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HoD2024, resistere ai Gafam e un saluto
https://hackordie.gattini.ninja/randioworld/wp-content/uploads/2024/11/hod_2024_19nove.ogg Condoglianze per la morte di Lunar a tutta la comunità transfemminista francofona, Debian e l’ecosistema Tor/Tails Citiamo tra i progetti da loro fondati: – Reproducible builds https://reproducible-builds.org/ – Nos oignons https://nos-oignons.net/    
November 19, 2024 / hack or die
Container di guerra
Diamo per scontato che il quadro politico internazionale e le decisioni dei governi, incluso quello sovranazionale di Bruxelles, si siano irreversibilmente orientati verso l’aumento della spesa militare e in particolare verso il riarmo. Nonostante le grandi mobilitazioni per la pace, l’enfasi sulla sicurezza e le “politiche della paura” (degli immigrati, della disoccupazione, delle pandemie, della criminalità, della Russia, della Cina…) dominano la comunicazione pubblica e spingono l’“economia della guerra”. È facile dunque prevedere che nei prossimi mesi e anni il movimento degli armamenti e delle munizioni si intensificherà in tutte le modalità di trasporto. Mobilitazione sindacale nel porto del Pireo, contro un container di munizioni destinate a Israele e pronte per essere caricate sul cargo «Marla Bull», battente bandiera delle Isole Marshall, 18 ottobre 2024. Secondo the Weapon Watch, l’osservatorio sulle armi nei porti europei e mediterranei, in questo quadro si aprono prospettive nuove al ruolo di controinformazione e di denuncia che stanno svolgendo i lavoratori della logistica nei porti, negli aeroporti, nelle ferrovie. Molti episodi si sono già registrati –l’ultimo nel porto greco del Pireo –, Mobilitazione sindacale nel porto del Pireo, contro un container di munizioni destinate a Israele e pronte per essere caricate sul cargo «Marla Bull», battente bandiera delle Isole Marshall, 18 ottobre 2024. soprattutto riguardanti le navi che stanno portando munizioni verso Israele. Nonostante tutto, le armi sono più visibili – All’aumento della produzione e della circolazione degli armamenti corrisponde, ovviamente, una loro maggiore visibilità. Nei centri logistici, negli hubs di smistamento sarà più facile vedere transitare o sostare convogli di mezzi blindati, container di bombe e munizioni, casse di materiale militare. Le autorità cercano di celare queste catene logistiche della morte, le aziende produttrici temono il discredito e la pubblicità negativa ma certo non rinunciano ai profitti. Fare emergere il commercio di armamenti, rendere cosciente la cittadinanza di quello che avviene sotto i suoi occhi è già mettere in atto una protesta non violenta contro le guerre. Nel nostro Manuale per weapon watcher (vedi qui) abbiamo dato alcuni suggerimenti pratici per l’osservazione sul campo delle armi in movimento. Qui vedremo più in dettaglio i contenitori delle munizioni, grandi e piccole, la cui produzione è enormemente aumentata a causa dei conflitti in corso. Contenitori di munizioni leggere – Al di sotto dei 20 mm di calibro si parla di “munizioni leggere”. Sono il vero “carburante” dei conflitti armati, e sono uno dei fattori critici nelle operazioni militari sul campo. Tipica merce pericolosa (DG, dangerous good nel linguaggio professionale dei trasporti), le munizioni devono riportare su tutti i contenitori l’etichetta a losanga arancione e la classe di pericolosità. Via mare, le munizioni leggere viaggiano normalmente in container, imballati in scatole di cartone a loro volta collocate su pallet. Durante la navigazione le norme IMO impongono di posizionare i container contenenti merci di classe 1 (esplosivi di varie sottoclassi) lontano da qualsiasi fonte potenziale di calore o di accensione, e rispettando le norme di incompatibilità. Sebbene le munizioni ordinarie, normalmente di classe 1.4, possano essere posizionate indifferentemente sopra o sotto il ponte, purché in posizione “fresca”, è assai frequente che il capitano le collochi prudentemente sul il ponte, spesso in esterno di riga. All’interno del container le munizioni sono normalmente collocate in pallet forcabili, in scatole o casse sovrapponibili legate con cinghie, talvolta avvolte in film sensibile, sempre con l’obbligo di porre le etichette arancioni su ogni imballaggio. La portata massima di un europallet (il più utilizzato) è 1.500 kg, un container da 20 piedi porta 28 tonnellate, un High Cube da 40 piedi 26 tonnellate. Un carico di munizioni Fiocchi sequestrato dalla Guardia costiera senegalese sulla nave «Eolika», nel gennaio 2022. Il carico era in tre container, contenenti vari pallet, ciascuno per un centinaio di scatole. Sebbene la normativa internazionale sul trasporto delle merci pericolose sia in vigore da decenni, e rappresenti un’importante tutela per gli operatori logistici, è stata sommariamente applicata in passato, e spesso i vecchi stock di munizioni non sono correttamente etichettati. A sx: casse di munizioni di provenienza ucraina, collocate nei depositi militari della Maddalena nei primi anni 2000. Su alcune casse si può leggere 7.62-T-46, cioè cartucce cal. 7.62 con proiettile tracciante per fucili tipo Kalashnikov. Sopra: munizioni sequestrate dai Marines americani nei depositi del partito Bath, a Qalat Sukkar in Iraq, durante l’operazione Iraqi Freedom. Contenitori di munizioni da artiglieria – Dalla guerra in Ucraina abbiamo imparato che il proiettile d’artiglieria più usato è indubbiamente