilegio di classe e del
potere nelle mani di pochi.
Non solo. La stretta repressiva in atto e la criminalizzazione dei movimenti
sociali vanno di pari passo con un intenso impegno bellico, sostenuto sia dalla
sinistra che dalla destra istituzionale. Il piano ReArm Europe prevede di
destinare ben 800 miliardi di euro al riarmo su ampia scala.
La spesa militare nel nostro paese ha da tempo toccato quota 108 milioni di euro
al giorno. Le missioni all’estero delle forze armate italiane a difesa dei
propri interessi neocoloniali si sono moltiplicate. In compenso, servizi
pubblici essenziali vanno incontro ad ingenti tagli.
Casa, sanità, istruzione, trasporti pubblici di prossimità efficienti sono un
vero e proprio miraggio. Il warfare prende definitivamente il posto delle
sorpassate politiche di welfare.
L’industria militare fa affari d’oro, a pagarne le spese sono uomini, donne e
bambini che periscono sotto le bombe costruite a due passi dalle nostre case. La
nostra città – vera e propria eccellenza nel settore aerospaziale bellico – si
impegna a costruire la Città dell’Aerospazio, polo di ricerca promosso dal
colosso armiero Leonardo e dal Politecnico subalpino, il quale ospiterà persino
un acceleratore d’innovazione nel campo della Difesa, uno dei nove nodi europei
del D.I.A.N.A, struttura della NATO.
Vogliono arruolare i nostri corpi e le nostre coscienze bombardandoci di
retorica patriottica, a partire dalle scuole e dalle università. Vogliono
prepararci ad un allargamento del conflitto che può essere solo foriero di
morte.
Ma le leggi dettate dal clima repressivo e dall’economia di guerra non sono
altro che il precipitato normativo dei rapporti di forza all’interno della
società. Siamo ancora in tempo per far sì che la paura cambi di campo, per
fermare l’avanzata del fascismo, del nazionalismo, del militarismo.
Le tante libertà che padroni e governanti continuano a sottrarci con la forza
possiamo riprendercele soltanto praticando l’azione diretta, la solidarietà, il
mutuo appoggio tra sfruttat*. I partigiani che imbracciarono le armi e
combatterono strada per strada e sui sentieri di montagna fino alla seconda metà
degli anni ’40 del Novecento, lo sapevano bene.
Spetta a noi raccoglierne l’eredità e fare in modo che il loro sforzo non sia
stato vano.
Spetta a noi realizzare giorno dopo giorno il sogno di un mondo di libere ed
eguali, di una società realmente autogestita, libera da stato, padroni,
militari, polizia.
Federazione Anarchica Torinese
Assemblea Antimilitarista – Torino
riunioni, aperte agli interessat, ogni martedì alle 20,30 in corso Palermo 46
www.anarresinfo.org
Tag - antifascismo
1945 - 2025. OGGI COME IERI AZIONE DIRETTA CONTRO IL FASCISMO
lapide del partigiano anarchico Ilio Baroni - corso Giulio Cesare angolo corso
Novara
(venerdì, 25 aprile 15:00)
1945 - 2025. Oggi come ieri
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Venerdì 25 aprile ore 15
Alla lapide del partigiano anarchico Ilio Baroni in corso Giulio Cesare angolo
corso Novara dove Ilio cadde combattendo il 26 aprile 1945.
Ricordo, bicchierata, fiori, musica.
E, dal vivo, il Cor’okkio nel canzoniere anarchico e antifascista
(in caso di pioggia ci troviamo in piazza Crispi).
Contro guerra, militarismo, repressione, per la rivoluzione sociale
1945-2025. Oggi come ieri
Azione diretta contro Stato e fascisti!
La memoria è uno strumento per leggere il presente e trasformarlo radicalmente.
Il 25 aprile rappresenta un'occasione preziosa. Rievocare l'epopea partigiana
non è un esercizio retorico, ci ricorda l'importanza di lottare apertamente
contro il fascismo, da sempre braccio armato dei padroni che ci costringono ad
un'intollerabile condizione di miseria e di sfruttamento.
Oggi viviamo in un clima di guerra e di revisionismo senza precedenti. La
Resistenza viene ridotta a mera lotta di liberazione nazionale, per cancellarne
la spinta sovversiva, internazionalista, contro stato e capitalismo. La
prospettiva rivoluzionaria si eclissa sotto il peso di una narrazione egemone
che vede la Repubblica come approdo definitivo, frutto degli sforzi di tanti e
tante che al contrario volevano farla finita con una società divisa in classi.
Nel frattempo le periferie della nostra città sono sotto costante assedio
militare. Si moltiplicano le retate contro coloro che non hanno in tasca il
giusto documento. Le questioni sociali vengono trattate come problemi di ordine
pubblico.
