
L’attacco è alla democrazia pluralista
Osservatorio Repressione - Saturday, May 31, 2025Non resta che dissentire e mobilitarsi, contro il decreto sicurezza, contro l’immobilità e la paura
di Alessandra Algostino da il manifesto
Approvato con la fiducia e altre forzature parlamentari, il decreto legge «sicurezza» è un provvedimento autoritario adottato d’autorità. Radicalmente incostituzionale, perché intacca le radici profonde della democrazia, le sue fondamenta, la sua struttura.
Radicalmente incostituzionale per il tenore delle norme e per la cultura che esse veicolano, come rilevato dalle molte voci critiche di giuristi e organizzazioni internazionali e come colto da una mobilitazione diffusa e trasversale.
Su queste pagine molto si è scritto, ma è necessario ribadirlo, perché la necessità di opporsi è più viva che mai, nei tribunali (in primo luogo sollevando questioni di legittimità costituzionale) come nelle piazze a partire da oggi.
Partiamo dalla forma, che è sostanza. Adottare un decreto legge che riprende il contenuto di un disegno di legge in discussione da mesi, in totale mancanza di un caso straordinario di necessità e urgenza (basta leggere i considerata tautologici dell’atto), esautora il parlamento, viola la separazione dei poteri, e, con essa, l’essenza del costituzionalismo: la limitazione del potere. Non basta: il governo pone la fiducia, togliendo ogni voce al parlamento anche nella conversione in legge. Una imposizione. Per (non) tacere del contorno di manganellate (termine crudo, ma queste sono, non cariche di alleggerimento o scontri) che accompagnano il percorso del decreto.
La limitazione del potere è strettamente connessa alla garanzia dei diritti (articolo 16 della Dichiarazione francese dei diritti dell’uomo e del cittadino, 1789): difficile trovare un caso di scuola più limpido. Un provvedimento adottato d’autorità, espressione della concentrazione di potere nell’esecutivo, che nel suo contenuto contrasta con diritti costituzionalmente garantiti, dalla libertà di manifestazione del pensiero al diritto all’abitazione. È un attacco alla democrazia come pluralista, conflittuale e sociale; corrode e nega le sue parole.
Riprendiamone due: conflitto e uguaglianza. Conflitto. Il dissenso, la protesta, sono criminalizzati: una stigmatizzazione culturale e simbolica ma anche concreta, con effetti punitivi nei confronti di alcuni e dissuasivi e intimidatori nei confronti di altri. Emblematica è la punizione del blocco stradale compiuto con il proprio corpo (da sei mesi a due anni, se commesso da più persone; quando mai è compiuto in solitudine?): compiranno reato i lavoratori che escono da una fabbrica, gli studenti che attraversano le vie della città, gli eco-attivisti che protestano per l’ambiente, esercitando i diritti di riunione, di espressione, di sciopero. Ma l’elenco è lungo, ricordiamo ancora almeno le aggravanti correlate alle manifestazioni o a specifiche proteste (le grandi opere); la punizione delle condotte anche di resistenza passiva nelle carceri e nei centri per migranti (accanimento sui margini e sperimentazione per estensioni future).
L’uguaglianza. Da un lato, sotto il profilo dell’uguaglianza formale, vi sono le norme discriminatorie, esplicitamente (dalla previsione dell’esibizione di un permesso di soggiorno o di documento di identità alla revoca della cittadinanza su presupposti differenti se la persona era in precedenza straniera) e implicitamente (la norma sulle madri detenute che allude alle «madri rom»). Dall’altro, vi è l’abbandono dell’orizzonte dell’uguaglianza sostanziale, con la metamorfosi da stato sociale a stato penale. È la povertà come reato, in coerenza con il dogma neoliberista dell’imprenditore di se stesso. Espressione ne è l’ennesimo e ridondante reato di occupazione di immobili, che risponde con lo strumento penale al crescente disagio abitativo, in spregio del diritto all’abitazione che la Corte costituzionale annovera fra i diritti inviolabili, connette alla dignità umana e considera «compito della Repubblica». E poi ci sono i privilegi dell’autorità, il corredo di benefit per le forze di polizia (aggravanti a loro tutela, licenza d’armi, spese legali) che raccontano di uno Stato che si riconosce nell’ordine pubblico e non nell’istruzione, nella salute, nell’emancipazione, nella partecipazione. La sicurezza come sicurezza dei diritti e sociale è trasfigurata nella sicurezza come ordine pubblico (ideale), decoro (il daspo urbano), a protezione dello stato di cose: il neoliberismo autoritario.
Il diritto penale dell’amico chiude il cerchio del diritto penale del nemico: amico e nemico non a caso sono espressione della logica binaria ed escludente della guerra, non del riconoscimento dell’altro e del pluralismo propri della democrazia; si situano nell’orizzonte dell’obbedienza e non della partecipazione. Non sono “solo” nuovi reati. E allora non resta che dissentire e mobilitarsi, contro il decreto sicurezza, contro l’immobilità e la paura, contro la supina accettazione dell’esistente, in cui il decreto vuole chiudere i corpi e il pensiero.
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