il calibro 155 mm, di cui l’esercito di Kiev “consuma” 200.000 pezzi al mese. Come arrivano in prima linea le munizioni di artiglieria? Le tecniche di rifornimento delle linee avanzate sono abbastanza semplici, e tendono a ridurre al massimo le “rotture del carico” nel passaggio da un veicolo all’altro. Gli americani usano il PDS Palletised Load System, gli inglesi il DROPS Demountable Rack Offload and Pickup System. In sostanza si tratta di pianali mobili che camion specializzati dotati di gru depositano a terra, riducendo al minimo la manipolazione del carico. A sx: un sistema di scarico pallettizzato con motrice Oshkosh M1075, usato dai reparti di artiglieria dell’esercito americano. A dx: diversi imballaggi per proiettili d’artiglieria impiegati dal US Army. In primo piano, proiettili illuminanti da 155 mm. Diversamente dal trasporto effettuato da operatori civili, nell’“ultimo miglio” intervengono mezzi e personali militare, e gli imballaggi sono ridotti all’essenziale per non ostacolare il pronto impiego delle munizioni. Missili e siluri – Sempre più di frequente, gli operatori logistici civili spediscono e trasportano sistemi d’arma più complessi. Prendiamo il MICA (missile d’interception, de combat et d’autodéfense), il missile antiaereo fabbricato dalla branca francese della società mista MBDA. Se ne sono dotati molti paesi africani e anche la Guardia Nazionale saudita. Viene lanciato sia da piattaforme aeree (aria-aria) che terrestri e navali (superficie-aria), in questo caso da contenitori di lancio posti verticalmente (versione VL, vertical launch) Da sx verso dx: imballaggio del missile MICA, contenitore del missile di 4 m di lunghezza, missili MICA NG (nouvelle génération) nelle due versioni IR (autodirezione a infrarossi) e EM (autodirezione elettromagnetica). Nei suoi tre stabilimenti italiani, MBDA produce il missile anti-nave Teseo, una delle evoluzioni aggiornate del celebre OTOMAT, progetto degli anni Settanta di OtoMelara e Matra la cui ultima versione (MK2/E cioè evolved) è ora in fase di collaudo nel “poligono a mare” interforze di Salto di Quirra, in Sardegna. Secondo quanto testimoniato dai lavoratori dell’aeroporto di Brescia-Montichiari, missili e piattaforme OTOMAT/Teseo sono state imbarcati lo scorso ottobre su voli commerciali con destinazione Bangladesh. A sx: contenitore/piattaforma del missile Teseo, in lavorazione presso lo stabilimento integrato di La Spezia-Aulla di MBDA. A dx: due tubi di lancio OTOMAT installati a bordo della fregata venezuelana «Mariscal Sucre». Nei suoi tre stabilimenti italiani, MBDA produce il missile anti-nave Teseo, una delle evoluzioni aggiornate del celebre OTOMAT, progetto degli anni Settanta di OtoMelara e Matra la cui ultima versione (MK2/E cioè evolved) è ora in fase di collaudo nel “poligono a mare” interforze di Salto di Quirra, in Sardegna. Secondo quanto testimoniato dai lavoratori dell’aeroporto di Brescia-Montichiari, missili e piattaforme OTOMAT/Teseo sono state imbarcati lo scorso ottobre su voli commerciali con destinazione Bangladesh. A sx: un contenitore di un missile Aster viene imbarcato su una fregata FREMM. Sopra: una sezione parziale della batteria Samp-T. Ciascuna batteria completa costa oltre 700 di euro. In questi mesi, si è parlato molto della fornitura all’Ucraina dei sistemi Samp-T (sol-air moyenne portée-terrestre), i “Patriot europei” costruiti da un consorzio a cui partecipano sia MBDA che la francese Thales, e basati sul missile Aster 30, di cui si sta approntando la versione Block 1 NT. Si noti che operazioni di manutenzione e di updating degli Aster si effettuano in tre stabilimenti, in Francia e Gran Bretagna, e per l’Italia ad Aulla, a una ventina di km da La Spezia, presso il Centro interforze munizionamento avanzato. La versione terrestre del sistema Samp è composta da 4 lanciatori verticali dotati di 8 missili ciascuno, un modulo radar, un modulo d’ingaggio, un modulo di comando, un modulo di generazione elettrica, più due moduli di ricarica, in totale si utilizzano dieci veicoli che nella versione italiana sono Iveco-Astra 8×8. L’esercito italiano ha in dotazione 5 batterie (tre dislocate in Italia, una in Slovacchia e una in Kuwait), ma il ministro della Difesa ha recentemente affermato di volerne acquistare altre dieci. Quella inviata in Ucraina, composta dal moduli radar italiani e lanciatori francesi, è già stata danneggiata, e verrà probabilmente integrata con quella in rientro dalla Slovacchia. Veicolo speciale per il trasporto di nitroglicerina e acetato d’etile approntato per Rheinmetall Denel Munition (RDM), filiale sudafricana del colosso tedesco. Come si trasporta l’esplosivo – La penuria di munizioni è anche penuria di esplosivi. Il mercato mondiale dei materiali energetici a scopo militare è in espansione, con previsione del raddoppio del fatturato globale nel giro dei prossimi dieci anni. L’Italia – pur rimanendo importatore netto – negli ultimi tre anni ha intensificato le proprie esportazioni, e nei primi sette mesi del 2024 l’Ucraina, mai comparsa tra i clienti, ne è divenuta il primo. La produzione e il trasporto degli esplosivi sono attività altamente pericolose. Gli stabilimenti sono sempre posti lontano dagli abitati urbani e gli spostamenti dei semilavorati e dei prodotti finiti verso i luoghi di caricamento delle munizioni sono effettuati con particolari precauzioni. Ciò nonostante gli incidenti si registrano con una certa regolarità.
