Senza fine. A Napoli tutto il cinema di Béla Tarr
NapoliMONiTOR - Friday, May 17, 2024Una retrospettiva integrale del cinema di Béla Tarr si terrà a Napoli dal 17 maggio al 2 giugno, in diverse sale e quartieri della città. Contemporaneamente il regista ungherese terrà un workshop gratuito per giovani filmmaker under 35 provenienti sia da Napoli che dal resto d’Europa e del mondo. La sua presenza, così prolungata, è una grande occasione di confronto e dialogo con questo importantissimo autore, amato e celebrato per il suo peculiare linguaggio cinematografico fatto di lunghi piani sequenza, un bianco e nero “più colorato dei colori” e in generale il senso di totale indipendenza dalle logiche commerciali dell’industria cinematografica (star, pubblicità, passerelle).
Nato a Pécs nel 1955, Béla Tarr è stato fin da giovanissimo uno sperimentatore della macchina da presa (i suoi miti: Godard, Vertov, Fellini). Tra gli anni Settanta e Ottanta si scontra più volte con la burocrazia ungherese, per via delle sue “deviazioni” dal realismo socialista: film come Nido familiare (1979), L’outsider (1981) e Rapporti prefabbricati (1982) tradiscono l’ottimismo obbligato dell’arte dell’epoca e mostrano la vita quotidiana senza filtri ideologici, rappresentando uomini e donne ingabbiati in un sistema che di fatto replicava i fallaci desideri occidentali e tradiva le promesse del 1917.
Era così in realtà già dal 1956, anno dell’arresto di Nagy – la cui esecuzione avverrà due anni dopo – e di Lukacs, che per paradosso era stato il grande teorico del realismo in arte. Nulla era cambiato dallo stalinismo e la conferma di ciò, la “fine di tutto”, saranno dodici anni dopo i carrarmati a Praga. C’è un bellissimo film sul drammaturgo tedesco Thomas Brasch (Lieber Thomas, di Andreas Kleinert, 2021), dove i giovani studenti d’arte, alla notizia dell’invasione cecoslovacca, esprimono il desiderio, politico ed esistenziale a un tempo, di rappresentare il Manifesto del Partito Comunista. Curiosamente, un giovane Béla Tarr non sarà ammesso alla facoltà di filosofia perché considerava il Manifesto un’opera d’arte e il comunismo come una serie di relazioni informali tra esseri umani e non una istituzione politica organizzata.
Una lettura della sua opera non può prescindere da queste vicende storiche, dal collasso del socialismo reale, nonostante la sua ritrosia verso analisi di questo tipo: nel suo cinema è percepibile in massimo grado il senso del fallimento di un grande progetto politico immeschinito in burocrazie, dogmatiche e falsi valori; dagli anni Novanta in poi i suoi capolavori riflettono, con modulazioni differenti, le conseguenze del disastro; non ci troviamo però di fronte a un cinema sociale, nel senso di Ken Loach, né con un autore che rilegge il passato con un bisogno di rivalsa (penso in questo senso soprattutto a Wajda e ai suoi ultimi film). Conseguenze del disastro sono, per Béla Tarr, uomini e donne in carne e ossa che trascinano la propria esistenza verso un fondo senza nome, peggiore della morte, come fossero accecati. Non è la perduta autenticità della vita la questione di fondo dei suoi film (questa era la reazione al materialismo di un grande regista russo come Tarkovskij), e probabilmente neanche la disgregazione definitiva di ogni possibile comunità, da quella familiare a quella sociale. Il disastro che aleggia sugli uomini, la cifra del suo cinema è piuttosto l’incapacità di agire, di stare insieme e stare bene – qualcosa di molto semplice, immediato e terreno. La difficoltà della prassi, oseremmo dire. Così ritornano nelle sue opere della maturità una serie di simboli negativi: il denaro, il leaderismo in politica, l’utopia facile, la coppia coniugata. Il suo ultimo film, che verrà proiettato il 2 giugno, è Il cavallo di Torino. Dopo di esso Béla Tarr ha cominciato a organizzare scuole di cinema itineranti (dalla Cina all’Italia, dall’India al Perù), disinteressato a ulteriori lavori personali in quanto ha spesso ripetuto di aver detto tutto con i film, e quindi girare altro equivarrebbe a mentire.
La retrospettiva integrale della sua opera (compresi cortometraggi inediti in Italia) prevede anche un momento di confronto teorico all’Accademia di Belle Arti di Napoli il 30 giugno alle ore 10, e un momento musicale al Riot Studio a cura di Sergio Naddei e Antonio Raia. (salvatore iervolino)
La retrospettiva è a cura di Armando Andria, Gina Annunziata, Alessia Brandoni, Fabrizio Croce, Salvatore Iervolino, Marcello Sannino, per Ladoc.
Qui il programma completo.