Un giorno speciale. Apre il cantiere per le nuove case a Taverna del Ferro

NapoliMONiTOR - Thursday, February 1, 2024

Comincia domani, 2 febbraio, con l’apertura del primo cantiere, il processo che porterà all’abbattimento dei due edifici di Taverna del Ferro conosciuti come il Bronx di San Giovanni a Teduccio, nell’area orientale di Napoli. Venute su come “soluzione provvisoria” dopo il sisma del 1980, le due “stecche” di edilizia popolare da trecentosessanta alloggi dovevano essere abbattute già alla fine degli anni Novanta, con la giunta Bassolino, insieme alle Vele di Scampia. Costruiti con materiali scadenti, dei forni d’estate e gelidi d’inverno, senza manutenzione e illuminazione pubblica, i due palazzoni sembravano ormai scomparsi dalle agende di amministratori e politici fin quando l’attivismo degli stessi abitanti non ha ribaltato lo scenario. Ora è previsto che in tre anni lasceranno il posto a nuovi edifici, si spera meglio concepiti, con materiali migliori, finalmente vivibili e circondati da spazi pubblici nuovi di zecca.

Nelle ultime settimane i media hanno menzionato questo importante avvenimento quasi soltanto in relazione alla querelle sui murales dell’artista Jorit, dipinti nel 2017 sulle quattro facciate delle stecche e raffiguranti, tra gli altri, i volti di Maradona e Che Guevara. I murales naturalmente andranno giù con i rispettivi palazzi, secondo la tabella di marcia stabilita, ma sui giornali si susseguono articoli surreali in cui il destino delle iconiche immagini oscura di fatto l’unica cosa che interessa e che merita rilievo, ovvero che la mobilitazione degli abitanti di queste case sbagliate è riuscita a spingere le istituzioni prima a trovare i soldi e poi a stilare un progetto operativo per rimediare a uno scempio, edilizio, politico, sociale, durato quarant’anni.

La scintilla si può far risalire al 2018, in occasione di una visita del sindaco de Magistris a San Giovanni a Teduccio, quando un gruppo di abitanti, durante l’inaugurazione di una strada in cui era impegnato, lo “precettò” e lo condusse all’interno delle due palazzine, mostrandogli in che condizioni vivevano: topi, calcinacci, umidità, infiltrazioni e molto altro. L’obiettivo del comitato è stato chiaro fin dall’inizio: abbattimento e ricostruzione in loco, per tutti; quindi anche per i circa sessanta nuclei familiari (su trecentosessanta) che avevano occupato le case per necessità.

L’unico risultato che si riuscì a ottenere dal sindaco arancione fu lo sblocco attraverso Cassa depositi e prestiti di un fondo di circa cinque milioni di euro, utilizzato, ma solo in minima parte, per aggiustare i vani scale, fin quando i lavori furono bloccati dallo stesso comitato perché la ditta non rispettava il capitolato di gara. Un altro finanziamento di quasi due milioni è stato utilizzato per il rifacimento dei tetti, lavori ancora in corso in una delle due stecche. «Questi sono i primi soldi che abbiamo ottenuto – racconta Rosaria Cordone, che fa parte del comitato di Taverna del Ferro –. Poi con l’elezione di Manfredi abbiamo iniziato a ragionare concretamente su abbattimento e ricostruzione. All’inizio si parlava di mantenere in piedi la stecca lato mare e di demolire quella lato Vesuvio, per fare riqualificazione da una parte e nuovi alloggi dall’altra. Noi però insistevamo per l’abbattimento totale e a un certo punto anche loro si sono resi conto, facendo un computo della spesa, che costava di più riqualificare una stecca piuttosto che buttare giù tutto e ricostruire daccapo. E così è andata a finire. Sommando i soldi del Pnrr con i finanziamenti Pon Metro della Regione, si è arrivati alla somma di centosei milioni di euro che dovrebbero garantire l’abbattimento totale e la ricostruzione di nuovi edifici e spazi pubblici nella stessa area».

