Sugli scioperi dei portuali a sostegno alla Sumud Flotilla

The Weapon Watch | 6a puntata: Intermediari e clienti per i droni killer israeliani - Wednesday, October 1, 2025

Una terza intervista di Effimera sulla situazione genovese e sugli scioperi dei portuali a sostegno alla Sumud Flotilla. Parla Riccardo Degl’Innocenti, genovese, esperto di porti, attivista di The Weapon Watch, Osservatorio sulle armi nei porti europei (www.weaponwatch.net), da sempre al fianco del CALP di Genova. 

L’intervista è a cura di Lidia Demontis e Roberto Faure.

1. La vostra mobilitazione è stata un successo, anche mediatico. Come pensate di allargare la protesta? Esiste un collegamento con gli altri porti italiani?

Le cronache mediatiche, il tam tam sui social, la presenza nei cortei, le testimonianze all’Assemblea pubblica di Genova del 26 e 27 settembre scorsi, hanno mostrato che esiste nei principali porti italiani una rete di collettivi autonomi e di rappresentanze, sia del sindacalismo di base che di quello “istituzionale”, attiva con lo scopo precipuo di impedire il transito internazionale illegale ai sensi della legge 185/1990 di carichi di armi. Le parole d’ordine, più che ideologiche contro il carattere imperialistico delle guerre, diretto o indiretto, e l’organicità del sistema economico capitalistico con gli apparati militare-industriali, ricalcano la disobbedienza civile, l’obiezione di coscienza, la conservazione di sentimenti umani, l’irriducibilità a essere produttori di strumenti di morte e complici di crimini contro l’umanità. Sono improntate a modelli di tradizione non violenta e di resistenza passiva, ma rilanciano forme di “azione diretta” collettiva proprie dell’operaismo, senza forme esplicite di violenza, semmai figurate in modi che trasmettano la determinazione dei manifestanti a sostenere fino alla fine, “senza paura”, gli obiettivi della lotta intesa e vissuta come causa giusta e sacrosanta. Una convinzione sincera, che si trasmette empaticamente e appare tradursi favorevolmente in consenso e allargamento della partecipazione.   

2. Per sanzionare Israele è possibile ipotizzare un più ampio blocco o almeno parziale boicottaggio delle merci provenienti da o dirette verso Israele? Magari coinvolgendo il trasporto aereo?

Si è lungi dal boicottare l’economia e la forza bellica di Israele solo con l’azione dal basso dei portuali, ma c’è la consapevolezza che i porti sono gli snodi principali dei suoi commerci. Ciò permette anche a singole iniziative locali di incidere sulle catene di rifornimento di Israele, in maniera significativa, perché i portuali – diversamente dal militante pacifista che manifesta simbolicamente fuori dei cancelli della fabbrica o del porto – intervengono concretamente a bloccare o quantomeno a rallentare i flussi di merce, nuocendo altresì alla efficienza di maglie più estese della rete logistica coinvolta (provocando ritardi alle navi e alle altre merci trasportate o l’indisponibilità delle banchine ecc). Anche se il porto coincide con un solo tratto delle Supply Chain globali, esso resta il nodo più critico per i volumi che vi transitano (incomparabili per maggiore grandezza rispetto agli aeroporti), per la “rottura di carico” ossia il passaggio fisico dei container dal vettore terrestre a quello marino, con il relativo e cruciale avvicendamento tra le relative figure professionali e “politiche” che operano nelle rispettive movimentazioni. Il mondo della logistica in generale è particolarmente sensibile alle variazioni di programmazione dei flussi e quindi incline a evitare ogni imprevisto, e ciò talora finisce, se non per agevolare la contestazione dei portuali, almeno per contenerne i danni organizzativi e economici. Ovviamente, l’iniziativa dei portuali può essere spontanea e improvvisata solo all’inizio, poi necessita di una sufficiente forza collettiva e consenso sociale, e soprattutto di una “copertura” sindacale per potersi muovere, anche se solo sulla linea di confine degli strumenti di lotta consentiti dalle leggi e dai contratti di lavoro. Non dimentichiamo i decreti Salvini e la natura giuridica di porti, aeroporti e stazioni oggetto, di speciali norme a protezione della loro sicurezza, economica e sociale in realtà, più che strategica “di Stato”.

Lo sciopero generale del 22 settembre 2025, a Genova.

3. Si coglie nell’aria una convinta richiesta popolare di lotta unitaria per far cessare il fuoco (e la strage) a Gaza, superando le differenze e puntando a rompere il fronte di chi vuole la guerra. Che cosa pensate si possa fare?

La richiesta autentica e estesamente popolare ha rimescolato le carte anche tra i partiti e i sindacati. Il fatto che a Genova l’azione sia partita da un collettivo operaio autonomo (CALP) e successivamente dal collegato sindacato di base (USB) ha un po’ spiazzato le OO.SS. “istituzionali”, a cominciare dalla CGIL. Più nei tempi, perché nel merito i contenuti delle rispettive iniziative e parole d’ordine in questa circostanza e forse per la prima volta convergono e paiono sostanzialmente coincidere.  La primazia va al CALP se non altro perché il movimento contro le armi nei porti ha avuto la riedizione contemporanea (dopo le esperienze degli anni 70 riferite soprattutto a Vietnam e Cile) grazie alle azioni del CALP dal 2019 contro le navi “della morte”, le saudite Bahri dirette verso i teatri di guerra del Medio-Oriente e in specie dello Yemen. Già allora ci fu una partecipazione “popolare” larga, di componenti molto diverse dell’attivismo politico e civile, dalla estrema sinistra al mondo cattolico. Anche allora la CGIL arrivò un po’ dopo, ma fu comunque decisiva per il successo grazie alla sua forza di rappresentanza. Così come lo fu la “benedizione” di Papa Francesco che riconobbe pubblicamente nei lavoratori portuali il tratto della parresìa, nel praticare la lotta in prima persona e nella fermezza dei valori con cui la sostenevano mettendo a rischio la propria libertà, e ne fece il confronto con l’ “ipocrisia armamentista” delle istituzioni politiche e del mondo economico, pacifisti solo a parole.

