La lotta per tenere aperta la fabbrica di Statte non è ancora finita
NapoliMONiTOR - Tuesday, December 24, 2024La lotta per tenere aperta la Hiab di Statte, in provincia di Taranto, non è ancora finita ma gli operai intanto sono tornati a lavoro e le vertenze sono fatte anche di attese e fatica. La storia della Hiab, ramo d’azienda del gruppo finlandese Cargotec, è una storia come altre. Uno stabilimento tra i tanti, di proprietà di una multinazionale, a un certo punto finisce fuori dalle strategie aziendali di massimizzazione dei dividendi per i propri azionisti. La storia è, però, allo stesso tempo complessa. Con l’aiuto degli operai in occupazione a Statte, abbiamo provato a raccontarla.
Dopo aver scorporato e quotato in borsa il ramo Kalmar la scorsa primavera, il gruppo Cargotec, di cui Hiab fa parte, ha venduto l’altro ramo d’azienda, MacGregor, proprio lo scorso novembre. La MacGregor è stata venduta per 480 milioni di euro al fondo d’investimenti londinese Triton. La transazione sarà ultimata entro luglio 2025, mentre entro aprile il gruppo Cargotec verrà rinominato Hiab e sarà quotato in borsa come società a sé stante.
Per coincidenza, Hiab festeggia il suo ottantesimo anniversario proprio quest’anno. Nel video che celebra l’evento sul sito dell’azienda, mentre scorrono le immagini di lavoratori impegnati a guidare camion attrezzati e manovrare bracci meccanici in giro per il mondo, la voce narrante dice: “Ogni giorno, ogni ora, ogni minuto solleviamo e consegniamo beni essenziali per la vita di milioni di persone. All’occhio poco allenato può sembrare che tutto si muova senza sforzo, come se fosse guidato da una mano invisibile. Quella mano invisibile siamo noi”.
Nei suoi ottant’anni di storia, Hiab ha acquisito imprese e marchi in giro per il mondo. Tra questi c’è anche l’italiana Effer, con i suoi stabilimenti a Minerbio e a Statte. L’estate scorsa l’azienda ha comunicato agli operai di Statte che a fine anno ci sarebbero stati esuberi. Gli operai hanno occupato la fabbrica e hanno costretto l’azienda a fare chiarezza sui suoi programmi in una serie di tavoli al ministero delle imprese e del made in Italy. A novembre l’azienda ha chiarito di voler chiudere lo stabilimento di Statte e concentrare la produzione italiana a Minerbio. I componenti, snodi e tubolari, prodotti a Statte per l’assemblaggio fatto a Minerbio verranno esternalizzati a fornitori terzi. Lo stabilimento tarantino verrà chiuso, venticinque lavoratori con competenze specifiche potranno essere trasferiti a Minerbio e gli altri andranno in mobilità. L’azienda, nei numerosi tavoli di contrattazione, si è impegnata a seguire la procedura di delocalizzazione prevista dalla legge 234 del 2021 che impone di trovare un accordo con i sindacati per la tutela dei lavoratori e fornisce dodici mesi di cassa integrazione per la ricollocazione dei lavoratori.
A metà novembre, i lavoratori di Statte hanno smobilitato l’occupazione durata un mese e hanno ripreso la produzione. Da quel momento, delegati e organizzazioni sindacali sono alle prese con la stesura di un accordo che sarà propedeutico alla procedura di chiusura e delocalizzazione e all’erogazione della cassa integrazione.
L’opinione diffusa tra chi siede al tavolo del negoziato è che l’occupazione della fabbrica abbia pagato perché ha costretto l’azienda a rendere trasparenti le sue intenzioni e a impegnarsi a intraprendere una procedura concordata di delocalizzazione. Il 5 novembre la Hiab, infatti, chiarisce che vuole andare via da Statte. Il 12 novembre si impegna con i sindacati a pagare gli stipendi dei lavoratori in occupazione e a intavolare una trattativa secondo la legge 234 a patto che questi riprendano a lavorare. A Statte sono ferme le gru di piccola taglia da consegnare ai clienti e gli snodi necessari alle produzioni delle gru di taglia più grossa che vanno consegnati a Minerbio dove i lavoratori sono in cassa integrazione in attesa dei componenti di Statte. Ricomincia la produzione e iniziano delle consultazioni tra azienda e sindacati per redigere un piano di delocalizzazione e ammortizzatori sociali. Nell’incontro del 19 novembre si palesano i primi punti di discussione dell’accordo. Il 4 dicembre e poi di nuovo il 10 dicembre le posizioni si avvicinano pur restando distinte su alcuni punti fondamentali.