November 12, 2024 / The Weapon Watch | 6a puntata: Intermediari e clienti per i droni killer israeliani
La ricetta progressista per la violenza giovanile a Napoli
Dopo i recenti fatti di cronaca che hanno portato all’uccisione di due giovani nel centro di Napoli e a San Sebastiano al Vesuvio il terzo settore cittadino ha convocato un’assemblea pubblica per sabato 9 novembre alle ore 10 in piazza Cavour. Nel manifesto di convocazione, che evita accuratamente di nominare le uccisioni di ragazzi per mano di appartenenti alle forze dell’ordine, si reclama “un patto costante tra istituzioni, mondo del terzo settore, scuola, associazionismo, realtà imprenditoriali, chiese e realtà religiose”. E poi “un lavoro dignitoso, una sicurezza senza retorica, un controllo del territorio e un piano educativo straordinario che contempli interventi straordinari dagli asili all’età adulta, e non provvedimenti presi sull’onda mediatica e che puntano solo sulla repressione, senza prendere in carico le persone e i contesti”. Gli enti del terzo settore affermano di essere stati “troppo soli, troppo precari, troppo inascoltati in questi anni”; e considerano questo “un momento per rendere visibile lo straordinario lavoro che facciamo e per chiedere che le nostre pratiche innovative, generative, informali, collaborative diventino una politica pubblica”. Sulle enormi contraddizioni del lavoro del terzo settore, non solo a Napoli, abbiamo scritto e continueremo a scrivere. Così come i ricorrenti sacrifici di queste giovani vite sono stati per noi le tristi occasioni per far sentire una voce diversa dalla litania progressista, tanto ipocrita quanto impotente. Riproponiamo qui uno degli ultimi articoli, originato da un libro di Isaia Sales, sintesi perfetta di tutte le velleità del mondo progressista. Napoli non è tra le prime cinquanta città più violente al mondo per numero di omicidi. E nemmeno in Europa. E neanche in Italia. E nemmeno per numero di minori coinvolti in reati. Esordisce con questi dati di fatto Isaia Sales – saggista, docente universitario, già deputato dei Ds –, nel suo ultimo libro, Teneri assassini. Il mondo delle babygang a Napoli (Marotta&Cafiero, 2021). Allora perché dedicare un volume alla violenza dei minori napoletani? Cosa caratterizza la situazione della città al punto da rendere la questione una vera emergenza? La “qualità” di questa violenza, sostiene l’autore; la “radicalizzazione” dei giovanissimi; l’alto tasso di recidiva da adulti dei minori finiti in carcere, ma anche “la percezione che si ha della fase attuale”. C’è uno scorrimento permanente – scrive Sales – tra criminalità minorile, giovanile e camorristica; tra delinquenza comune e organizzata. I gruppi camorristi sono più frammentati e instabili di quelli di mafia e ndrangheta. E questo ne aumenta la pericolosità. Le nuove bande, che spesso sorgono nel vuoto lasciato dai successi delle forze repressive, sono composte da persone sempre più giovani e incontrollabili, che per i gruppi di camorra costituiscono un “esercito delinquenziale di riserva”, da cui attingere in modo permanente. Secondo Sales il processo in atto non è più nemmeno definibile come “camorra”, la quale abitualmente esercita la propria influenza su uno strato più ampio, che non coincide del tutto con quello delinquenziale. Sales lo chiama “gangsterismo sociale”, una miscela più autoreferenziale di “illegalità di strada e affari milionari”. Con la droga di massa, la possibilità di arricchirsi si è estesa a dismisura e “attira masse di giovani un tempo dediti a lavori di sopravvivenza”. Provengono da un mondo di miseria, ma a quel mondo restano aggrappati anche quando hanno raggiunto l’obiettivo. La loro reputazione e le loro relazioni non varcano i confini del quartiere a cui appartengono. “Non si integrano”, annota Sales con sgomento. E non si accontentano di sopravvivere. L’emergenza criminale a Napoli è cominciata alla fine degli anni Settanta e non è ancora finita. Tra le sue cause, ricorda Sales, la fine della promiscuità sociale nel centro storico, dovuta allo spostamento dei ceti abbienti nei quartieri residenziali e al trasferimento dei ceti popolari nelle nuove periferie prive di tutto a partire dagli anni Sessanta. Poi il caos del dopo-terremoto e in anni recenti la crisi dello stato sociale; l’isolamento della città a livello nazionale; la mobilità sociale bloccata, e l’esercizio della violenza come unica chiave per sbloccarla. Sales sottolinea l’alto numero di minori coinvolti in procedimenti per associazione mafiosa. E il fatto che solo il dieci per cento dei reati di minori sia commesso da stranieri, molto meno che in altre grandi città italiane. La questione è quindi tutta “indigena”. Questi giovani provengono sempre dagli stessi quartieri e da un’unica condizione sociale. Sales li definisce “sottoproletari”. L’alta recidiva da adulti rivela, tra l’altro, la continuità con l’esperienza delinquenziale delle famiglie. Sono, infatti, spesso figli, fratelli o nipoti di pregiudicati. Da buon progressista, Sales sa (e lo afferma, che è già tanto di questi tempi) che “tutto ciò non ha niente a che fare con il destino, con i geni criminali nel sangue”, ma piuttosto con l’incidenza di specifici indicatori in determinate aree: gli alti tassi di disoccupazione e di abbandono scolastico, il disagio abitativo, i precedenti penali nel nucleo familiare. “Non si nasce camorrista, ma ci sono molte più probabilità di diventarlo in alcuni ambienti sociali del centro storico, delle periferie di Napoli o del suo hinterland”. Sales traccia un parallelo con Parigi e Londra. “L’insuccesso di Napoli come metropoli – scrive – è determinato dal continuo formarsi, lungo tutti i tentativi di modernizzazione che l’hanno caratterizzata, di consistenti sacche sociali irriducibili all’integrazione, di cui la camorra ha attirato e organizzato le parti più violente”. Al centro dell’attenzione quindi non sono i modi in cui la “modernizzazione” è stata realizzata dalle classi dirigenti locali e nazionali, ma le “resistenze” esercitate da queste “sacche” di presunti irriducibili. Un’altra caratteristica di questi refrattari sarebbe infatti questa: la “sostanziale assuefazione nei secoli delle classi popolari e plebee rispetto alle loro miserabili condizioni”. E ancora: “A Napoli non è la città del benessere che si separa dall’altra (come avviene di regola nelle metropoli moderne), è la città del malessere che si isola, si barrica, scava le trincee per rendere ancora più forte, più violenta la distanza”. Quest’ultima affermazione non corrisponde in nulla all’esperienza che ho della mia città, ma andiamo avanti. Ora, si dà il caso che proprio a partire dagli anni Sessanta della “grande modernizzazione”, anche a Napoli le classi popolari, talvolta