La parola della settimana. Spia

NapoliMONiTOR - Sunday, November 3, 2024
(disegno di ottoeffe)

Una grossa inchiesta della Dda ha rivelato l’esistenza di una rete di spionaggio e traffico di informazioni gestita dalla società di intelligence Equalize, a cui capo ci sono un importante manager pubblico e un ex poliziotto. La compagnia avrebbe raccolto dati e fabbricato dossier su politici, industriali e personaggi famosi, tra cui il presidente del Senato e persino il cantante Alex Britti (fatto spiare dall’ex direttore di Pubblitalia dopo aver rotto la relazione che lo legava alla figlia di quest’ultimo). Si parla anche di un tentativo – non riuscito – di violare l’account della presidenza della Repubblica.

Sfruttando un’ampia rete di supporto (sono indagati amministratori di banche e responsabili dati di grosse aziende) e sistemi ad alta tecnologia, Equalize riusciva a spiare le vittime ma anche a raccogliere informazioni tramite accessi abusivi alle banche dati delle più importanti istituzioni italiane. Secondo alcune intercettazioni, dalle quali si possono evincere rapporti con i servizi segreti nazionali e internazionali, l’attività di Equalize non riguardava solo la sorveglianza illecita, ma anche l’uso di queste informazioni per influenzare questioni politiche, come le elezioni regionali del 2023.

Chiano chiano dint’e case
ce farranno ‘na sorpresa:
manco int’o bagno te può rilassa’…!
Parla piano stamm’ tutti intercettati,
ogni frase ogni parola è controllata.
Se fraintendono c’accusano ‘e reati
e int’ a niente ‘a qualche clan sì affiliato.
Parla piano stamm’ tutti intercettati
nun se parla sottinteso e malspiegato.
Se tu dici piglia un chilo di farina
‘cca c’arrestano pe’ spaccio ‘e cocaina.
(gianni celeste,
 stamm’ tutti intercettati)

Per un bel po’ di anni, sul finire dei Novanta, i militanti politici che capivano qualcosa di computer hanno accarezzato l’idea di poter utilizzare strumenti e pratiche all’avanguardia, come l’hacking, per socializzare i processi politici e culturali in corso. In Italia nasceva nel 2001 il collettivo Autistici/Inventati, con l’obiettivo di creare un server autogestito e fornire gratuitamente servizi web basati sull’anonimato e sulla privacy (un veicolo sopravvissuto a molti tentativi di repressione, a denunce, sequestri e inchieste giudiziarie). È una storia – la si ricostruisce in questo bel libro – che meriterebbe attenzione, oggi che la sproporzione tra le forze e le disponibilità di mezzi in campo sembra aver sopito quasi tutti i sogni di opposizione socio-digitali alla cyber-dittatura (poi dittatura degli algoritmi). Di certo quello che sta accadendo in queste settimane provoca emozioni contrastanti a chi aveva provato a costruire un’alternativa, ma anche a quel paio di generazioni che più o meno un decennio dopo avrebbero visto giovani militanti chiudersi in aule occupate a lavorare su hardware impolverati, buttare il sangue per trasmettere in streaming e comunicare con gente dall’altra parte del paese, capire che era importante mantenere i “forum” in vita ma pure imparare a usare WordPress.

Se è vero che si è sempre a Sud di qualcuno, con il passare del tempo ci si comincia a rendere conto che si è anche sempre dinosauri di qualcun altro.

