“Gino” Abazaj rifiuta di farsi consegnare all’Ungheria. Decideranno i giudici francesi
Osservatorio Repressione - Wednesday, November 20, 2024Prima udienza dopo l’arresto per l’antifascista italo-albanese Rexhino Abazaj, «Gino» . Prossimo appuntamento il 18 dicembre. Intanto resta in carcere, a Fresnes. Il gruppo parlamentare Insoumis si schiera dalla sua parte
di Filippo Ortona da il manifesto
I due gendarmi hanno aperto una porticina e Rexhino «Gino» Abazaj è comparso, ammanettato, nel box degli accusati della Corte d’appello di Parigi. Arrestato venerdì scorso in una banlieue parigina, il 32enne militante antifascista italo-albanese è ricercato dalla giustizia ungherese, che ne chiede l’estradizione. Ai giudici francesi spetta ora l’onere di esaminare la richiesta. Quella di stamattina è stata la prima udienza.
Gino è nel mirino dei magistrati magiari per gli stessi fatti imputati a Ilaria Salis, ovvero gli scontri avvenuti intorno al Giorno dell’onore del febbraio 2023, durante il quale neonazisti provenienti da tutta Europa si erano riuniti per celebrare – come ogni anno – le gesta delle Ss alla fine della Seconda guerra mondiale.
Nell’ultimo anno e mezzo, l’Ungheria di Viktor Orbàn ha intentato una serie di procedimenti contro vari attivisti antifascisti che avevano partecipato a quelle contestazioni. A farne le spese sono stati l’italiano Gabriele Marchesi, per il quale però la giustizia italiana ha negato l’estradizione, e la tedesca Maja T., rocambolescamente estradata dalla Germania malgrado l’opposizione intempestiva della Corte costituzionale tedesca.
L’udienza di ieri era in realtà una formalità, serviva a sapere se Abazaj fosse disposto a farsi consegnare all’Ungheria. L’attivista ha risposto prontamente di No. Il prossimo appuntamento sarà il 18 dicembre, quando la difesa potrà «fare delle domande, in particolare sul rischio di trattamenti disumani e degradanti e sul rispetto del diritto a un giusto processo», ha detto uno degli avvocati del ragazzo, Youri Krassoulia. Criteri «che possono incidere sulla procedura del mandato d’arresto europeo», secondo il legale.
Fino ad allora, tuttavia, c’è il serio rischio che Abazaj rimanga alla prigione di Fresnes, nella banlieue parigina, dove è attualmente detenuto. Così affermano i suoi avvocati, che comunque faranno il possibile per farlo uscire ai domiciliari.
Secondo Laurent Pasquet-Marinacce, anch’egli nel collegio difensivo, l’attivista sarebbe stato fermato dalla Sdat, la sezione antiterrorismo della polizia francese, «sulla base di intelligence proveniente da un paese alleato», ha riferito l’avvocato. «Dobbiamo in qualche modo bloccare l’ingranaggio del mandato di arresto europeo», ha detto Pasquet-Marinacce, per il quale è necessario far capire alla Corte d’appello di Parigi che, oltre ai dubbi sulle condizioni di detenzione e la violazione del diritto a un giusto processo in Ungheria, vi è il rischio che le pene previste in Ungheria siano «spropositate» rispetto ai capi di reato imputati all’attivista. Soprattutto in confronto a quanto previsto dal diritto francese.
Oltre ai genitori di Abazaj, venuti apposta dall’Italia, nella sala della Corte d’appello erano presenti anche due deputati de La France Insoumise, Thomas Portes e Raphaël Arnault. «Ci tenevo a venire a sostenere un militante antifascista che è stato arrestato per essersi opposto a una manifestazione neonazi a Budapest», ha detto Arnault che, prima di divenire deputato alle ultime legislative, è stato tra i fondatori del collettivo antifascista La Jeune Garde. Per Arnault, il mandato di arresto europeo diramato dall’Ungheria è sintomo «di una volontà di vendetta che fa freddo alla schiena».
«Nell’Ungheria di Orbàn, non ci sono le condizioni affinché Gino venga giudicato in maniera imparziale», ha scritto il gruppo parlamentare di Lfi in un comunicato diramato martedì sera. «Chiediamo che la Francia rifiuti l’estradizione di Gino Abazaj, al fine di garantirne il diritto a un giusto processo come previsto dall’articolo 6 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo», hanno scritto i deputati insoumis.
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