
Il governo del manganello
Osservatorio Repressione - Wednesday, June 4, 2025Il decreto sicurezza è legge.
di Sergio Segio da il manifesto
Il decreto Piantedosi, approvato in via definitiva al Senato, è stato definito «fascistissimo» a rimarcarne intenti ed effetti che superano persino il codice Rocco.
Mitridatizzati da un ventennio di enfatizzazione della “sicurezza”, sorretta dalla retorica bipartisan di una “cultura della legalità” declinata in chiave di ordine pubblico e di populismo penale, rischiamo infatti di non cogliere appieno l’involuzione autoritaria imposta dall’attuale governo.
A differenza dei precedenti (Maroni, 23 febbraio 2009, n. 11; Minniti, 17 febbraio 2017 n. 13 e 20 febbraio 2017, n. 14; Salvini, 4 ottobre 2018, n. 113 e 14 giugno 2019, n. 53; Lamorgese, 21 ottobre 2020, n. 130), l’attuale decreto sicurezza (11 aprile 2025, n. 48) si inscrive con maggiore coerenza ed evidenza in un progetto di forzatura costituzionale e della democrazia.
L’attenzione mediatica e i rilievi critici si sono maggiormente appuntati sull’introduzione di nuove fattispecie di reato (14) e aggravanti (9) e sugli aumenti di pena di cui al Capo I (Disposizioni per la prevenzione e il contrasto del terrorismo e della criminalità organizzata) e del Capo II (Disposizioni in materia di sicurezza urbana), trascurando quanto disposto dal Capo III (Misure in materia di tutela del personale delle forze di polizia e delle forze armate).
Queste maggiori tutele si tradurranno in pene aumentate della metà nei casi di violenza, minacce o resistenza nei confronti dei pubblici ufficiali per arrivare addirittura a 16 anni di carcere nel caso di lesioni.
Non meno eloquenti e preoccupanti sono le prerogative concesse: la copertura delle spese legali nel caso (in verità assai raro) un agente venisse processato per fatti di servizio e la facoltà di portare fuori servizio senza licenza un’arma diversa da quella di ordinanza.
È poi significativo che siano inserite in questo Capo anche misure relative alle carceri e ai centri di trattenimento per i migranti, la cui ratio è di punire in misura abnorme qualsiasi protesta e diventa massima di fronte alle Disposizioni per il potenziamento dell’attività di informazione per la sicurezza (art. 31).
Nella formulazione dell’originario disegno di legge vi era persino l’obbligo per le pubbliche amministrazioni, e in particolare per le università, di collaborare con i servizi segreti e di fornire loro informazioni.
Non meno allarmanti sono le misure, rimaste nel testo trasferito nell’attuale decreto, che consentono non solo l’infiltrazione di agenti all’interno di associazioni con finalità di terrorismo ed eversione, ma la stessa promozione e organizzazione di tali associazioni, con la garanzia che le identità fittizie di copertura potranno essere mantenute anche in sede processuale. Quanto sia pericolosa e potenzialmente estensibile tale norma ce lo mostra, ad esempio, la vicenda di Potere al popolo di Napoli – per inciso, si tratta di un partito politico democratico e non un gruppo sovversivo – che ha recentemente denunciato la presenza di un poliziotto infiltrato in incognito tra le proprie fila.
Alla repressione generalizzata e al “diritto penale del nemico” rivolto alle “classi pericolose”, ovvero a ecoattivisti, dissidenti politici, occupanti di case per bisogno, utilizzatori di cannabis per diletto o per mestiere, lavoratori in lotta, studenti contestatori, madri in carcere, migranti, poveri e marginali in genere, si accompagnano insomma la più classica impunità per le illegalità in divisa e una nuova strategia della tensione, a loro volta funzionali a un processo di fascistissimo irrigidimento liberticida.
Contro cui è però forte e crescente la reazione dal basso, come mostra la grande manifestazione a Roma del 31 maggio e il partecipato digiuno a staffetta in corso.
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