A non più di cinque metri un tordo si era appollaiato su un ramo, all’altezza delle loro teste. […] Aprì le ali, le richiuse piano piano, chinò per un attimo il capo come se volesse rendere omaggio al sole, dopodiché proruppe in un canto a gola spiegata. […] Winston e Julia si strinsero, affascinati. Quella musica continuò per lunghi minuti, con variazioni stupefacenti e sempre nuove, come se l’uccello stesse offrendo un saggio del suo virtuosismo. […] Per chi, per che cosa cantava? Non v’era una compagna, né un rivale che lo guardassero. Che cosa lo spingeva a starsene appollaiato all’estremità di quel bosco, affidando la sua melodia al nulla? Si chiese se non c’era un microfono nascosto lì vicino. Lui e Julia avevano parlato a voce bassissima, e certamente un microfono non sarebbe riuscito a cogliere quel che avevano detto, ma avrebbe captato di sicuro il canto del tordo. Forse dall’altro capo del filo qualche omuncolo dalla faccia di scarafaggio era intento all’ascolto, forse stava ascoltando quella… cosa. Ma poi, poco alla volta, il flusso di quella melodia scacciò ogni altro pensiero dalla sua mente. […] Smise di pensare e restò in ascolto. […] Le loro labbra si cercarono, e non furono più i baci impacciati che si erano scambiati prima. Quando i volti si staccarono, emisero entrambi un profondo sospiro. Il tordo si spaventò e volò via in un frullio d’ali. (george orwell, 1984)

Per la Treccani, “spia” è colui che “con l’inganno o la dissimulazione cerca di venire in possesso di notizie riguardanti altre persone allo scopo di riferirle, per malevolenza, per invidia o per interesse personale, a chi possa valersene per punire o danneggiare le stesse”. La locuzione “fare la spia” mette invece l’accento sul destinatario delle informazioni: è l’atto “di riferire a superiori o ad autorità ciò che altri vorrebbe tenere nascosto”.

Non molto usato in italiano è invece, con più o meno la stessa caratterizzazione, il sostantivo “spiata”, che al contrario si utilizza molto in lingua napoletana e in particolare nel gergo criminale.

Quando facevo l’allenatore in una scuola calcio popolare a Bagnoli, insegnavamo ai bambini che peggio di fare qualche guaio c’era solo fare la spia ai danni di un amico o un’amica che ne aveva fatto uno. Questo ci metteva spesso nei guai, prima di tutto perché dovevamo spiegare che il processo di auto-responsabilizzazione di un bambino o di un adolescente, e la necessità di assumersi la paternità di un errore, non c’entravano niente con la presunta omertà del mondo malavitoso e tutto quelle cretinate sui “valori” da cui sono bombardati; poi perché la linea, quando per una ragione o per un’altra c’era bisogno di individuare un colpevole, era quella di bloccare le attività per tutti e invogliare una confessione (in privato, per evitare la gogna). Era molto raro ovviamente che ciò accadesse, e per questo una serie di potenziali interventi educativi (dialogo, riflessioni individuali e collettive, dibattiti circolari sui concetti di “giusto” e “sbagliato”) si riducevano a inutili azioni repressive tipo sequestro di coltellini, sigarette, eccetera.

Col tempo elaborammo una nuova teoria, più o meno efficace, che faceva delle differenze tra il fare la spia per un tornaconto personale e quella per mettere fine a un’ingiustizia, tra il farlo collettivamente all’interno di un gruppo o delegando la gestione al rappresentante di un potere, mantenendo comunque alta l’attenzione sull’inutilità quasi universale del cantarsi qualcuno o scagliare la propria pietra contro una persona specifica, concetto sul quale anche filosofi come Gesù di Nazareth si erano espressi tempo prima.

C’è una bellissima opera teatrale di Sartre, in due atti, che racconta la storia di cinque partigiani che lottano contro lo stato francese collaborazionista. I cinque sono in carcere, dove vengono interrogati e torturati. Sono però tutti decisi a non parlare, a non dire chi è il loro capo, fatta eccezione per il più giovane, che alla fine verrà ucciso dai suoi stessi compagni per impedirgli di fare la spia. A morire è anche un altro partigiano, che per paura di non riuscire a resistere alle torture si suicida durante l’interrogatorio.

Alla fine i tre compagni rilasceranno ai militari delle finte informazioni, d’accordo con il capo del gruppo che provvederà a creare prove capaci di avvalorarle, nonostante il parere contrario dell’unica donna arrestata che, sconvolta per le violenze subite e per la morte del fratello, non vorrebbe far credere ai soldati di averla avuta vinta. La “spiata”, in ogni caso, servirà a poco: dopo la finta confessione uno dei carcerieri uccide i tre partigiani, rimangiandosi la parola data. (a cura di riccardo rosa)