I ricchi diventano sempre più ricchi, mentre i poveri sono sempre più poveri. Il
lavoro non c'è, e anche quando c'è è sottopagato, pericoloso, sfruttato, privo
di qualsivoglia tutela. Precarietà, sfratti, povertà sono all'ordine del giorno.
Fitto e bollette sono cresciuti a dismisura e sempre più persone faticano ad
arrivare alla fine del mese.
Il governo fascista soffia sul fuoco della guerra fra poveri, per nascondere la
guerra sociale che ha scatenato contro tutti i poveri, italiani e nati altrove.
Il tentativo è quello di imprimere una svolta sempre più autoritaria e
liberticida al paese, dotandosi di strumenti utili a reprimere sul nascere
qualsiasi insorgenza sociale. La ricetta scelta per ostacolare l'opposizione
politica e sociale è l'ultimo Decreto Legge "Sicurezza" (ex DDL 1236), approvato
dal Consiglio dei Ministri e pubblicato in Gazzetta Ufficiale lo scorso 12
aprile. Il provvedimento appena entrato in vigore bypassando completamente il
parlamento, si inserisce nel solco già aperto da altri provvedimenti (i decreti
rave, Cutro, immigrazione, Caivano), che colpiscono i poveri, gli stili di vita
non conformi, gli stranieri senza documenti. Blocchi stradali o ferroviari,
picchetti, occupazioni, scritte su caserme o commissariati, prevedono pene
durissime. Normali forme di lotta attuate dai movimenti climatici, sociali e
sindacali, anticarcerari e no border rischiano di costare la galera a tante
compagne e compagni. Viene confermata l'introduzione del reato di “terrorismo
della parola”. Viene concesso ancora più potere, agibilità e impunità alle forze
di polizia. Le lotte portate avanti nelle carceri e nei CPR - anche sotto forma
di resistenza passiva - possono essere perseguite in modo più duro perché chi le
attua è dipinto come costitutivamente criminale, illegale, fuori norma. La
logica sottesa al decreto è quella del diritto penale del nemico. Una logica di
guerra, nella quale coloro che vengono identificati come nemici vanno
annientati, ridotti a nulla, privati di vita, libertà e dignità. Per il nemico
non valgono le tutele formali riservate ai cittadini. Quando la logica bellica
si applica al diritto, alcuni gruppi umani vengono repressi per quello che sono
più che per quello che fanno. L’intera azione dell’esecutivo è informata a
questo principio. Un principio sulle cui fondamenta sono stati costruiti i lager
nazisti e i gulag staliniani. Oggi la democrazia getta via la maschera e mostra
il suo vero volto, quello della più spudorata violenza a salvaguardia del
privilegio di classe e del potere nelle mani di pochi.
Non solo. La stretta repressiva in atto e la criminalizzazione dei movimenti
sociali vanno di pari passo con un intenso impegno bellico, sostenuto sia dalla
sinistra che dalla destra istituzionale. Il piano ReArm Europe prevede di
destinare ben 800 miliardi di euro al riarmo su ampia scala.
La spesa militare nel nostro paese ha da tempo toccato quota 108 milioni di euro
al giorno. Le missioni all'estero delle forze armate italiane a difesa dei
propri interessi neocoloniali si sono moltiplicate. In compenso, servizi
pubblici essenziali vanno incontro ad ingenti tagli. Casa, sanità, istruzione,
trasporti pubblici di prossimità efficienti sono un vero e proprio miraggio. Il
warfare prende definitivamente il posto delle sorpassate politiche di welfare.
L'industria militare fa affari d'oro, a pagarne le spese sono uomini, donne e
bambini che periscono sotto le bombe costruite a due passi dalle nostre case. La
nostra città - vera e propria eccellenza nel settore aerospaziale bellico - si
impegna a costruire la Città dell'Aerospazio, polo di ricerca promosso dal
colosso armiero Leonardo e dal Politecnico subalpino, il quale ospiterà persino
un acceleratore d'innovazione nel campo della Difesa, uno dei nove nodi europei
del D.I.A.N.A, struttura della NATO.
Vogliono arruolare i nostri corpi e le nostre coscienze bombardandoci di
retorica patriottica, a partire dalle scuole e dalle università. Vogliono
prepararci ad un allargamento del conflitto che può essere solo foriero di
morte.
Ma le leggi dettate dal clima repressivo e dall'economia di guerra non sono
altro che il precipitato normativo dei rapporti di forza all'interno della
società. Siamo ancora in tempo per far sì che la paura cambi di campo, per
fermare l'avanzata del fascismo, del nazionalismo, del militarismo.
