Vivere nei Bipiani di Ponticelli. La strada verso le nuove case è ancora lunga

NapoliMONiTOR - Wednesday, June 5, 2024
(disegno di dalila amendola)

Il 28 marzo del 1997 una nave della Marina militare italiana, la Sibilla, sperona facendo poi affondare un’ex motovedetta della Marina militare albanese nel canale d’Otranto, acque internazionali del mar Adriatico. La motovedetta affondata era la Kater i Rades, utilizzata quel venerdì di Pasqua da centoventi persone in fuga dai violenti scontri scoppiati in Albania qualche mese prima. Quello stesso giorno, Arben era su un aereo di linea in volo da Tirana verso Roma, anche lui in fuga dai disordini politici. Atterrato a Fiumicino, si diresse a Napoli, dove ad aspettarlo c’erano sua moglie e i tre figli. Era tornato a Tirana sul finire del 1996 con l’intento di riprendere la carriera accademica in Albania, il paese d’origine che aveva lasciato tre anni prima. Il tempo di stabilizzarsi e poi avrebbe chiesto anche alla sua famiglia di tornare a casa, ma il crollo finanziario, al quale segue quello politico, cambia i suoi piani. Arben torna a Napoli per restarci.

La prima volta che arriva in Italia è nel 1993. Al secondo anno del suo dottorato in Scienze agrarie all’Università di Tirana, arriva con una borsa di ricerca alla facoltà di Agraria della Federico II a Portici. Per i primi due anni alloggia in un appartamento all’ultimo piano di un edificio tra San Giovanni a Teduccio e Portici. È in affitto, condivide la casa con un ricercatore del suo stesso dipartimento, oltre che con la sua famiglia. Non è contento di questa soluzione perché a mancargli è uno spazio all’aria aperta intorno a casa dove passare il tempo e poter lasciare i suoi tre figli liberi di giocare. La vita di condominio, distante dallo stile abitativo che aveva a Tirana, non glielo permette. L’affitto non è alto e, quindi, va bene così, almeno fino a quando il proprietario non gli comunica che deve andarsene: ha bisogno della casa per suo figlio. Così Arben comincia a cercare un’alternativa; chiede ai colleghi di dipartimento, ma è un amico, anche lui di origini albanesi, che gli offre una soluzione. Ha intenzione di trasferirsi e di lasciargli casa. Ormai sono passati diversi anni da quando nel 1990 aveva lasciato il campo profughi di Capua per trasferirsi ai Bipiani di Ponticelli. In quell’anno furono all’incirca dieci famiglie, tutte di albanesi, a stabilirsi nelle case di amianto di via Isidoro Fuortes. Qui, infatti, di case libere ce n’erano, anche se in pessime condizioni. Le famiglie di napoletani a cui erano stati destinati i Bipiani all’indomani del terremoto del 1980 avevano lasciato già da qualche tempo quegli alloggi di emergenza per ricollocarsi in diverse zone del quartiere e della città. Rimasti vuoti, gli alloggi dei Bipiani vengono occupati soprattutto dagli albanesi in arrivo da Capua e, in parte minore, da un gruppo di africani subsahariani, per lo più della Costa d’Avorio. Solo qualche anno dopo, sarebbero arrivate poche famiglie di napoletani in cerca di un alloggio.

Nel 1995, quando Arben arriva in quella che sarà casa sua per i successivi dieci anni, il numero degli albanesi che vi abitano è cresciuto. Alle prime famiglie se ne sono aggiunte altre cinquanta. I Bipiani si ripopolano. Chi vi arriva per cercare riparo trova un quartiere brulicante di vita dove l’immagine dei container fatiscenti, residuo della lunga emergenza post-sisma, è in qualche modo sfumata. I nuovi abitanti hanno investito i propri soldi e le proprie energie per rimettere a posto soprattutto l’interno delle case. Ognuno ha provveduto a ricostruire il proprio spazio domestico. Nel 1993 il comune di Napoli riallaccia la fornitura elettrica che era stata sospesa sul finire degli anni Ottanta, quando gli ultimi sfollati avevano ormai lasciato i Bipiani. In quegli stessi mesi un gruppo di insegnanti della provincia vesuviana avvia un corso di italiano per gli africani che vi abitano gettando le basi per un percorso di supporto nella ricerca del lavoro e nel disbrigo delle pratiche per i permessi di soggiorno.

Come tutte le altre case del complesso, quella di Arben è piccola. A differenza delle case dei suoi connazionali, soprattutto di chi era arrivato prima di lui, la casa non ha bisogno di lavori. È in buono stato dal momento che la famiglia che c’era prima aveva già provveduto a sistemarla. Un salotto all’ingresso che affaccia sulla cucina e il bagno, in fondo due stanze da letto: una per sé e sua moglie, l’altra per i bambini. La permanenza di Arben sul territorio in quegli anni è legata al permesso di soggiorno per motivi di studio che riesce a rinnovare di anno in anno alla stipula di borse di studio che si susseguono con la Federico II. Nel 1995 torna in Albania per discutere la tesi di dottorato e poi di nuovo a Napoli. L’anno dopo, ancora, rientra a Tirana. Un andirivieni fino al 1997, l’anno dei disordini in Albania.

