Tunisia in rivolta. Genealogie femministe e queer tra repressione e resistenza

NapoliMONiTOR - Thursday, December 18, 2025
(archivio disegni napolimonitor)

Verranno al contrattacco con elmi e armi nuove,
verranno al contrattacco, ma intanto adesso
curami. [
CCCP]

È il 29 novembre, siamo in piazza a Tunisi con una delle sorelle che ho disseminato lungo le sponde del Mediterraneo. Camminiamo insieme sul percorso che da piazza Pasteur taglia la città lungo le sue meridiane fino ad Avenue Bourguiba, mentre una marea femminista avanza compatta e rumorosa per le strade che attraversiamo ogni giorno. “La strada appartiene al popolo”, risuona intorno a noi, e oggi quel popolo ha il volto di donne, militanti storiche e giovanissime, salde contro un sistema corrotto e patriarcale che le opprime. A un mese dalla sospensione arbitraria delle sue attività, l’Association Tunisienne des Femmes Démocrates (ATFD) torna a mobilitarsi e a rivendicare la fine della violenza e della repressione. Centinaia di persone attraversano il centro di Tunisi con striscioni e cartelli che denunciano la criminalizzazione delle attività politiche e civili, la violenza esercitata sulle donne e le soggettività non conformi, così come reclamano la solidarietà con tutte le prigioniere di coscienza. In testa al corteo, le storiche militanti dell’ATFD marciano accanto alle più giovani, intrecciando genealogie di lotta e un presente in cui la strada torna a essere il luogo da cui si rivendica il diritto alla vita e all’autodeterminazione.

Il corteo del 29 novembre non è un episodio isolato: si inserisce dentro una stagione di mobilitazioni che, a partire dalle proteste ambientali di Gabès iniziate a ottobre e ancora in corso, prova a tessere una risposta collettiva alla svolta autoritaria del presidente Kais Saied. In queste settimane, la piazza si è riempita più volte: un corteo femminista ha attraversato Tunisi anche il 22 novembre, mentre il 6 dicembre la società civile è tornata in strada per richiedere il rilascio di prigionieri e prigioniere politiche. Dal luglio 2021, con la sospensione straordinaria del parlamento, lo scioglimento del governo e la progressiva subordinazione della magistratura all’esecutivo, Kais Saied ha concentrato nelle proprie mani poteri sempre più ampi, trascinando il paese in una profonda regressione democratica. Da allora, un’ondata di arresti arbitrari senza precedenti dalla caduta di Ben Ali ha travolto oppositori, giornalisti, avvocate, sindacalisti, attiviste. Il numero di persone imprigionate cresce di giorno in giorno, mentre una calma solo apparente cela un malcontento diffuso che continua a fermentare in profondità. Oggi, prendere parte a una manifestazione in Tunisia, come d’altronde esporsi e schierarsi politicamente, significa prima di tutto mettere a rischio la propria incolumità.

Quando cala la sera, proprio in quella stessa giornata del 29 novembre, arriva la notizia che gela la piazza: Chaima Issa, una delle oppositrici più note del regime, già arrestata nel 2023 e sottoposta a restrizioni che le impedivano persino di apparire in pubblico, è stata sequestrata da uomini in borghese nel pieno della manifestazione. Il suo rapimento, che si inserisce nel processo per complotto contro la sicurezza dello stato che oggi le è costato vent’anni di carcere, è parte di una repressione sistematica che investe la società civile tunisina con violenza crescente.