Le tante libertà che padroni e governanti continuano a sottrarci con la forza
possiamo riprendercele soltanto praticando l'azione diretta, la solidarietà, il
mutuo appoggio tra sfruttat*. I partigiani che imbracciarono le armi e
combatterono strada per strada e sui sentieri di montagna fino alla seconda metà
degli anni '40 del Novecento, lo sapevano bene.
Spetta a noi raccoglierne l'eredità e fare in modo che il loro sforzo non sia
stato vano.
Spetta a noi realizzare giorno dopo giorno il sogno di un mondo di libere ed
eguali, di una società realmente autogestita, libera da stato, padroni,
militari, polizia.
Federazione Anarchica Torinese
Assemblea Antimilitarista – Torino
riunioni, aperte agli interessat, ogni martedì alle 20,30 in corso Palermo 46
CORTEO ANTIFA
Alba, via Pinot Gallizio - Via Pinot Gallizio
(sabato, 26 aprile 15:00)
Il fascismo è vivo in Italia e nel mondo e non si riduce a un manipolo di
nostalgici picchiatori, che per quanto sgradevoli rimangono ridicoli. Spesso
assume altre forme. Un disegno di legge liberticida, per esempio o un centro di
permanenza e rimpatrio in Albania.
Chi è fascista vuole ordine: un operaio che sciopera, una studentessa che
protesta rappresentano una minaccia e un danno per il benessere della nazione.
Chi è fascista vuole disciplina: aumentare il controllo significa evitare
subbuglio, evitare consapevolezza.
Chi è fascista vuole divisione: diffonde cultura xenofoba, per via di una
presunta superiorità morale e culturale. In altre parole , in nome nazionalismo,
la destra sta coi padroni - desidera che chi detiene il potere continui a
mantenerlo senza intoppi . E contribuisce a colpire le fasce basse della
società, olea la macchina del profitto impedendo l'organizzazione e il dissenso
dal basso; il risultato: contratti precari, disoccupazione, stipendi miseri e la
fine del mese che pare un traguardo irraggiungibile.
Lo sfruttamento, la disparità li tocchiamo con mano nel nostro territorio.
Quattro mesi fa morivano vittime della disuguaglianza sociale Issa e Mamadou,
due braccianti simbolo del sistema schiavista e razzista intrinseco nel settore
agroalimentare.
Un anno fa cominciava la lotta contro Ferrero, da parte delle lavoratrici
Proteco: confezionano cioccolatini a 5€/h . E gli esempi potrebbero essere
centinaia, paradossale per un territorio famoso per qualità di vita eccellente e
ricchezza. Ricchezza di pochi, sulle spalle dei molti. Noi non ci stiamo.
Prevaricazione, razzismo e classismo si combattono solo con la solidarietà, con
l'organizzazione e con la lotta . Il 26 aprile continuiamo il nostro percorso,
per un mondo equo e giusto. Operai e operaie , studenti e studentesse, precari e
precarie unite e uniti.
Con grande gioia riceviamo e pubblichiamo questo comunicato.
Si è concluso martedì 25 marzo 2025, dopo sette anni e quattro mesi, il processo
a carico di 4 compagn*, accusat* di essersi oppost* in diversi modi all’apertura
della sede di Cagapound di Cesena avvenuta a gennaio 2018 in via Albertini 28/D
(poi chiusa e riaperta prima in via Giorgio Amendola 9 e nel maggio 2024 in
Corte Dandini 4).
Inizialmente condannate in primo grado dal Tribunale di Forlì, la sentenza di
Appello a Bologna ha invece assolto tutte e quattro le persone imputate,
annullando quindi le iniziali condanne che (lo ricordiamo) erano:
– per tre imputat* una multa di 800 euro a testa per diffamazione (nello
specifico accusat* di aver diffuso un volantino che ricordava la complicità di
chi concede i propri locali in affitto ai gruppi neofascisti, affisso per
Cesena, con indicati nomi e cognomi dei summenzionati proprietari);
– per la quarta compagna una condanna a 7 mesi di carcere per tentata violenza
privata, con l’accusa di aver tentato di convincere verbalmente i proprietari a
non affittare il loro negozio a un gruppo di fascisti dichiarati.
Oltre alle condanne gli imputati avrebbero dovuto pagare le spese processuali
anche della controparte e un risarcimento ai proprietari del locale, Daniele e
Francesco Lombardini, di circa 9000 euro, dato che questi si erano costituiti
come parte civile al processo, che verteva sulle testimonianze accusatorie di
alcuni poliziotti e degli stessi fascisti.
