La parola della settimana. Pesce

NapoliMONiTOR - Sunday, October 13, 2024
(disegno di ottoeffe)

Il tuo cognome: Pesce… mi ha sempre impressionato,
io non ti avrei sposato, te dico ‘a verità.
Io fo’ Casato Aprile, che bella novità:
‘e nozze Pesce & Aprile, vattenne ‘a parte ‘e là.
(ria rosa, 
non mi seccare)

Il mito vuole che le mummie siano state inventate da Iside, dea della vita e della guarigione. Iside era sorella e moglie di Osiride, e insieme a lui ha governato l’Egitto per migliaia di anni. Ma Osiride aveva un fratello, Seth, che bramava la sua morte per poter prendere il potere, e che stava per riuscirci, tanto che a un certo punto arrivò a imprigionarlo in un sarcofago e a gettarlo nel Nilo.

Seth, però, non aveva fatto i conti con Iside. La dea, appresa la notizia, si butta nel fiume, si mette a cercare e trova il sarcofago con il cadavere di Osiride, finito in riva al mare dentro a un albero. Una volta che lo ha recuperato, mummifica suo fratello-marito per non far disperdere la linfa rimasta e lo mantiene in qualche modo in vita. Dopodiché, prende della terra e dei semi d’orzo e gli fabbrica un pene nuovo di zecca, perfettamente eretto, incastrandolo all’interno della mummificazione. Ci fa l’amore e al primo colpo rimane incinta di quello che diventerà il loro figlio, Horus.

Seth ovviamente è disperato, ma non rinuncia ai suoi piani: si impossessa di nuovo del corpo di Osiride, lo smembra e ne sparge i pezzi per tutto l’Egitto, senza ricordarsi della caparbietà di sua cognata, che infatti dopo una lunga ricerca li recupera tutti. Meno uno: il pene, che si scoprirà poi essere stato mangiato da un pesce nel Nilo.

Il resto della storia è ancora più bello: Iside si uccide, raggiungendo Osiride e diventando regina dell’oltretomba, mentre Horus fa fuori suo zio (tentando tra l’altro di sodomizzarlo) e prende possesso del regno. Ciò che qui importa, però, è che da quel momento una città del centro dell’Egitto acquisisce un nuovo nome (Per-Medjed, nella lingua del tempo), assumendosi la paternità del “pesce-elefante” che aveva mangiato il fallo di Osiride, che diventa da quel momento sacro. Molti studiosi fanno risalire a quel momento l’associazione (sacrale e ideale) tra il membro maschile e il più noto abitante dei mari del nostro globo terraqueo.

Agata!
Tu mi capisci.
Agata!
Tu mi tradisci.
Agata!
Guarda!… Stupisci!
Ch’è ridotto quest’uomo per te.
(pisano-cioffi, 
agata)

Lunedì sono iniziati a piazza Municipio i lavori per l’installazione del Pulcinella di Gaetano Pesce. Si tratta di una doppia installazione, in realtà, dal nome Tu sì ‘na cosa grandecomposta da un Pulcinella conico di dodici metri e da una seconda scultura “La freccia nel cuore”, realizzata nell’ambito del progetto “Napoli Contemporanea” (il costo dell’operazione, montaggio compreso, pare si aggiri intorno ai duecentomila euro).

Ora, il fatto che si continuino a spendere soldi per opere di puro presunto valore estetico, che al di là di questo presunto valore non stimolano nulla se non la derisione nella maggior parte dei napoletani, non è una novità. Anzi, è un fenomeno che in tempi di terziarizzazione totale dell’economia, e col turismo che si mangia la città, è destinato a crescere di anno in anno. Gli infausti destini della Venere degli Stracci (bruciata da un povero disgraziato che viveva in strada senza il supporto sociale e sanitario di cui aveva bisogno) e della scritta NAPOLI che si è praticamente squagliata al sole prima di essere messa in sicurezza, bastano da soli a risparmiare ulteriori proiettili sulla Croce Rossa e su questa giunta comunale di baroni universitari e nuove volpi della politica.

