Il decreto sicurezza del Governo Meloni e la deriva autoritaria dell’Italia

Osservatorio Repressione - Saturday, May 31, 2025

Il 29 maggio 2025 la Camera dei Deputati ha approvato con 163 sì, 91 no e un astenuto il cosiddetto “decreto sicurezza”, sul quale il governo Meloni aveva posto la questione di fiducia. Il più grande e pericoloso attacco alla libertà di protesta e dissenso nella storia repubblicana

di Leonardo Bianchi da Valigia Blu

Il provvedimento – che ora passerà all’esame del Senato – era stato adottato dal Consiglio dei ministri lo scorso 4 aprile, con quello che da più parti è stato definito un “colpo di mano”. Il decreto-legge ha infatti ripreso la maggior parte delle misure contenute nel disegno di legge 1660, che dopo un lungo iter parlamentare si era arenato al Senato.

Il ddl era già stato aspramente criticato dall’opposizione e dalla società civile: l’associazione Antigone, ad esempio, l’aveva descritto come “il più grande e pericoloso attacco alla libertà di protesta nella storia repubblicana”. Anche il Quirinale aveva espresso diversi dubbi sulla costituzionalità di alcune previsioni, che in parte sono stati accolti nel nuovo decreto.

Nel porre la questione di fiducia, il ministro dell’interno Matteo Piantedosi ha parlato di un “provvedimento strategico” che valorizza “il lavoro quotidiano delle forze dell’ordine” e contiene “misure decisive per la sicurezza” – ossia ben 14 nuovi reati e 9 aggravanti.

In questo senso, il “decreto sicurezza” è davvero l’emblema del populismo penale che anima il governo Meloni: ogni questione politica e sociale – specialmente quelle al centro dell’attenzione mediatica – va necessariamente risolta con la repressione, e dunque con il carcere. Come ha sintetizzato il deputato Roberto Giachetti di Italia Viva durante la discussione parlamentare, “volete solo prendere la gente e buttarla in galera”.

Ma vediamo in dettaglio cosa contiene il decreto e quali sono le sue principali criticità.

Lo scudo per le forze dell’ordine e le norme anti-rom

Il decreto si muove sostanzialmente su due binari: da un lato aumenta le tutele per le forze dell’ordine, mentre dall’altro imprime una stretta penale su varie fattispecie.

Per quanto riguarda le prime viene introdotto il reato di lesioni personali gravi o gravissime a un pubblico ufficiale, per cui potrà scattare l’arresto in flagranza. Viene inoltre previsto il riconoscimento di un beneficio economico (fino a 10mila euro) per le spese legali sostenute da agenti indagati o imputati per abusi commessi durante il servizio. Gli agenti di pubblica sicurezza saranno poi “autorizzati a portare senza licenza” le armi da fuoco anche al di fuori del servizio.

L’articolo 31 del decreto concede poi una sorta di “scudo penale” agli agenti dei servizi segreti impiegati in attività sotto copertura: non solo potranno partecipare ad associazioni terroristico-eversive, ma addirittura “dirigerle” e “organizzarle” senza risponderne penalmente.

I familiari delle vittime delle stragi hanno paragonato questo salvacondotto a una “licenza criminale”, ricordando il ruolo avuto dai servizi durante la strategia della tensione.

Passando invece al secondo binario, quello della stretta penale, il decreto prende di mira specifiche categorie e gruppi particolarmente invisi al governo e alla maggioranza di destra. Diversi articoli, ad esempio, sono palesemente indirizzati alle persone rom.

Si inaspriscono le pene per chi impiega minori nell’accattonaggio, che ora possono arrivare fino a cinque anni di reclusione. Diventa invece facoltativo – e non più obbligatorio – il rinvio della pena per le persone condannate che sono incinta o che hanno bambini più piccoli di un anno. In sostanza, anche loro potranno finire negli Istituti a custodia attenuata per le detenute madri (Icam, che sono soltanto quattro in Italia).

Si tratta di uno dei punti più problematici e contestati del decreto: la norma è infatti ritagliata su misura per le borseggiatrici rom, che stando a una lunga e ossessiva campagna politico-mediatica – cavalcata in primis dalla Lega – approfitterebbero della gravidanza per delinquere impunemente.

Il decreto introduce inoltre una nuova circostanza aggravante per i reati commessi all’interno o nelle vicinanze delle stazioni ferroviarie o delle metropolitane. Anche in questo caso l’obiettivo è chiaro: sfruttare il filone social-mediatico della “caccia al borseggiatore nella metro” – un vero e proprio format a cui ha recentemente partecipato l’eurodeputato leghista Roberto Vannacci.

La stretta su dissenso, rivolte in carcere e occupazioni

Una parte rilevante del provvedimento è dedicata alla repressione delle manifestazioni e, più in generale, del dissenso.

In generale vengono inasprite le pene (fino a cinque anni di carcere) per il reato di danneggiamento se avvenuto in manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico. In questi casi è anche previsto l’arresto in flagranza differita.

