Riflessioni sul referendum per la riforma della legge sulla cittadinanza

NapoliMONiTOR - Monday, May 26, 2025
(disegno di salvatore liberti)

L’8 e il 9 giugno è necessario che tutte e tutti andiamo a votare per la riforma della cittadinanza. È vero che quanto si va a votare è una proposta al ribasso rispetto alla richiesta avanzata per anni da larghe mobilitazioni, animate soprattutto dai figli e dalle figlie delle migrazioni, per un cambiamento più radicale della legge n. 91 del 1992. Tuttavia, è un atto importante da compiere: questo voto può avere delle ripercussioni rilevanti sulla vita di milioni di persone e sull’Italia stessa, e pertanto va decisamente sostenuto, non solo votando ma anche impegnandosi ad allargare la base dei votanti in un clima politico in cui domina un assordante silenzio sul referendum.

Tra due settimane gli italiani e le italiane che godono del privilegio di essere cittadini e cittadine saranno chiamati a votare per coloro che non lo hanno affinché si abbassi da dieci a cinque anni il tempo di residenza continuativo in Italia per fare richiesta di cittadinanza, mentre rimangono invariati tutti gli altri criteri previsti dalla legge per la richiesta di naturalizzazione: conoscenza della lingua italiana, reddito adeguato, assenza di precedenti penali, rispetto degli obblighi fiscali, assenza di minacce alla sicurezza dello Stato. Il quesito referendario non mette in discussione il principio dello ius sanguinis su cui si basa il sistema italiano e vale a dire che la cittadinanza di una persona si determina in base alla cittadinanza dei genitori, indipendentemente dal luogo di nascita. Si limita a proporre un correttivo del quadro legislativo vigente, e d’altronde non avrebbe potuto proporre qualcosa di molto diverso, in quanto tale strumento può portare solo a un atto abrogativo e non a una nuova proposta di legge.

Malgrado le ampie e importanti mobilitazioni per il cosiddetto ius soli (il principio giuridico secondo cui una persona ottiene la cittadinanza in base al luogo di nascita, indipendentemente dalla cittadinanza dei genitori), o le dichiarazioni a favore delle varianti più blande, quali quelle dello ius scholae (principio secondo cui un minore straniero ottiene la cittadinanza dopo aver completato un ciclo scolastico in Italia) e ius culturae (principio che prevede la concessione della cittadinanza ai minori stranieri che sono ben integrati nella cultura italiana, per esempio tramite scuola o altri percorsi formativi), sia i governi di destra che quelli di sinistra succedutisi negli anni al governo del paese, hanno scelto di rimanere ancorati a una visione della cittadinanza basata sul principio dello ius sanguinis, che priva bambini e giovani del diritto a essere formalmente italiani seppur nati e/o cresciuti in questo paese, solo perché i loro genitori non sono italiani. Come conseguenza di questa scelta, oggi l’undici per cento dei minori in Italia non ha la cittadinanza italiana, tra di loro tre su quattro sono nati in Italia, gli altri vi sono arrivati in fasi diverse della loro giovane vita. Siamo di fronte a una situazione di discriminazione formale che nega loro possibilità e opportunità, come partecipare agevolmente a percorsi di studio all’estero, rappresentare l’Italia nelle competizioni sportive senza restrizioni, poter votare ed essere votati, poter partecipare a concorsi pubblici, oltre a creare un senso di non appartenenza al paese in cui si nasce e si cresce. Una radicale riforma della legge sulla cittadinanza è pertanto necessaria.  

È importante però sottolineare che l’ottenimento della cittadinanza formale non è sufficiente in sé per essere considerati italiani. Lo racconta bene Salwa, ventitré anni, d’origine egiziana: «È vero che ho preso la cittadinanza italiana ma mi guardano da straniera, da terrorista. È vero che lo Stato mi ha riconosciuta come italiana, ma alla fine è un pezzo di carta, la gente non mi riconosce; quindi, mi sento come se non valesse. Dal punto di vista burocratico mi ha facilitato un sacco di cose però non vengo vista come un’italiana quindi è una presa in giro». A causa del colore della pelle, del nome o del cognome che si ha, della religione che si professa, degli abiti che si indossano, molte persone, incluso chi nasce e/o cresce in questo paese, sovente non sono riconosciute come cittadine e cittadini alla pari, sebbene loro e spesso anche i loro genitori, se non addirittura i loro nonni, abbiano un passaporto italiano. Una situazione di discriminazione sostanziale che non permette a tanti e tante di sentirsi pienamente parte di un paese di cui sono sempre più linfa vitale. Questo stato di fatto non richiede solo un cambiamento della legge per l’ottenimento della cittadinanza ma anche una trasformazione nella mentalità e nelle prospettive riguardanti l’idea di identità, stato-nazione, italianità. Il punto centrale è quello di pensare e di costruire un progetto nazionale nuovo, basato sul riconoscimento di tutte le componenti della società italiana, e che prevede reali diritti di cittadinanza per chiunque viva e cresca in Italia, mentre vengono garantiti strumenti materiali ed economici per poter pienamente far parte del paese. Senza questi ultimi, non vi può essere un pieno e reale accesso ai diritti di cui si può godere con un passaporto italiano. La questione della classe è una questione tutt’altro che superata, sebbene sia sempre meno affrontata nei dibattiti pubblici. Quando poi la si interseca con questioni quali quella di genere o quella generazionale, mostra tutta la sua pervasività nel continuare a dividere e governare le società in cui viviamo. Come scriveva bell hooks, “la classe conta”; e – possiamo aggiungere – plasma tutti i contesti che attraversiamo. La questione economica e dell’accesso ai diritti socio-economici non può essere disgiunta da un radicale discorso su cosa sia la cittadinanza.

Queste considerazioni ci spingono a dire che dopo questo referendum bisognerà continuare a impegnarsi per una più radicale riforma della cittadinanza basata su riconoscimento e rispetto nei confronti di chi vive in Italia. Dunque, l’8 e il 9 giugno andiamo a votare e facciamo votare sì alla riforma della cittadinanza; dal 10 giugno impegniamoci per un radicale ripensamento del concetto di cittadinanza. (renata pepicelli)