su binari paralleli, talvolta intrecciando i propri percorsi con studenti, operai, esponenti delle professioni, abbiano compiuto enormi sforzi collettivi per emanciparsi dalla propria miseria, non solo rivendicando l’accesso ai fondamenti della modernità (una casa decente, un lavoro stabile, la possibilità di studiare, di curarsi, di abitare in quartieri salubri, ecc.), ma anche reclamando protagonismo e partecipazione alla vita pubblica attraverso forme autonome organizzate. Si dà anche il caso che tutti questi tentativi siano sempre stati osteggiati o abilmente svuotati dall’interno dal sistema politico, con il partito comunista in prima fila. Di questo recente periodo della storia cittadina, durato almeno quindici anni, Sales non fa menzione, soffermandosi invece sulle alleanze strette nei secoli passati tra il sistema di potere ed elementi popolari, o popolari e criminali, in funzione anti-riformista. Ci sono poi alcune annotazioni vaghe e opinabili sulle presunte connessioni tra i gruppi politici armati, che alla fine degli anni Settanta cominciarono a operare in città, e la camorra di Raffaele Cutolo allora in auge. Fino a questo sillogismo: “La camorra si rivela un’organizzazione criminale estremamente sensibile e permeabile alle ideologie politiche estreme e, a Napoli, sia quelle di sinistra, sia quelle di destra hanno storicamente tentato di rappresentare il sottoproletariato e i suoi contraddittori interessi”. L’aspirazione di Sales, se ne deduce, sarebbe una “integrazione” centrista, moderata, responsabile, sostanzialmente guidata dall’alto. Ma chi dovrebbe guidarla, e con quali modalità? Sales riconosce che finora si è operato poco e male al riguardo. Ma è proprio quando deve indicare una via d’uscita plausibile che il discorso progressista, costretto a misurarsi con i fatti, rivela tutta la sua inconsistenza. Colpisce, intanto, la disparità tra l’accuratezza della disamina sui mali e la superficialità dei rimedi proposti. Sulle duecento pagine del testo, l’autore dedica alla pars costruens, alle possibili soluzioni dei problemi esposti, appena sei pagine. Del disastro delle periferie dovrebbe occuparsi Renzo Piano. Punto. Renzo Piano, il “ricucitore”. Per i quartieri del centro storico, invece, si dovrebbe riuscire a “scompaginare la composizione sociale senza comprometterne la vitalità”. Come? Per esempio, trasformandoli nei “principali quartieri culturali e artistici della città”, ristrutturando edifici per farne case per studenti e lanciando un nuovo programma di edilizia economica e popolare. Alle famiglie a rischio bisognerebbe erogare prestiti o esenzioni per incentivare la frequenza scolastica dei figli. Andrebbero formate équipe multidisciplinari per seguire oltre l’orario scolastico i bambini di “particolari zone e quartieri, selezionati sulla base della percentuale di reati riscontrati tra i minorenni”. Lo stato dovrebbe supportare direttamente l’iniziativa, assumendo “migliaia di psicologi, assistenti sociali, insegnanti, tutor, affinché ogni bambino sia affidato fin dalla nascita a esperti che li seguano in tutti i passaggi della loro vita”. Per i più grandi, di fresco approdo nel circuito della giustizia, sarà necessario trasformare in scuole e fabbriche a tempo pieno gli attuali istituti di pena. “Chi arriva in quei circuiti deve conoscere la scuola che non ha conosciuto prima e imparare un mestiere che altrimenti non troverà e nessuno dovrà rifiutarsi”. All’uopo lo stato selezionerà gli insegnanti migliori, riserverà dei posti nelle università e nelle imprese, stabilirà sgravi fiscali per incentivare queste ultime. “Sarebbe interessante immaginare una scuola di alta formazione per il personale che si occuperà nel futuro di minori a rischio”. Il tono delle proposte è ispirato, da sogno a occhi aperti. Ma la realtà – e questo Sales non può non saperlo – è molto più terra terra. Come ignorare, per esempio, che la scuola pubblica a Napoli non ha più da tempo alcun tipo di presa su bambini e adolescenti che provengono da situazioni di grande precarietà e deprivazione. Inutile rifare l’elenco delle ragioni. Basti dire della consuetudine, nelle scuole di confine (tra quartieri bene e quartieri popolari), di selezionare accuratamente gli alunni per comporre classi omogenee, così che gli ambienti dei benestanti siano depurati dalla presenza di elementi popolari, e viceversa. Questo per il clima culturale. E basterebbe. Ma pensare di poter contare sulla scuola per un compito simile, dopo che due anni di gestione pandemica hanno messo all’angolo le già sparute sacche di tolleranza, dando briglia sciolta agli elementi più autoritari, sadici e paranoici tra i dirigenti e gli insegnanti; dopo che la transizione accelerata al digitale, sia a scuola che nel lavoro sociale, ha approfondito ulteriormente il baratro tra gli alfabetizzati e gli ignoranti, tra chi ha una famiglia stabile e chi non ce l’ha, tra chi vive in spazi adeguati e chi no; fare affidamento su questo panorama di macerie per pensare di redimere i “ragazzi cattivi” non è solo una fumosa velleità, ma una consapevole bugia. “L’integrazione delle masse sottoproletarie”, come dice di volerla Sales, non riuscirà a questa classe dirigente. Non ci sarà alcun piano di edilizia economica e popolare nel centro storico, ci saranno invece sempre più case vacanze, maggiori pressioni dei proprietari per sfrattare e ristrutturare, sempre più ristoranti e friggitorie che offriranno lavori sempre più precari, usuranti e sottopagati per i giovani che vorranno accettarli. Non ci saranno equipe multidisciplinari, ma sono già qui gli sgomberi di senzatetto e la militarizzazione dei quartieri centrali: è il modo in cui la nuova giunta comunale si è presentata alla città. Non ci saranno scuole di alta formazione per gli educatori, perché le imprese del terzo settore non hanno alcun interesse a investire su educatori e operatori sociali, ma solo a usarli come pedine usa e getta nel Risiko di bandi e progetti sempre più frammentari e slegati dai bisogni dei territori. Piuttosto che favoleggiare sul ruolo delle istituzioni esistenti, il “progetto integrazione” dovrebbe innanzitutto passare da una critica approfondita alle pratiche e alla cultura che quelle istituzioni veicolano. La “radicalizzazione” dei giovani violenti, sostiene Sales, non ha motivi apparenti. Si tratta di “insoddisfatti che non sanno bene i motivi della loro insoddisfazione”. È una “radicalizzazione del niente”, perché “niente sono quelli che la praticano e niente di concreto perseguono”. Ma si sbaglia di grosso. Troppa è qui la distanza del progressista dall’oggetto della sua analisi. Questi ragazzi, certo, galleggiano nell’ignoranza, ma non c’è bisogno di una laurea per accorgersi che la propria vita è priva di