Il precipitare della crisi di Gaza con il genocidio in corso ha riacceso la brace che covava e di tanto in tanto aveva fiammeggiato in questi anni con le iniziative del CALP. Questi, nel frattempo, è confluito sindacalmente in USB abbandonando la CGIL, a causa tra l’altro della tiepida posizione di quest’ultima sui decreti Salvini. La decisione con l’associazione genovese Music for Peace di contribuire e partecipare con un proprio leader, Jose Nivoi, alla spedizione della Flotilla, è sì apparsa meramente umanitaria, ma anche di altissimo valore politico per il coraggio e la chiarezza del messaggio trasmesso. Essa ha acceso un incendio indistinguibile di emozioni e di coscienze che è andato oltre le etichette, per lo più ignote alla maggioranza dei 40mila manifestanti del grande corteo che ha salutato la partenza della Flotilla.  Salvo l’etichetta del CALP, i cui membri, grazie ai loro comportamenti di lotta a viso aperto in porto, hanno reincarnato il mito che si era un po’ spento dei camalli duri, franchi e liberi. Grazie anche al loro costante presidio e azione antifascista militante, nella città medaglia d’oro della resistenza come i loro nonni e del 30 giugno 1960 come i loro padri. E grazie, in queste ultime settimane, alla antiretorica asciutta e decisa di uno dei loro leader, Riccardo Rudino, colui che ha invitato i portuali di tutta Europa a “bloccare tutto” se la Flotilla sarà colpita. Con la avvedutezza, però, di una puntuale declinazione: distinguere come e dove colpire gli interessi militari e economici israeliani, oggi parimenti criminali, perché invece i commerci pacifici sono la vita dei porti e il pane dei suoi lavoratori.

4. In particolare con quali soggetti politici e con quali comunità possiamo sperare di costruire una rete capace di far sentire a Israele la nostra indignazione?

I portuali per continuare a reggere il peso e i rischi del loro impegno hanno bisogno non solo della vitale partecipazione popolare, ma anche dell’alleanza con i lavoratori delle altre categorie che operano nella filiera del trasporto marittimo e più in generale nell’ambito del cosiddetto “cluster portuale”. Abbiamo documentato spesso come Associazione The WEAPON Watch la molteplicità di interessi economici e di lavoratori che concorrono al viaggio internazionale delle merci militari e al loro transito nei porti. Per fare un esempio, il porto di Genova movimenta annualmente circa 30-35mila teu (unità di misura dei container) nei confronti dei porti israeliani di Ashdod e Haifa. A trasportarli sono principalmente le navi della compagnia di navigazione Borchard Lines, rappresentata dall’agenzia Cosulich, ZIM e MSC. Esse fanno un centinaio di scali all’anno a Genova, operate dal terminal Spinelli-Hapag Lloyd e dal terminal MSC. I lavoratori dei tre terminal, insieme ai soci della CULMV, movimentano nell’anno circa 600mila teu in totale, per cui il traffico con Israele corrisponde al 5% del loro operato e all’1,5 dell’operato in teu dell’intero porto. Insomma, una frazione marginale ma comunque significativa della domanda di occupazione dello scalo genovese. Perché poi ci sono a contribuire alle operazioni della nave e delle merci gli ormeggiatori, i rimorchiatori, gli spedizionieri e gli impiegati pubblici dell’autorità portuale, delle dogane, e tante altre categorie minori, pubbliche e private, con i rispettivi lavoratori. È evidente che occorre che anche da parte di costoro debba nascere una solidarietà sindacale e un attivismo sociale per affiancare i portuali e dare maggiore estensione e equilibrio di forze all’impegno sindacale, e possibilità di durata e di successo al movimento. L’obiettivo di un porto sostenibile da un punto di vista etico potrebbe essere l’obiettivo comune su cui costruire l’alleanza definendo i criteri di accessibilità e di trasparenza del transito delle merci militari nel porto, liberando perciò i lavoratori dalla necessità di dovere essere loro stessi a salvaguardare la loro coscienza, oltre alla loro salute e incolumità nel caso di materiali bellici esplosivi come spesso accade.

5. E di Flotilla che dici?

Che sono preoccupatissimo, che tuttavia a mio modesto avviso occorre andare fino in fondo. L’arcivescovo di Genova Tasca ha dichiarato pochi giorni fa, distinguendosi dal Presidente Mattarella e dal suo stesso cardinale Zuppi favorevoli alla mediazione: «Andiamo avanti. Perché è importante dare un segno. In un momento così grave, in cui vediamo che stanno compiendo il male del mondo su gente inerme, su donne e bambini, la simbologia è importante. E noi dobbiamo dare dei segnali. La missione della Flotilla ha proprio il merito di aver reso evidente la follia di quello che sta accadendo a Gaza». In questa missione c’è tanto di Genova e dei suoi portuali di questi anni. Vento in poppa, compagni.