Il tentativo, palese, era quello di intimidire l’antifascismo militante con
titoloni sui giornali locali, processi, condanne ed estorsioni da migliaia di
euro.
Ora aspettiamo le motivazioni della sentenza, ma possiamo già dire che questo
tentativo è fallito.
In questi anni di processo sono state fatte numerose iniziative per sostenere le
nostre compagne e i nostri compagni: assemblee, presidi sotto al tribunale in
occasione delle udienze, trekking solidali ultra-partecipati (di cui l’ultimo il
16 marzo scorso), cene e concerti benefit, cortei.
E proprio uno di questi cortei vogliamo ora menzionare, nello specifico quello
che si è svolto a Cesena il 13 novembre 2021, di contrasto alle politiche
antiproletarie e filopadronali del governo Draghi e contro la narrazione dello
Stato e dei media della gestione Covid e quella dei gruppi fascisti che volevano
parlare di libertà (proprio loro!) strumentalizzando alcune delle proteste
contro il green pass.
In seguito a questo corteo, nato anche come momento benefit per le spese
processuali delle persone indagate per l’opposizione a Cagapound, altri 3
compagn* sono stati accusati di aver sottratto una telecamere ad un digos.
Nello specifico, due accusat* di rapina aggravata e resistenza a pubblico
ufficiale, e un terzo accusato di favoreggiamento. Nella recente sentenza di
Appello il compagno accusato di favoreggiamento è stato assolto, mentre per le
altre due persone è caduta la rapina aggravata ed è rimasta una condanna a poco
più di 4 mesi per resistenza a pubblico ufficiale.
Di fronte all’arroganza del potere, che con le sue leggi prova a schiacciare chi
protesta e chi lotta – ultimo esempio è il ddl sicurezza che il governo Meloni
vorrebbe approvare definitivamente nei prossimi mesi – e allo sdoganamento
odierno (anche istituzionale) delle peggiori ideologie razziste, suprematiste,
militariste e fasciste a livello mondiale, bisogna continuare a mobilitarsi.
La solidarietà ci dimostra che chi lotta non è mai sol*!
Gratitudine e amicizia va a chi in questi anni ha continuato a sostenere chi si
trovava sotto processo. I contributi solidali a sostegno delle persone assolte
in appello, tolte le spese per gli avvocati, saranno usati per chi si trova
ancora a fare i conti con la repressione che in questi tempi non risparmia di
certo i suoi colpi.
Antifasciste ed Antifascisti di Forlì e Cesena
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25 APRILE 25 - CONTRO IMPERIALISMO E GUERRA
Pedonale Dante Di Nanni - Via Dante Di Nanni
(venerdì, 25 aprile 13:00)
Ci avviciniamo a celebrare l'80esimo anniversario della liberazione dal
nazi-fascismo immersi in un'atmosfera da fine del mondo.
Se non fosse bastata la promessa distruttiva della crisi ecologica in cui siamo
immers*, con la sindemia del covid come trauma collettivo già quasi-rimosso, la
guerra aperta è nuovamente esplosa anche nella "pacifica" Europa.
Sappiamo bene che per i popoli e per le soggettività oppresse, così come per le
lavoratrici e i lavoratori, la guerra, nelle sue forme più esplicite delle bombe
in Palestina o in quelle meno dichiarate come femminicidi, transicidi, morti sul
lavoro o in mare, non si era mai fermata.
Al contempo però assistiamo ad un cambio di paradigma, esemplificato dai
discorsi intorno alla guerra guerreggiata, dal via libera al riarmo come unica
soluzione per salvarci dalla barbarie, dal riaccendersi dei nazionalismi e dalle
guerre commerciali.
Eppure, di fronte all'intensificarsi del genocidio in Palestina, all'aumento
vertigionoso delle spese in armamenti in Europa e nel mondo, alla violenta
repressione del dissenso che, partendo dagli USA di Trump e passando per la
"democratica" Germania, arriva fino alla fascistissima Italia, non è il momento
di abbandonarci allo sconforto nè di soccombere alla disillusione.
