Il contributo italiano al massacro dei civili palestinesi

The Weapon Watch | 6a puntata: Intermediari e clienti per i droni killer israeliani - Thursday, June 5, 2025

Facciamo luce sui traffici di armi ed esplosivi tra Italia e Israele

Mentre il governo si sta orientando al tacito rinnovo per altri cinque anni dell’accordo militare segreto tra Italia e Israele, a che punto è l’interscambio di armamenti tra i due paesi?

Come riporta l’ultima Relazione sulle operazioni autorizzate dalla Legge 185/1990, per decisione del governo nel 2024 le aziende italiane non hanno ricevuto autorizzazioni ad esportare in Israele, paese in guerra – tra l’altro ­– con gli stessi territori occupati nel 1967 (nel 2004 l’Alta corte di giustizia di Tel Aviv l’ha definita «occupazione belligerante»). Negli anni precedenti le esportazioni militari italiane verso Israele avevano mostrato una tendenza declinante: nel 2023 le autorizzazioni erano state di 9,9 milioni di euro, rispetto ai 21,4 milioni di euro registrati nel 2020.

La decisione del governo non ha però bloccato le consegne relative alle commesse autorizzate in precedenza. Infatti proprio nel 2024 il Ministero delle Finanze ha registrato esportazioni di armi ad Israele per 35,2 milioni di euro (importi segnalati di transazioni definitive). Se dunque la posizione ufficiale del nostro paese sul conflitto di Gaza è cauta, di fatto le armi prodotte in Italia hanno contribuito e stanno contribuendo al massacro della popolazione civile palestinese. È noto il caso dei cannoni super rapidi OTO Melara 76/62 fabbricati a La Spezia dal gruppo Leonardo e impiegati sin dall’ottobre 2023 per bombardare dal mare la popolazione di Gaza (vedi il nostro articolo del gennaio 2024).

Secondo l’Atlante di Weapon Watch, sono una sessantina le aziende che negli ultimi anni hanno venduto armi a Israele. Le principali sono direttamente o indirettamente sotto controllo governativo: Leonardo, Elettronica, Consorzio Iveco-Oto Melara. Quasi tutte partecipano ai maggiori programmi di cooperazione militare, in particolare per gli addestratori M-346 Alenia-Leonardo, i caccia F16 (Fighting Falcon) e JSF (F-35). Alcune forniscono munizioni e attrezzature per fabbricare munizioni, di cui Israele è grande acquirente globale e fortissimo consumatore.

I dati che Istat raggruppa sotto il codice merceologico 93 – che mescola armi leggere militari e civili, parti e ricambi e anche bombe pesanti e granate – indicano che nonostante il blocco governativo nel 2024 l’export verso Israele è stato quasi del tutto (89%) da armi militari. Le province più implicate sono Lecco (probabilmente da Fiocchi Munizioni) e Brescia (il “distretto Beretta” delle armi leggere).

Il dato più preoccupante, però, è la crescente dipendenza dalle forniture militari israeliane, che contrariamente alle esportazioni stanno crescendo fortemente. Il ministro Crosetto il 21 maggio scorso in Parlamento ha spiegato che la Legge 185 «non prevede una valutazione di merito sulla provenienza dei materiali ma la valutazione sul loro utilizzo finale e sull’impatto potenziale sulla difesa e sicurezza dell’Italia». Quindi armi e attrezzature militari israeliane sono indispensabili per la difesa italiana, al punto che è passato in secondo piano il contributo economico sempre più forte che il nostro paese dà all’apparato militare-industriale di Tel Aviv, apparato che si ramifica e pervade gran parte dell’economia israeliana, oltre che i vertici militari e lo stesso governo.

Dal 2021 le importazioni militari dell’Italia da Israele hanno superato le esportazioni. Nel 2024, ben il 21% (in valore) delle importazioni militari complessive autorizzate ha riguardato Israele, con 42 autorizzazioni, al secondo posto appena dopo gli Stati Uniti (24%). Per quel che riguarda le operazioni effettivamente svolte, tra le aziende importatrici troviamo in prima fila Leonardo e le sue controllate Elettronica e Telespazio, due colossi globali del munizionamento come KNDS-Simmel Difesa e RWM Italia (che probabilmente ha ordinato in Israele 608 tonnellate di esplosivo CXM-7), Gelco (800 kit completi per missile anticarro Pike) e anche dell’operatore logistico SLS che opera per conto delle forze armate italiane e di gruppi come Leonardo, Fincantieri, Thales.

La sempre più profonda interconnessione tra la difesa italiana e il complesso militare-industriale israeliano è del resto un modello seguito da molti paesi europei. Sono di ieri i dati diffusi dal Ministero della difesa di Tel Aviv – e ripresi dal New York Times – che ha sottolineato il raggiungimento nel 2024 di un record storico di vendite negli armamenti: 14,7 miliardi di dollari, di cui circa la metà costituito da missili, razzi e sistemi di difesa aerea. Il 54% delle armi prodotte da Israele è acquistato dai paesi europei.

Dal sito dell’azienda israeliana Ashtot Ashkelon Industries, destinataria del materiale militare sequestrato nel porto di Ravenna

Il recente caso venuto alla luce nel porto di Ravenna (ne abbiamo parlato in un articolo del marzo scorso) dimostra che la domanda dell’industria militare israeliana, affamata di componenti per il proprio export, è molto forte e cerca ogni via, anche illegale, per aggirare divieti e restrizioni. Quelli sequestrati a Ravenna sono componenti per cannoni presentati in dogana da un “prestanome” delle vere aziende produttrici come “lavori di ferro o acciai fucinati”.