Le sanzioni sono più dure per chi protesta contro le grandi opere, in particolare i No Tav. Il decreto introduce una circostanza aggravante nei casi in cui la violenza, la minaccia o la resistenza a pubblico ufficiale sia commessa per impedire la realizzazione di “infrastrutture destinate all’erogazione di energia, di servizi di trasporto, di telecomunicazioni o di altri servizi pubblici”.

Più di un articolo è rivolto agli attivisti climatici e alle loro tattiche di protesta. A partire dall’imbrattamento di un bene mobile o immobile pubblico: chi lo fa con la finalità di “ledere l’onore, il prestigio o il decoro” dell’istituzione è punito con una pena che arriva fino a 1 anno e sei e una multa fino a 3000 euro.

Il blocco stradale, che finora era un illecito amministrativo, diventa un reato punito con un mese di carcere e una multa fino a 300 euro. La pena può però arrivare fino a sei anni di reclusione se il blocco è commesso da più persone nel corso di una manifestazione. È stato inoltre mantenuto il contestatissimo principio della punibilità della resistenza passiva, che ha portato le opposizioni a parlare di “norma anti-Gandhi”.

Il decreto introduce poi il reato di rivolta carceraria: sarà punito sia chi commette atti violenti o minacce all’interno di un carcere, sia chi resiste passivamente e si limita non eseguire gli ordini impartiti “per il mantenimento dell’ordine e della sicurezza”. La norma si applica anche nei Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr).

C’è infine un altro nuovo reato: quello di occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui. Le sanzioni sono particolarmente alte e vanno da due a sette anni; come ha notato sul Corriere della Sera il giornalista Luigi Ferrarella, si tratta della stessa pena di “chi ha la colpa di far morire un operaio in un incidente sul lavoro”.

Già ai tempi del ddl 1660 la norma era stata ribattezza “anti-Salis”, dal nome dell’eurodeputata di Avs che ai tempi della sua militanza politica faceva parte del movimento per il diritto alla casa. A riprova dell’intento eminentemente politico (e polemico) di questo reato, da qualche giorno la Lega sta pubblicando contenuti contro Ilaria Salis fatti con l’intelligenza artificiale e sta esultando perché sarebbe stato “abolito lo ius Salis”.

Le critiche di Onu, organismi internazionali e costituzionalisti

Il decreto sicurezza ha sollevato numerose critiche (sia di merito che di metodo) da parte di ong, organismi internazionali e persone esperte di diritto costituzionale.

Lo scorso aprile cinque relatori speciali delle Nazioni Unite – Gina Romero, Ben Saul, Irene Khan, Mary Lawlor e Gehad Madi – hanno espresso “profonda preoccupazione” nei confronti del provvedimento, definendolo “allarmante” e non conforme agli obblighi internazionali “in materia di diritti umani, tra cui la tutela del diritto alla libertà di movimento, alla privacy, a un giusto processo e alla libertà, nonché la protezione contro la detenzione arbitraria”.

Per i relatori, i reati contro i blocchi stradali e la punibilità della resistenza passiva “limitano eccessivamente la libertà di riunione pacifica e potrebbero portare a sanzioni sproporzionate e ingiustificate”. Anche il reato di rivolta carceraria rappresenta una “restrizione inutile e sproporzionata del diritto alla protesta pacifica dei detenuti”, che tra l’altro rischia di vanificare “il raggiungimento degli obiettivi legittimi di garantire la sicurezza e i processi di reinserimento”.

Non si tratta del primo richiamo dell’Onu: nel dicembre del 2024, in una comunicazione all’Italia sei relatori speciali si dicevano preoccupati per la potenziale limitazione della libertà di riunione; a gennaio del 2025 altri due relatori speciali avevano criticato il reato di occupazione arbitraria, sostenendo che può andare a colpire le “occupazioni di necessità” dettate dalla povertà.

Critiche simili sono arrivate anche dall’Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti umani dell’OSCE, secondo il quale molte disposizioni “possono potenzialmente minare i principi fondamentali della giustizia penale e dello Stato di diritto”.

Il Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa ha evidenziato il rischio di un’applicazione “arbitraria e sproporzionata” di alcune previsioni contenute nel decreto, che restringerebbero troppo il diritto di protestare pacificamente.

In un appello sottoscritto da oltre 250 costituzionalisti compare la forte denuncia a “una serie di gravissimi profili di incostituzionalità”, a partire dalla scelta di adottare un decreto-legge senza che vi fossero i presupposti di necessità e urgenza richiesti dalla Costituzione.

Per i giuristi, il “decreto sicurezza” è caratterizzato dalla “torsione securitaria”, dalla “limitazione del dissenso” e dall’“accento posto prevalentemente sull’autorità e sulla repressione piuttosto che sulla libertà e sui diritti”.

L’impostazione del provvedimento, si legge nel testo, è esemplificativa di un “disegno complessivo che tradisce un’impostazione autoritaria, illiberale e antidemocratica, non episodica od occasionale ma mirante a farsi sistema, a governare con la paura invece di governare la paura”.

Dal canto suo, l’unione delle camere penali italiane ha scritto in un comunicato che l’entrata in vigore del decreto “non farà altro che aumentare la popolazione carceraria”, con il “definitivo collasso di strutture oramai allo stremo”.

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