L’autogestione degli abitanti dei quartieri contro la privatizzazione dei parchi pubblici

NapoliMONiTOR - Friday, May 24, 2024
(disegno di maria de gennaro)

Nelle ultime settimane la Comunità parchi pubblici Napoli ha organizzato alcuni incontri per condividere con gli abitanti di differenti quartieri la propria visione di parco pubblico, anche alla luce dell’arrivo della stagione estiva e delle notizie poco confortanti rispetto alle possibili privatizzazioni di intere aree verdi cittadine. Viola, studentessa che partecipa alle attività del Laboratorio di narrazione del territorio che la redazione di Monitor tiene a Villa Medusa da due anni, è stata al Parco Ventaglieri di Montesanto e ha raccolto impressioni e prospettive. Il disegno è di Maria, anche lei studentessa che partecipa al laboratorio. 

“Un luogo dove il territorio e i suoi abitanti costruiscono un’identità comune, a partire dalle proprie esigenze, capacità e sogni”. “Un parco pubblico gestito dagli abitanti auto-organizzati per scopi sociali”. “Un posto da vivere tramite iniziative collettive, in modo da far sentire ognuno partecipe nel prendersene cura”. “Uno spazio aperto a tutti con attività volte a favorire inclusione, educazione, condivisione”.

Queste sono alcune delle risposte alla domanda sull’idea di “parco sociale”, proposta qualche settimane fa attraverso un modulo ai visitatori dal Coordinamento del parco sociale Ventaglieri di Montesanto, che da quasi vent’anni mantiene in vita la zona con proposte e progetti.

Dall’occupazione della palazzina DAMM – Diego Armando Maradona Montesanto nel 1995, il Ventaglieri ha vissuto molti cambiamenti. Costruito con i fondi della ricostruzione post-terremoto, era stato pensato come parco da attraversare, strutturato su tre livelli, senza barriere, quindi né apertura né chiusura. Era munito infatti di scale mobili e poi anche di ascensore, per collegare la parte alta e quella bassa della città, il corso Vittorio Emanuele e la Pignasecca. Pochissima attenzione, però, aveva riscontrato da parte delle istituzioni, rimanendo semiabbandonato fino all’inizio dell’autogestione.

L’idea del parco sociale prese forma nel 2008, quando la gestione del verde passa dalla mano del comune a quella delle municipalità. Ciò permise di far nascere un dialogo tra l’amministrazione e i cittadini. Era importante creare un regolamento specifico per ogni parco, che prendesse in considerazione non solo la costituzione e la posizione degli spazi, ma anche le esigenze delle persone a cui era destinato. «Dal 1995 a oggi – racconta Grazia – abbiamo sperimentato differenti modalità di fruizione e poi organizzazione del parco, tra cui la gestione partecipata. Per quasi dieci anni, a partire dal 2005, circa ogni mese veniva organizzato un tavolo al Comune al quale partecipavano giardinieri, personale di guardiania, associazioni, cittadini e i vertici della municipalità. Era un modo efficace per far emergere le necessità e le criticità. Per di più non si chiedeva a qualcuno di fare qualcosa, ma insieme si parlava di cosa poter fare». «Persino il campetto di calcio è opera nostra – si aggancia Alfonsina –. È assurdo pensare che nei progetti originali del parco il campetto non ci fosse. Non vennero prese in considerazione le esigenze specifiche delle persone che abitano qui, e oggi si corre lo stesso rischio».

Il coinvolgimento degli abitanti del quartiere nella gestione del parco non è stato facile, così come non è stata facile l’operazione di traduzione delle esigenze di tutti nei regolamenti. Il risultato però è stato abbastanza efficace: le zone ludiche e quelle verdi sono entrate a far parte della quotidianità, svolgendo una funzione regolatrice nei rapporti. «Trent’anni fa i ragazzini ci prendevano a bottigliate – spiega Alfonsina –. Ora ci riconoscono e hanno un certo rispetto nel preservare ciò che sentono proprio. Hanno cura del parco e ci tengono quanto noi».

Piuttosto che supportare il lavoro della comunità, con il passare del tempo il Comune e la municipalità si sono adagiati sul fatto che esistesse un gruppo di persone interessate a mantenere fruibile e in condizioni decenti il parco. Gli attivisti del DAMM e del parco oggi cercano di colmare autonomamente le mancanze della gestione comunale, attualmente organizzata dalla cooperativa 25 Giugno.

Ulteriori problemi sorgerebbero nel caso di un possibile ingresso dei privati nella gestione del parco. Da diversi anni, infatti, il comune di Napoli dà la possibilità a soggetti privati non solo di organizzare attività all’interno dei parchi, ma anche di occuparsi di guardiania e manutenzione. In questo modo l’ingresso, soprattutto in occasione di “eventi attrattivi”, diventa automaticamente a pagamento e gli orari di apertura e chiusura non tengono conto delle abitudini degli abitanti del quartiere. È evidente come ci si trovi di fronte a due visioni opposte dello spazio pubblico: da un lato la gestione privata, tendente al massimo profitto; dall’altro la gestione partecipata, dove le iniziative vengono messe in piedi dai cittadini e la manutenzione è pianificata insieme all’istituzione.

Fino a qualche anno fa il comune di Napoli aveva una carta dei parchi, che assegnava per ogni spazio le differenti mansioni alle municipalizzate competenti. Ora che questo piano non esiste più, si sta lavorando alla scrittura di un nuovo regolamento generale, unico, per tutte le zone verdi. Nella bozza, tuttavia, si parla in modo poco chiaro del processo di inclusione dei cittadini nelle decisioni e soprattutto si istituzionalizzano dei “contratti di concessione e di partenariato pubblico-privato, relativi a aree verdi comunali”, che sono il modo più rischioso con cui si assegna ai privati la gestione di intere aree dei parchi pubblici. In questo contesto fa effetto prendere atto della pochezza degli investimenti del Comune per la gestione pubblica del verde: i giardinieri, per esempio, che dovrebbero occuparsi di tutte le estensioni verdi della città, sono solo dodici. Maria, delegata dei Disoccupati 7 Novembre, interviene a questo proposito: «L’investimento pubblico in questo campo è molto basso, e c’entra molto anche con l’idea di città, di cosa si deve fare con lo spazio pubblico. Noi abbiamo fatto un percorso di formazione, riconosciuto da tutti i livelli istituzionali, su attività di pubblica utilità. Ci aspettiamo che le istituzioni lo valorizzino con un piano di assunzioni, non solo per dare dignità alle persone che da anni lottano per un lavoro dignitoso, ma anche per dare un contributo concreto alla città». (viola varlese)