Alle porte di questo inverno, l’aria che si respira in Tunisia è pesante. Eppure, ridurre a silenzio la massa critica è più difficile di quanto si possa credere. È proprio qui che un libro come Tunisia in rivolta. Femminismi e queerness fra strada e cyberspazio di Guendalina Simoncini e Maria Nicola Stragapede offre un varco. Ricostruendo la lunga storia della resistenza femminista e queer in questo paese, le autrici mostrano quanto le soggettività in lotta continuino a reinventare strumenti e spazi di opposizione. Il volume, di recente pubblicazione, è parte della collana Manifesta di Astarte edizioni che, sotto la direzione di Renata Pepicelli, propone una lente femminista e decoloniale sulla storia e l’attualità del Mediterraneo e dell’Asia sud-occidentale. In questo caso, è la Tunisia stessa a prendere parola. Attraverso un lavoro di ricerca tanto denso quanto radicato, le autrici mettono al centro del testo le voci delle donne e delle soggettività non conformi, intrecciando memoria delle lotte, rotture generazionali e nuove forme di resistenza. Simoncini, che si occupa di attivismo digitale e linguaggi della lotta femminista e queer nello spazio mediterraneo, e Stragapede, che studia le trasformazioni biografiche e politiche di chi ha partecipato alle rivolte del 2010-2011, portano sguardi complementari sulla Tunisia postcoloniale. Forti di questa complementarità, costruiscono un testo con un duplice obiettivo: da una parte raccontare a un pubblico italiano la Tunisia contemporanea, senza semplificarne contraddizioni e ambivalenze; dall’altra, provare a tessere legami di sorellanza e solidarietà tra le due sponde del Mediterraneo. Tunisia in rivolta diventa così più di una genealogia dei movimenti femministi e queer: si fa strumento per ripensare le relazioni tra nord e sud, tra maschile e femminile, tra chi abita il centro e chi la periferia.

Il libro si muove consapevolmente tra due poli. Da un lato, le storie, le utopie, le eredità politiche dei movimenti: le biografie di militanti, le campagne, le rivendicazioni, le fratture interne. Dall’altro, le trasformazioni intime che l’attivismo porta nella vita delle persone coinvolte: reti di sorellanza informali, spazi di confronto quotidiano, esperimenti artistici e digitali che ridisegnano l’immaginario della rivolta. Da una riva all’altra del MediterraneoTunisia in rivolta ci invita a domandarci come resistere al presente, a partire da genealogie spesso cancellate o marginalizzate. “La nonna partigiana ce l’ha insegnato”, scandiamo nelle piazze italiane e sappiamo bene dove rivolgere lo sguardo quando tempi bui si avvicinano. Il libro restituisce la memoria negata delle donne tunisine che hanno partecipato ai processi di indipendenza e di quelle che, più tardi, hanno resistito al femminismo di stato dei presidenti postcoloniali, indicando una via per l’oggi. Reti e rivendicazioni dal basso, scioperi, collettivi, riviste: sono questi i fili che Tunisia in rivolta riannoda, facendo emergere le continuità e le rotture tra le lotte del Novecento e quelle contemporanee. Dopo aver ricostruito la storia dei movimenti femminili, femministi e queer dagli anni Venti a oggi, la seconda parte del volume si concentra su pratiche, metodologie e saperi combattenti: intersezionalità, cyberattivismo, arte politica.

SPAZI SICURI
Tra la fine del 2010 e l’inizio del 2011, la Tunisia è attraversata da una serie di proteste che portano alla caduta del regime di Ben Ali, al potere da oltre vent’anni, e che sono ricordate dal popolo tunisino come la Rivoluzione della Dignità. Da quel momento si assiste a una vera e propria esplosione di esperienze politiche e culturali che continuano a mescolarsi tra personale e collettivo, tra eredità dei movimenti storici e rotture generazionali. Emergono femminismi plurali che, pur in dialogo con il passato, si dichiarano intersezionali, decoloniali, antirazzisti. Il concetto di intersezionalità, nato all’interno del femminismo nero negli Stati Uniti negli anni Ottanta, è uno degli strumenti centrali del libro: permette di leggere come le diverse forme di discriminazione – di genere, classe, razza, orientamento sessuale – si intreccino nella vita delle persone. Nel corso dei decenni, il dibattito tra i diversi femminismi globali ne ha allargato lo sguardo, portando alla luce nuove linee di oppressione e di alleanza.

