La ducetta, lo Stato di polizia, Garlasco. E il grande déjà-vu

Osservatorio Repressione - Wednesday, May 28, 2025

La paura. La pozione magica di Giorgia Meloni, che le sta permettendo di portare l’Italia allo sfascio, a capo di un carrozzone degli orrori.

di Tiziana Barillà

Da anni, sulla mia scrivania c’è “Sindrome 1933” . Lo leggo e lo rileggo, lo tengo sempre sott’occhio affinché mi aiuti a non scivolare nel conformismo, o nella resa davanti all’evidenza. «Gli incubi del passato potrebbero ragionevolmente ripresentarsi nel prossimo futuro?», si è chiesto Siegmund Ginzberg, autore del libro, nel 2019.

Invitando alla dovuta cautela, Ginzberg mette in fila una serie di analogie tra l’ascesa di Hitler e l’Italia di oggi: la campagna elettorale permanente, la sistematica ricerca di un capro espiatorio, la necessità di avere sempre un nemico, i provvedimenti sbandierati a favore del cosiddetto “popolo” o “nazione” (preferirebbe dire Giorgia Meloni), l’odio che avvelena la scena politica, il gigantesco indebitamento dello Stato, la gestione demagogica delle finanze pubbliche.

Una provocazione, forse. Ma utilissima ad allenare il cervello. Il mio cervello, che provo ad allenare faticosamente, prosegue nell’elenco: la disuguaglianza come legge, la giustizia come miraggio, la libertà come reato. La cronaca nera come oppiaceo che stordisce e mette paura, che consiglia: stattene a casa, fatti fatti tuoi, non fidarti di nessuno.

E una serie di fatti.

Primo fatto. La democratura.

Pochi giorni fa Roberto Saviano è stato attaccato da Fratelli d’Italia. Il partito di governo, quello di Giorgia Meloni sì. Lo stesso che conta decine di inchieste e arresti per mafie tra sindaci, vicesindaci e parlamentari. Il partito che invoca la lotta alla criminalità organizzata a parole – mentre con i fatti fa il contrario – attacca pubblicamente uno scrittore sotto scorta da quasi vent’anni, per essere minacciato dalla criminalità organizzata. È normale che un partito – per di più di governo – consideri un nemico un dissidente? No, in una democrazia. Sì, in una democratura.

Un fatto gravissimo. E la presidente Giorgia Meloni che fa? In genere tace, ma stavolta invece rivendica. Con un secondo post – pubblicato il giorno dopo – che la vede in bella mostra italicamente ritoccata: “filtro ducetta”. Rivendica stando zitta, con le dichiarazioni sguaiate della sorella Arianna – “” (il vuoto dentro le virgolette è voluto) – e con gli squadristi in tenuta giornalistica: Libero, il Giornale, La Verità, ecc. ecc. ecc.

Come a dire: Saviano, vuoi dissentire? Stacce.

Secondo fatto. Lo Stato di Polizia.

Di lì a poche ore, la furia della ducetta si è abbattuta su via del Tritone, a Roma, dove per due volte uno sbarramento poliziesco ha impedito – tra scudi e manganellate – ai manifestanti di raggiungere il Parlamento per protestare contro il DL fascista, anche detto “Decreto sicurezza”.

Il Parlamento non ha ancora dato il voto di fiducia – l’ennesimo voto di fiducia, ché se non si minacciano tra loro non vanno da nessuna parte – che già ce lo fanno assaggiare a legnate. Va difeso con le botte, il Decreto Sicurezza, perché quello che garantisce non è la sicurezza nostra ma di questo governo che mena, minaccia, imbroglia, spadroneggia nella sua più completa incompetenza e arroganza.

Le politiche securitarie di questo governo, nei primi due anni di governo, hanno introdotto 48 nuovi reati e diversi aumenti di pena per un totale di 417 anni di carcere in più nel nostro ordinamento. Ora, questo decreto, aggiunge altri 14 nuovi reati e 9 aggravanti.

Nel volto pestato di Luca Blasi sono riassunte tutte le cariche contro le piazze che invocano democrazia. Ma il dissenso è un reato e, con il nuovo DL sicurezza, lo è anche se pacifico. Con loro o contro di loro. E anche qui Giorgia Meloni rivendica, e lo fa ogni giorno – a ogni occasione.

Come a dire: Volete dissentire? Statece.

Roma, 26 maggio 2025. Cariche della polizia durante la manifestazione contro il “DL Sicurezza”.

Terzo fatto. Chi mena per primo mena due volte.

Dal primo giugno Filippo Ferri sarà il nuovo questore di Monza e Brianza. Filippo Ferri è uno dei venticinque condannati in Cassazione nel luglio del 2012 per il massacro dei manifestanti alla scuola Diaz di Genova. La “macelleria messicana” la chiamò qualcuno. La “macelleria italiana”, sarebbe più corretto chiamarla.

Ferri, in particolare, è stato condannato a 3 anni e otto mesi per falso aggravato per il massacro della scuola Diaz di Genova, nel 2001: in breve «una volta preso atto che l’esito della perquisizione si era risolto nell’ingiustificabile massacro dei residenti nella scuola, invece di isolare ed emarginare i violenti denunciandoli – scrive la Cassazione – avevano scelto di persistere negli arresti creando una serie di false circostanze».

Qualcuno li ricorderà come i “De Gennaro boys”, Ferri e gli altri, tutti, uno dopo l’altro sono stati promossi o riciclati dal Viminale.

Un mezzo busto mussoliniano o – meglio ancora – una condanna per falso sono medaglie al valore. Il punteggio necessario per fare carriera.

Come a dire: Chi mena pe’ primo mena du vorte.

Genova, luglio 2001. La scuola Diaz, durante la tre giorni del G8.

 

Quarto fatto. La cronaca nera.

Tutto questo accade, ma le tv parlano del delitto di Garlasco. L’informazione italiana – da settimane – è schiacciata su un caso di cronaca, a sua volta schiacciato sugli “scoop” di Fabrizio Corona. Stai sorridendo, lettore? Che grasse risate, se non ci fosse da piangere. Soprattutto per i familiari delle vittime di Garlasco e di ogni altro caso, tritati nell’irrazionale e disgustoso voyeurismo dell’iperbolica cronaca nera.

Ciclicamente l’informazione è in ostaggio di un delitto irrisolto. Da sfogliare sui giornaletti specializzati d’estate, da seguire in tv al calduccio delle proprie case in inverno.

La paura. Eccola la pozione magica di Giorgia Meloni, che le sta permettendo di portare l’Italia allo sfascio, a capo di un carrozzone degli orrori.

È sempre più necessario parlare, scrivere, pensare, non cedere allo scetticismo, cercare sempre la trasformazione. E chiedere aiuto.

Come a dire: Europa, se ci sei batti un colpo.

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