sbocchi. E, d’altra parte, dovrebbero vivere da eremiti per riuscire a sottrarsi ai messaggi ossessivi che provengono dalla società degli integrati: fai soldi, ottieni successo, consuma senza limiti, o non sarai niente. La cosa interessante, la cosa davvero meritevole di studio, è che la maggior parte di essi, nonostante tutto, sa sottrarsi al richiamo, sa riconoscere la trappola dell’autodistruzione. In molti, infatti, stringono i pugni, abbassano lo sguardo e accettano quel che c’è; fanno piani nella loro testa, tengono vivi i sogni, e intanto non si “integrano”. Non si illuda chi li vede servire ai tavoli, fare una consegna o armeggiare sotto la pancia di un’auto. Anche volendo, è difficile integrarsi in un mondo senza futuro. E poi ci sono gli altri. Quelli che oscillano, quelli che sbagliano e poi tornano indietro, quelli che vorrebbero tornare indietro ma ormai è troppo tardi, e quelli che si bruciano subito tutti i ponti alle spalle (la casistica è molto più varia di come la immaginano i progressisti). Sono quelli che daranno e riceveranno dolore, che andranno a sbattere da soli contro un muro o saranno ridotti alla resa con la forza. Si potrà provare a debellarli con strumenti gentili: le riqualificazioni urbanistiche, la “turistificazione” o l’emigrazione di massa. Ma per adesso sono ancora troppo numerosi perché spariscano tutti dentro le nostre sovraffollate galere. Non ci sarà nessuna integrazione. Tirarne fuori uno alla volta non paga. Non ha pagato. Ce ne siamo accorti in tutti questi anni, accompagnando i tentativi più onesti delle persone di buona volontà. I ragazzi cattivi dovranno uscirne tutti insieme oppure non ne usciranno. Le strade dell’emancipazione dovranno cercarle da sé, oppure insieme a chi avrà ancora la forza di accompagnarli per un tratto di strada: senza riserve mentali, senza appuntarsi medaglie, senza distrarsi dagli obiettivi. Ma intorno a loro dovranno succedere anche altre cose perché si possa alimentare qualche speranza. Devono fare da soli, ma non dipende solo da loro. (luca rossomando)
November 8, 2024 / NapoliMONiTOR
La parola della settimana. Spia
(disegno di ottoeffe) Una grossa inchiesta della Dda ha rivelato l’esistenza di una rete di spionaggio e traffico di informazioni gestita dalla società di intelligence Equalize, a cui capo ci sono un importante manager pubblico e un ex poliziotto. La compagnia avrebbe raccolto dati e fabbricato dossier su politici, industriali e personaggi famosi, tra cui il presidente del Senato e persino il cantante Alex Britti (fatto spiare dall’ex direttore di Pubblitalia dopo aver rotto la relazione che lo legava alla figlia di quest’ultimo). Si parla anche di un tentativo – non riuscito – di violare l’account della presidenza della Repubblica. Sfruttando un’ampia rete di supporto (sono indagati amministratori di banche e responsabili dati di grosse aziende) e sistemi ad alta tecnologia, Equalize riusciva a spiare le vittime ma anche a raccogliere informazioni tramite accessi abusivi alle banche dati delle più importanti istituzioni italiane. Secondo alcune intercettazioni, dalle quali si possono evincere rapporti con i servizi segreti nazionali e internazionali, l’attività di Equalize non riguardava solo la sorveglianza illecita, ma anche l’uso di queste informazioni per influenzare questioni politiche, come le elezioni regionali del 2023. Chiano chiano dint’e case ce farranno ‘na sorpresa: manco int’o bagno te può rilassa’…! Parla piano stamm’ tutti intercettati, ogni frase ogni parola è controllata. Se fraintendono c’accusano ‘e reati e int’ a niente ‘a qualche clan sì affiliato. Parla piano stamm’ tutti intercettati nun se parla sottinteso e malspiegato. Se tu dici piglia un chilo di farina ‘cca c’arrestano pe’ spaccio ‘e cocaina. (gianni celeste, stamm’ tutti intercettati) Per un bel po’ di anni, sul finire dei Novanta, i militanti politici che capivano qualcosa di computer hanno accarezzato l’idea di poter utilizzare strumenti e pratiche all’avanguardia, come l’hacking, per socializzare i processi politici e culturali in corso. In Italia nasceva nel 2001 il collettivo Autistici/Inventati, con l’obiettivo di creare un server autogestito e fornire gratuitamente servizi web basati sull’anonimato e sulla privacy (un veicolo sopravvissuto a molti tentativi di repressione, a denunce, sequestri e inchieste giudiziarie). È una storia – la si ricostruisce in questo bel libro – che meriterebbe attenzione, oggi che la sproporzione tra le forze e le disponibilità di mezzi in campo sembra aver sopito quasi tutti i sogni di opposizione socio-digitali alla cyber-dittatura (poi dittatura degli algoritmi). Di certo quello che sta accadendo in queste settimane provoca emozioni contrastanti a chi aveva provato a costruire un’alternativa, ma anche a quel paio di generazioni che più o meno un decennio dopo avrebbero visto giovani militanti chiudersi in aule occupate a lavorare su hardware impolverati, buttare il sangue per trasmettere in streaming e comunicare con gente dall’altra parte del paese, capire che era importante mantenere i “forum” in vita ma pure imparare a usare WordPress. Se è vero che si è sempre a Sud di qualcuno, con il passare del tempo ci si comincia a rendere conto che si è anche sempre dinosauri di qualcun altro. A non più di cinque metri un tordo si era appollaiato su un ramo, all’altezza delle loro teste. […] Aprì le ali, le richiuse piano piano, chinò per un attimo il capo come se volesse rendere omaggio al sole, dopodiché proruppe in un canto a gola spiegata. […] Winston e Julia si strinsero, affascinati. Quella musica continuò per lunghi minuti, con variazioni stupefacenti e sempre nuove, come se l’uccello stesse offrendo un saggio del suo virtuosismo. […] Per chi, per che cosa cantava? Non v’era una compagna, né un rivale che lo guardassero. Che cosa lo spingeva a starsene appollaiato all’estremità di quel bosco, affidando la sua melodia al nulla? Si chiese se non c’era un microfono nascosto lì vicino. Lui e Julia avevano parlato a voce bassissima, e certamente un microfono non sarebbe riuscito a cogliere quel che avevano detto, ma avrebbe captato di sicuro il canto del tordo. Forse dall’altro capo del filo qualche omuncolo dalla faccia di scarafaggio era intento all’ascolto, forse stava ascoltando quella… cosa. Ma poi, poco alla volta, il flusso di quella melodia scacciò ogni altro pensiero dalla sua mente. […] Smise di pensare e restò in ascolto. […] Le loro labbra si cercarono, e non furono più i baci impacciati che si erano scambiati prima. Quando i volti si staccarono, emisero entrambi un profondo sospiro. Il tordo si spaventò e volò via in un frullio d’ali. (george orwell, 1984) Per la Treccani, “spia” è colui che “con l’inganno o la dissimulazione cerca di