
Catturati in mare e venduti a bande libiche
Osservatorio Repressione - Tuesday, May 20, 2025Le testimonianze delle vittime del regime tunisino (pagato dall’Italia) confermano: le autorità di Tunisi sistematicamente vendono a bande libiche le persone che catturano in mare (su mandato italiano)
di Lucille Guenier da l’Unità
“La polizia tunisina ci ha venduto a rapitori, a banditi libici”, ha detto Charly, un pittore del Camerun. “Il prezzo di vendita era di 150 dinari (circa 25 euro), meno del prezzo di una capra”. Charly è stato intercettato per la prima volta dalle guardie tunisine al largo della Tunisia mentre tentava di arrivare a Lampedusa. Era tra le circa 200 persone fermate in mare e riportate con forza a Sfax, dove lui e gli altri sono stati picchiati, legati e caricati su autobus. Senza cibo e senz’acqua.
“Ci hanno trasportato su questi autobus dove non c’erano posti a sedere. Ci siamo seduti per terra con le mani legate dietro la schiena e ci hanno picchiato. Abbiamo trascorso 10 ore sugli autobus. Ci hanno torturato e ci hanno detto che i neri non dovevano venire in Tunisia”, ha raccontato. “Quando siamo arrivati nel deserto, abbiamo visto i pick-up libici e i tunisini ci hanno venduto a rapitori, a banditi libici”.
Ivanna, 26 anni, viveva in una casa con circa 100 altri migranti a El Jem, in Tunisia, quando è stata arrestata in un raid notturno della polizia locale. “Ci hanno ammanettato e messo in macchina, portandoci nel deserto”, ha raccontato. “Siamo arrivati in un posto dove c’erano uomini libici armati. Ci hanno caricato su un camion con la scritta ‘polizia’, ma non era la polizia: erano i trafficanti. Le loro armi erano puntate contro di noi e i libici hanno dato alla polizia tunisina dei soldi in una borsa”. È stata rinchiusa in una prigione gestita da un uomo di Tripoli. Per ottenere il suo rilascio, ha dovuto chiamare sua sorella in Camerun, che si è indebitata per pagare 450.000 franchi Cfa centrafricani (circa 690 euro). “Sono rimasta in prigione per un mese, mangiando pochissimo: pane e formaggio, solo questo. Faceva molto caldo”. Una volta rilasciata, ha lavorato per otto mesi senza paga, come serva, per una famiglia libica che le avrebbe pagato la traversata del Mediterraneo centrale.
Aïssa, 22 anni, della Guinea Conakry nell’estate del 2023 è stata intercettata dalla guardia costiera tunisina mentre tentava di attraversare il Mediterraneo da Sfax. “Ci hanno maltrattato, picchiato e trasferito in un autobus. Dentro era come essere in un frigorifero, tutto chiuso. Ci hanno legato le mani e ci hanno spostato. Non sapevo dove stavo andando”. L’autobus l’ha portata al confine libico, dove è stata consegnata a uomini in uniforme militare. È stata portata a Zawiya, in un sito gestito da un uomo di nome Osama, un uomo di cui ha parlato anche Charly. in quel centro di detenzione venivano ammassate le persone prima di essere caricare sui gommoni. “Due dei miei amici sono morti in prigione. Una è morta sulle mie ginocchia. Quando hanno portato fuori il suo corpo, stavo piangendo. Mi hanno colpito per farmi smettere e calmare. Per uscire, ho chiamato la mia famiglia in Guinea. Sono rimasta in quella prigione per otto mesi. Mi hanno mandato 4.000 dinari, circa 650 euro, per farmi uscire”.
Le testimonianze di Charly, Ivanna e Aïssa confermano il diretto coinvolgimento delle autorità tunisine nella vendita e nel trasferimento forzato di migranti a gruppi armati in Libia. Il rapporto State Trafficking, pubblicato nel gennaio 2025 dal collettivo di ricercatori Rrx, documenta una pratica sistematica: i migranti subsahariani in Tunisia vengono presi di mira in raid di larga scala, detenuti senza un regolare processo e poi consegnati ad attori libici noti per la gestione di reti di traffico ed estorsione. Durante la presentazione del rapporto al Parlamento dell’Unione europea il 29 gennaio 2025, Sos Mediterranée ha riportato alcune di queste testimonianze. Molte altre persone a bordo della Ocean Viking mi hanno raccontato esperienze simili, ma hanno preferito non esporsi per timore di ritorsioni. Queste pratiche non sono però isolate. In diversi casi documentati, le autorità tunisine hanno condotto espulsioni collettive con il pretesto della sicurezza delle frontiere o dell’espulsione.