Se da un lato, il progetto di Arben e sua moglie è tornare e stabilirsi nel proprio paese d’origine, dall’altro lavorano a un percorso di stabilizzazione a Napoli, dove beneficiano di due eventi che tra il 1995 e il 1996 hanno conseguenze fondamentali per gli stranieri che vivono nei Bipiani. Il primo, nel 1995, è il decreto legge che il governo Dini emana per la regolarizzazione dei lavoratori stranieri senza permesso di soggiorno e l’emersione dal lavoro nero. Saranno quasi 250 mila gli stranieri a essere sanati in Italia nei due mesi di vita prima che il decreto decadesse per la mancata conversione in legge. Tra questi c’è anche la moglie di Arben, che da qualche anno lavora come badante per alcune famiglie di Ponticelli. Riesce a regolarizzare la propria posizione e ad avere un permesso di soggiorno per motivi di lavoro. Il secondo evento è nel 1996 la delibera con cui il consiglio di circoscrizione di Ponticelli, su proposta del presidente Vincenzo De Cicco, concede agli abitanti dei Bipiani di registrare presso gli uffici dell’anagrafe comunale l’indirizzo di residenza lì, proprio ai Bipiani. Fino a quel momento, infatti, questa possibilità era inesistente, dal momento che quegli alloggi erano stati occupati. In questo modo, nel 1997 Arben rientra a Napoli e ottiene il permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare. Di fatto, le autorità locali riconoscono i nuovi abitanti dei Bipiani, ma non senza contraddizioni. Nei mesi precedenti e negli anni successivi alla delibera, infatti, sono diversi i tentativi di sgombero da parte del comune di Napoli. Da lì al poco, nel 1997, sarebbe stato approvato il primo piano per l’abbattimento e la bonifica dell’area che avrebbe portato nel 2003 alla demolizione di uno dei due villaggi di cui si componeva originariamente il complesso dei Bipiani. Nello stesso anno, il Comune emana il nuovo bando per l’accesso all’edilizia residenziale pubblica al quale parte delle famiglie dei Bipiani partecipa, ma senza successo. Ai tentativi di sgombero senza la previsione di un ricollocamento altrove in città, gli abitanti con l’appoggio della sezione locale della Caritas, di alcune associazioni (tra cui soprattutto Napoli:Europa Africa) e di Officina99 si compattano e si oppongono alla decisione dell’amministrazione. Qualche mese più tardi, il Comune approva il trasferimento di alcune famiglie dai Bipiani alle torri residenziali di via Malibran, poco distanti, e autorizza alcuni residenti a ingrandire le proprie abitazioni appropriandosi degli spazi di quelle appena liberate, evitando in questo modo una nuova ondata di occupazioni.

Arben, rientrato a Napoli da qualche mese, sfrutta questa possibilità approfittando del fatto che, abbandonate le ambizioni di carriera universitaria, ha messo su una piccola impresa edile. Dopo la ristrutturazione Arben rimarrà ai Bipiani per altri otto anni durante i quali diventerà una figura importante per la comunità animando diverse attività di quartiere, come il doposcuola o l’ambulatorio sociale – quest’ultimo in uno dei Bipiani abbattuti nel 2003. Durante questi otto anni, Arben riceverà dagli ufficiali di polizia municipale diverse denunce per occupazione non autorizzata di alloggio pubblico a riprova della schizofrenia politica del comune di Napoli, che per decenni ha alternato pratiche di tolleranza e supporto a tentativi di criminalizzazione e sgombero degli abitanti dei Bipiani in vista di una “rigenerazione” dell’area che nel 2024 fatica ancora a realizzare.

Il progetto che prevede l’abbattimento dei Bipiani e la costruzione ex-novo di un quartiere di edilizia mista (edilizia residenziale pubblica e privata) dovrebbe concludersi entro dicembre 2026. Tuttavia, l’ufficio tecnico comunale che si occupa di edilizia residenziale pubblica ha già sforato due scadenze dell’iter di progetto. La prima fissava la realizzazione del cinquanta per cento dei lavori di edificazione al 31 dicembre 2023, rimandata al prossimo 31 dicembre (2024). La seconda scadenza, rimodulata su questa appena citata, riguarda l’inizio dei lavori di edificazione al mese di aprile 2024. A oggi nessun segno dei nuovi edifici è visibile nell’area di cantiere dove un altro intoppo è sopraggiunto da qualche giorno. La ditta appaltatrice dei lavori per i Bipiani (e per l’area di Taverna del Ferro a San Giovanni a Teduccio) ha dovuto sospendere gli interventi a causa di un’interdittiva da parte della procura di Salerno. (emiliano esposito)