venire in possesso di notizie riguardanti altre persone allo scopo di riferirle, per malevolenza, per invidia o per interesse personale, a chi possa valersene per punire o danneggiare le stesse”. La locuzione “fare la spia” mette invece l’accento sul destinatario delle informazioni: è l’atto “di riferire a superiori o ad autorità ciò che altri vorrebbe tenere nascosto”. Non molto usato in italiano è invece, con più o meno la stessa caratterizzazione, il sostantivo “spiata”, che al contrario si utilizza molto in lingua napoletana e in particolare nel gergo criminale. Quando facevo l’allenatore in una scuola calcio popolare a Bagnoli, insegnavamo ai bambini che peggio di fare qualche guaio c’era solo fare la spia ai danni di un amico o un’amica che ne aveva fatto uno. Questo ci metteva spesso nei guai, prima di tutto perché dovevamo spiegare che il processo di auto-responsabilizzazione di un bambino o di un adolescente, e la necessità di assumersi la paternità di un errore, non c’entravano niente con la presunta omertà del mondo malavitoso e tutto quelle cretinate sui “valori” da cui sono bombardati; poi perché la linea, quando per una ragione o per un’altra c’era bisogno di individuare un colpevole, era quella di bloccare le attività per tutti e invogliare una confessione (in privato, per evitare la gogna). Era molto raro ovviamente che ciò accadesse, e per questo una serie di potenziali interventi educativi (dialogo, riflessioni individuali e collettive, dibattiti circolari sui concetti di “giusto” e “sbagliato”) si riducevano a inutili azioni repressive tipo sequestro di coltellini, sigarette, eccetera. Col tempo elaborammo una nuova teoria, più o meno efficace, che faceva delle differenze tra il fare la spia per un tornaconto personale e quella per mettere fine a un’ingiustizia, tra il farlo collettivamente all’interno di un gruppo o delegando la gestione al rappresentante di un potere, mantenendo comunque alta l’attenzione sull’inutilità quasi universale del cantarsi qualcuno o scagliare la propria pietra contro una persona specifica, concetto sul quale anche filosofi come Gesù di Nazareth si erano espressi tempo prima. C’è una bellissima opera teatrale di Sartre, in due atti, che racconta la storia di cinque partigiani che lottano contro lo stato francese collaborazionista. I cinque sono in carcere, dove vengono interrogati e torturati. Sono però tutti decisi a non parlare, a non dire chi è il loro capo, fatta eccezione per il più giovane, che alla fine verrà ucciso dai suoi stessi compagni per impedirgli di fare la spia. A morire è anche un altro partigiano, che per paura di non riuscire a resistere alle torture si suicida durante l’interrogatorio. Alla fine i tre compagni rilasceranno ai militari delle finte informazioni, d’accordo con il capo del gruppo che provvederà a creare prove capaci di avvalorarle, nonostante il parere contrario dell’unica donna arrestata che, sconvolta per le violenze subite e per la morte del fratello, non vorrebbe far credere ai soldati di averla avuta vinta. La “spiata”, in ogni caso, servirà a poco: dopo la finta confessione uno dei carcerieri uccide i tre partigiani, rimangiandosi la parola data. (a cura di riccardo rosa)
November 3, 2024 / NapoliMONiTOR
Milano, domenica 20 ottobre: “Disertiamo la guerra!” Assemblea pubblica
Riceviamo e diffondiamo: Domenica 20 ottobre, ore 16.00 Cox18, Milano Assemblea pubblica “Disertiamo la guerra”* L’epoca delle guerre hi-tech non ha cancellato il bisogno di carne da cannone da mandare al fronte. Anzi. Più s’inasprisce lo scontro tra blocchi capitalistici ed avanza l’economia di guerra, più progresso tecnologico e mobilitazione totale si alimentano a vicenda. Se la macchina del consenso bellico s’inceppa, la guerra non può proseguire a lungo. Nell’epoca cibernetica, l’umano gesto di rifiuto ancora conta. È quello che sta succedendo in Ucraina. Oltre alle migliaia già fuggiti all’estero – gli “scappati nel bosco” –, decine di migliaia di arruolati non tornano al fronte e centinaia di migliaia di arruolabili si nascondono. Mentre i reclutatori – i rapitori – dell’esercito incontrano una crescente ostilità sociale. Questo fenomeno, che si registra in maniera crescente anche sull’altro lato del fronte, in Russia, va fatto conoscere e sostenuto pubblicamente come argine alla terza guerra mondiale. Il “nostro” fronte è quello della NATO e dell’UE, ed è innanzitutto questo fronte che dobbiamo contribuire a far crollare, esprimendo la nostra solidarietà internazionalista ai disertori, agli insubordinati, ai renitenti. FACCIAMO DEL 4 NOVEMBRE, FESTA DELLE FORZE ARMATE, LA GIORNATA DEL DISERTORE, CON UN PRESIDIO DAVANTI AL CONSOLATO UCRAINO DI MILANO (che da tempo non rinnova i passaporti con lo scopo di costringere la carne da cannone a rientrare… al fronte)   * durante l’assemblea ci saranno contributi di disertori ucraini e video sulla resistenza al reclutamento forzato al Cox18, via Conchetta 12 – Milano
October 13, 2024 / il Rovescio
Lo stato della città, da oggi il libro è scaricabile gratuitamente
(copertina di luca trimaldi) Lo stato della città. Napoli e la sua area metropolitana è un libro collettivo uscito nell’aprile 2016 per le edizioni Monitor. Un volume di 536 pagine, con 68 autori che comprende 86 articoli, saggi, storie di vita, grafici e tabelle. Un profilo della metropoli napoletana sotto tutti gli aspetti, dalla demografia all’urbanistica, dall’ambiente all’economia, dalle politiche sociali e sanitarie fino alla produzione culturale. All’origine del progetto vi erano due riferimenti. Il primo è un libro oggi misconosciuto, eppure all’origine di un certo modo, purtroppo poco diffuso, di fare ricerca sociale nella nostra città. Si tratta di Napoli come è, edito da Feltrinelli nel 1959, a cura di Emilio Longo e Antonio Oliva. Alla base della ricerca è posta la necessità di indagare i problemi della città a partire dai dati reali, verificati sul campo, superando luoghi comuni e analisi basate su assunti predefiniti. “Abbiamo percorso Napoli, si può dire, strada per strada, avendo sempre presenti, insieme all’ambiente, gli uomini e i loro problemi”, scrivono nelle prime pagine i due autori. Per questo, accanto ai dati e ai ragionamenti, inseriscono nel libro le voci, le storie e i volti dei napoletani. Il secondo riferimento è un libro del 1994, lo Stato dell’Italia, curato da Paul Ginsborg per il Saggiatore/Bruno Mondadori. “Il bilancio politico, economico, sociale e culturale di un paese che cambia. 