L’azienda vuole creare un polo di eccellenza a Minerbio per la produzione di gru di grossa portata. Per farlo vuole usare alcune delle professionalità operaie di Statte. Propone quindi un incentivo, per chi vorrà trasferirsi, pari a diecimila euro lordi e novanta giorni di albergo che aiutino gli operai a trovare una sistemazione duratura. La proposta non ha trovato per ora l’interessamento degli operai. Mi spiega Leonardo, uno degli operai: “Qua nessuno valuta davvero l’ipotesi di andare sopra. Secondo loro uno si sradica di qua, porta la famiglia lì e trova una soluzione in novanta giorni. Tu mi devi dire quanto prendo, non che mi dai ottomila euro netti e poi me la devo vedere io con uno stipendio da fame a Bologna”.
Il secondo punto è quello degli incentivi all’esodo. Per chi decidesse di interrompere il proprio rapporto di lavoro prima del tempo ci sarebbe una buona uscita di circa dieci-quindici mila euro. Bisognerà poi negoziare i dettagli sugli scivoli che potranno accompagnare una manciata di lavoratori con sufficiente anzianità lavorativa al pensionamento anticipato.
Mi spiega Gregorio, delegato di fabbrica della Fiom, che nella trattativa l’azienda si è mostrata ricettiva ma le somme messe a disposizione non cambiano: “Hanno un budget per chiudere questa partita. Se mettono risorse da una parte le tolgono dall’altra”.
Il punto che però rimane al centro della negoziazione riguarda la conclusione delle attività produttive e l’inizio dei dodici mesi di cassa integrazione. Mi spiega Mimmo, rappresentante provinciale della Uilm che segue la vertenza, che l’azienda si è impegnata a integrare la cassa fino a raggiungere lo stipendio intero dei lavoratori. Questo ammortizzatore, però, una volta avviato non è prorogabile e l’azienda si è preclusa l’utilizzo di altre forme di cassa integrazione perché ha già comunicato l’intenzione di chiudere lo stabilimento. L’azienda vorrebbe far partire la procedura dal primo gennaio mentre gli operai vorrebbero guadagnare tempo. Secondo quanto comunicato ufficialmente dall’azienda, mi spiega Giuseppe, adesso lo stabilimento ha ordini per una novantina di snodi e una ventina di macchine da consegnare. Questo monte lavoro porterebbe la produzione a prolungarsi almeno fino alla fine di marzo 2025. La richiesta dei sindacati è quindi di far partire la cassa integrazione nel momento in cui la produzione sarà esaurita e comunque non prima di aprile. L’azienda si è opposta, confermando la volontà di far partire la procedura a gennaio. Proprio il primo di aprile il gruppo Cargotec verrà rinominato Hiab ed è probabile che il management abbia necessità di mostrare agli azionisti di aver chiuso definitivamente la partita di Statte per quella data. I lavoratori però sono convinti che la produzione possa protarsi anche oltre il primo trimestre del 2025. C’è poi il rischio che il piano di Hiab di esternalizzare la produzione tarantina a fornitori terzi richieda più tempo di quanto previsto. Mi spiega sempre Giuseppe della Fim che i saperi collettivi sviluppati a Statte in anni di produzione hanno creato una conoscenza informale, difficilmente replicabile altrove ma comunque cruciale alla produzione. “Qua non ci sono schemi di montaggio. La gente va avanti per l’esperienza che ha acquisito nel tempo. Da noi, se non ci sono gli operai che insegnano a montare gli snodi ai nuovi arrivati, quegli snodi non li monta nessuno. Un terzista che volesse montare gli snodi per Hiab dovrebbe prendere parte dell’organico di Taranto per qualche mese e formare gli altri. Ma i nostri non sono disposti perché il modo in cui l’azienda ci sta ripagando non è stato visto di buon occhio. Dopo ventiquattro anni, essere trattati come carta straccia, lascia l’amaro in bocca”.
Il timore è quindi che l’azienda usi gli ammortizzatori sociali previsti dalla legge 234, che devono servire alla ricollocazione dei lavoratori, per sistemare le proprie strategie produttive. “Cosi ci mangiamo la cassa integrazione per la produzione loro”, dice Leonardo.