Il macro della geopolitica estera si riflette e rafforza nel micro delle nostre
vite e dei quartieri in cui viviamo come nodi in tensione da cui rispondere,
opporsi e resistere, soprattutto quando la sospensione totale di qualsiasi forma
di democrazia si rende evidente. Ci scontriamo infatti con disuguaglianze di
classe sempre più amplificate, le stesse che rendono impossibile a moltx avere
una casa ed arrivare a fine mese nonostante un contesto urbano colmo di spazi
abbandonati lasciati a marcire. Le città che abitiamo si rivelano divise in
frontiere interne che separano i quartieri “riqualificati”, accessibili a
poch*, da quelli “indecorosi”, raccontati come pericolosi attraverso le famose
“zone rosse” fino a rendere di nuovo legittimi e desiderabili luoghi di confine
e tortura come le carceri e i cpr. Nel clima di guerra diffuso, non sono solo le
fasce più marginalizzati a subire il neofascismo, siamo tutt noi, perché i tagli
all’istruzione, alla ricerca, alla salute pubblica, ai centri antiviolenza hanno
effetti reali sui corpi senza distinzioni, seppur con differenti gradi di
severità. In questo meccanismo stratificato, la guerra si presenta come realtà
pronta a riscrivere i presupposti di ulteriori divisioni sociali, nuovi sommersi
e salvati mentre si allarga la fascia di persone e corpi sacrificabili.
Se la confusione è grande sotto il cielo, il momento non è certo eccellente,
eppure il mondo è lungi dall'essere pacificato: in Palestina il movimento di
resistenza palestinese affronta con determinata ostinazione il tentativo di
cancellazione del loro popolo, negli Stati Uniti studentesse e studenti
infiammano le università sfidando l'ira repressiva del governo repubblicano,
mentre dal Chiapas arriva l'appello a costruire "il giorno dopo" della tempesta
capitalista.
IL 25 aprile ci pare allora quanto mai attuale, nel suo interrogarci in maniera
urgente, non solo oggi ma nelle lotte che animiamo tutti i giorni: di fronte
alle crisi del mondo che conosciamo, con i suoi immancabili risvolti violenti e
sanguinari, da che parte stiamo? Quali responsabilità, individuali e collettive,
ci chiamano all'azione?
Ieri come oggi, resistere rimane per noi una postura necessaria quanto
diversificata nella molteplicità di pratiche, forme e idee disposte a
contrastare imperialismi e fascismi vecchi e nuovi. Che sia nell'opporsi a
progetti estrattivi ed ecocidi tramite sabotaggi e picchetti, occupando
fabbriche e rivoluzionando gli assetti produttivi in chiave anti-capitalista,
dis-armando una guerra contro le donne e le soggettività non conformi al mito
patriarcale e alle sue soluzioni punitive e securitarie. Smontando il mito del
progresso e della pace basate su violenza e sfruttamento lontano dai nostri
occhi. Resistiamo e ci organizziamo nella lotta liberando spazi e menti,
salvando il desiderio di un'alternativa rispetto a un mondo in fiamme, occupando
case, palazzi, quartieri e università per dar spazio a nuove forme del sociale,
di alleanze e di solidarietà nelle lotte di ciascun contro nemici comuni, perchè
nessunx rimanga solx.
Oggi, dopo 80 anni, siamo qui per ricordare, e per non dimenticare mai, il costo
della nostra libertà e la sua necessità, uno sforzo continuo da compiere
insieme, giorno dopo giorno.
Sarà un giorno di festa e di lotta, vogliamo passarlo con l nostr compagn, sicur
che le nostre strade si incontreranno ancora e spesso nei tempi prossimi di
resistenza.
Fino alla rivoluzione
PROGRAMMA
I giudici Corte d’appello di Parigi non hanno concesso l’estradizione di Rexhino
“Gino” Abazaj all’Ungheria, riconoscendo di fatto che il regime di Orbán non
garantisce le condizioni per un giusto processo.
La sezione della Corte d’appello di Parigi che si occupa di estradizioni ha
rifiutato di consegnare all’Ungheria Rexhino “Gino” Abazaj, l’attivista
antifascista italo-albanese accusato di aver aggredito due neonazisti nel
febbraio del 2023 a Budapest, e detenuto in Francia su mandato d’arresto
dell’Ungheria.
Le accuse contro Gino erano le stesse rivolte all’europarlamentare italiana
Ilaria Salis e a un’altra decina di persone, che in quei giorni si trovavano
nella capitale ungherese per partecipare ad alcune contromanifestazioni in
occasione del “Giorno dell’onore”, una commemorazione che riunisce ogni anno
migliaia di militanti di neonazisti.
La Corte d’appello ha citato come motivazione i «rischi di violazioni dei
diritti» stabiliti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU),
riconoscendo che l’Ungheria non rispetterebbe il diritto di Abazaj a un giusto
processo. La Corte ha anche revocato le misure cautelari nei suoi confronti.
Abazaj è cresciuto in Italia, dove era arrivato quando aveva tre anni e dove
tuttora vive la sua famiglia. Era detenuto in Francia dallo scorso 12 novembre,
quando era stato fermato nella periferia di Parigi: ha sempre negato le accuse.