180 contributi inediti scritti da più di 100 specialisti”, così recita il sottotitolo. Ci siamo ispirati alla struttura di questo libro non solo per il piano dell’opera, ma anche per le indicazioni di scrittura che abbiamo fornito ai singoli autori: insistendo, per esempio, sulla concisione e sulla leggibilità, compresa la scelta di dati essenziali a corredo delle analisi, in modo da rendere fruibili i testi da un pubblico di non addetti ai lavori; inoltre, raccomandando agli autori di concentrarsi sulla descrizione del presente, ma senza perdere di vista le ragioni storiche dei fenomeni e le prospettive future, in modo da conservare l’attualità dei testi anche a distanza di tempo. Lo stato della città è nato e si è sviluppato nell’ambito dell’esperienza decennale di Napoli Monitor. Messo in cantiere con due numeri 0 nel corso del 2006, il giornale cartaceo è uscito con cadenza mensile dal gennaio 2007 al settembre 2012; poi con cadenza bimestrale fino al settembre 2014 (in tutto sessanta numeri). Dal settembre 2010 è anche un sito di informazione aggiornato quotidianamente, dal 2015 una piccola casa editrice, e dal 2018 promuove la pubblicazione di una rivista, con taglio e distribuzione nazionale, Lo stato delle città, che dal lavoro fatto con il libro di cui vi stiamo parlando trae evidentemente tanti spunti e insegnamenti, in termini di approccio, metodo, pratiche. Tra giornale di carta, giornale on-line e riviste, in questi anni abbiuamo pubblicato più di tremila articoli originali – cronache, inchieste, reportage, recensioni, ecc. –, scritti da più di trecentocinquanta collaboratori. Sul giornale cartaceo sono stati pubblicati i disegni e le storie illustrate di decine di disegnatori italiani e stranieri, e sul sito le gallerie fotografiche di fotoreporter italiani e internazionali. Lo stato della città è stato un libro fondamentale per lo sviluppo del nostro lavoro, una panoramica critica sulle tante questioni aperte nel vasto territorio napoletano. Una cristallizzazione, solo temporanea, dell’inventario condotto in dieci anni dal collettivo redazionale di Napoli Monitor su temi e problemi dell’area napoletana. Il bilancio di un’esperienza di ricerca, che seppure attraversata da decine di individualità e utilizzando forme espressive molto varie, ha consolidato negli anni un metodo e uno stile di lavoro. Oggi abbiamo deciso di mettere a disposizione di tutti questo libro, scaricabile gratuitamente in formato digitale. Questa scelta non risponde solo a una volontà di apertura e di condivisione di dati e prospettive, in termini di archivio. Ma vuole essere anche una spinta, uno strumento di lavoro sempre consultabile per le future ricerche, ma anche uno spazio aperto verso nuove analisi e contributi critici.
October 9, 2024 / NapoliMONiTOR
Alta Valsusa, Territori Occupati
Di fronte alla prospettiva di dover vivere per chissà quanti anni a ridosso di un cantiere militarizzato, si pensa all’alternativa di vendere. E andarsene piuttosto che vedere la tua casa occupata (che ho detto mioddio perdono, sono gli squòtter che occupano!) abitata da chi ti ci ha cacciato. Ricorda niente? Esatto, Territori Occupati. Il chilometro “elastico”. Da questa notte per raggiungere la stazione di Susa da San Giuliano è necessario circumnavigare l’area sgomberata, col risultato di trovarsi a percorrere un itinerario lungo più di 12 km (in linea d’aria sono 2,4 km!). Arrivano nella notte le notizie dalla Valsusa, pronte per mandar di traverso il caffè appena svegli. La polizia ha sgomberato San Giuliano, storico presidio NoTav dove alcuni militanti avevano allestito mobilhomes e tende per poter pernottare. Nulla di nuovo e nessuna meraviglia. Il terreno è quello acquisito tempo addietro da oltre un migliaio di persone, ognuno una piccola parte, per rendere complicato l’esproprio annunciato. All’interno dell’area soggetta a esproprio si trovano anche alcune case abitate e al momento non ci è chiaro se verranno espropriati anche questi immobili o se il cantiere vi crescerà intorno.  Fra un commento e l’altro all’interno del nostro gruppo iniziamo a chiederci se e come sia possibile che “lo Stato” possa agire dentro un terreno privato attraverso le “forze dell’ordine”, senza che queste siano chiamate a intervenire dai proprietari. Domande un po‘ naïf se vogliamo ma nel momento in cui si spaccano i maroni da decenni prima con terroni, rom & sinti e poi con gli “extracomunitari” (forse si riferivano agli americani che comprano case in Sicilia) accusati di prendere con la forza le case “ai italiani”, che si faccia spallucce nel momento in cui la polizia in assetto di guerra sgombera il “sacro terreno privato” lo troviamo un segnale quantomeno strano. Perfino La Stampa, mai tenera col movimento, fa notare che i terreni verranno sì espropriati mercoledì prossimo 9 ottobre 2024, ma che il clima del presidio era pacifico e che la situazione sarebbe precipitata in caso di azioni delle “forze dell’ordine”. Un cambio di paradigma significativo: il presidio NoTav è stato sgomberato in via preventiva tra la notte di domenica 6 ottobre 2024 e questa mattina, mentre era radicato su un terreno ancora oggi di proprietà privata. La cosa che lascia perplessi è un’“opinione pubblica” così attenta alla roba, alla proprietà, alla “casa occupata”, che fa spallucce al potere poliziesco, il quale fa quel che fa. Preoccupa che gli abitanti e le autorità di Susa (il Sindaco, cascato dalle nuvole, è al mare), ancorché puntualmente informati da tempo dagli esperti del movimento, non sembrano pensare che siano fatti loro, nemmeno di fronte a esistenze che verranno rese schifosamente difficili per anni dall‘ennesimo cantiere inutile. Vite già complicate dallo sgombero necessario per far spazio alla rotaia, dicono, mentre da stamattina si devono percorrere dodici chilometri e mezzo per colmare lo spazio di quei 2-3 che separano San Giuliano dalla stazione di Susa. Abbiamo ragione di pensare che anche a causa della gestione militarizzata dell’emergenza covid degli ultimi anni, del suo linguaggio narrativo, ci sia stata una rimilitarizzazione dell’immaginario. Un atto di forza evidente, davanti al quale sembra che la maggior parte dell’opinione pubblica si sia abituata. Nonostante decenni di guerre preventive finite malissimo, l’opinione pubblica fatica – anzi, si ostina – a non capire che il paradigma è Gaza, che sarà Gaza per tutti. E *non possiamo* capirlo a fondo perché è troppo enorme, non saremo mai pronti a capirlo. Si subisce il rapporto di forza in modo acritico, passivo, rassegnato, al limite fideistico. Facciamo un po’ ridere, oggi, a scrivere di gas lacrimogeni CS vietati dalla convenzione di Ginevra e usati dai reparti di polizia italiani, quando il paradigma di riferimento che ci siamo dati è Gaza, quando gli orchi hanno fame e chiedono di fare più figli, quando è ormai palese che contro uno stato che si comporta illegalmente, la legalità può soltanto perdere. L'articolo Alta Valsusa, Territori Occupati sembra essere il primo su Alpinismo Molotov.
