
IL NUOVO MODELLO DI SVILUPPO DEL PORTO DI GENOVA: AUMENTO DEI TRAFFICI COMMERCIALI? NO, RIDOTTO A UN ARSENALE MILITARE PUR DI SPENDERE SOLDI PUBBLICI
The Weapon Watch | 6a puntata: Intermediari e clienti per i droni killer israeliani - Wednesday, July 9, 2025Non ci sarà solo il ponte sullo Stretto, anche la nuova diga foranea del porto di Genova contribuirà – nei desiderata del Governo – a coprire le spese militari che l’Italia s’è impegnata in sede Nato a portare al 5% del Pil, una quota delle quali (1,5%) potrà essere rappresentata da infrastrutture a valenza anche militare.
Una vocazione cui, come anticipato da «Il Fatto», si stava lavorando da mesi anche per la diga genovese, mega-opera da 1,3 miliardi di euro (già lievitati a 1,6 coi lavori nemmeno arrivati al 10%) pensata per ampliare la capacità mercantile del porto.
Ieri l’ufficializzazione: «La nuova diga è infrastruttura dual use. Progettata per scopi mercantili, in caso di crisi (bellica, nda) sarà utile perché consente lo sbarco di portaerei leggere, navi Nato e strumenti e truppe» ha affermato Carlo De Simone, subcommissario all’opera (il ‘titolare’ è Marco Bucci presidente della Regione Liguria), durante una trasmissione tv.
Poco importa che le più grandi portaerei Nato abbiano dimensioni largamente inferiori a quelle delle portacontainer abituali ospiti delle banchine genovesi e che quindi potrebbero comodamente approdare sotto la Lanterna senza spendere miliardi di euro per la diga. Né che a La Spezia, a 50 miglia nautiche, abbia sede una delle maggiori basi della Marina militare: “La military mobility è un programma dell’Unione europea per facilitare gli spostamenti rapidi di truppe e contingenti all’interno dell’Europa” ha puntualizzato De Simone: “La diga può contribuire al tetto di spesa del 5% perché è un investimento infrastrutturale con funzionalità duale”.
Sicuramente l’obiettivo primario della militarizzazione, ma non forse l’unico.
Come accennato, l’opera, finanziata con 800 milioni di euro del fondo complementare al Pnrr, ha problemi di copertura. Solo grazie a un’iniezione di 142 milioni dal recente Decreto economia Bucci ha potuto coprire parte degli extracosti già emersi e bandire pochi giorni fa la seconda fase dell’appalto (la prima se l’è aggiudicata una cordata guidata da Webuild), oggetto, nella prima parte, di indagine della Procura europea e caratterizzato da dosi minime di trasparenza.
Basti pensare che quest’ultima gara sulla Fase B è pubblicata senza elaborati progettuali né capitolato. E che da anni Bucci e Autorità portuale negano il rilascio dei documenti relativi al contenzioso con Webuild (già valso all’appaltatore 300 milioni) e persino l’esistenza dei test condotti sul consolidamento dei fondali, ritenuto fin dai primordi il punto debole del progetto.
Naturale quindi che il dual use, potenziale viatico di nuovi esborsi e opacità, abbia scatenato la polemica politica. “Ora Genova rischia di diventare un obiettivo sensibile dal punto di vista militare. L’opera di per sé ha enormi criticità, mai correttamente gestite. Se ora sarà anche ‘tinta’ di verde militare, oltre al danno si aggiungerà la beffa. Il governo ha il dovere di chiarire questo disegno surreale” hanno dichiarato il deputato M5S Roberto Traversi con il senatore M5S Luca Pirondini, annunciando un’interrogazione parlamentare.