In pratica, però, hanno trasportato i migranti in zone desertiche remote, dove sono stati consegnati a gruppi armati libici in cambio di denaro. Queste testimonianze trovano riscontro anche in una comunicazione diffusa dall’Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani nell’ottobre 2024, in cui venivano espresse gravi preoccupazioni per le numerose segnalazioni ricevute riguardo alla vendita di migranti, rifugiati e richiedenti asilo da parte delle forze di sicurezza tunisine a gruppi armati non statali attivi in Libia. Tali pratiche costituiscono una chiara violazione del diritto internazionale, incluso il principio di non respingimento, che proibisce il trasferimento forzato di persone verso Paesi dove potrebbero subire torture o trattamenti inumani e degradanti.
Il ciclo di abusi in LibiaUna volta entrati in Libia, tutti e tre i sopravvissuti hanno parlato di abusi sistematici, che vanno dal lavoro forzato alla detenzione arbitraria e alla violenza fisica. Carceri come Bir Al Ghanam e Zawiya, di cui sia Charly che Aïssa hanno parlato, fanno parte di una vasta rete di luoghi di detenzione dove i migranti sono tenuti in ostaggio per ottenere un riscatto. “C’è un uomo di nome Osama che dice di essere una Ong e di voler aiutare le persone ad attraversare”, ha detto Charly. “Ha le sue barche. Ha allestito un campo a Zawiya, una sua prigione dove raduna le persone”. Mentre Charly alla fine è riuscito a guadagnarsi la via d’uscita dipingendo case, altri – come Ivanna e Aïssa – sono stati costretti a lavorare per mesi per assicurarsi il rilascio o per finanziare un altro tentativo di attraversamento. Charly ha anche spiegato perché il mare è l’unica via d’uscita dal ciclo di sfruttamento e abusi in Libia. “Quando sono arrivato in Libia, non avevo documenti d’identità e non avevo modo di far riconoscere la mia nazionalità”, ha raccontato. “Non c’è un consolato camerunese in Libia. La Libia non è più un Paese governato. Ognuno fa quello che vuole”.
Alla fine, tutti e tre sono riusciti a lasciare la Libia e sono stati salvati in mare. Ma sanno che molti altri non sono stati così fortunati. “Era la prima volta che tentavo la traversata dalla Libia quando mi avete salvato”, ha detto Charly, che però aveva già tentato di attraversare il Mediterraneo dalla Tunisia. “È stato Dio a mandarvi.” Le loro testimonianze – e il crescente numero di prove che documentano la natura sistematica di questi abusi – ricordano ancora una volta che il partenariato dell’Ue e dell’Italia con la Libia e la Tunisia in materia di migrazione è indifendibile. Attraverso accordi come il Memorandum d’intesa Italia-Libia e l’accordo Ue-Tunisia, gli Stati europei hanno finanziato, equipaggiato e legittimato autorità e attori responsabili di gravi violazioni dei diritti umani. All’inizio di aprile, in un preoccupante inasprimento della repressione nei confronti della società civile e del supporto alle persone in movimento, l’Agenzia per la sicurezza interna libica ha sospeso le attività di quasi tutte le principali organizzazioni umanitarie internazionali presenti nel Paese, accusandole di compromettere la sovranità nazionale e di promuovere valori considerati incompatibili con l’identità libica.
Queste sospensioni, insieme agli interrogatori, alla chiusura degli uffici e al congelamento dei conti, privano di fatto migliaia di persone vulnerabili dell’accesso a cure mediche vitali e all’assistenza umanitaria. “Vi sto parlando perché siete una Ong e questo può aiutare i miei fratelli, sollevando l’attenzione internazionale sul trattamento dei neri, perseguitati nei Paesi del Maghreb”, ha detto Charly. “Io sono arrivato, sono in salvo… ma è per gli altri”. La Libia e la Tunisia non sono luoghi sicuri per le persone soccorse in mare. Entrambi i Paesi sono stati ripetutamente documentati come luoghi di violenza razziale, estorsione e abusi diffusi contro migranti e rifugiati. Sos mediterranée chiede con urgenza alle autorità europee e italiane di interrompere ogni forma di sostegno ai sistemi che intrappolano le persone in movimento in cicli di abusi e sfruttamento.
*Testimonianze raccolte a bordo della nave Ocean Viking, responsabile comunicazione della Ong Sos mediterranée
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