Nel rivendicare questo posizionamento, i movimenti tunisini mostrano una capacità di intreccio e contaminazione che affonda le radici nelle lotte per l’indipendenza e che oggi si rinnova nei conflitti contro la stretta autoritaria e la precarietà imposta dal regime. A quasi quindici anni dalla rivoluzione, la svolta repressiva del presidente Saied rende evidente quanto sia difficile immaginare luoghi pienamente sicuri. Gli spazi e gli strumenti di lotta non sono più soltanto fisici, ma si estendono al digitale, dove chi fa attivismo femminista e queer sfida censura, sorveglianza e violenza online. In un contesto in cui nessun luogo è davvero al riparo, né la piazza né le piattaforme digitali, né le case né gli spazi associativi, chi milita preferisce parlare di safer spaces: contesti che non negano il rischio, ma provano a ridurlo e a redistribuirlo attraverso pratiche di cura reciproca e responsabilizzazione. Le voci raccolte nel libro ricordano che non può esistere uno spazio davvero sicuro finché il sistema patriarcale, capitalista e coloniale resta intatto; il senso diventa allora costruire dei margini di respiro dentro un mondo insicuro. In Tunisia, questo discorso pesa ancora di più: la comunità femminista e queer è esposta in modo specifico alla violenza di genere e alla discriminazione istituzionale, tanto nello spazio digitale quanto per strada, soprattutto quando entra nelle maglie del sistema giudiziario e carcerario.

Non è un caso, inoltre, che in copertina compaia il teatro municipale di Tunisi, scenografia storica delle mobilitazioni popolari su Avenue Bourguiba fin dai giorni della Rivoluzione della Dignità: la strada “dove tutto succede” incontra la scena. Attraversato da figure intente a graffitarne le mura, il teatro richiama le forme di arte urbana che dalla rivoluzione in poi hanno dato corpo e colore alle pulsioni di cambiamento. Nel capitolo sui “linguaggi artistici della protesta”, il libro dedica ampio spazio ai muri femministi di Tunisi e all’arte dei corpi in scena, mostrando come questa possa diventare una delle principali forme di agency politica nella Tunisia contemporanea. Uno degli elementi più preziosi del volume sta inoltre nella struttura: gli intermezzi che punteggiano i capitoli – manifesti, riflessioni, raccolte di graffiti – sono traduzioni e montaggi di materiali prodotti all’interno del movimento tunisino. Attraverso un lavoro di traduzione accurato, le autrici, in dialogo con Gemma Baccini e Luce Laquaniti, offrono al pubblico italiano accesso diretto ad alcuni dei testi più vivi delle lotte in corso, trasformando il libro in un dispositivo corale in cui la voce delle ricercatrici dialoga continuamente con quella di attiviste, giornaliste e artiste. Questa coralità è il risultato di una precisa scelta metodologica: Simoncini e Stragapede si interrogano su cosa significhi oggi fare ricerca “con le altre” e non soltanto “sulle altre”. L’approccio decoloniale orienta la scrittura e si traduce in scelte che attraversano e costruiscono il testo stesso: le autrici riflettono sulla propria posizione di ricercatrici italiane che hanno vissuto e studiato la Tunisia, lasciando spazio alle voci e alle storie del paese, come nella prefazione firmata da Henda Chennaoui, fondatrice della prima scuola femminista intersezionale dedicata a Lina Ben Mhenni.

Il libro non si esaurisce sulla carta. La presenza di qr code che rimandano a podcast, video, articoli e materiali d’archivio amplia l’orizzonte, rafforzando il legame tra pagina, strada e cyberspazio. Il linguaggio resta accessibile senza rinunciare alla complessità. In questo modo il volume si propone apertamente come strumento nelle mani del pubblico italiano per costruire ponti di solidarietà consapevole, nella piena coscienza delle lotte condivise e dei privilegi che ci attraversano in modo asimmetrico. Di fronte a un Mediterraneo attraversato da muri, respingimenti e nuove forme di fascismo, Tunisia in rivolta ci chiede cosa significhi davvero essere solidali, oltre che sorelle, oggi: qual è il nostro posto al fianco delle altre? Che cosa ci insegnano i femminismi e le queerness tunisine alle porte di quello che anche per noi sembra essere un lungo inverno? La risposta sembra trovarsi tra le pagine conclusive del libro, nelle quali la tenerezza assume una dimensione esplicitamente politica e radicale. Ricorre, tra i muri di Tunisi e le immaginazioni mediterranee, l’idea che solo con rabbia e tenerezza ci possiamo salvare, solo rendendo collettivo il cuore possiamo resistere al presente. “Rendete collettivo il cuore, di modo che si apra e non si spezzi. Che contenga il dolore del e nel mondo, senza anestetizzarsi e senza esserne divorato”. (matilde collavini)