
Porto di Genova: NUOVO APPUNTAMENTO CON LE “NAVI DELLA MORTE” BAHRI PER UN “CARICO DI MORTE” DELL’INDUSTRIA LEONARDO
The Weapon Watch | 6a puntata: Intermediari e clienti per i droni killer israeliani - Wednesday, August 6, 2025Come mostra l’immagine trasmessaci dai portuali genovesi, è in attesa di imbarco al Ponte Eritrea, terminal GMT del Gruppo Steinweg, noto per essere il molo di attracco delle famigerate “navi della morte” saudite della compagnia Bahri (rappresentate in Italia dall’agenzia marittima Delta del gruppo Gastaldi), coperto dall’imballaggio su un roll trailer (MAFI), un cannone navale 72/62 OTO super rapido da 76mm prodotto a La Spezia nello stabilimento Leonardo.

Nel frattempo, è entrata in Mediterraneo, proveniente dal porto USA di Baltimora-Dundalk e diretta in Medio-Oriente, la nave «Bahri Yanbu» che farà scalo a Genova nel primo mattino di giovedì 7 agosto. Secondo le nostre informazioni, la Yanbu caricherà due cannoni 72/62 e un container da 20” con gli accessori per l’assemblaggio, con destinazione Abu Dhabi negli Emirati Arabi Uniti (EAU).
Ricordiamo che Weapon Watch si è già occupata di questi cannoni in un articolo del gennaio 2024, perché furono impiegati dalla Marina israeliana il 14 ottobre 2023 – pochi giorni dopo l’attacco di Hamas in territorio israeliano – per bombardare dal mare i quartieri civili della Striscia di Gaza. Bombardamento che aveva drammaticamente smentito le voci da ambienti di Leonardo, circa l’uso esclusivamente “difensivo” degli armamenti fabbricati in Italia e consegnati alle forze armate di Israele.
Immaginiamo che anche la vendita dei cannoni pronti all’imbarco a Genova sia stata autorizzata secondo la legge dal governo italiano in quanto ufficialmente destinati alla difesa degli EAU.
Ricordiamo che il governo Conte II nel 2019 aveva sospeso le vendite di armi agli EAU, per la loro implicazione nella feroce guerra in Yemen a fianco dell’Arabia Saudita; e che nel 2023 il governo Meloni ha revocato il divieto sia per l’apparente disimpegno emiratino dalla guerra yemenita, sia per i segnali promettenti (ad oggi rimasti tali) di un accordo di pace con i “ribelli houthi”, che di fatto governano lo Yemen da un decennio nonostante l’isolamento internazionale e le gravi crisi umanitarie causate dalla guerra.
Tuttavia, in questo strategico quadrante medio-orientale lo scontro militare potrebbe diventare aperto e cruento, come conseguenza indiretta del recente attacco israeliano all’Iran – tra i principali sostenitori del composito mosaico delle milizie yemenite – e per la volontà degli EAU che qui hanno stabilito solide basi di controllo militare, con l’appoggio delle azioni coperte e degli omicidi mirati compiuti da anni dalle agenzie di contractors americane e israeliane.

Oltre a costituire un’oggettiva minaccia nel precario equilibrio militare in quest’area, le armi di fabbricazione italiana non dovrebbero essere vendute agli EAU, che stanno al fondo della classifica nel rispetto dei diritti umani. Secondo Amnesty International, gli Emirati non sono infatti un “paese dei balocchi”, meta esotica di turismo e di business rampante, ma il major defense partner degli USA, in possesso di una sempre più aggressiva industria militare e impegnati nei teatri di conflitto di loro interesse in una intensa attività bellica anche contro i civili. Lo fanno direttamente come in Yemen, o più spesso attraverso l’armamento e il sostegno di forze locali come in Libia o Sudan.
Nel 2024 Amnesty ha scoperto nuove prove visive che i veicoli di trasporto di truppe blindati prodotti negli EAU venivano utilizzati dalle Forze di supporto rapido in Sudan, che hanno commesso crimini di guerra tra cui attacchi motivati etnicamente contro i civili.
EAU è inoltre uno stato monarchico assoluto, privo di qualsiasi forma di democrazia, che criminalizza i diritti alla libertà di espressione e di riunione pacifica, dove i lavoratori migranti sono sfruttati e discriminati e gli è negato il diritto a formare sindacati e scioperare, dove recentemente in nome dell’alleanza con Israele, con cui ha mantenuto relazioni economiche, l’espressione filo-palestinese viene repressa.
Se dunque gli EAU sono un Paese coinvolto in conflitti armati non difensivi, quantunque mascherati, se la loro politica in ogni caso contrasta con i principi dell’articolo 11 della nostra Costituzione, se sono notoriamente responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani, allora perché non è vietata l’esportazione materiali di armamento verso gli Emirati ai sensi della legge italiana (L.185/1990)? E perché i portuali dovrebbero essere obbligati con il loro onesto lavoro a essere complici di questo illegittimo e infame “carico di morte”?