Già a gennaio la Corte d’appello di Parigi aveva messo in dubbio la capacità e
la volontà dell’Ungheria di garantire un processo equo per Abazaj, e aveva
quindi chiesto all’Ungheria di dare «garanzie effettive» e precise sulle sue
eventuali modalità di detenzione. Abazaj era stato rilasciato a fine marzo, ma
in attesa di una decisione sull’estradizione era rimasto sotto controllo
giudiziario (che ora è stato rimosso).
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A inizio marzo nella città lombarda sono comparsi dei volantini che promettono
improbabili ricompense in cambio di informazioni su un “ragazzo nordafricano”
accusato di un’aggressione. E vengono indette manifestazioni per “strappare” la
città “al degrado e all’invasione”. Una retorica non isolata che tiene insieme
realtà come CasaPound e Do.Ra.. C’è chi prova a resistere, scendendo in piazza
di Chiara Pedrocchi da Altreconomia
“Duecento euro di ricompensa. Stiamo cercando il ventenne nordafricano che ha
aggredito l’ottantenne uomo del trenino – il nonno dei Giardini Estensi”: sembra
il Far West e invece è Varese, e questa frase è stata scritta su alcuni
volantini affissi nella stazione di Casbeno e in giro per la città a inizio
marzo.
Fanno riferimento all’aggressione ai danni dell’uomo che gestisce il trenino nel
parco pubblico fuori dal palazzo del Comune, avvenuta a fine febbraio. L’anziano
ha deciso di sporgere denuncia, delegando la ricerca dell’uomo che l’ha
picchiato alle forze dell’ordine. Ma i volantini stanno circolando lo stesso e
sono sintomo dell’aria che tira nella provincia lombarda.
Un primo punto di vista dal quale guardare al volantino è legato a un razzismo
sistemico che autorizza lo scatenarsi di una caccia all’uomo. Lo fa senza che
venga fornito nessun dettaglio aggiuntivo sulla persona in questione: in questo
modo ogni ragazzo nero può essere additato come colpevole, e diventare vittima
di una cieca violenza razziale. Il secondo piano riguarda una forma di sfiducia
nelle istituzioni: se la vittima dell’aggressione già ha denunciato, non è
corretto che altri si arroghino il diritto di prendere l’iniziativa e decidere,
di fatto, del destino del giovane.
E poi c’è il terzo piano di analisi. Riguarda il fatto che l’episodio non è un
caso isolato, ma assume un significato preoccupante quando contestualizzato in
un clima di odio e di violenza che con questo volantino è arrivato, di fatto, a
mettere a rischio l’incolumità di un’intera categoria di persone. Basta cercare
su Instagram “Notizie locali”, la pagina a cui il volantino dice di rivolgersi,
per capire lo sguardo politico di chi c’è dietro l’iniziativa.
La stessa pagina, infatti, ha ricondiviso nelle proprie storie la locandina
della manifestazione organizzata in Piazza della Repubblica a Varese sabato 29
marzo alle 18. La piazza, messa su dal Comitato Difendiamo le nostre città, con
sottotitolo “la città soffoca: strappala al degrado e all’invasione”, ricalca la
manifestazione avvenuta a Busto Arsizio (VA) il 26 gennaio. Tra i gruppi che
hanno aderito alla manifestazione del 29 marzo ci sono anche CasaPound e Do.Ra,
ovvero gruppi di matrice neofascista e neonazista.
Sempre sulla pagina Notizie locali vengono inoltre costantemente promosse delle
vere e proprie ronde anticrimine. Altre pagine collegate, come onlylocalnews e I
100 uomini della legalità, hanno condiviso un video in cui si invitano tutti a
unirsi e organizzare “sistemi di difesa o camminate contro il degrado”. Le ronde
in questione hanno tutta l’aria di aspirare a una forma di giustizia privata,
che in Italia è illegale. Nonostante questo, gli uomini che chiamano all’azione
su Varese si dichiarano “a fianco delle forze dell’ordine nella consapevolezza
che non ci è stato chiesto, ma che comunque qualcosa di buono si può fare”.
È il risultato di una narrazione che da anni individua nelle persone immigrate i
soggetti responsabili di tutti i problemi. È quello che sostiene anche Giorgio
Maran, sindacalista e attivista nel gruppo Collettiva: “I problemi ci sono ma
derivano dalla crisi sociale in corso: ad esempio, solo questa settimana, ci
sono stati 50 nuovi accessi alla Casa della carità della parrocchia Brunella,
dove le persone vanno a ritirare un pasto caldo. Ma gli immigrati non sono che
il capro espiatorio di questa situazione: quando mancano i presidi minimi di
cittadinanza, come casa, reddito minimo, supporto psicologico, servizi educativi
e politiche all’altezza delle necessità, si creano situazioni che vengono
chiamate di degrado, ma che sono sintomo di problemi più profondi”.
