La guerra è finita, andate in pace…forse

Osservatorio Repressione - Monday, June 2, 2025

Appare alquanto altalenante la prosecuzione delle trattative di pacificazione tra organizzazioni curde (l’ex PKK in primis) e governo turco. Mentre le buone intenzioni dei curdi sono evidenti, non si può certo dire lo stesso di quelle di Ankara

di Gianni Sartori

Volendo citate Jorge Amado e il suo “Tereza Batista Cansada de Guerra”, si potrebbe titolare con “PKK stanco di guerra”.

Non si esclude infatti che al di là della sacrosanta ricerca di una soluzione politica del conflitto, della preoccupazione per la infinita detenzione di Öcalan (e di almeno altri diecimila prigionieri politici curdi) e dell’impossibilità di uscire da una inconcludente “guerra di lunga durata” (fin troppo lunga in effetti) -alla fine abbia prevalso un senso di spossatezza, impotenza…

Per cui la proposta lanciata dal leader curdo rinchiuso a Imrali potrebbe aver rappresentato una estrema, dignitosa via d’uscita. Non una sconfitta, tantomeno una resa, ma – forse – un punto di non ritorno, un cambio di prospettiva per aprire nuovi scenari e opportunità.

Certo, uno scioglimento così repentino lascia un tantino perplessi. Diciamo pure che era lecito aspettarsi un percorso diverso, di estenuanti trattative e reciproche concessioni (v. la questione dei prigionieri, fondamentale in tutti i processi di pace del secolo scorso, dal Sudafrica all’Irlanda) basate sul do ut des…

A questo punto possiamo dire che i curdi hanno fatto la loro parte. Tocca ora al governo turco mostrarsi all’altezza dello storico frangente, prendersi le proprie responsabilità e non sprecare l’opportunità che gli è stata offerta.

Sarà comunque la Storia a stabilire se sia stata una buona idea o meno. Certo che stando così le cose a livello internazionale, forse non c’erano tante altre alternative.

Da parte turca, oltre al non procrastinabile riconoscimento dei diritti politici e culturali del popolo curdo, prioritaria, essenziale rimane la scarcerazione di Öcalan

La sua “libertà fisica” come chiedono molti esponenti curdi della diaspora.

Tra cui Hüseyin Yılmaz, co-presidente del Centro Comunitario Democratico Kurdo (NAV) a Berlino.

 “Affinché il processo di pace prosegua in maniera costruttiva – ha dichiarato – è fondamentale che Abdullah Öcalan possa guidare il processo in libertà”.

Ribadendo che in quanto “fondatore dell’organizzazione, la libertà fisica di Öcalan e la sua partecipazione diretta al processo sono essenziali”. Sottolineando come dopo il suo appello il Partito dei Lavoratori del Kurdistan avesse “preso la storica decisione di autoscioglimento e di porre fine alla lotta armata”.

In conclusione: “Questo non è un fatto qualsiasi. Segna l’inizio di una nuova era in una lotta di cinquanta anni”.

E non si tratta ovviamente di garantire il futuro soltanto del popolo curdo. Bensì della convivenza tra tutti i popoli del Medio Oriente attraverso il dialogo e la democrazia.

Certo, finora la Turchia sembra non volersi adeguare più di tanto alla nuova fase.

Proseguono infatti gli attacchi contro il Kurdistan del Sud (Bashur, Nord dell’Iraq) dove si trovano alcune basi della guerriglia curda.

Circa 130 bombardamenti solo nell’ultima settimana, stando ai dati forniti dall’agenzia Mezopotamya (la quale a sua volta riporta le dichiarazioni di Kamran Osman, portavoce dell’ONG Community Peacemakers (CPT).

Nel suo comunicato Kamran Osman denunciava in particolare che “il 24 maggio, l’esercito turco ha bombardato 83 volte il monte Nizarke nel sotto-distretto di Şêladizê del distretto di Amêdiye di Duhok”.

Bombardamenti intensi e mirati proseguiti per l’intera giornata. Inoltre nell’ultima settimana l’esercito turco avrebbe bombardato a più riprese (almeno 45) la regione di Ber Garê del sotto-distretto di Dêrelok d’Amêdiye.

Sinceramente non sembra questa la forma migliore per alimentare un processo di pace.

Così come i recenti arresti (effettuati il 29 maggio) di esponenti curdi a Pertek (Pêrtag) nella provincia curda di Dersim.

Ma questa in fondo – lo sanno bene i curdi e non solo – è “ordinaria amministrazione”.

Ancora più inquietante quanto è accaduto il 28 maggio ad Aleppo, in Siria. Quando un previsto scambio di prigionieri tra il regime di Damasco e le autorità curde è andato a vuoto in quanto le prigioniere di guerra curde YPJ (Yekîneyên Parastina Jin – Unità di Difesa delle Donne) non erano state liberate.

Non solo. Sembra siano state trasferite direttamente nelle prigioni turche. Inevitabile ripensare all’analogo destino subito da Çiçek Kobane (Dozgin Temo). Ferita alle gambe e catturata in Rojava nell’ottobre 2019 dalla banda jihadista Ahrar al-Sham, veniva trasferita in Turchia per essere condannata all’ergastolo.

In quanto avrebbe “distrutto l’unità e l’integrità dello Stato turco”.

 (v. http://uikionlus.org/siamo-tutti-cicek-kobane/)

 (v. anche https://www.panoramakurdo.it/2021/04/03/non-dimentichiamoci-di-cicek-kobane-un-appello-alla-comunita-internazionale-di-newroz-ehmed/)

Stando a quanto dichiarato in alcuni video, gli islamisti avevano l’intenzione di ucciderla e soltanto le proteste internazionali ne impedivano l’esecuzione. Tuttavia questo non le aveva risparmiato di essere sottoposta a maltrattamenti (sia da parte dei miliziani jihadisti che in carcere) determinando un serio peggioramento delle sue condizioni di salute (in particolare per le ferite alle gambe).

 

 

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