Ma che il Signore assoluto del populismo, quello del Corno gigante, di N’Albero, della pizza lunga due chilometri sul lungomare (poi finita mangiata dei topi) faccia dell’ironia su questo, provando a mettersi stelline che solo lui riconosce, e a riemergere dal dimenticatoio in cui i suoi stessi insuccessi politici (l’ultimo è il capolavoro calabrese) l’hanno ricacciato, forse fa più piangere che ridere.

“Allargate ca me tigne!”, dicette ‘o caudararo.
Dicette ‘o puorco ‘nfaccia ‘o ciuccio: “Tenimmece pulite!”.
Porta Capuana predeca castità!
(proverbi napoletani)

Giovedì mattina ero un po’ malinconico, così mi sono andato a fare un panino e sono andato a mangiarlo sulla spiaggia di Bagnoli, dove ancora ci sono le barche di legno, davanti al Chiavicone (antico canale per le acque reflue, che pure in altre zone della città assumeva questo nome, dal latino volgare “clavica”, derivato a sua volta dal classico “cloaca”, ovvero “fogna”).

Lì ho conosciuto P., un bambino che se n’era sceso a mare con la sua canna da pesca e il relativo necessaire, aveva infilato una sedia di ferro nella sabbia, con metà delle gambe in acqua, e approfittava del mare agitato per fare man bassa di orate, cefali e spigole. I pesci più piccoli, come fanno i veri pescatori, li ributtava a mare.

Ho chiesto a P. se gli piace pescare sott’acqua, e gli ho raccontato di un libro in cui tre ragazzini stanno pescando non lontano dalla barca di loro padre Thomas Hudson, e a un certo punto si ritrovano davanti un gigantesco squalo martello. Mi ha detto che non l’ha mai fatto, ma non sa se gli piacerebbe, poi mi ha detto che era meglio andare a casa perché di lì a poco sarebbe venuto a piovere. Non mi ha chiesto se i ragazzi si salvano oppure no.

La cosa che gli fece più impressione fu la grande altezza della pinna, il modo in cui girava e cambiava bruscamente direzione, come un segugio sulle tracce di un animale, e il modo in cui avanzava, con la crudeltà e la decisione di una lama.

Imbracciò la carabina e sparò davanti alla pinna, a pochi centimetri di distanza. Il colpo non andò a segno e sollevò uno spruzzo d’acqua, e allora Thomas Hudson ricordò che la canna era unta d’olio e appiccicosa. La pinna continuava minacciosamente ad avvicinarsi. […]

Thomas Hudson cercava di essere sciolto ma fermo, cercava di trattenere il respiro e di non pensare ad altro che al tiro. […] Da poppa udì un mitra sgranare il suo rosario e vide spruzzi d’acqua levarsi tutt’intorno alla pinna. […] La pinna andò sotto e nell’acqua ci fu un ribollire e poi il più grande squalo martello che avesse visto prese a planare follemente nell’acqua, rovesciato sul dorso, sollevando due baffi di schiuma come un acquaplano. […]

«Sei stato in gamba, Davy», disse Tom junior fieramente. «Aspetta che lo dica ai ragazzi della mia scuola».

«Non ci crederanno. Non dirglielo se vengo».

«Perché?», chiese Tom junior.

«Non so», disse David. E scoppiò in lacrime come un bambino piccolo. «Oh merda, se non ci credessero non resisterei».

Thomas Hudson lo sollevò e lo tenne in braccio con la testa sul petto, e gli altri ragazzi si voltarono dall’altra parte. Poi arrivò Eddy con tre bicchieri in uno dei quali aveva infilato il pollice. Thomas Hudson capì subito che giù se n’era scolato un altro.

«Che ti piglia, Davy?», chiese.

«Niente».

«Bene, così mi piace sentirti parlare, vecchio figlio di puttana. Ora scendi, smettila di piagnucolare e lascia bere il tuo vecchio».

(ernest hemingway, isole nella corrente)

(a cura di riccardo rosa)