È stato proprio il gruppo Collettiva a lanciare, per primo, la proposta di una
manifestazione in opposizione a quella di Piazza della Repubblica, e avente
slogan “Varese è antifascista. E scende in piazza, unita”. L’appuntamento è
stato dato in Piazza Monte Grappa, sempre il 29 marzo, alle 16.30. Alla
manifestazione antifascista hanno aderito diverse realtà attive sul territorio,
come Fridays For Future, Anpi, Cgil, VAcheLotta e partiti come il Movimento 5
stelle, Sinistra italiana e il Partito democratico, compreso il sindaco Davide
Galimberti. “Antifascisti, dicono loro, antitaliani diciamo noi”, ha detto la
portavoce del Comitato difendiamo le nostre città.
Ma nella piazza antifascista non c’è nessuna forma di antitalianità. C’è, se
mai, un diverso concetto di sicurezza e di cura della propria città. Varese non
è che un esempio di un conflitto che si sta allargando a macchia d’olio in tutta
Italia. “Negli ultimi mesi sta accadendo che diverse sigle dell’estrema destra
stiano trovando una propria ragione d’essere, un proprio mercato della politica
nel rafforzare alcune parole d’ordine agitate anche dalla destra di governo”,
dice Valerio Renzi, giornalista che da anni si occupa di destre radicali e
culture di destra.
Aggiunge Renzi che “questa propaganda dei fatti e questo rilancio di forme di
vigilantismo è un fenomeno abbastanza preoccupante. Lo vediamo con Cicalone che
organizza a Roma ronde in metropolitana contro i borseggiatori, nelle
aggressioni che ci sono state a Milano, lo vediamo anche a Varese. Non mi sembra
un meccanismo di competizione tra la destra radicale e la destra di governo, ma
mi sembra piuttosto sia un gioco di sponda tra chi dalla propria postazione al
governo si incarica di agitare queste parole d’ordine e chi le sostiene dal
basso”.
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Gino, antifascista milanese, verrà rilasciato dalla prigione di Fresnes senza
l’obbligo dei domiciliari ma non potrà lasciare la Francia, dov’è stato
arrestato nel novembre 2024 con l’accusa di aver preso parte alla mobilitazione
antifascista europea contro la calata neonazista in Ungheria del cosiddetto
“Giorno dell’onore”, nel febbraio 2023. Tra loro erano presenti anche
l’eurodeputata italiana Ilaria Salis e l’attivista tedesca Maja T., ancora
detenuta nelle carceri ungheresi.
Per quanto riguarda la situazione di Gino, resta confermata l’udienza del 9
aprile, nella quale è possibile che venga presa la decisione in merito alla
richiesta di estradizione in Ungheria avanzata dalle autorità di Budapest. Nello
stesso giorno è previsto un presidio a Milano davanti al consolato francese di
via Privata Cesare Mangili 1.
Per tutte le notizie e gli aggiornamenti, si può seguire la pagina Free Gino
Libero.
L’intervista ai microfoni di Radio Onda d’Urto con Nic, compagno del Comitato
milanese di solidarietà a Gino. Ascolta o scarica
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A Perugia attivist* antifà stanno ricevendo degli avvisi orali dalla questura
per aver espresso il proprio dissenso il 24 gennaio, durante la presentazione di
un libro neo fascista in una sala del comune.
Premessa: il 24 Gennaio 2025, a Perugia, un’adunata (neo)fascista ha potuto
avere luogo nella suggestiva cornice della Sala della Vaccara, a un solo muro di
distanza dall’aula consiliare di Palazzo dei Priori: motivo del ritrovo, la
presentazione di un libro edito da Settimo Sigillo, marchio della Libreria
Europa. Vista la dichiarata inettitudine dell’amministrazione Comunale ad
impedire il raduno in alcun modo, la protesta è montata spontaneamente e un
gruppo di persone si è quindi ritrovato in piazza IV Novembre per esprimere
almeno il proprio disgusto e ribadire che iniziative del genere non dovrebbero
essere tollerate.
A un mese di distanza, stanno fioccando tra chi ha partecipato alla protesta
avvisi orali del Questore. Stante l’insostenibilità di mettere alla sbarra
quella che è stata una dimostrazione più che pacifica, la Questura ha deciso di
criminalizzare il dissenso ricorrendo al collaudato arbitrio delle misure
preventive.
Niente udienza, niente possibilità di difendersi nell’immediato, ma solo a
posteriori e con un esoso ricorso. Intanto però si viene marchiat* come elemento
“antisociale”.