Il 2 febbraio apre il cantiere. I primi abbattimenti riguarderanno i box auto su cui affaccia la stecca lato Vesuvio, dove poi nasceranno i primi centottanta alloggi. Man mano che avanzerà la costruzione delle nuove palazzine si procederà con l’abbattimento della prima stecca e il trasferimento degli abitanti nei nuovi alloggi. Poi comincerà la costruzione dei secondi centottanta alloggi con il passaggio progressivo degli abitanti dalla seconda stecca, che verrà abbattuta a sua volta. «Il comitato – continua Cordone – partecipa a due tavoli, uno con l’assessorato all’urbanistica e un altro in prefettura con rappresentanti di Regione e governo centrale. In questi mesi ci siamo confrontati con architetti e tecnici vari che hanno lavorato al progetto. Abbiamo chiesto innanzitutto che i palazzi non fossero così alti; adesso sono sette-otto piani, mentre in futuro i più alti, che saranno comunque pochi, arriveranno a sei piani. Poi abbiamo chiesto edifici separati, senza più ballatoi in comune, niente più affacci nella casa della signora di fronte… e poi naturalmente aree verdi, spazi comuni per giovani e meno giovani, campi da gioco, e sotto i porticati dei palazzi sul lato strada delle attività commerciali».

Nelle ultime settimane a impegnare il comitato è stata soprattutto la ricerca di garanzie per le circa sessanta famiglie di occupanti, che sono presenti in entrambe le stecche. C’è stata un’occupazione dei locali del consiglio comunale in via Verdi e poi un incontro con il sindaco per avere l’assicurazione che questo passaggio venga fatto al più presto. L’obiettivo è di far approvare un piano speciale per la regolarizzazione degli occupanti, molti dei quali sono senza residenza o risultano negli stati di famiglia dei genitori. La formula dovrebbe essere quella dell’assegnazione temporanea di tre anni, in modo da sanare nel frattempo la posizione locativa e arrivare all’assegnazione definitiva. Il piano non riguarderebbe però solo gli occupanti ma anche gli assegnatari morosi, alcuni dei quali hanno arretrati anche consistenti da pagare. La battaglia in questo caso è che le richieste siano proporzionate alle possibilità economiche dei nuclei familiari, tenendo conto dell’Isee. «Il dilazionamento massimo è di dieci anni – dice Cordone –, quindi si andrebbe a pagare centoventi-centotrenta euro al mese, più il canone locativo. Io sono occupante, sono monoreddito, vivo con mia figlia piccola, sono stata tra le prime a fare il piano di rateizzo ma poi mi sono fermata, pagherò solo il pigione attuale fino a che non scatterà il piano speciale. È un piano che dovrà passare prima in giunta comunale e poi venire presentato alla Regione. Hanno tutto l’interesse a farlo perché è una questione che non riguarda solo Taverna del Ferro ma tutta l’edilizia popolare gestita da comune e Regione. Quindi non ci stanno facendo un piacere».

C’è poi un’altra questione importante, su cui il comitato si impegna a vigilare. «Il lavoro finora è stato assegnato solo alla ditta che demolisce – dice Cordone –. Poi c’è una società a cui è stata assegnata una parte della costruzione degli alloggi. Noi vogliamo che quando sarà il momento ci possa essere l’applicazione della clausola sociale in modo che vengano prese a lavorare le persone del posto. Anche in questo caso l’interlocutore è il Comune, dobbiamo fare in modo che possa indicare alla ditta una percentuale di assunzioni da assegnare al territorio».

Naturalmente si tratta di un percorso appena cominciato, che richiederà una dose doppia della perseveranza e lucidità dimostrate finora. Non sono mancati tra l’altro malumori e piccole ostilità a livello locale. «La classe politica del quartiere – conclude Cordone – non solo ha impoverito e sfruttato per fini elettorali la popolazione, non solo non ha dato una mano, ma addirittura ostacola creando confusione e seminando dubbi nella testa delle persone. Negli ultimi giorni abbiamo fatto due grandi assemblee, prima nella sala della municipalità e poi direttamente nelle palazzine, con centinaia di persone, proprio per chiarire tutta la situazione, rendere pubblico il progetto e tutto l’operato che il comitato ha svolto dal 2018 a oggi. E per dire alle persone che solo se restiamo unite nella lotta possiamo arrivare fino in fondo». (luca rossomando)