La farsa delle opere pubbliche di guerra

The Weapon Watch | 6a puntata: Intermediari e clienti per i droni killer israeliani - Wednesday, July 9, 2025

La tecnica berlusconiana di sdoganare ogni violazione alle regole scritte e non scritte riguardanti la vita pubblica e i comportamenti dei rappresentanti eletti ha trovato due recenti e macroscopiche applicazioni da parte del governo Meloni, perfettamente adatte a questo clima politico in cui la “sicurezza” è parola-chiave che apre ogni porta, e soprattutto ogni scrigno di denaro pubblico disponibile.

Lo scorso 9 aprile il governo ha deliberato che il ponte sullo Stretto è un’opera «fondamentale in caso di scenari di guerra» e «strategica per la difesa europea e della Nato». Così un’opera faraonica e più dannosa che inutile, ma che il governo Meloni-Salvini aveva già deciso di varare, non verrà più sottoposta alle verifiche preventive di legge vista la sua urgenza e necessità. Innanzi tutto potrà procedere spedita senza le “valutazioni di impatto ambientale” con cui cavillosi esperti ritardano l’efficace azione governativa, anche se qui per la verità si andrà a costruire in una zona sismica dove – a credere a Wikipedia ­– si è registrata la più grave catastrofe naturale europea in tempi storici, il terremoto-maremoto di Messina del 1908, con vittime stimate tra 75.000-82.000 a 140.000. E l’opera faraonica potrà anche bypassare le severe norme antimafia che, in un territorio tra Sicilia e Calabria, potrebbero in effetti selezionare e ridurre l’accesso agli appalti pubblici a molte imprese locali, con grave danno delle (il)lecite aspettative di crescita economica.

L’articolo di Andrea Moizo è stato pubblicato da «Il Fatto Quotidiano» dell’8 luglio 2025.

Ieri (8 luglio 2025) c’è stato l’annuncio che anche la diga foranea del porto di Genova va considerata dual use, cioè ad uso civile e ad uso militare. Lo ha affermato il sub-commissario Carlo De Simone (cioè commissario nominato dal commissario Marco Bucci, perché Genova ha fatto scuola negli appalti pubblici “commissariati” stile nuovo ponte Morandi), che ha spiegato: «perché consente lo sbarco di portaerei leggere, navi Nato e strumenti e truppe. È il tema della mobilitary use». Così abbiamo imparato questa nuovissima crasi tra military e mobility dal sub-commissario Carlo De Simone, che prima di mestiere faceva il broker assicurativo e ora l’esperto di alto profilo economico-finanziario (come dice nel suo blog https://carlodesimone.it/chi-sono/).

Ci sono effettive ragioni militari per considerare “strategiche” queste due opere faraoniche?

A che cosa serva davvero la nuova diga foranea di Genova, con i suoi problemi tecnici e progettuali, si è ripetutamente dedicato il blog del Comitato per il dibattito pubblico di Riccardo Degl’Innocenti, a cui rimandiamo (https://www.facebook.com/riccardodeglinnocentigenova). Per quel che riguarda in particolare la utilità militare della nuova diga, notiamo che il porto di Genova non è inserito nel programma “Basi Blu” del Ministero della Difesa, con stanziamento iniziale di 2,5 miliardi di euro per ammodernare agli standard Nato i porti di Taranto, La Spezia, Augusta e Brindisi. La Spezia si trova a un’ottantina di chilometri da Genova, circa 40 miglia nautiche che una portaerei può coprire in meno di due ore, quindi risulta perlomeno ridondante attrezzare due porti così vicini per accogliere navi da guerra che possono essere facilmente rifornite per via aerea o al largo, o in altre basi navali operative in Italia già ampiamente utilizzate durante le esercitazioni navali Nato.

Il ponte sullo Stretto è stato giustificato con la necessità di collegare al continente le basi siciliane della Nato (a noi non risulta che ce ne siano) e degli Stati Uniti (quelle ci sono, eccome!), che però sono basi marittime e aeree, e possono benissimo fare a meno in futuro di collegamenti terrestri, così come già oggi non utilizzano il ferry tra Messina e Villa San Giovanni.

Accenniamo appena al costo “stimato” delle opere citate, ma c’è comunque da far tremare le vene ai polsi. Il ponte sullo Stretto costa oggi 13,5 miliardi di euro, la diga di Genova 1,6 miliardi di euro. Se si applicasse la proporzione di “lievitazione” dei costi sulla base dell’esperienza amarissima della più celebre opera faraonica, la TAV Torino-Lione, passata da 2,9 miliardi a 14,7 oggi (ma chissà domani…), cioè se si moltiplicassero provvisoriamente i costi per cinque, prima di essere terminati il ponte costerà 67,5 miliardi e la diga 8 miliardi di euro.

I tempi invece sono importanti. Per le esigenze della difesa e della sicurezza nazionale, sarebbe necessario avere le opere faraoniche disponibili al più presto, perché Putin si sta facendo sempre più minaccioso. E invece la durata dei lavori prevista è il 2032 per il ponte, anche se a tutt’oggi neppure il progetto risulta completato; e per la diga si comincia a parlare del 2028 o 2029.

Ma c’è da crederci? Per la TAV i lavori cominciarono nel 2002, e forse l’opera entrerà in funzione a fine 2033, 31 anni dopo, in uno scenario economico e logistico che già oggi è completamente diverso da quello immaginato dal progetto. Vedremo cosa ne sarà negli anni del ponte e della diga.