Incontro Pietro, il rappresentante provinciale della Fim, in piazza Bettolo, dove si riuniscono gli uffici delle federazioni metalmeccaniche di Taranto. Mi dice che buona parte della trattativa può considerarsi chiusa. I sindacati hanno ottenuto migliorie sulle proposte dell’azienda per quanto riguarda gli incentivi all’esodo e i trasferimenti. I punti che restano aperti sono la data di inizio della cassa e la procedura di scouting che l’azienda si è impegnata a intraprendere per un potenziale acquirente. L’interessamento di un’azienda brasiliana, che si era manifestato quando ancora gli operai occupavano la fabbrica, pare non abbia avuto seguito. La regione Puglia ha poi convocato l’azienda per discutere di un secondo potenziale investitore per il sito, non si conosce però il nome del gruppo interessato né l’esito dell’incontro in Regione. La procedura di cessione a un terzo è la questione più importante di tutte per gli operai, eppure la meno trasparente al momento. Non è chiaro come Hiab si stia muovendo per lo scouting né quanto le interessi che questo processo vada in porto.
Giuseppe mi spiega che Hiab deve riconsegnare lo stabilimento senza i macchinari e ripristinare le opere murarie fatte per l’installazione delle linee di produzione: “Loro per riportare alla norma quel sito dovrebbero portarsi via tutto, smontare i carroponti, le gru a bandiera, colmare buchi e buchini… sono costi. Cipriani pure, che è il padrone dello stabilimento, sta a Rovereto e avrebbe tutto l’interesse a trovare un acquirente perché altrimenti quel capannone senza i macchinari rimarrebbe un’altra cattedrale nel deserto”. Per la Hiab non avrebbe senso mantenere macchinari per una produzione che verrà esternalizzata in futuro o linee che sono comunque già presenti nei siti bolognesi: “Loro i macchinari di Statte li hanno già ammortati. Sono manutenuti sì, ma per loro non hanno un costo rilevante come produzione. Dovrebbero spendere soldi su qualcosa che poi dovrebbero rottamare”.
Se si passa dai cancelli della Hiab in questi giorni, non c’è più il presidio dei lavoratori in occupazione e la produzione procede normale. Non c’è il capannello di operai che discutono, che accolgono gli interessati, che mettono insieme le loro conoscenze per ribaltare la storia che l’azienda aveva deciso di raccontare. Se non fosse stato per l’occupazione, la fabbrica sarebbe un deserto e l’azienda sarebbe già andata via, eppure per adesso il conflitto è solo un ricordo. Bisogna produrre, evadere gli ultimi ordini. Certo, non si lavora a pieno ritmo, mi spiega Gregorio: “Con che spirito vuoi che si possa lavorare adesso? Non c’è più fiducia”. I lavoratori mi raccontano che molti quadri dell’azienda sono andati via negli ultimi mesi e che ai tavoli Hiab continua a mandare rappresentanti legali che capiscono poco di produzione e hanno deleghe limitate per negoziare. I lavoratori tarantini sono stanchi ma i colleghi di Bologna non possono stare tranquilli. L’azienda si è mostrata inaffidabile e pochi credono al piano di fare di Minerbio un centro d’eccellenza. È sempre Giuseppe che racconta: “Li hai un sito diviso a metà da una strada, che era già vecchio nel 2000 quando sono salito io; non hai le figure necessarie alla produzione perché le vuoi prendere da Taranto, e hai comunicato che per l’anno prossimo prevedi una produzione di un terzo inferiore a quella di quest’anno senza però prevedere cassa integrazione. I conti non tornano”.
Adesso la palla è nella metà campo dell’azienda che deve redigere un verbale dell’incontro e una bozza di accordo e deve mettere nero su bianco gli impegni presi. I sindacati dovranno firmare il preaccordo per dare inizio alla procedura di delocalizzazione. La data di inizio della cassa integrazione è il punto su cui si deciderà il negoziato.
Leonardo mi dice che serve coraggio e conflitto in queste trattative. Che senza coraggio sarebbero già tutti a casa. Far saltare il tavolo però significa licenziamenti collettivi. Per ora si attende. Quel che è certo è che Hiab non intende rinnovare il contratto d’affitto dei capannoni che scade a novembre 2025. Per loro, pare sia quella la data di scadenza di tutta la storia. (francesco bagnardi)