Nelle notifiche infatti si minaccia apertamente chi ha espresso il proprio
antifascismo, con buona pace della finzione di ordinamento costituzionale cui il
Questore dovrebbe la sua lealtà. Rivolgendosi direttamente alle persone presenti
a quella che è definita “adunata sediziosa” (san codice Rocco, illumina il
cammino), si sostiene che queste debbano “cambiare condotta”, e che il loro
“stile di vita” potrebbe in futuro portarle a commettere dei reati. Si arriva
addirittura a ipotizzare il possibile ricorso a procedure restrittive antimafia.
In ogni caso, e senza alcun elemento a suffragio di tale affermazione, le
persone sono definite nelle parole della Questura come “socialmente pericolose”.
Ha pienamente ragione, signor Questore.
È un autentico pericolo per il corpo sociale limitarsi a contestare in poche
decine la presenza dei fascisti in città. Non siamo certo orgoglios* di quanto
accaduto. Quanto abbiamo fatto è il minimo sindacale, lo riteniamo anzi
inadeguato, manchevole, e dunque sì, pericoloso.
A sole 48 ore dalla vigilia del giorno della Memoria, i diretti eredi dei
responsabili morali e politici dello sterminio nei campi si sono riuniti in
pieno centro città con il tacito assenso dell’amministrazione, la stessa che
pochi giorni più tardi si sarebbe riempita la bocca di retorica sulla Shoah. Gli
epigoni dei boia genocidi hanno potuto ritrovarsi impunemente, e in tutta calma
disquisire della continuità di quella che dicono essere la loro “comunità di
destino”. Destino da dominanti, costruito sulle ceneri di chi è reputato
inferiore, e che vorrebbero vedersi compiere una volta di più nella storia
umana. Inutile cullarsi nell’illusione che questi figuri siano anacronistici, e
che sia meglio ignorarli, assumendo la comoda posizione dello struzzo. A una
certa, è cosa nota, l’odore di piume bruciate arriva anche nel buco in cui si è
cacciata la testa per non vedere.
Siamo quindi pienamente d’accordo con lei, signor Questore, e condividiamo la
sua preoccupazione. Che un numero tutto sommato esiguo di persone si sia
limitato a stazionare lanciando cori fuori della sala in cui si teneva un
incontro dell’estrema destra, difeso peraltro da un ingente dispiegamento di FF.
OO., è un autentico e allarmante segnale di pericolo per la società intera.
Ribadiamo, signor Questore, il suo cruccio è anche il nostro. Troppo poch*. E
troppo poco (come si dice a Perugia). Consentire la presenza fascista può
portare ad essere complici di crimini, non c’è nulla di più vero. Crimini contro
l’umanità solitamente, quali deportazioni, torture, stragi e genocidi.
Quanto è successo (e sta succedendo tuttora) a Perugia è di assoluta gravità, ma
non rappresenta un caso isolato nel panorama locale: pensiamo a quanto
recentemente accaduto alla stazione di Terni a margine della protesta contro il
decreto Sicurezza, quando di ritorno al binario un manifestante è stato oggetto
di intimidazioni da parte degli agenti, trattenuto e denunciato per il solo
motivo di avere con sé una bandiera palestinese (plaudiamo all’apparato
repressivo, che si erge a difesa di tutti i progetti genocidari, senza fare
distinzioni).
Dell’Umbria si è cianciato come di una regione rossa, ultimamente si preferisce
paragonarla a un cuore verde… A noi sembra che dietro questa facciata colorata
si celi non da oggi un ventre bruno, gonfio di identitarismo e pulsioni
autoritarie, peraltro in linea con quelle che sono le tendenze a livello
nazionale e internazionale.
Coscienti del pericolo,
L* antifa
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Rinviata al 9 aprile la decisione dei giudici della Corte d’Appello di Parigi
sulla richiesta di estradizione dell’Ungheria ai danni di Gino, antifascista
milanese arrestato in Francia lo scorso novembre in esecuzione del mandato di
arresto europeo spiccato da Budapest.
L’udienza, durante la quale era atteso il pronunciamento, è iniziata alle 19.30
di mercoledì 12 marzo 2025 e si è conclusa alle 21. La vicenda è quella della
persecuzione voluta da Orban nei confronti di antifasciste e antifascisti di
mezza Europa che nel febbraio 2023, nella capitale magiara, manifestarono contro
il nazi-raduno europeo del cosiddetto “Giorno dell’onore“. Tra loro anche
l’eurodeputata italiana Ilaria Salis e l’attivista tedesca Maja T., ancora
detenuta nelle carceri ungheresi.
Da Parigi la corrispondenza per Radio Onda d’Urto di Giulia, compagna di Free
All Antifas. Ascolta o scarica.
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