Il Gran Sasso, il Giro d’Italia e un’idea di merda (ma tinta di rosa)
Alpinismo Molotov - Friday, January 26, 2024Gran Sasso da Campo Imperatore (Wikipedia)
L’edizione 2024 del Giro d’Italia arriverà – nella tappa in programma per l’11 maggio – a Prati di Tivo, una località nel comune di Pietracamela nota a tutti gli appassionati di montagna del Centro Italia e non solo. L’organizzazione del Giro d’Italia ha invitato tutte le città coinvolte in arrivi e partenze di tappa a colorarsi illuminando di luci rosa e rosse le proprie vie, le piazze e i monumenti.
Una serie di enti locali ha pensato bene di proiettare una luce rosa sulle pareti del Gran Sasso – che con i 2.912 metri del Corno Grande è la vetta più alta dell’Appennino – a 100 giorni dalla partenza del Giro come occasione per promuovere il territorio. Il Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga ha dato parere negativo, da qui le polemiche che stanno imperversando in questi giorni.
Come Alpinismo Molotov abbiamo da mesi in cantiere un articolo su bicicletta e montagna. Questo fatto – che potrebbe essere liquidato allargando le braccia imprecando – ci consente di uscire con una sorta di breve prequel perché la combo mefitica Giro d’Italia/illuminazione del Gran Sasso è troppo esemplificativa del tema per non affrontarla attraverso le lenti ricavate dai cocci di una bottiglia Molotov.
L’idea sarà risultata geniale, immaginiamo che nel corso di una tempesta di cervelli qualcuno avrà proposto, tra applausi scroscianti, «illuminiamo le pareti del Gran Sasso».
In un celebre spot televisivo degli anni 80 andava in scena uno scambio di battute che ci sembra piuttosto iconico visto che si parla di colori e pareti:
«Devo dipingere una parete grande, ci vuole il pennello grande!»
«Non ci vuole un pennello grande, ma un grande pennello!»
Spot pennelli Cinghiale
Parafrasando potremmo dire che per valorizzare un territorio non ci vuole un’idea grande, ma una grande idea. Questa decisamente non lo è, e grazie all’intervento dell’ente parco è stata cestinata in tempo.
Chiaramente non ci stupiamo della proposta, è perfettamente coerente con l’attacco che la montagna sta subendo da anni a colpi di impianti di risalita, discoteche sulle piste, abbattimenti di fauna selvatica, grandi opere e grandi eventi (o è tra l’altro la prima volta che si usano le montagne come schermi su cui proiettare luci), innevamento artificiale e più in generale con l’atteggiamento predatorio e speculativo con il quale il capitale – in tutte le sue forme e declinazioni – si sta accanendo contro la vita in questo pianeta.
Il Giro d’Italia è a tutti gli effetti un grande evento e, anche se incentrato su un mezzo affascinante e a noi affine come la bicicletta, si porta dietro tutto il suo carico di contraddizioni e storture endemiche. Fare i conti con le contraddizioni significa – almeno per noi – mostrarne le suture, articolare un’analisi e aprire una discussione. Molto spesso invece l’approccio che vediamo è quello di usare queste contraddizioni come occasione per allargare lo spazio di manovra di chi vuole sfruttare tutto ciò che ancora non è messo a profitto. Ovvero: visto che la montagna sta diventando quello che sta diventando e il Giro d’Italia è quello che è… che danno volete che faccia illuminare qualche ora il Gran Sasso?
Intorno a questa domanda si sta scatenando il solito dibattito “tecnico” sulla tipologia di luci utilizzate, sulla tempistica, sul disturbo alla fauna, ecc. Non entreremo in questa disputa, non perché la riteniamo irrilevante ma perché a nostro avviso il problema centrale va cercato – ça va sans dire – molto più… a monte.
Proviamo a proporre alcune delle domande che dovremmo porci:
Quando affermiamo che ci piace la natura intendiamo dire che ci piace in quanto tale, o tutto ciò che di umano le costruiamo intorno?
Quando si propone di illuminare il Gran Sasso lo si fa dicendo di volerlo fare a beneficio del territorio, ma quando parliamo di “territorio” e “beneficio” a cosa alludiamo veramente? Che tipo di territorio si ha in mente e, soprattutto, beneficio per chi?
Ogni volta che immaginiamo una qualsiasi attività umana in montagna – come altrove – non dovremmo solo chiederci quali danni materiali essa causa nell’immediato, ma quanto queste azioni spostano in avanti l’idea di cosa è possibile fare, di cosa – di volta in volta – diventa accettabile, di cosa siamo pronti a sopportare. Questo aspetto, che è anche la storia della conflittualità che riusciamo a mettere in campo ogni qualvolta un territorio è sotto attacco, va sempre tenuto in considerazione. Molti dei comprensori sciistici che devastano le nostre montagne sono nati come piccole baracche che, a colpi di piccoli ampliamenti, sono diventati il Tonale di turno. “Piccoli ampliamenti” dai quali non si torna più indietro.
Ecco perché illuminare il Gran Sasso di rosa è un’idea da cestinare e basta. Perché segna un ulteriore passo in avanti verso il dirupo: sarebbe uno spit in più che il capitale mette in parete per conquistare la vetta.
Chiudiamo aggiungendo che casi come questo non vanno affrontati per alimentare “la sterile polemica social giornaliera”, ma per riportare quanto accade su un piano materiale e immaginifico fatto di conflitto. Oltre che naturalmente per ribadire come le idee di merda – anche se tinte di rosa o come spesso accade di verde – sono e restano idee di merda.
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