October 7, 2024 / Alpinismo Molotov
La parola della settimana. Prete
(disegno di ottoeffe) Cosi andarono a pedagna a Ponte Mammolo, e non s’accontentarono d’ascoltare la predica della seconda messa, ma pure dell’ultima, quella di mezzogiorno. Il prete parlava sempre di loro, de ’sti ladroni, de ’ste anime perse, de ’sti sacrilleghi e de qua e de là… Si fecero una spanzata di messe, che del resto erano dieci anni che non entravano in chiesa, da quando avevano fatto la comunione, e manco si ricordavano più chi aveva creato il mondo. (pier paolo pasolini, una vita violenta) Qualche giorno fa la Curia di Napoli ha diffuso un comunicato per avvertire i fedeli che ci sono quattro uomini che si fingono sacerdoti, celebrano messe e amministrano sacramenti, tutti nella zona di Torre Annunziata. CLIP BELLAVISTA I falsi preti starebbero agendo da mesi sposando persone, dicendo messa e facendo battesimi, ma la Curia ha redarguito i fedeli spiegando che la partecipazione consapevole a questi riti “comporterebbe gravi conseguenze per la vita spirituale dei fedeli e la loro comunione con la Chiesa”. I quattro sarebbero stati espulsi tempo fa dal seminario per motivi disciplinari, ma non avrebbero rinunciato a coltivare il sogno di predicare la loro idea di chiesa. Altri guai, con altri preti, la chiesa ce li ha in America. In particolare con uno, tale padre Thomas Rosica, un prete importante, portavoce della sala stampa vaticana durante i sinodi dei vescovi tra il 2008 e il 2018, e organizzatore della Giornata mondiale della gioventù di Toronto. Padre Thomas è accusato di molestie sessuali da un giovane prete, per fatti che risalirebbero a una ventina d’anni fa. Rosica nega, il tribunale civile si è attivato, ma lui sostiene che non risponderà, perché di queste cose se ne dovrebbe occupare il diritto canonico. I media statunitensi e canadesi, intanto, seguono con grande attenzione.  Chi vol tegner la casa monda, no tegna né prete né colomba. (proverbio veneto) A proposito di media: in questi giorni si sta girando a Napoli, tra il Vomero e la Sanità, una fiction sulla vita miracolosa di padre Antonio Loffredo, il vero sindaco se non della città partenopea, quantomeno del rione che di fatto governa da anni. Loffredo da più o meno un decennio è protagonista assoluto di tutto quanto avviene alla Sanità: salva minori, crea orchestre, forma guide turistiche, commissiona murales, redime camorristi, litiga con il Vaticano ma poi ottiene finanziamenti milionari, commissiona documentari, è protagonista di libri e film, sponsorizza grandi opere come stazioni della metropolitana e uscite della tangenziale, ha ottenuto da sindaci e assessori il diritto di veto su ogni singola scelta politica che riguarda il territorio. Partendo dalle catacombe, è diventato forse il più influente tra gli imprenditori della città. CLIP OPERAZIONE SAN GENNARO Un’altra bella figuraccia l’ha fatta qualche giorno fa quello che dei preti è il capo: sull’aereo per Roma, il 29 settembre, il papa ha annunciato la beatificazione del re del Belgio che si era opposto alla depenalizzazione dell’aborto. Francesco ne approfitta per ricordare che l’aborto è un omicidio e che i medici che lo praticano sono “sicari”. Restano nervi tesi e fegato, La fede che mi tiene ancora in piedi è lo scheletro. Musica, tu allevia e mantieni l’anima intatta: di’ la parola che sveglia il golem, dai un cuore all’uomo di latta. Fa’ del palco la mia chiesa, dei testi il mio testamento, tieni la mia mano ferma se e quando verrà il momento, e dammi voce in eterno e cose vere da dire, sii il mio punto fermo, qualcosa per cui morire. Sì, ho litigato col Papa. Ci ho litigato perché sono stato in Vaticano e ho visto i tetti d’oro. E dopo ho sentito il Papa dire che la chiesa si preoccupava dei bambini poveri… Allora venditi il tetto, amigo! […] Perché esiste il Banco Ambrosiano? Per vendere la droga e contrabbandare armi. […] Lo racconto sempre quell’incontro. Il Papa diede un rosario a mia madre, uno alla Claudia e quando arrivò il mio turno mi disse in italiano: “Questo è speciale, per te”. Io ero nervosissimo, mi venne appena di dirgli grazie. Poi mi avvicinai e dissi: “Perdoni, Santità, qual è la differenza tra il mio e quello di mia mamma?”. Lui non mi rispose nemmeno. Mi guardò, mi batté sulla spalla, mi sorrise e continuammo a gironzolare. […] Diego non rompere le palle e prenditelo, che c’è gente che aspetta. Mi disse questo, con quella toccatina sulla schiena. (diego armando maradona, io sono el diego)
October 5, 2024 / NapoliMONiTOR